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Gay & Bisex

L'ORO PERDUTO


di SERSEX
06.05.2025    |    2.511    |    3 9.4
"Se vuoi, restiamo insieme fino ad allora..."
Giò aveva ventisette anni quando lasciò Bologna per trasferirsi in un piccolo paese dell'Appennino bolognese. Una scelta che poteva sembrare un ritiro, ma che in realtà gli offriva la libertà di muoversi facilmente tra Firenze e Bologna, inseguendo un desiderio che aveva smesso di negare: quello di vivere la propria omosessualità quasi alla luce del sole.
A Firenze, nei pressi di Piazza della Signoria, c'era un locale gay storico. Dentro, tutto: pista da ballo, bar, zona relax, darkroom. Era lì che Giò si sentiva vivo, anche se, a ben vedere, quella vitalità era più simile a un'ebrezza momentanea che a una gioia profonda.
Una notte, in quella penombra satura di odori e corpi, conobbe Arnold. Un americano a Firenze per un master in architettura. Alto, bruno, con lo sguardo di chi sa vedere oltre la carne. Si parlarono appena. Ma si trovarono, in tutti i sensi. Quel primo contatto, avvenuto in un angolo buio e sordo del locale, si rivelò paradossalmente illuminante.
Quando si rividero, qualche sera dopo, Giò era devastato: nella darkroom gli avevano rubato un bracciale d'oro, regalo della sua madrina di battesimo per la seconda laurea in filosofia. Era l'unico oggetto che portava sempre con sé, un segno d'affetto, di radice, un talismano contro la deriva.

Arnold non disse nulla subito. Lo ascoltò, con una mano sulla sua schiena nuda, mentre Giò sfogava la rabbia e la tristezza. Ma la volta dopo, gli fece trovare un pacchetto. Dentro, un bracciale d'oro nuovo, bello, costoso.
"Non è lo stesso," disse Giò, con la voce che tremava.
"Lo so. Ma significa che ci tengo a te. Più di quanto tu creda."
Fu lì che qualcosa si ruppe e, insieme, si costruì. Iniziarono a vedersi altrove. Passeggiate lungo l'Arno al tramonto, cene nei ristorantini nascosti, risvegli lenti in lenzuola stropicciate. Arnold lo guardava come nessuno aveva mai fatto: con desiderio, certo, ma anche con rispetto. E Giò lo sentiva: si stava innamorando. Ma una voce interiore, quasi viscerale, continuava a ricordargli che l'oscurità, il desiderio senza volto, lo chiamava ancora.
Una notte d'estate, dopo aver fatto l'amore in silenzio, nel caldo afoso del piccolo appartamento di Arnold, Giò confessò. La voce rotta, le dita intrecciate nervosamente.
"Ci vado ancora, a volte. Anche se poi torno da te e mi sento pieno, tremante, vero. Ma è come se una parte di me volesse dissolversi. E ho paura, Arnold. Paura che tu torni in America e io resti qui, solo."
Arnold non si arrabbiò. Non alzò la voce. Si avvicinò, gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi.
"Io ti amo, Giò. Ma non posso dividerti con qualcosa che ti consuma. Non posso essere il tuo rifugio se tu continui a cercare l'abisso. Ho il volo a fine agosto. Se vuoi, restiamo insieme fino ad allora. Ma devi scegliere. Non per me. Per te."
Giò promise. Ci credette anche. E ci provò. Per giorni, settimane, ci riuscì. Leggevano insieme, camminavano la sera mano nella mano, facevano l'amore come se ogni gesto fosse una preghiera. Ma dentro Giò cresceva un'inquietudine, un bisogno oscuro. Non era solo desiderio. Era una forma di fuga, un vuoto che nessun amore sembrava colmare.

La notte di Ferragosto, con Arnold a Roma per un convegno, Giò, che ormai viveva praticamente a casa di Arnold, cedette. Tornò nel locale di Campi Bisenzio. Tornò nella darkroom. E si perse. Il corpo si mosse come da solo. Inginocchiato, con le mani che cercavano, la bocca che prendeva, il culo che si apriva senza esitazione. Un uomo, poi due, poi tre. Sesso meccanico, feroce. Nulla da spiegare, nulla da dire.
Fu proprio mentre veniva scopato da dietro, le labbra strette intorno a un cazzo sconosciuto, che lo vide. Arnold. Fermo in fondo al corridoio, tra l'ombra e le luci stroboscopiche rosse. Non disse nulla. Non si avvicinò. Restò lì. E poi si voltò. E sparì.
La mattina dopo, Giò trovò Arnold a casa. Era seduto sul letto, vestito, con la valigia accanto. Gli occhi erano gonfi, ma asciutti.
"Non dire niente," sussurrò.
"Arnold, io..."
"Io ti ho amato. Con tutto me stesso. Ho provato ad accettare anche le tue ferite. Ma io non posso vivere in guerra con ciò che ti distrugge. Non voglio essere quello che ti salva. Voglio essere quello che ami. Ma non posso esserlo, non così."
Giò si inginocchiò, proprio come la notte prima, ma stavolta con le mani giunte. "Non so perché. Non volevo. Ma è più forte di me."
Arnold gli accarezzò i capelli, con una dolcezza che spezzava il cuore.
"Lo so. Ed è per questo che vado via. Perché io voglio amare senza farmi a pezzi ogni volta."
"Mi dimenticherai?"
Arnold scosse la testa. "Mai. Ma non è abbastanza."
Lo baciò. Lungo. Come si baciano solo gli addii veri.
Poi uscì, chiudendo piano la porta alle sue spalle.

Giò restò ancora per qualche giorno Firenze, nella speranza che Arnold ritornasse sui soui passi. Tornò nei locali, nei bagni, nelle darkroom. Ma tutto era diverso. Ogni cazzo aveva meno calore. Ogni orgasmo era più vuoto. Ogni notte più fredda.
E ogni tanto, nel cuore della notte, mentre stringeva tra le mani lenzuola sudate, sentiva ancora quella voce, come un sussurro nel petto:
"Non posso accettarlo, Giò. Ma non ti dimenticherò mai."

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