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Gay & Bisex

L'emiro VI - L'accoglienza


di Foro_Romano
17.05.2015    |    12.290    |    3 9.5
"Poi fu lui a sdraiarsi di schiena ed io mi precipitai tra le sue cosce pelose per annusare da vicino la sua virilità..."
(segue)

Felice e soddisfatto uscii da quell'ufficio e raggiunsi l'uscita dove mi aspettava Hammed con una grande Bentley d'epoca, nera con rifiniture d'oro (vero naturalmente). Salii dietro e già mi sentii come un principe (od una principessa, come preferite).
Mi aveva accolto con molta gioia, abbracciandomi calorosamente. Da quelle parti è normale farlo tra uomini, pubblicamente, ma da parte di un autista era abbastanza strano agli occhi delle tante persone che affollavano l'aeroporto. Una volta in auto mi disse che gli ero mancato, che non vedeva l'ora di possedermi ancora, che ero la più troia che avesse mai conosciuto e che gli avesse regalato tanta goduria. Sapeva, comunque, che io appartenevo all'emiro e che sarebbe dipeso da lui il permesso a scoparmi ancora. Comunque, quello non era il momento opportuno perché l'emiro mi stava aspettando con impazienza.
Dentro di me ero combattuto tra la felicità di affrontare una nuova, splendida vita accanto ad un uomo favoloso ed il timore di come sarei stato accolto in quella casa, in quella mia nuova famiglia. Ci sarebbero state difficoltà? Avrei dovuto accettare anche dei soprusi pur di farmi benvolere?
Nulla di tutto ciò, fortunatamente. Lì tutto dipendeva dall'emiro e quello che lui voleva si doveva fare senza commenti. E lui mi voleva bene. Quindi nessuno si sarebbe permesso di farmi un sia pur minimo affronto.
L'auto, all'interno, era completamente modernizzata e piena di comodità. Vidi scorrere accanto a me, fuori dei finestrini oscurati, lo skyline di una città modernissima, piena di grattacieli e splendidi palazzi. Ci mettemmo un bel po' ad arrivare, ma ero accompagnato da una rilassante musica di sottofondo che rasserenò il mio animo preoccupato. Entrammo nella tenuta ed attraversammo un grande parco ricco di vegetazione, nonostante il panorama tutt'attorno era pressoché desertico, fino ad arrivare alla casa padronale, di soli due piani ma molto estesa, per quello che potei vedere sul fronte principale (dietro poi scoprii che lo era ancora di più).
Sulla porta, schierati, c'erano tutti. Al centro il mio emiro, sorridente, che, vestito del loro abito tradizionale, appariva ancora più bello, virile ed erotico. Ci abbracciammo, felici. Accanto a lui le altre tre mogli, che mi presentò. Per la servitù ci sarebbe stato tempo per conoscerla. Tra gli altri, c'erano certi pezzi di maschi da saltar loro addosso, ma in quel momento i miei occhi erano tutti per il mio uomo, che predominava tutti anche per bellezza e non solo per autorità.
Omar mi spiegò che le donne, comprese quelle di servitù, vivevano in un complesso leggermente separato dal nucleo principale: l'harem. Per me aveva fatto predisporre, invece, un grande appartamento nella villa principale, sempre separato ma annesso, perché io sono comunque un uomo agli occhi di Allah, quindi superiore, e dovevo avere la mia indipendenza.
Mi affidò alle altre sue mogli ed alle ancelle perché mi facessero da guida e mi preparassero per la sera, con un bagno rilassante in una vasca grande come una piccola piscina e con profumi. Tutte loro avevano un abito nero con la sola faccia esposta. Dopo, mi vestirono all'orientale, con un ricco abito sì maschile ma adornato da decorazioni tipiche, a loro dire, delle spose. Tutto mi fu facilitato dal fatto che, a mia sorpresa, anche l'ultima moglie era italiana. Di poco più grande di me e molto simpatica e contenta di poter finalmente parlare anche nella sia lingua natìa. Le tre mogli le aveva sposate tutte quando avevano 14 anni, l'età da matrimonio secondo le loro usanze. Una ogni dieci anni.
La sera ci fu subito la grande festa di nozze. Sul grande spiazzo erboso tra gli edifici erano stati posti i tavoli ed i tappeti sui quali sdraiarsi dopo la cena per assistere ad uno spettacolo di danzatori e danzatrici. Lui era vestito di uno splendido abito di damasco. Io avevo un velo sulla testa che mi venne tolto dopo che avermi messo all'anulare un anello con un enorme smeraldo. La pietra da me preferita. La festa, per suo ordine, sarebbe durata tre giorni, con la sola sosta notturna, e tutti avevano inoltre ricevuto una munifica elargizione in danaro. Noi ci ritirammo prima, ansiosi com'eravamo di consumare la prima notte di matrimonio. Io ero emozionato come se fossi stato ancora vergine e come tale fui trattato nella sua alcova.
Quando fummo soli, mi strinse subito a sé regalandomi un bacio mozzafiato. La sua grossa lingua cominciò a battersi con la mia, scambiandosi gli umori. Le sue grandi mani, dopo avermi spogliato di tutto, palpeggiarono ogni parte del mio corpo, specialmente il culo. Dopo essersi velocemente denudato anche lui, salì sul mio corpo sdraiato sul letto, in attesa. Mi schiacciò con la sua irruenza, famelico, succhiandomi e mordendomi leggermente i capezzoli. Poi fu lui a sdraiarsi di schiena ed io mi precipitai tra le sue cosce pelose per annusare da vicino la sua virilità. Rimasi un attimo inebriato da quel forte profumo di maschio e dalla visione del suo splendido cazzo, enorme e venoso, già completamente eretto e voglioso. Tirai fuori la lingua e la passai sulle grandi palle, attardandomi ora sull'una ed ora sull'altra. Fui investito così anche dal suo sapore selvaggio. Usando sempre solo la lingua risalii lentamente lungo l'asta dura, prima fino alla punta, con un'unica leccata, e poi regalando lappate ai lati. Finalmente inforcai la grossa cappella, risucchiandomela in bocca e lavorandola vorticosamente. Dopo i numerosi sospiri che avevano accompagnato il mio lavorio, "Ohhhhh". Un suo grosso gemito di piacere mi regalò la mia prima soddisfazione di quella notte.
Partii a fargli un pompino coi fiocchi, cercando di superare me stesso, quel me stesso che aveva già conosciuto. Quella sera volevo però essere ancora di più. Quella era una sera speciale. Mi ficcavo la sua minchia sempre più in fondo per poi farla riuscire col risucchio. Lui gemeva, si contorceva, fino a tenermi ferma la testa e fottermela con forti spinte dal basso. Ero la sua preda e lui era la mia. La mia abbondante saliva era il lubrificante e ben presto si accompagnò alla sua prima abbondante sborrata, che naturalmente inghiottii senza ritegno, fino all'ultima goccia, leccandomi le labbra.
Mi accoccolai sotto la sua ascella, perso nel suo afrore. Quando si fu ripreso, si voltò verso di me e mi coprì di baci la faccia. Era felice come un bambino ma ben presto si mostrò come un uomo non ancora pienamente soddisfatto. Il cazzo gli era tornato duro come il marmo e grosso da far paura. E paura dovevo averne perché adesso mirava ad avere dell'altro. Sapevo che sarebbe stato doloroso ma sapevo anche che poi tutto si sarebbe trasformato in un piacere paradisiaco.
Mi voltò come un fuscello. Piantò la sua barba tra le mie natiche, a lappare quel buchino tanto usato ma sempre inizialmente piccolo e stretto. Presto il buchino fu pronto all'agognato "sacrificio". Mi venne sopra, puntò il grosso randello e, con una lieve spinta (tanto bastò, visto il desiderio che avevo), mi entrò l'intera cappella. Un "Aahhmm" flebile, emesso dalla mia giovane voce, lo incitò a darci dentro e, in un attimo, me lo piantò fino al pelo tanto da togliermi il respiro. Subito cominciò la cavalcata, forte, possente. I miei gemiti e gridolini si fondevano con i suoi grugniti e le piacevoli volgarità ed insulti che mi regalava, un po' in italiano, un po' in inglese, un po' in arabo, che non comprendevo ma capivo che erano dello stesso genere degli altri.
Me lo tolse di dentro con un flop. Mi girò rapidamente. Mi prese per le caviglie e me lo ripiantò dentro, tutto. Oddio quanto era grosso e che bestia affamata mi trovavo davanti. Fui preso da un orgasmo pauroso, il mio culo cedette completamente, aprendosi di colpo e non facendo più alcuna resistenza contro l'invasione animalesca, e me ne venni sulla pancia, non sò quanto, avevo altro da pensare in quel momento che vedere il mio sperma anzi, in quel momento non pensavo più a niente, ero tra le nuvole. I colpi si fecero sempre più stretti, sempre più violenti, sempre più feroci finché, con un urlo che tutto il palazzo sentì certamente, mi sparò dentro una quantità enorme di sborra. E tutti seppero che il matrimonio era stato consumato.

(segue)
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