Gay & Bisex
Vincent...

20.04.2025 |
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"Abbiamo parlato poco, a bassa voce..."
Estate 2023L’ho rivisto.
Trentaquattro anni dopo.
Avevo cinquantquattro anni.
Lui era lì, in mezzo a un gruppo di vecchi amici. Capelli brizzolati, la camminata sicura, lo stesso sorriso di allora.
Quel sorriso che mi faceva tremare anche adesso.
Aveva una moglie, due figli adolescenti, un SUV parcheggiato davanti. Una vita costruita, piena, stabile.
Io no.
Io avevo ricordi.
Mi ha visto, mi ha sorriso.
Un sorriso pieno di cose non dette. Di silenzi, di consapevolezza.
Abbiamo parlato poco, a bassa voce. Di cazzate. Di nulla.
Poi qualcuno lo ha chiamato da lontano e lui si è voltato.
Io sono scappato.
Mi sono infilato in macchina e ho guidato via.
Via da lui, via da me.
Sulla strada
Guidavo senza meta. Come facevamo allora.
Le strade semideserte, l’autoradio a basso volume, e la notte addosso.
Le lacrime sono salite senza permesso.
Avevo cinquantquattro anni, ma mi sentivo di nuovo diciannove.
Come nell’estate del 1989.
Estate 1989
Io e Vincent. Sempre in macchina, a girare senza una meta.
Con la Fiat Uno di suo padre e le cassette nell’autoradio: The Cure, Franco Battiato, gli Smiths.
Parlavamo per ore.
Di musica, di sogni, di futuro. Di ragazze, soprattutto.
Io lo ascoltavo, ridevo, annuivo.
Ma dentro avevo un groviglio.
Lo amavo.
Lo desideravo.
Ogni gesto, ogni sguardo, ogni volta che rideva con gli occhi chiusi.
Ogni volta che la sua mano sfiorava la mia sul cambio.
Mi veniva voglia di baciarlo.
Di inginocchiarmi davanti a lui.
Ma non lo feci mai.
La collina
Una sera ci fermammo in alto, sulla collina.
Guardavamo le luci del paese brillare nella notte.
Le cicale, l’odore della sua sigaretta, il cruscotto che emanava un calore strano.
“Mai pensato di scappare davvero da qui?”, mi chiese.
“Ci penso ogni giorno,” risposi.
Mi guardò.
Un secondo di troppo.
Abbassai gli occhi.
Feci finta di niente.
Ma quella notte… quella notte tornò.
Per anni.
Sogno
Siamo lì. In macchina.
Ma nel sogno, Vincent è diverso.
I suoi occhi non sono più quelli di un amico: sono quelli di un predatore.
Mi fissa. Mi afferra il mento.
«Zitto, Giò,» sussurra. «Stavolta ti prendo io.»
Mi bacia.
Forte. Profondo.
Come se avesse atteso anni per farlo.
Mi spinge contro il sedile, mi slaccia i jeans con una decisione che non lascia scampo.
Abbassa i boxer.
Mi guarda. Mi annusa.
Poi si spoglia.
Nudo. Bellissimo. Duro.
Mi gira, mi mette a pancia in giù contro il vetro appannato.
Sento il suono metallico della zip. Le dita che mi preparano.
La sua voce.
«Lo vuoi, vero?»
Annuisco, tremando.
«Dillo.»
«Sì… prendimi, Vincent…»
E lui lo fa.
Mi entra dentro con forza, in un solo colpo, facendomi urlare nel sogno.
Mi tiene stretto, mi scopa con rabbia, con fame.
Ogni spinta è un morso, una rivendicazione.
Le sue mani sui miei fianchi.
La sua voce sul collo.
Il suo cazzo che mi apre e mi riempie.
Io vengo senza nemmeno toccarmi.
Lui viene subito dopo, gemendo il mio nome.
Risveglio
Mi sveglio.
Sudato. Vuoto. Solo.
Dopo
Partii pochi mesi dopo.
Milano, poi Parigi. Poi la vita.
Vincent restò.
Fece la sua strada.
Io feci la mia. Ma lui restò dentro.
Nel sangue.
Nel cuore.
Nel cazzo.
Di nuovo 2023
Quando lo hanno chiamato, quando ha voltato le spalle per un attimo, sono salito in macchina e ho premuto sull’acceleratore.
Ora sono qui.
Ancora una volta da solo.
Ancora una volta in macchina.
Solo che non c’è più lui accanto.
Solo il fantasma di ciò che non è stato.
Il dolore sordo di un amore che non ha mai avuto un nome, né un posto, né una fine vera.
L’unico amore
Vincent è stato il mio primo amore.
Il primo corpo che ho desiderato.
Il primo che mi ha fatto venire anche solo con un sogno.
Il primo uomo che mi ha fatto sentire vivo… e spezzato.
E ancora oggi,
quando sento una certa canzone,
quando vedo una macchina simile alla sua,
quando il cielo si fa scuro prima della pioggia...
chiudo gli occhi,
e lo sento sussurrare:
«Stai zitto, Giò. Ci penso io.»
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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