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Maggio e i suoi ricordi...


di SERSEX
16.05.2025    |    1.370    |    1 6.3
"Giò annuì, il cuore che accelerava il passo nel petto..."
La luce calda del tramonto bolognese si allungava sul parcheggio deserto poco fuori Bologna. Era maggio, e l’aria portava con sé quel profumo di primavera mista a sudore e desiderio non detto. Giò scese dalla sua macchina con la camicia sbottonata, la pelle leggermente dorata, i jeans aderenti che lasciavano poco all’immaginazione.
Il parcheggio era un labirinto di ombre e bagliori di fari lontani, un angolo dimenticato dove tutto poteva succedere, soprattutto quello che non avresti mai osato raccontare. Giò lo sapeva bene. Quel posto era il suo regno segreto, dove poteva lasciarsi andare senza filtri, senza limiti.
Appoggiò la schiena contro la portiera e accese una sigaretta, guardandosi intorno con occhi di chi cerca un gioco da iniziare. A maggio, la gente si faceva più audace, e lui si sentiva affamato di quella follia.
Non passò molto che un’auto scura si fermò poco distante, le gomme che stridettero leggermente sull’asfalto. Un uomo alto scese, con la camicia bianca appena sbottonata e il colletto alzato. Occhi verdi come smeraldi, sguardo che bruciava come fuoco.
Giò sentì il cazzo risvegliarsi sotto il jeans, un languore dolce che si faceva più urgente ogni secondo che quell’uomo gli camminava incontro.
«Sei tu Giò?» la voce era bassa, profonda, carica di promessa.
Giò annuì, il cuore che accelerava il passo nel petto. «Dipende da cosa vuoi...» rispose con un sorriso malizioso, la mano che scivolava sul cazzo per dargli un po’ di sollievo.
L’uomo si inginocchiò senza esitazione, la bocca che scese rapida a liberare il cazzo di Giò dalla gabbia di tessuto. Le mani furono abili, decise, senza esitazioni.
Giò chiuse gli occhi e si abbandonò a quel piacere primordiale: sentire la bocca calda, umida, e quel sapore di uomo che gli leccava e succhiava il cazzo come se fosse un tesoro.
Ogni schiocco, ogni bava, ogni movimento della lingua era un colpo che lo faceva vibrare. Non aveva mai amato farsi fare il pompino in modo così feroce, così totalizzante.
Ma quando la voglia di mordere, di prendere il comando lo prese, Giò con un gesto deciso prese i capelli di quell’uomo e lo tirò su, spingendo con fame il suo cazzo dentro quella bocca affamata.
Il tipo gemette, la testa si muoveva rapida su e giù, mentre Giò succhiava con voracità, mordendo leggermente il glande, assaporando ogni respiro che usciva da quella gola stretta.
Pochi metri più in là, altre figure si muovevano nell’ombra, attratte dal suono di gemiti e respiri affannosi.
Un ragazzo più giovane, con i capelli scompigliati e gli occhi pieni di voglia, si avvicinò con passo esitante, ma con il cazzo già duro e pronto. Giò lo vide, e con un gesto della mano lo invitò a sedersi sul cofano della macchina.
«Mostrami come lo fai...» ordinò, la voce un sussurro che sembrava una carezza crudele.
Il ragazzo cominciò a leccargli la pelle scoperta della coscia, risalendo fino a sfiorare il bordo dei jeans, poi con le dita abili iniziò a sfilarglieli lentamente, rivelando un cazzo già teso e lucido di eccitazione.
Giò si piegò indietro, appoggiando la testa contro il metallo freddo della macchina, mentre il ragazzo cominciò a succhiarlo piano, poi sempre più deciso, mordendo il glande, tirando la testa con forza e facendogli sentire il piacere esplodere in ogni fibra del corpo.
Quando Giò aprì gli occhi, la notte era già scesa, il parcheggio era un vortice di corpi e desideri, di bocche assetate e cazzi duri pronti a sfogarsi.
Ma Giò non era solo quello che si faceva succhiare.
Quando un altro uomo, più maturo, con la barba curata e uno sguardo pieno di voglia, si avvicinò, Giò lo squadrò con un sorriso feroce.
«Se vuoi giocare con me, devi meritartelo...» disse, e in un attimo era lui a inginocchiarsi, a prendere quel cazzo con la bocca, a succhiarlo come un predatore, con mani che stringevano la coscia e la nuca, con la lingua che giocava, mordicchiava, ingoiava fino a fargli tremare il corpo.
L’uomo gemeva, incapace di resistere alla furia di quel pompino che non lasciava scampo.
Giò amava essere preso, amava dominare, amava far sentire il suo desiderio in ogni singolo gesto.
La notte passò così, tra luci tremolanti, asfalto caldo e corpi che si cercavano e si trovavano in un gioco senza fine.
Giò era al centro di tutto, una fiamma che ardeva e bruciava chiunque si avvicinasse abbastanza.
Quando finalmente si allontanò, il respiro corto e il cazzo duro come una roccia, sapeva che quel parcheggio sarebbe stato il suo santuario, il suo luogo di potere e piacere.
E che lui, quel maggio a Bologna, avrebbe fatto di tutto per continuare a giocare con la fame e la fame di altri uomini boni come lui.
La notte ormai avvolgeva il parcheggio, trasformando ogni angolo in una promessa di piacere nascosto, di piacere proibito.
Il respiro di Giò era lento, ma sotto la pelle la sua eccitazione non si era minimamente affievolita.

L’uomo dai capelli corti e sguardi smeraldini non era sparito: era rimasto accanto all’auto, inginocchiato, le mani sul petto di Giò, la bocca ancora calda e ansimante.
Ma Giò voleva di più, voleva sentire altre bocche, altre lingue, altri denti.
Da lontano arrivò un altro passo deciso, un uomo con una giacca di pelle nera, la barba di qualche giorno e occhi neri come la notte che ormai dominava.
Si avvicinò, guardando la scena con interesse, con quella luce accesa negli occhi che non lascia dubbi su cosa voglia.
Giò si spostò dal muro e si fece avanti, la camicia aperta che lasciava vedere il petto e il torace duro, i jeans leggermente slacciati che mostravano la linea del suo cazzo in piena erezione.
«Se vuoi giocare, allora gioca davvero», disse con voce roca e calma, la mano che indicava il posto dietro l’auto.
L’uomo non perse tempo: strappò la giacca, la lasciò cadere a terra e si abbassò lentamente, le labbra che andarono subito a circondare il cazzo di Giò.
Giò sentì la lingua scivolare lungo il frenulo, la bocca calda e umida che lo prendeva senza risparmio, le mani che accarezzavano la nuca, la schiena, la pelle scoperta.
Ma questa volta Giò non si limitò a farsi prendere: con un movimento deciso prese il ragazzo per la testa, tirandolo su verso di sé.
Non si fece pregare, e la bocca di Giò si abbassò a sua volta, a prendere in bocca quel cazzo grosso e ruvido, a succhiare forte, a ingoiare con fame come se quel sapore fosse la sua linfa vitale.
Il suono umido del sesso orale riempiva l’aria, le mani si stringevano, i corpi si muovevano in un ritmo feroce e selvaggio, mentre la voglia cresceva a dismisura.
Giò si sentiva vivo come mai prima, una creatura di piacere che si abbandonava ma prendeva il comando quando voleva, una combinazione esplosiva di passività e dominio.
Intorno a loro, altri uomini si facevano avanti, attratti da quel vortice di sesso e desiderio che non accennava a fermarsi.
Giò sentì un altro corpo contro di sé, le mani che gli tolsero la camicia, il respiro caldo sul collo mentre un altro uomo iniziava a baciarlo con ardore, mordicchiando la pelle, lasciando segni rossi e profondi.
Senza esitare, Giò si girò e lo spinse a terra, spalancandogli i pantaloni con decisione e prendendo in bocca il cazzo duro e dolce, succhiandolo con rabbia e pazienza, facendolo tremare e gemeva come un dannato.
Nel frattempo, un altro uomo era salito sull’auto, sdraiandosi sul cofano, offrendo il culo a Giò che non si fece pregare: abbassò i pantaloni e con un gemito basso entrò dentro di lui, lento, profondo, deciso.
La combinazione di bocche, cazzi, mani e corpi che si intrecciavano era una danza selvaggia, una tempesta che non lasciava scampo, un luogo dove ogni desiderio era sacro e ogni limite cancellato.
Giò gridava, si faceva prendere e prendeva, succhiava e si faceva succhiare, dominava e si lasciava dominare, in un gioco che non aveva fine.
Quando la mattina iniziò a sfumare all’orizzonte, Giò si trovò seduto sul cofano della macchina, i capelli scompigliati, il cazzo ancora duro, le mani appoggiate sulle ginocchia, gli occhi che brillavano di quella luce che solo chi ha passato una notte così conosce.
Era stanco, ma pieno di quella energia selvaggia che solo il sesso feroce e sincero sa dare.
E sapeva che, a maggio, quel parcheggio vicino Bologna sarebbe diventato il suo rifugio, il suo santuario, il posto dove poteva finalmente essere se stesso, nel modo più sporco, vero e intenso possibile.


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