Gay & Bisex
BOX 69

17.05.2025 |
4.144 |
7
"«Ti piace, porco? Così ti allento bene quel buco…» ringhiava..."
Era venerdì pomeriggio, e il sole picchiava forte sull’asfalto bollente dell’Autodromo di Imola. L’aria vibrava per l’urlo delle monoposto in prova. Giò, camicia aperta, occhiali da sole e un accredito speciale al collo, si aggirava tra i paddock con un’eccitazione che non aveva solo a che fare con la velocità.Aveva accettato l’invito di un amico giornalista per “gustarsi il GP da vicino”, ma non si era certo aspettato che sarebbe finito nel cuore pulsante dell’evento: i box. E neanche che a colpirlo, più delle auto e dei piloti, sarebbe stato lui — Andrea, meccanico della scuderia italiana, tutto muscoli, olio e tatuaggi.
Andrea aveva lo sguardo sporco, mani dure, camminava come se il mondo gli dovesse qualcosa. Quando si erano incrociati per caso dietro i box 69, tra un cambio gomme e una pausa sigaretta, Giò lo aveva guardato senza dire nulla, ma con l'espressione di chi sa già cosa vuole.
«Ti sei perso?» aveva detto Andrea, sorridendo di taglio.
Giò non aveva risposto. Si era leccato le labbra e lo aveva seguito, dentro una zona tecnica poco illuminata, stretta e afosa, dove l’odore era misto di benzina, sudore e feromoni.
Andrea aveva spinto Giò contro un container metallico, con un rumore sordo, e aveva cominciato a baciarlo con foga, tirandogli la camicia, strappandola quasi. Le mani callose di Andrea avevano preso possesso del corpo di Giò con una fame animalesca. Nessuna parola. Solo gemiti soffocati, respiri mozzati, dita che stringevano, afferravano, invadevano.
Giò si era inginocchiato su quel pavimento sporco, con il rumore lontano dei motori come colonna sonora, e aveva tirato giù la tuta da lavoro di Andrea con una lentezza provocante, fino a farlo gemere.
Quello che aveva trovato lì sotto era grosso, duro, già fradicio di desiderio. Andrea non aveva perso tempo. Aveva afferrato i capelli di Giò e lo aveva guidato con prepotenza, mentre lui lo prendeva in gola con una dedizione che rasentava la devozione.
«Così, bravo. Prendi tutto, senza fiatare...» sussurrava Andrea, ansimando.
Il ritmo diventava sempre più spinto, mentre il rombo delle auto mascherava ogni suono osceno. Poi si erano voltati, e Andrea aveva spinto Giò contro il container, abbassandogli i pantaloni. Lo aveva penetrato senza chiedere permesso, con un colpo secco, brutale. Giò aveva urlato, ma il rumore esterno copriva tutto.
Andrea lo scopava forte, da dietro, afferrandogli i fianchi con forza, spingendosi sempre più in profondità, il sudore che colava, le bestemmie mormorate, la pelle che sbatteva sulla pelle in un ritmo primitivo.
Quando venne, Andrea gli morse il collo, grugnendo. Poi lo lasciò lì, ancora tremante, le gambe molli, il cazzo duro, lo sperma che gli colava tra le cosce.
Giò si voltò, ancora eccitato, e lo guardò: «Domenica c'è la gara. Ma io sono già arrivato al traguardo.»
Andrea rise. «Non è finita, bello. Questa è solo la qualifica.»
Il sabato era ancora più rovente. Il paddock sembrava vibrare sotto il sole, e la folla urlava già ore prima della partenza. Ma Giò non sentiva niente. Aveva solo un pensiero fisso: Andrea.
Lo trovò in un’area tecnica, sotto una pedana idraulica dove stavano lavorando su una delle monoposto. Il rumore era assordante, ma bastò uno sguardo per dirsi tutto. Andrea aveva ancora addosso la tuta sporca, la pelle sudata, il cazzo gonfio sotto il tessuto spesso.
Giò non disse nulla. Lo spinse in un angolo più nascosto, lo fece girare e lo schiacciò con il petto contro un carrello di attrezzi. Andrea si voltò appena, sfrontato: «Che vuoi fare, stronzetto?»
Giò lo afferrò per i capelli e glieli tirò indietro con forza:
«Stavolta comando io.»
Con un gesto secco gli abbassò la tuta fino alle ginocchia, lasciandolo mezzo nudo, col culo sodo e sporco di grasso meccanico esposto, invitante, provocante. Giò si inginocchiò dietro di lui e gli sputò tra le chiappe, con lentezza. Poi di nuovo. Due, tre volte. Andrea gemeva, ansimava, si dimenava.
Giò gli infilò prima un dito, poi due, poi tre, spingendo con decisione, sentendolo cedere, aprirsi. Andrea mugolava: «Sì… così… scopi meglio di un toro…»
Ma Giò voleva di più. Si tirò giù i pantaloni, il cazzo duro, pulsante, già sporco di umidità. Lo strinse con una mano, si sputò sul glande e senza avvisare lo infilò tutto in un colpo solo.
Andrea urlò, ma nessuno poteva sentirli, coperti dal rombo dei motori in prova. Giò lo scopava senza pietà, spingendo dentro con colpi violenti, profondi, afferrandogli i fianchi con ferocia.
«Ti piace, porco? Così ti allento bene quel buco…» ringhiava.
Andrea gemeva, sudava, tremava. «Di più… fammi male… distruggimi il culo…»
Giò si tirò fuori, lo fece inginocchiare sull’asfalto e glielo ficcò in bocca, ancora tutto sporco di sé. Andrea lo leccava, lo ingoiava, lo adorava con la lingua. Gli strofinava la faccia contro il cazzo, schiaffi sul viso, mani tra i capelli.
Poi di nuovo dietro. Giò lo fece sdraiare a pancia in giù sulla pedana, alzandogli le gambe come un meccanico al lavoro. Glielo infilò con ancora più forza, mentre con una mano si masturbava anche lui, pronto a godere.
«Lo vuoi tutto dentro, eh? Eccoti servito!»
E venne così, profondo, riempiendolo dentro con uno schizzo caldo e abbondante. Ma non si fermò. Continuò a scoparlo anche mentre veniva, mentre Andrea gemeva sotto di lui, tremante, piegato, completamente sottomesso.
Quando si staccò, Giò gli sputò ancora addosso, sul culo aperto, sullo sperma che colava.
Andrea restò a terra, esausto, col fiato corto e gli occhi lucidi.
«Cazzo… tu non sei normale...»
Giò si ricompose, lo guardò dall’alto in basso. «No. Io scopo da Formula 1.»
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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