Gay & Bisex
Sporco Primo Maggio

01.05.2025 |
6.179 |
8
"Lo girarono, lo presero in piedi, in doccia, uno dietro e uno davanti, lo fecero urlare..."
La sveglia suonò prima delle cinque, ma Giò era già sveglio. Nudo sul letto, la luce fioca dell’alba gli accarezzava i fianchi e la schiena nuda. Si alzò lentamente, si stiracchiò come un felino e andò a farsi una doccia bollente. Mentre si asciugava davanti allo specchio, guardandosi il corpo snello e le linee precise dei suoi fianchi, sorrise. Sapeva bene com’era: bello, sfacciato, irresistibile. E oggi ne avrebbe approfittato.Indossò i jeans più stretti che aveva, quelli che lasciavano poco spazio all’immaginazione. Maglietta bianca, quasi trasparente. E poi, sopra tutto, la sua giacca di pelle nera, quella che gli disegnava le spalle e lo faceva sentire invincibile. Guardò l’ora, si mise le cuffiette e uscì. La città dormiva ancora.
Il treno per Roma partì alle 6:02. Giò si sedette accanto al finestrino, gambe accavallate, e si mise a guardare fuori. Sentiva crescere qualcosa dentro, una fame, un’eccitazione che non aveva nulla a che fare con la politica o i cortei.
Alle 10:27 scese a Termini. Il sole era alto, la città calda, piena di gente che si muoveva verso San Giovanni. Giò accese una sigaretta e cominciò a camminare, passo lento, ondeggiando appena i fianchi. Voleva farsi guardare. Si sentiva preda e cacciatore.
Li vide quando arrivò a Piazza Vittorio. O forse erano loro ad averlo già visto da prima. Stavano in piedi davanti a un bar, due uomini. Diversi, ma legati da qualcosa di elettrico. Uno era alto, asciutto, elegante anche in jeans e maglietta nera, occhiali da sole scuri e un’aria fredda. L’altro era più basso, poco più robusto, spalle larghe, barba curata, petto peloso sotto la camicia semiaperta. Gli occhi erano scuri, caldi, sporchi.
Quando Giò passò loro davanti, il più robusto gli diede una rapida occhiata, poi una seconda. Giò fece finta di non accorgersene, soffiò il fumo in aria e camminò più lentamente. Il jeans gli tirava sul culo. Se lo aggiustò con un gesto lento e teatrale.
«Bel pezzo di Primo Maggio,» disse una voce alle sue spalle.
Giò si voltò, fingendo fastidio. «Scusa?»
Il robusto sorrise. «Dicevo che sei una visione meglio di qualsiasi bandiera.»
Il più alto si avvicinò. «Hai un’aria da guaio. E noi adoriamo i guai.»
Giò li squadrò dall’alto in basso, con un sorrisetto ironico. «Avete il coraggio di provarci in due?»
«Ti fai desiderare?» chiese il basso, già più vicino.
Giò si morse il labbro, girando su se stesso. «Dipende da cosa sapete offrire.»
Il gioco durò dieci minuti. Parole doppie, sguardi obliqui, mani che si sfioravano appena. Il robusto si faceva avanti, sempre più vicino, con quella fisicità da maschio alfa che lo faceva tremare dentro. L’altro lo circondava come un’ombra, parlava piano, con una voce che sapeva di comandi.
«Vieni a casa nostra,» disse infine quello alto.
Giò finse di esitare, poi sorrise. «Solo per un drink.»
Ma dentro, già sapeva che avrebbe dato tutto.
L’appartamento era a due passi da Piazza Lodi. Silenzioso, moderno, caldo. Giò entrò per primo, lentamente, guardando ogni dettaglio.
Si tolse la giacca di pelle e la lasciò sulla sedia. Sotto aveva solo quella maglietta che lasciava intravedere i capezzoli tesi.
Il robusto si avvicinò alle sue spalle e glieli sfiorò con le dita. «Ti piace giocare, vero?»
«A volte,» rispose Giò, senza voltarsi.
«E a volte farti sottomettere?» sussurrò l’altro all’orecchio, all’improvviso dietro di lui.
Giò si voltò, in mezzo ai due. «Dipende da chi comanda meglio.»
In un attimo lo spinsero contro il muro. Il robusto lo baciò con forza, premendo il bacino contro il suo. L’altro gli baciò il collo, tirandogli su la maglietta. Le mani erano ovunque, affamate.
«Mettilo in ginocchio,» ordinò il più alto.
«Sì, fammi vedere quella bocca sporca,» disse l’altro.
Giò si inginocchiò. Davanti a lui, due cazzi già duri, enormi. Li tirò fuori uno per volta. Uno glielo sbatté in faccia, l’altro glielo fece leccare. Li alternava, lingua e labbra, sputo e gemiti.
Lo presero per i capelli, glieli spinsero in gola.
«Apri bene, puttanella.»
Lo umiliarono. E lui godette.
Lo portarono in camera, nudo, ancora con lo sperma in faccia.
Il robusto lo fece salire sul letto a quattro zampe. Gli infilò due dita dentro senza preavviso.
«Ti piace così, troia? Vuoi il mio cazzo grosso nel tuo buchetto affamato?»
Giò ansimava. «Sì... voglio tutto… fammi male.»
«Ti distruggiamo,» disse l’altro. E lo fecero.
Gli sputarono sul culo, lo allargarono, lo presero uno per volta, poi insieme. Mentre uno lo scopava forte, l’altro gli montava la faccia. Lo volevano a pezzi. Lo volevano rotto e sorridente.
Giò gemeva come una bestia. Piangeva quasi. Sbatteva il bacino all’indietro per prenderne di più. Si toccava da solo, lo faceva durare.
«Chi è il vostro porco?» gridò.
«Tu, sei tu… la nostra troia da Primo Maggio!»
Lo presero sul pavimento, lo legarono al termosifone, gli vennero in bocca e sul petto. Lo girarono, lo presero in piedi, in doccia, uno dietro e uno davanti, lo fecero urlare.
Quando fu finito, Giò era sdraiato nudo sul parquet, tremante e sfinito, con lo sperma addosso, le cosce rosse e le labbra gonfie.
Il robusto si sdraiò accanto a lui. «Mai vista una bocca così.»
Il più alto si accese una sigaretta. «Dovremmo tenerlo con noi.»
Giò si alzò, si rimise lentamente i vestiti, un pezzo alla volta. Jeans, maglietta, poi la giacca di pelle nera.
«Magari l’anno prossimo,» disse. «Se mi trattate ancora da puttana.»
E uscì senza voltarsi.
Il sole scaldava ancora Roma. Giò camminava lento, dolorante e felice.
Oggi non aveva solo goduto.
Aveva dominato. A modo suo. Con il culo e col cuore.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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