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RAPITO CORPO ED ANIMA


di Foro_Romano
11.10.2016    |    15.910    |    6 9.3
"In quel mentre entrò l’altro rumeno che, a quella scena, ebbe un’erezione immediata..."
Federico era un adolescente molto grazioso nell’aspetto. Era intelligente, dolce e gentile nei modi e nel parlare, tanto da fare tenerezza. Era di buona famiglia. Il padre era un ricco imprenditore edile ma lui non era cresciuto viziato come molti di quelli che, con lui, frequentavano la sua scuola esclusiva. Il padre lo aveva sempre responsabilizzato delle sue azioni e non aveva mai accettato capricci di sorta. Era in quell’età in cui ci si affaccia alla vita e si devono prendere decisioni per il futuro e non è quasi mai facile.
Tutti i giorni feriali era accompagnato e ripreso da scuola dall’autista di famiglia ma un bel giorno, alla guida della loro auto, si presentò a riprenderlo un altro tizio mai visto, vestito allo stesso modo e col cappello del solito autista. Era un ragazzo robusto di circa 27-28 anni, con accento napoletano. Gli disse che l’altro si era infortunato e che il padre aveva mandato lui, anch’esso dipendente della sua società.
Il ragazzo non ci trovò niente di strano ma, durante il tragitto, si accorse che la direzione non era quella di casa e ne chiese il motivo.
“Tuo padre vuole che ti porti da lui in un cantiere poco fuori città”.
La cosa gli sembrò un po’ strana perché non era mai successo prima. Anzi tutto sembrava un po’ strano. Arrivati in campagna, l’auto affrontò una strada sterrata che li condusse in un posto molto isolato. L’autista scese, aprì lo sportello posteriore, dove era seduto il giovane e lo assalì per bloccarlo. Lui cercò di difendersi e cominciò ad urlare ma nessuno poteva sentirlo.
In breve la forza dello sconosciuto ebbe facilmente il sopravvento e si ritrovò legato mani e piedi. In testa gli fu messo un cappuccio nero con un’unica fessura per la bocca. Cominciò a tremare e piagnucolare per la paura.
“Che ha fatto al mio autista? Mi lasci, la prego”.
“L’ho solo stordito e gli ho preso i vestiti. Ti rilasceremo solo quando tuo padre avrà pagato il riscatto. Per ora, piccolo, ti conviene stare buono e fare quello che ti diciamo noi”. Poi, come se avesse avuto un’idea improvvisa aggiunse: “Ti ho osservato bene. Sei proprio un bel ragazzino. Avrei bisogno di uno come te adesso. Mi sento proprio carico. Apri la bocca”.
Lui non capì il senso della richiesta e rimase incerto. “Ti ho detto di aprire la bocca. Obbedisci”. Era un ordine e lui lo eseguì, anche se non capiva il perché. Sentì il rumore di una zip che si apriva e, prima che se ne rendesse conto, si trovò infilato in bocca un grosso cazzo. Era la prima volta che sentiva quella presenza e quel sapore ma non ebbe dubbi: era un cazzo. Cercò di divincolarsi ma legato com’era non poté far nulla. Il bandito gli afferrò la testa e cominciò a pomparglielo in gola sempre più forte, lanciando all’aria una serie di gemiti di goduria. Il membro prese sempre più consistenza e durezza e gli sfondò la gola fino a che: “Sugate ‘o spaccimme, ricchio’. Bevi… Bevila tutta… Ahhh… Ahhh”. Una corposa serie di getti di sperma gli invase la bocca e non poté fare altro che ingoiarla tutta.
Passato lo spavento, con ancora quel cazzo che gli riversava dentro le ultime gocce, si rese conto che il sapore non era poi così male tanto che, quando gli fu tolto, si leccò le labbra per cercare di recuperare quel poco che era fuoriuscito.
“Vedo che ti è piaciuto! Lo avevo capito che sei un ricchioncello. Bene, meglio per tutti”.
Lui rimase in silenzio, con quel gustoso sapore in bocca. Che avrà voluto dire con quell’ultima frase?
Il falso autista si rimise alla guida e ripresero la strada principale ma il ragazzo non capì dove lo stava portando per via del cappuccio che gli aveva messo. Giunsero in qualche casa di campagna, forse un villino, perché sentì il cancello aprirsi ed il rumore di brecciolino sotto le ruote. Fermata la macchina, lo fece scendere prendendolo per un braccio. Lì erano ad aspettarli atri due uomini che parlavano malamente l’italiano, con un forte accento est-europeo, forse rumeno. Per non far sapere i loro nomi si chiamavano tra loro con dei numeri: Due era il falso autista, Tre e Quattro gli altri due. Mancava dunque almeno Uno ma scoprirà poi che quello era chiamato Capo.
Appena entrati in casa, Tre si accorse di una sbavatura sul bordo del foro della bocca nel cappuccio del rapito. “Ma cosa è questo? Ma… è sborra. Non mi dire che hai fatto…”
Due lo interruppe. “Beh, che c’è di male? E’ un bel ragazzino, avevo i coglioni pieni e sono carico di adrenalina. In fin dei conti ha l’età che deve imparare a fare anche certe cose”. Tutti risero e, sotto sotto, di nascosto, lo fece anche Federico. La cosa non gli era dispiaciuta affatto. Voleva forse dire che era gay? Non aveva ancora le idee ben chiare, data anche la situazione in cui si trovava.
Facendo eco ai suoi pensieri, Due disse: “E mi sembra proprio che gli sia pure piaciuto”.
“Davvero!?” fecero quasi in coro gli altri.
“Ma allora… Quasi quasi…” disse Tre e si tirò fuori il suo amichetto dai pantaloni cominciando a massaggiarlo. L’altro si slacciò completamente i pantaloni, se li calò e cominciò anche lui a segarsi. Tutti gli sguardi erano attratti dalle tenere e rosee labbra che si vedevano nello spacco del cappuccio.
Ben presto le loro mazze furono dure al punto giusto e, a turno, autista compreso, si dettero da fare a tenergli ferma la testa e fottere quella bocca che sembrava sempre più affamata e, prima uno e poi agli altri, gli riversarono dentro le loro sborre, delle quali non andò sprecato niente. Poté così sentire la differenza di sapore che avevano. Alla fine stettero tutti in silenzio a riprendere fiato. Il rapito in ginocchio in mezzo ai suoi rapitori coi cazzi di fuori lucidi e gocciolanti di saliva e sperma. Fu così che li trovò il Capo quando arrivò e gli fu subito chiaro quello che era successo.
“Ma che avete fatto? Chi vi ha detto di farlo?”
“Ecco, questo ragazzino mi aveva messo voglia e non ho resistito. Poi, visto che gli era piaciuto, anche loro ne hanno approfittato”, disse Due.
Il Capo si avvicinò al giovane rapito e, con una mano, ne accostò la testa alla sua coscia, in segno di protezione. Poi gli si abbassò accanto e gliela prese tra le mani e, rivolto a lui: “Davvero ti è piaciuto?”. Aveva una voce profonda, molto virile.
Quello dovette ammetterlo ed annuì. Quel gesto, il pensiero di quello che aveva appena fatto, assieme alle labbra ancora umide di sperma, fecero sì che anche a quell’uomo scattò il desiderio e la verga gli si intostò immediatamente nei pantaloni, a rischio di rompere la lampo.
“Scusami piccolo. Ti dispiace se ne approfitto pure io? Posso?”
Gli aveva chiesto il permesso! Il ragazzo annuì, l’uomo si alzò, si aprì e calò i pantaloni e dalle mutande fece uscire il suo cazzo rigido. Quando lo prese in bocca sentì che era durissimo, coperto di vene a rilievo, con una grossa cappella e, soprattutto, il più grosso di quelli che fino ad allora lo avevano violato. Gli piacque subito immensamente più degli altri, sia nell’odore che nel sapore, e non servì la mano che quello gli mise sulla testa perché si dette subito da fare autonomamente a muoversi su e giù lungo l’asta, a scendere per leccare i grossi coglioni pelosi e pendenti, a cercare di farselo entrare in bocca a rischio di slogarsi la mascella. Fece guizzare la sua linguetta bagnata su tutto il membro, particolarmente sulla cappella.
In qualche modo, non fu solo il Capo a godere di quel trattamento perché anche gli altri, che pure avevano avuto il loro momento, si stavano eccitando di nuovo. Perché con loro non era stato così scatenato? Era evidente che c’era qualcosa in più e non poteva essere solo la grossezza della mazza, anche se dovevano ammettere che quella li superava di gran lunga.
Al momento della sborrata si raggiunse l’apoteosi. L’orgasmo fu lunghissimo. Vedevano quel cazzo contrarsi a ripetizione assieme alle palle. Ad ogni contrazione corrispondeva un getto di sborra che il ragazzino, con la bocca incollata alla cappella, ingoiava senza che se ne perdesse niente. Schizzo dopo schizzo, sembrava che gliene avesse sparata un litro dentro.
Quando ebbe finito, il Capo riprese fiato mentre osservava il cucciolo ai suoi piedi che cercava di leccare via quel che poteva dalla punta del suo cazzo moscio. Tra loro scoccò qualcosa. Fu come se si guardassero intensamente, anche se il giovane non poteva vedere per via del cappuccio, e si dissero tutto senza parlare.
Quel feeling fu interrotto dagli altri tre che, avendo di nuovo le minchie in tiro, fecero a gara a chi sborrava di nuovo in quella boccuccia accogliente.
Durante tutto il periodo del sequestro, mentre i genitori erano disperati e la polizia si dava da fare per ritrovarlo, il ragazzino fu trattato molto bene. Innanzi tutto lo liberarono del cappuccio e furono loro che, in sua presenza, si infilarono in testa delle calze per non essere riconosciuti. Non gli fecero mancare nulla: ottimo cibo e tanto ma tanto sperma molto nutriente. Non passava giorno che non gli facessero ingoiare almeno 6-7 sborrate. Quelle del Capo erano evidentemente le più gradite.
I rapitori avevano un’età che andava dai 25 di uno dei rumeni ai 43 del Capo. Un giorno che era rimasto il rumeno più giovane a fargli da guardia questo non poté trattenersi e prese una decisione. Mentre il rapito era attaccato a succhiargli la mazza, gliela tolse dalla bocca.
“Adesso voglio qualcosa di più da te: voglio prendermi la verginità del tuo bel culetto”.
Detto fatto. Lo fece stendere sul letto a pancia in giù e gli fu subito sopra. Gli strusciò il membro nel solco delle chiappe. A quel contatto il giovane corpo fu scosso da un brivido misto di paura e di desiderio. Fu un attimo. Con una spinta la cappella gli squarciò lo sfintere e con un altro paio di spinte gli fu completamente dentro, poi cominciò a fotterlo con rabbia. Il ragazzino urlò con quanto fiato aveva in gola ma quello non ebbe il minimo ripensamento e continuò a sfondarlo.
In quel mentre entrò l’altro rumeno che, a quella scena, ebbe un’erezione immediata. Se lo cacciò fuori dai pantaloni e lo andò ad infilare nella bocca aperta del sodomizzato che si trovò così a dover soddisfare due cazzi. I due si parlarono nella loro lingua incomprensibile ma si capì che uno incitava l’altro a scoparlo più forte e di sbrigarsi a sborrargli dentro perché anche lui voleva la sua parte.
Così fu. Appena il primo lo farcì di crema bollente fu sostituito dal secondo che in poco tempo, data l’eccitazione, ne seguì l’esempio. Quando, poco tempo dopo, arrivò Due si accorse, dalle lacrime secche che rigavano quel faccino angelico, che era successo qualcosa. Loro gli raccontarono dello stupro di cui erano stati artefici e il racconto ebbe l’effetto di eccitare anche lui che, per non essere da meno, approfittò per farsi una bella chiavata in quel buco ormai disfatto ed impregnato di sborra a cui aggiunse la sua.
La sera, all’arrivo del Capo, a cui non si poteva nascondere niente, dissero quanto era successo scatenando la sua ira. “Vi avevo detto che il ragazzo doveva essere trattato bene e voi vi comportate in questa maniera. Ricordatevi che lui è qui solo perché il padre paghi il riscatto e adesso glielo restituiamo col culo rotto? Siete degli animali senza cervello. D’ora in poi guai a voi se lo fate ancora e la notte sarò io qui con lui per evitare che a qualcuno di voi venga l’idea di disobbedire ai miei ordini”.
I tre incassarono il colpo ed uscirono dalla stanza con la coda tra le gambe. Ma quanto aveva goduto quella loro coda! Rimasti soli, il Capo si sedette sul letto accanto al ragazzino per confortarlo. Gli passò la mano tra i capelli e gli accarezzò la testa.
“Ti hanno fatto male?” e quello annuì. “Vedrai che non lo faranno più”.
“Si, mi hanno fatto male, specie il primo, ma poi… poi…”. Sembrava non riuscisse a finire la frase.
“Poi cosa? Vuoi dire…”
“Si, poi mi è piaciuto” e si strinse forte alle possenti braccia che lo avvolgevano.
“Mi dispiace di tutto quello che stai passando e mi dispiace anche per i tuoi genitori, credimi. Mi sembra però che tutto questo sia servito a farti conoscere la tua vera natura”.
“Si… è vero… adesso sento di essere una troia… so di essere troia. Solo avrei voluto…”
“Cosa? Cosa avresti voluto?”
“Avrei voluto essere sverginato da te. Io è te che voglio. Sono innamorato di te. Lo capisci?” e cominciò a piangere.
L’uomo lo strinse ancora di più a sé. “Federico… Devo dirti una cosa… Lo so che ho l’età di tuo padre ma anch’io mi sono innamorato di te, cucciolo mio”.
Di colpo i singhiozzi terminarono ed il viso del ragazzo si illuminò. Avrebbe voluto baciarlo ma la calza che quello teneva sulla testa lo impediva.
“In nome del nostro amore, mi prometti che non dirai mai a nessuno come è il mio viso?”
“D’ora in poi sei il padrone del mio cuore. Te lo giuro, padrone mio”.
Allora si sfilò la calza. La manina andò a accarezzare la folta barba brizzolata, il petto villoso. “Sei bellissimo”.
“Tu lo sei, angelo mio”.
Si baciarono con passione. Le loro lingue si unirono e si allacciarono in una spudorata danza erotica nelle loro bocche spalancate. Le mani dell’uomo non si fermarono più. Accarezzarono e tastarono quel piccolo corpo che gli si offriva. Lo spogliarono fino a lasciarlo completamente nudo. Lo stesso fecero con sé stesso, dopo di ché lo schiacciò sotto il suo peso coprendo di baci tutto il suo viso. Il corpo, tonico e muscoloso, lungo tra le gambe aperte del ragazzo che le alzò avvinghiandole ai fianchi del suo padrone e signore.
“Prendimi. Sono tuo. Usami come una troia, perché sono la tua troia. Voglio essere solo tuo”.
L’enorme cazzo non aspettava altro. Lo possedette con forza, molto più di quanta gliene era stata inflitta dagli altri. Lo squarciò con una brutalità animalesca. Ma questa volta non fu il dolore ad avere il sopravvento, fu solo puro piacere e quando, dopo una lunga cavalcata, gli si scaricò dentro sentirono di appartenersi definitivamente. Quella notte lo scopò altre due volte, sempre con la medesima furia belluina e così fu per tutte le sere seguenti.
I grugniti virili e le femminee grida di piacere che provennero da quella stanza fecero capire agli altri sequestratori che loro non avrebbero potuto più fargli niente perché quello era ormai la donna del Capo.
Il riscatto fu pagato ed il ragazzo tornò tra le braccia dei genitori. I sequestratori non furono mai catturati, anche perché il giovane non riuscì dare alcuna indicazione né sul loro aspetto e né su dove era stato tenuto prigioniero. Tutti comunque rimasero felici per il lieto fine di quell’incubo.
Il più felice di tutti fu però il giovane Federico che più volte a settimana si incontrò di nascosto col suo uomo per farsi possedere, sfondare e riempire di sborra in quel villino isolato fuori città dal quale nessuno poteva udire le sue urla da piccola troia appagata.


(Le stesse cose si possono fare con le precauzioni. Non fate mai l'amore senza il preservativo. Non rovinatevi la vita, godetevela).

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