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Gay & Bisex

L'isola 1999 6 Fine


di SERSEX
09.05.2025    |    1.468    |    7 9.1
"Ma gli accarezzò i capelli, con un gesto lento, come se lo stesse facendo da una vita..."
La casa era tornata silenziosa. Giò rimase a lungo seduto in terrazza, un libro di filosofia sul tavolino, la luce del tramonto che sfumava l’orizzonte in arancio e blu profondo. Decise di restare. Il proprietario accettò di prolungare l’affitto per altre due settimane senza fare storie.
Fu tre giorni dopo che lo rivide. Elias.
Era lì, appoggiato al muretto vicino alla casa, con una sigaretta tra le dita e lo stesso zaino da viaggiatore addosso.
— «Sei ancora qui?» chiese Giò, sorpreso.
— «Ti ho rivisto al porto l’altro giorno. Ti ricordavo. Bologna, ’96. Assistente al corso di Filosofia morale. Io sedevo sempre in fondo all’aula, quello con la camicia troppo larga.»
Giò lo guardò bene. I capelli erano più lunghi, il corpo più formato, ma lo sguardo era lo stesso.
— «Il danese silenzioso… Tu guardavi me, non il prof?»
Elias sorrise senza dire nulla. Ma il silenzio che seguì era carico come una vela tesa.
Entrarono in casa. Si scambiarono poche parole. Elias si fece una doccia, lasciando la porta socchiusa. Giò lo seguì con lo sguardo, il cuore che batteva in gola.
Quando tornò nudo, con la pelle umida e il cazzo rilassato che ondeggiava tra le cosce snelle, Giò si sentì come attraversato da una scossa. Elias si sedette sul letto, gli prese la mano e se la portò tra le gambe, senza dire nulla.
— «Penso a te da tre anni,» mormorò. «Sapevo che un giorno avrei sentito le tue mani così.»
Giò non parlò. Gli si avvicinò e lo baciò, profondo. Le lingue si trovarono subito, senza esitazione. Elias si stese a pancia in giù, offrendosi, con un movimento morbido, naturale. Giò si chinò, cominciò a baciarlo, poi a leccarlo tra le natiche con lentezza, con cura, mentre Elias gemeva piano, si muoveva appena, tratteneva il fiato.
Il corpo del danese si apriva sotto di lui. Quando lo penetrò, Giò sentì tutto il peso di quei tre anni mai detti. Elias lo prese fino in fondo, lo cercava, lo incitava. Lo voleva dentro, profondo, crudo. Le loro voci si mescolarono al rumore del mare.
Quando vennero, fu come una piccola morte condivisa. Elias si voltò, appoggiando la testa sul petto di Giò.
— «Non voglio più perderti. Ora che ti ho trovato davvero.»
Giò non disse niente. Ma gli accarezzò i capelli, con un gesto lento, come se lo stesse facendo da una vita.
Restarono ancora dieci giorni sull’isola, come dentro una parentesi dorata. Facevano l’amore ogni notte, in ogni stanza, sul terrazzo, nel piccolo patio tra le bouganville. A volte parlavano a lungo, stesi nudi sul letto disfatto, altre volte si prendevano senza parole, come se il bisogno l’uno dell’altro fosse ormai diventato respiro.
Elias cucinava pesce, leggeva Nietzsche in tedesco e poi lo traduceva ad alta voce per Giò, che rideva e correggeva i passaggi. Giò gli raccontava delle lezioni, degli studenti che arrivavano a fine corso con gli occhi pieni di domande e nessuna risposta. Elias lo ascoltava nudo, con la testa tra le sue gambe, o seduto sul bordo del letto con l’espressione assorta di chi ha trovato una casa nuova in un altro essere umano.
Fu la notte prima della partenza che Giò si alzò all’improvviso e, guardandolo negli occhi, gli disse:
— «Non voglio tornare a fingere, Elias. Non con me stesso. Non con le donne. Con nessuno. Se tu vuoi, io torno con te a Bologna. E non sarai un ricordo d’estate.»
Elias si avvicinò, lo baciò piano. Il loro cazzo sfiorava quello dell’altro, già duro, teso. Si stesero lentamente, e si amarono come si ama qualcuno che si vuole accanto per sempre. Fu un sesso più dolce e più forte. Una promessa fatta con la pelle, con le mani, con il piacere.
A Bologna presero un piccolo appartamento in Via San Felice, con i soffitti alti e una luce che entrava da est la mattina. Elias si iscrisse a un altro corso, più avanzato, e scriveva una tesi sulla corporeità e il desiderio. Giò lo aiutava, correggeva le bozze, gli faceva domande scomode solo per farlo arrabbiare e poi ridere.
Facevano colazione nudi, con il jazz alla radio. Si scopavano ancora spesso, senza perdere mai quella fame iniziale, ma con una dolcezza che aveva la pazienza del quotidiano. Giò capì che non era più un ragazzo che cercava risposte tra le lenzuola sbagliate. Elias era una risposta.
E quando, qualche mese dopo, qualcuno gli chiese se si fosse innamorato per davvero, Giò sorrise e disse solo:
— «Di giorno parliamo di Kant. Di notte mi cavalca fino a farmi perdere i sensi. Cos’altro potrei desiderare?»
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