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Gay & Bisex

Carne Pensante 2


di SERSEX
11.05.2025    |    797    |    0 9.7
"Giò andò avanti a parlare, ma la voce gli tremava appena..."
– L’aula 6

Lunedì mattina. L’ascensore del dipartimento era fuori uso, ovviamente. Giò salì le scale fino al terzo piano con un caffè amaro tra le dita e le gambe ancora pesanti. La notte in discoteca gli era rimasta addosso come un profumo sconveniente: muschio, sudore, voglia.
Aveva dormito poco, svuotato sul letto come un sacco di carne, eppure era lì, puntuale come sempre, con le occhiaie e la barba del lunedì. L’aula 6 era mezza vuota, come ogni inizio settimana. I soliti volti stanchi, quelli che cercavano risposte nei testi antichi, nei concetti inafferrabili. Lui invece quel giorno non cercava niente. O forse cercava solo silenzio.
Entrò, lasciò il giubbotto sulla sedia e aprì il quaderno. Stava per cominciare a spiegare Plotino — o almeno provarci — quando la porta si aprì. Tardi. E con una certa lentezza, quasi voluta.
Il ragazzo che entrò era nuovo. Mai visto prima. Alto, moro, un viso pulito ma non ingenuo. Indossava un maglione largo, jeans scoloriti. Si sedette in fondo, in silenzio, e incrociò lo sguardo di Giò. Un attimo appena. Ma bastò. Perché c’era qualcosa in quello sguardo che gli colpì lo stomaco. Una calma spietata. Una consapevolezza.
Giò andò avanti a parlare, ma la voce gli tremava appena. Ogni tanto lo guardava di sfuggita. Il ragazzo prendeva appunti con calma, ma ogni tanto alzava gli occhi. E quando lo faceva, lo faceva apposta.
Alla fine della lezione, gli studenti cominciarono a uscire uno a uno. Il ragazzo rimase. Chiuse il quaderno. Si avvicinò lentamente alla cattedra. Giò finse di sistemare dei fogli, ma il cuore batteva più forte. Più forte di quanto avrebbe voluto.
«Scusi… è lei il professor Baraccani, giusto?»
«Sì. Ma puoi chiamarmi Giò. Almeno fuori da un esame.»
Il ragazzo sorrise appena. Uno di quei sorrisi che non servono a piacere, ma a smascherare.
«Mi chiamo Elia. Mi sono appena trasferito. Ero a Torino.»
«Ah. Benvenuto. Filosofia pura?»
«Sì. Ma in realtà mi interessano più i corpi che le idee.»
Giò lo guardò. Era una provocazione, chiara. Ma detta con una tale naturalezza da non sembrare neanche offensiva.
«I corpi hanno una loro filosofia. A volte più sincera delle parole.»
«È per questo che ieri notte era al Club S.?»
Giò sentì la gola stringersi. Non rispose subito.
Elia lo fissava senza paura. E con qualcosa che assomigliava molto al desiderio.
«Non è un buon modo per iniziare un dialogo accademico, Elia.»
«Forse no. Ma è sincero.»
Ci fu silenzio. Fuori, il sole scaldava i vetri appannati. Giò non sapeva cosa dire. Ma sapeva cosa sentiva: una strana vertigine. Quella che viene quando senti che stai per entrare in qualcosa che non puoi più fermare.
«Vieni mercoledì a ricevimento. Se hai bisogno di… orientamento.»
«Verrò. Ma non per farmi orientare.»
Uscì lasciando dietro di sé una scia sottile. Tabacco, ambra, e qualcosa che sapeva di promessa.

Giò rimase solo nell’aula vuota. Appoggiò le mani sulla cattedra. E chiuse gli occhi. Il giorno era cominciato da poco. Ma già sapeva che quella settimana avrebbe cambiato tutto.

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