Gay & Bisex
"Nudo"

03.05.2025 |
490 |
4
"Lo schermo del cellulare gli restituiva solo silenzi: una lista infinita di messaggi non scritti, di foto mai inviate, di contatti che un tempo significavano..."
02/05/2025Era una sera come tante. Una di quelle in cui Giò spegneva la luce del salotto senza averla mai veramente accesa.
Lo schermo del cellulare gli restituiva solo silenzi: una lista infinita di messaggi non scritti, di foto mai inviate, di contatti che un tempo significavano qualcosa. Luca, Marco, Leo... nomi che avevano fatto tremare le sue gambe e il suo cuore. Ma ora non restava che una manciata di amiche, una risata ogni tanto, un po’ di ironia per coprire il rumore della pelle che non si tocca più.
Dopo la pandemia tutto era cambiato. Anche lui.
Aveva superato i cinquant’anni e il desiderio non era certo svanito, anzi: si era fatto più feroce, più urgente, più disperato.
Sognava ancora di essere spinto contro un muro da un ragazzo giovane e affamato, o di farsi scopare con rabbia da uno sconosciuto che gli leggesse negli occhi tutto ciò che non aveva il coraggio di dire.
Ma la realtà era diversa. Scopate sempre più rare, incontri sempre più svogliati, e un cuore che invece gridava: guardami, prendimi, fammi sentire vivo.
Quella sera, però, decise che non avrebbe resistito più.
Si alzò dal divano, si spogliò lentamente davanti allo specchio del corridoio. Guardò il suo corpo: segnato, sì, ma ancora desiderabile. Il petto, un po’ peloso. Le cosce forti. Il cazzo, che già si gonfiava al solo pensiero.
Fece una cosa che non faceva da tempo: accese una candela, prese il lubrificante e si mise a letto. Ma non per masturbarsi. Non subito, almeno.
Stava per scrivere a qualcuno.
Stava per dire: “Vieni. Non voglio parlare. Solo scopare.”
Oppure: “Ho bisogno di essere spinto giù, legato, scopato forte. Di sentirmi oggetto. Di sentirmi vero.”
Stava per farlo. Quando il telefono vibrò.
Era un messaggio.
Uno nuovo. Uno mai visto prima.
“Ciao. Sono Alex. Mi hai messo un like due settimane fa. Sei bellissimo. Posso venire da te?”
Giò lo fissò per qualche secondo, il messaggio.
Il pollice tremava, indeciso tra la prudenza e la fame. Poi scrisse solo:
“Sì. Porta voglia. E rispetto. Ma voglio sentirla, la tua fame. L’ho già lavata io, la mia.”
Mandò la posizione, poi si sdraiò sul letto, nudo. Il cazzo semi-eretto, la bocca leggermente socchiusa. Una parte di lui voleva scappare. Ma non si mosse.
Si mise solo un anello d’argento al dito. Come se bastasse a ricordargli che era ancora qualcuno. Qualcuno che poteva essere desiderato.
Ventisette minuti dopo, il campanello suonò.
Alex era lì. Jeans attillati, felpa scura, occhi neri da dannazione.
Più giovane, ma non troppo. Forse quarant’anni.
Uno di quelli che ti fottono con lo sguardo prima ancora di toccarti.
Giò non disse nulla. Aprì la porta.
Alex lo guardò da capo a piedi, si morse il labbro.
Poi entrò. E chiuse.
“Voglio che ti spogli,” disse Giò.
Alex lo fece lentamente.
Sotto la felpa, un corpo asciutto, tatuaggi sparsi, capezzoli duri, un cazzo già mezzo duro che pulsava.
Si fissarono. Poi Giò gli si avvicinò e gli sussurrò:
“Scopami. Ma fallo come se non me lo fossi meritato. Fammi male. Fammi bene. Fammi tutto.”
Alex gli afferrò la nuca, lo spinse contro il muro. Lo baciò con una furia animalesca. Lingua, denti, saliva.
Giò si lasciò andare. Gemette.
Le mani di Alex lo esploravano come se volessero aprirlo, violarlo, ricomporlo.
Poi si inginocchiò e gli prese il cazzo in bocca. Senza dolcezza. Lo succhiava profondo, fino a farlo tremare. Le mani lo afferravano per le cosce, lo tenevano fermo.
Giò si sentiva usato. Finalmente.
La testa gli cadeva all’indietro, il cuore rimbombava in petto.
“Voglio che mi prendi, ora,” ansimò. “Ma non con calma. Voglio sentire che ci sei. Che esisto.”
Si sdraiò sul letto a pancia in giù. Il lubrificante era già pronto.
Alex glielo versò sulla schiena, poi tra le chiappe, lo massaggiò con forza, con dita affamate, lo allargò.
“Non sei fragile. Sei fame,” sussurrò, e glielo infilò dentro in un solo colpo.
Giò urlò. Di dolore, di piacere.
Lo voleva così. Crudo. Totale.
Il letto scricchiolava. Alex lo prendeva forte, lo tirava per i capelli, gli leccava la schiena sudata.
Ogni colpo era un mantra: “non sei finito, non sei solo, sei ancora vivo.”
Poi Giò si girò, lo guardò in faccia.
Gli occhi lucidi. Non solo per il piacere.
“Non smettere,” disse. “Anche se piango. Anche se tremo. Anche se sembra troppo. Fammelo. Tienimi lì. Dentro.”
Alex rallentò un attimo. Gli prese il viso tra le mani.
“Va bene,” sussurrò. “Ma ora tu vieni con me. Vieni guardandomi. Vieni come se stessi rinascendo.”
E lo scopò così. Guardandolo. Profondo. Intenso.
E Giò venne. Senza toccarsi. Con un urlo. Con una lacrima.
Il respiro si fece più lento. Il corpo ancora caldo, il sudore sulla pelle come una carezza che non voleva svanire.
Alex era lì, sopra di lui, dentro di lui. La stanza sembrava tremare ancora per il sesso appena consumato, per la furia, per la dolcezza improvvisa di quell’ultimo sguardo.
Giò chiuse gli occhi un attimo, ancora dentro quell’estasi.
Poi… il silenzio.
Un rumore.
Il ticchettio dell’orologio.
E una consapevolezza devastante.
Era solo.
La stanza era buia.
Nessun odore di sperma. Nessuna candela accesa. Nessuna porta chiusa. Nessun Alex.
Solo lui. Il suo corpo nudo, il lenzuolo spiegazzato, il cazzo ancora duro sotto il ventre. E le lacrime agli occhi.
Si era assopito.
Aveva solo sognato.
Aveva desiderato talmente forte da costruire quella scena nella mente. Aveva voluto così tanto sentirsi scopato, amato, invaso… che il sogno lo aveva ingannato con una perfezione crudele.
Si girò sul fianco.
Guardò la finestra, la città immobile.
Poi prese il telefono. Nessun messaggio. Nessun Alex.
“Che stupido,” sussurrò. Ma non con rabbia. Con una dolcezza piena di rimpianto.
Aveva solo sognato di rivivere un grande amore.
Uno che lo facesse sentire di nuovo al centro del desiderio. Uno che gli prendesse il cuore e il culo insieme. Uno che gli dicesse, senza parole: “Tu esisti ancora.”
Rimase così. Un po’ piangendo, un po’ sorridendo.
Il suo corpo ancora acceso. Il cuore stanco.
Poi si alzò.
Fece la doccia lentamente. Si lavò via il sogno, ma non del tutto.
Perché qualcosa gli era rimasto dentro.
La certezza che, se era ancora capace di desiderare così tanto, allora era ancora vivo.
E che forse, da qualche parte, qualcuno come Alex esisteva davvero.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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