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Lui & Lei

Orgasmi ignobili per nobili o le radici di Luigino, 3a parte


di sexitraumer
23.01.2019    |    3.654    |    0 8.7
"” Paolo, che tendeva a subirla, glielo diede…la donna lo prese, ne saggiò il filo assicurandosi che tagliasse, poi afferrò in mano i suoi lunghi capelli..."
“AHHI! Che fate, padre, che fate ?!...”
Non credeva a sé stessa! La cappella di suo padre era dentro il suo culo, e la sentiva spingere; non se l’aspettava che fosse così facile quel tipo di penetrazione…
“Hunnn…uhmmm…ahnnnn…ahnnn !”
“Fermatevi papà, fermatevi…ahnnn…ohhhh...fermatevi…non sta …ahnnn…bene ! Ahn!”
Una misteriosa forza, forse di autosuggestione, gli stava consentendo di mantenere l’immobilizzazione di sua figlia Caterina, che tirandogli un bel calcio da cavalla, avrebbe potuto anche liberarsi; incuriosita a livello forse inconscio, non si ribellò, tenendosi dentro i visceri quel cazzo con cui sedici anni prima era stata concepita. Come funzionasse il sesso coniugale lo seppe a undici anni, grazie a dei pacati ed amichevoli colloqui e discorsi con la propria madre, che l’aveva anche edotta del piacere che i maschi provavano a mettere il loro cazzo nel secondo buco, quello più sporco, che però, stringendogli la cappella, talvolta li faceva sfogare di più. Concederlo ogni tanto serviva a pagar pegno, o penitenza per qualche mancanza, o comunque a rendere il proprio marito più malleabile, e più interessato alla fedeltà coniugale. Quel membro paterno nel proprio culo di adulta decise di sopportarlo, tanto al primo ammosciamento avrebbe potuto farlo uscire. Tuttavia restava grosso e duro, e si muoveva; presto la natura avrebbe prevalso, e i sommovimenti del cazzo in erezione e durezza, avanti e indietro, si sarebbero convertiti in sommovimenti del colon retto, che a sua volta si sarebbero convertiti in godimento, e respiro…col tutto che grazie all’emotività dei due congiunti si autoalimentava…
“Uhmm…ohhhhhh…zitta! Signora maestà quietatevi…ahnnnn…ohhhh…ahnnnn ! Sennò vi farò battere dalli armigeri…ahnnn…uhhhhh…vi pagherò…dacché siete la mia puta…vi pagherò…il podestà paga le guardie, mi deve dei …sì dei soldini…ahnnnn…uhhmmm…che bel culetto signora…ahhhnn…come vi…ahnnn…chiam…ate?”
“Caterina, papà …Lorenzo! E sono vostra figlia, uh ! Hohhhh !…dov…r…ohhhh…dovreste…sm…e…ahn…ohhh….smetterla !”
“Non dite bugie signorina…voi lavorate qui siccome puta…ahnn…ahnnnn…e poi…ahnnn …io non ho figlia…i miei figli…ohhhh…ahnnn…sono…tre…e…sono…ahnnnn…generali nell’esercito…hanno la terra…ohhhhh…ce l’hanno la terra, sapete signorina?!...ahnnn…lasciatemelo dire! Avete un culo così bello che vi presenterò ai miei figli…uno vi sposerà…ahnnnn ! Ohhhh…come vi chiamate signorina?!”
“Hmmm…ahnn ! Piano, piano ! Mi chiamo Caterina, e sono vostra figlia, vi dico! Ahi !”
“Ohhh..ahnnn…chi è questa Caterina ? Io conosco una regina…fate la regina voi, con questo culo bello?”
“No..ohhhh…basta padre, vi prego! AHN! …hmmm…Vi siete sfogato…uscite vi pregooohhhhh!”
“No ! Ahnnnn ! Ho pagato i soldi! …prendete signora ! Prendete ! Siete brava puta a stare ferma, sapete…ahhnnnn…come vi chiamate signorina?!...ahnnnn !”
“Mi chiamo Ca…ahnnn ! Ohhhhhh! …Cate…ahnnn…niente signore, niente! Finite vi prego!...ahn ! Ohhhh…hmmmm…hn …finite! …venite e …ahnnnn!”
La giovanissima figlia, trattenuta per i fianchi, mentre il padre folle la sodomizzava chiuse gli occhi poggiando le guance sul letto, e si rassegnò alla violenza, autoconvintasi ormai che se l’avesse accontentato magari si calmava, e non andava a molestare le ragazze della via, o del borgo, denudandosi il cazzo in pubblico, come aveva fatto un pomeriggio di freddo e sole con la via deserta; ma dagli usci avevano visto eccome la figlia che gli aveva comandato di coprirsi: era andata bene, ma il suo gesto finì sulla bocca di tutti…l’uomo avendo ridotto la figlia contro il materasso alto aveva avuto buon gioco nell’incularla, e nell’impedirle di staccare il carnal contatto. La ragazza aveva sopportato il dolore dei primi minuti stringendo le lenzuola, con il seno schiacciato sul materasso, poi quando quel folle uomo aveva preso a batterle il cazzo con più velocità, scoprì per la prima volta in vita sua, che una cappella, ed un asta di carne ben dura nel suo culo non le stava dispiacendo tanto, e cominciava secondo i momenti, e gli affondi a caso del cazzo del padre, a provare del piacere …inconfessabile! Ma era solo la natura dei sensi umani, non certo il demonio che si era impossessato di lei, e del suo giovane e bello corpo fresco. Probabilmente il cazzo eretto del padre non era poi così grosso come diametro, ed il suo retto aveva potuto abituarsi abbastanza velocemente. Certo quando aveva spiato la madre che gli concedeva di tanto in tanto anche il culo, aveva visto che si lubrificava con un po’ di olio…la giovane Caterina respirava sommessamente per non attrarre l’attenzione nel borgo…il cane Bigio, rimasto fuori, raschiava dietro la porta chiusa. L’aveva chiusa donna Primizia dall’esterno, prima di andare al mercato, senza fare caso a Bigio, che faceva anche una sua vita sociale nella via; il tutto per evitare che il marito, e non certo il cane, scappasse l’ennesima volta. Bigio, dato il suo più fine udito, sentendo piangere la padrona, raschiava, ma la padrona non poteva muoversi…e tra un rantolo sessuale, e un respiro affannoso, disse con la sua piacevole voce femminile:
“…hnnn…hnnn…ahnnn…ohhh…cuccia Bigio, cuccia ! …Su !...ohhhh…ahnnnnn…ohhhhhh!”
“Raaaattt….raaaaattt…wouff…bau…bau…raaaattt…”
“Ahnnnn…buono Bigio! Buono! ...ahhhnnnn…che mò vengo…su…ahnnnn…ohhhhh…ahnnn!”
Il “vengo” urlato al cane ebbe effetto psicologico pure sul padre sodomizzatore, che infatti innaffiò del suo sperma il retto di sua figlia, credendola una puttana per la soldataglia.
“AHNNNN ! Ohhhhhhh ! AHNNNNNN ! AHNNNNNN ! OHHHHH !”
Se solo non avesse fatto tutto quel rumore! Ma anche a dirglielo, mica capiva! …però si auto tranquillizzò: se qualcuno avesse origliato voleva dire il signor Lorenzo si era masturbato come un ragazzetto qualunque. La ragazza con il cazzo del padre ancora ben piantato dentro, sentì il solletico dello sperma caldo nei suoi visceri, e avendo ormai perso da diversi minuti la sensibilità al dolore con quel cazzo, accolse quell’imbarazzante innaffio non richiesto con sollievo, nonché anche del piacere, le due cose le fecero rimuovere il disgusto morale e materiale. Piangeva, ma si sentiva anche sollevata, e libera. Riteneva che ad un certo punto stava anche godendo.
“Ohhhh…basta padre…basta…ohhhh…”
“No! Ancora signorina, sennò devo dirlo al podestà! Ancora…ve ne do altro!”
Le sparò dentro tutto il seme che voleva nella folle convinzione d’averne un oceano…dopo sei o sette schizzi finalmente alla figlia venne in mente una trovata che avrebbe potuto anche riuscire…
“Armigero, Lorenzo, dovete rientrare in caserma per l’appello! Se una ronda militare vi trova qui vi puniscono! Uscite orsù! Ve lo ordino come la regina!”
“Ohhhhh…ob…obbe…obbedisco…genera…sargente ?!”
“Siete il mio miglior soldato, Lorenzo, ma ora dovete staccarvi!”
“…”
“Staccatevi!”
“Sì…sì! Ecco!”
…finalmente tolse il cazzo, liberando il retto della figlia non più bloccata dal corpo del padre contro il proprio. Quel che rimaneva di quei copiosi schizzi le cadde dall’ano mentre si richiudeva sporcandole le cosce. Reggendosi l’ampia gonna alla meglio, ancora rimboccata cercò di occultargli almeno la fica, o lo avrebbe riattivato. Il padre restò a guardarsi il cazzo ormai rimpicciolito, e sporco della merda che aveva raschiato dal retto della figlia; avendo finalmente compreso come doveva trattarlo, da soldato con ordini brevi e secchi, gli comandò:
“Bravo soldato! Aspettatemi qui! Non vi movete! Guardia!”
La ragazza tenendosi la gonna rimboccata, e le sue magnifiche natiche e cosce in vista andò di corsa nel giardino di pietra sul retro della casa, e prelevata dell’acqua piovana da un catino si lavò l’ano sommariamente, poi le cosce, quindi lasciò che la gonna ricadesse coprendole le sue belle gambe di adolescente. Il papà che ormai non si rendeva conto di dove si trovava, aveva preso ad urinare sopra il letto tutto contento come fosse un puttino d’una fontana…con la sensazione di sollievo, e pulito del proprio ano lavato ad acqua fresca, le tornò un po’ di memoria anche a lei: aveva potuto osservare durante le fughe del papà per il borgo, che quando gli estranei lo comandavano di uscire dalle loro case, o dagli uffici dove entrava all’improvviso, senza pregarlo, dandogli ordini secchi e brevi, rispondeva ed in genere ubbidiva…trasalì senza dare peso alla sodomia subita, quando lo vide pisciare contro il letto, dopo quell’attività sessuale e battendo le mani gli diede degli ordini secchi:
“Via di lì Lorenzo !”
“Sì, ecco ! Obbedisco!”
“Per di qua Lorenzo ! Su !”
Le riuscì di prendere il padre sotto braccio, ed accompagnarlo nel giardino pietroso dove potè finire di urinare, riuscendo più che altro a sporcarsi i pantaloni, ed i calzari. Il padre puzzava di urina, e lo sperma rimasto nel retto era l’ultimo dei problemi, dato che aveva sporcato con urina e sangue anche i lenzuoli nuovi, che lei e la madre lavavano due sole volte al mese, nei lavatoi pubblici all’aperto. Il comune era piccolo, e c’erano da osservar dei turni tra le varie famiglie. Sporchi i pantaloni ed i calzari del padre, sporco il lenzuolo. Quel pomeriggio, quando la mamma tornò dalle magre compere, le nascose per pietà la sodomia subita dal padre, comunque folle. Si limitò a dire che aveva urinato sul letto, e che non se n’era accorta; quindi avrebbero passato pomeriggio rimasto e la sera a lavare a casa loro, nella speranza che il vento della notte avrebbe asciugato il lenzuolo e i pantaloni del povero Lorenzo. Anche il cane Bigio era rientrato e naturalmente aspettava che fosse ora dell’unico pasto al giorno che c’era in quella famiglia: per i tre esseri umani e per lui, Bigio, un cane felicissimo di dormire sopra i padroni la notte. Ormai il viaggio a quarant’anni prima era terminato; non era durato che i pochi secondi nei quali nel presente Paolo Roscio la stava sodomizzando con una certa efficienza e gentilezza: se gli manteneva la durezza dell’erezione affondava il cazzo con dolcezza, se poteva. Dentro di sé Suor Caterina amava la sodomia. Le faceva sentire il sesso più intensamente…in vecchiaia…
“AHNN…ahnnnnn…ohhhh…Paoloooohhh! “
“Sì, ahnnn, dite!”
“Potreste andare più veloce…ahnnn…ahhnnnn!”
“Come volete, ma vi farà solo più male…hmmm…ahn !”
“…ma che male ! Dateci …ahnnn! …dateci dentro giovanotto!...e…poi…mi direte…se non è ancora un signor culo, questo che avete…ahnnnn!...Ohhhhhh! Hoooohhhh..ahn !”
“Ahnnn…sì…Caterina, sì…ahnnn…un bel culo…ahnnnnn…non…non…non male…toh, prendi !”
“AHN ! …ohhhh…sì!”
L’anziana donna fu ben felice di un po’ di sesso spinto ogni tanto, quasi a rifarsi di quella giovinezza che aveva trascorso da suora, non perché costretta, ma per sua libera scelta. Compiuti i venti anni sentì di volersi dedicare agli altri, e prese i voti. Un fidanzato lo avrebbe trovato se solo lo avesse voluto. Dopo la morte di suo padre i maschietti tornarono a farsi vedere, ma a lei ormai non interessavano più. Decise a vent’anni che avrebbe trascorso la vita al servizio dei più deboli. Dopo cinque anni di convento, preghiera, e non poche masturbazioni soffocate nella sua cella, decise di andare incontro al mondo con l’abito da suora, un paravento per l’esterno. Confidate le sue passioni per lo studio del corpo umano e delle sue funzioni, ottenne di poter praticare l’assistenza presso uno spedale a Milano per curare chi ne aveva bisogno; un medico, il dottor Foglia l’aveva presa in simpatia, confidandole come si faceva il mestiere; la confidenza che aveva sviluppato con il chirurgo la spinse a far capire a quest’uomo dieci anni più anziano di lei, che era disposta ad assisterlo anche in modo più personale, concedendogli il proprio corpo in cambio di studio e pratica. Un giorno, due, talvolta anche tre di seguito la settimana, dormiva sul lettone matrimoniale in casa del medico, scapolo di suo. La cosa andò avanti tre anni circa, poi un condottiero militare di passaggio, forse un mercenario, fece rapire il dottore presso cui aveva preso servizio, e lo aveva costretto a diventare il suo chirurgo da campo. Stette via cinque lunghi anni, poi al suo ritorno scoprì che era invecchiato moltissimo, e si era anche indebolito. Tornò da cinque anni di battaglie e privazioni talmente pieno di acciacchi, che non poté far altro che prendersene cura per gli ultimi mesi che gli restavano…
…gli restavano…
…fece solo un errore nel valutare il tempo. A quel pover’uomo del dottor Foglia non restavano dei mesi…semmai solo dei giorni. Morto questi andò in depressione, e cominciò ad essere meno motivata nell’aiutare i malati dello spedale; per cui una notte, correndo un grossissimo rischio, lasciò Milano da sola, chiedendo un passaggio ad un carro merci trainato da buoi, e da un contadino troppo dabbene per chiederle qualcosa in pagamento. Arrivata in Veneto interrogò dei contadini del posto, e una persona gli disse che il cattolicissimo marchese Adeodato Drezzer stava cercando una badante-maestra-sorvegliante per sua figlia Devota Maria che da qualche tempo dava segni di ribellione non sempre gestibili. Ormai anziana per piacere agli uomini, decise che poteva sobbarcarselo un simile fardello, e chiese udienza al marchese, il quale non ebbe esitazione nell’affidarle la figlia problematica, ribelle, ninfomane, cattiva, pietosa, superba, umile, e poi ancora ninfomane e soprattutto incostante, nonché fissata con l’uso della mano sinistra…da parte sua Caterina, pseudo-vedova del suo amato dottor Foglia, ancora suora o non più suora, di tanto in tanto sentiva di voler scopare con un maschio, senza usare ortaggi in solitaria. Talvolta le capitava di offrirsi ai contadini del marchese, i quali in genere erano persone abbastanza sporche, e pertanto sceltone uno che poteva starci, lo convinceva a seguirla al ruscello; dopo un bagno (freddino in verità) per lavarsi proprio alla meglio, si alzava la tonaca stendendosi sull’erba a gambe larghe, e invitava il maschio capitatole a scoparla. Incinta non ci sarebbe rimasta, visto che aveva passato l’età della fertilità…quando il maschio da lei scelto non riusciva a farla godere con la fica, una volta su due, staccava il contatto, e si metteva rapidamente alla pecorina. Se il maschio era maschio glielo avrebbe messo anche nell’altro buco, quello del culo, ove, dopo la sodomia fortuita ed unica che le praticò il padre impazzito-smemorato, scoprì che riusciva a godersela purché durasse abbastanza…il maschio però veniva quasi subito tra i suoi meloni posteriori, e la qual cosa la convinse che i contadini, a meno di non scegliergli belli e giovanissimi, non erano dei grandi scopatori, né con le loro mogli, né con lei…e con gli anni che avanzavano la depressione si era impossessata di lei, e le andava sempre meno di farsi scopatine galeotte; certo quando arrivò quel bravo giovane di Paolo Roscio, che sembrava avere anche un faccino pulito, quasi da infante, un pensierino ce lo aveva fatto; forse si era anche tradita con il linguaggio del corpo, perché Devota Maria se n’era accorta e le disse:
“…guardate che il Roscio è omosessuale e sodomita; mio padre non lo è mai stato, ma per qualche ragione lo ha voluto prendere a servizio da quando è morta la mamma…ma se state pensando a lui la pataccona vostra rimarrà ben secca…”
Nel pronunciar siffatte parole, fin troppo diretta, Devota Maria esibì uno dei molteplici tratti della sua personalità volubile, ed in devianza: mise la propria mano sotto la tonaca di Suor Caterina, che per non darle soddisfazione ignorò la presa della propria vulva, e ne ostacolò il massaggio da parte della beffarda ragazza scostandole la mano con fermezza…
“…in convento come facevate?”
Suor Caterina possedeva una cosa di cui Devota Maria era sempre stata priva: la dignità personale…e freddamente le rispose:
“In convento si prega e si sta in silenzio! Un paio di mesi di disciplina non vi farebbero male, vista la vostra distorta visione del mondo attorno a voi!”
“Io guardo sempre per dritto! E dritto cazzo uso cavalcare da quando so cosa fare colla patacca la mia, pelata a dovere, e con bagnato disìo di masculo…ah, ah, ah…ah, ah, ah !”
Si mise a ridere sguaiatamente, e contemporaneamente suor Caterina cercò di non raccogliere la provocazione.
“Vostra grazia non deve usare un linguaggio triviale che si addice più alle pute. Correggetevi signorina!”
Si alzò la gonna e si mise a masturbarsi con dei sapienti tocchi innanzi alla sua badante che cercava di non guardare…la ragazza era talmente esaltata che in un paio di minuti venne innanzi al volto rassegnato e triste di suor Caterina…
“Ahnnn ! Eccooooohh…ahnnnn ! Ahnnnnnn !”
“…”
“L’ho fatta vedere e toccare anche allo padre mio, sapete ?! Ahnnn ! Ci stava provando…poi volle lasciar stare….ahnnnnn !...ohhhh…sluuuurp ! Slaaaaapp ! Però ero contenta se mi toccava…mi piacciono assai li tocchi…assai…assai…sì ! Sìiiiiiiii !...uhhhhh! AHN ! Ecco ! Ahnnnn! Ecco! Guardate suor Caterina! Guardate !...ohhhh…uhhhhh!...Sto ancora colando…vedete…ahnnnn!”
Suor Caterina ebbe una smorfia di disgusto quando la giovane in goduta assaggiò una goccia di quelle emesse dalla sua fica; poi provocatoriamente provò ad offrirne un po’ alla sua badante che scostò rapidamente le labbra mormorando:
“…così fanno le peggiori pute dei postriboli ! Controllatevi orsù !”
“Ahnnnn ! Yuuummmhh…ohhhh…Non si puote, perché amo io istessa comportarmi siccome quelle donne. Il contabile di papà, messer Norberto è stato tra li primi a leccarmela, e fino allo sfinimento! Ricordo che gli ero piombata la notte sul suo letto mentre dormiva, et gli ho fatto aprire gli occhi piazzando la patacchetta sopra la sua bocca. Non gli sembrava vero! Eppure alla patacchetta mia con li primi li peli mi ci feci lavacro con la lingua sua…quanta saliva…ancora me lo ricordo! …Pensate che alla fine, se non gli pisciavo in faccia, non mi lasciava andare…”
“E questo quando succedeva?”
“Quando avevo…poco prima che arrivaste voi…peccato che poi è morto…”
“State mentendo! Vi piace prendervi gioco di me!”
Devota Maria ritenne di poterle tirare uno schiaffo, ma non ebbe il coraggio, e fermò la mano dicendole.
“No, vi dico che è vero! Non permettetevi di accusarmi di mentita!”
“Preferisco non pensare a quanti anni dovevate avere…”
“Chissà…chissà…perché non lo chiedete lassù tra una preghiera e l’altra?”
“Non ci si deve concedere così signorina! Non sta bene! Vostro padre lo sa?”
“Rassegnatevi Caterina! Mio padre son tante le cose che fa finta di non sapere, da quando questa iniziò a farmi certi pruriti…!”
Alzandosi la veste, le mostrò di nuovo fiera la sua giovane vulva ancora bagnata dalla masturbazione personale, che amava far depilare per renderla più desiderabile, già alla vista…
Suor Caterina rimaneva fredda ed impassibile, dispensando consigli:
“Lavatela più spesso! Coll’erbe della lavanda. E per voi fatevi decotti di valeriana o di camomilla! Quelli di camomilla suon buoni anche per la salute della patacca…”
“Me la faccio lavare dalli maschi ! Ma mio padre me ne fa incontrare sempre meno!”

“E face bene! Siete l’erede di un marchese cattolico devoto!”
“Se io voglio, vado dalli giovani contadini e preso in bocca un palo di carne, uso aprir le gambe e cascarci dentro!”
“Non temete le malattie della promiscuitate vostra?...dovreste, sapete! Le pute del borgo delle bagasce son piene di malanni…come lo scolo!”
“No, non temo la sifilide…e poi pazza lo sono già! …non trovate anche voi, signora ?!”
“Andreste seguita di più. Una comune popolana al vostro posto verrebbe rinchiusa affinché non faccia male a sé stessa et alli altri! Ritenetevi fortunata ad aver vostro padre marchese e comprensivo…”
“Come osate paragonarmi ad una popolana cenciosa ?”
“Me l’avete detto voi poc’anzi che amate atteggiarvi siccome le pute! Avete mai conosciuto delle vere pute ? Avete mai visto il loro corpo sfatto dal duro mestiere…le avete mai viste far peto e sangue senza trattenere ?...pria che prendessi servizio qui da voi lavoravo con un chirurgo allo spedale di Milano, e di donnine rovinate dell’età vostra ne vidi assai…”
“Tacete! Non v’è consentito d’annoiarci con le vostre tristi cose, che ricordate solo per darmi tristezza…!”
“La settimana sta per finire! Ricordatevi di passare in cappella a confessarvi!”
…i rapporti con la lussuriosa ed unica rampolla del marchese Drezzer non erano mai stati facili, ed ogni giorno che passava peggioravano. Ogni suo tentativo di educare quella ragazza lussuriosa si traduceva per vendetta in molestie con ortaggi, o assaggi improvvisi della fica nel sonno, da parte di quella ragazza, che il mattino dopo non esitava a trattarla male. Suor Caterina però ormai era prigioniera dell’età, del cibo, e della cucina di buona qualità che c’era per tutti: fortunatamente Paolo Roscio era anche un bravo cuoco, e adesso poteva provare sul suo corpo di ultrasessantenne che ci sapeva fare anche con il cazzo, specie se ce l’aveva nel culo; prigioniera dei ricordi e dei suoi colpi di cazzo gli chiese:
“…ahnnnn…pensa…pensate di poter resistere…annn…ancoraaaahhhh…uhhhh ! Mi sta piacendo, sapete…”
“Nooooohh…ecco…sto…sto per…venire…ahnnn, ahnnnn, ahnnnn…huhhh…sto…ora…orahhhhh !”
Paolo Roscio, sudatissimo, in preda allo spasmo delle sue palle, sparò dentro il culo della donna tutto lo sperma che gli era rimasto. Le sue palle mandarono una decina di spari…di cui soddisfacenti solo il primo e il secondo…e doloroso l’ultimo.
“AHNNNNNNNNN…ahhhhhhhhh…ecco! Prendete!”
“Bravo Paolo, ma non toglietelo! Tutto dentro, spingete!”
“AHN…ecco ora è tutto dentro, ma non butta più!”
Quando la donna valutò di aver preso abbastanza sperma negli intestini gli disse che poteva staccarsi. Paolo Roscio tolse il cazzo, e vide che praticamente era tutto marrone, ma a quelle cose era abituato…Suor Caterina si stese in terra provando del dolore, poi decise di allargare le proprie cosce, e come ormai stava accadendo da diverso tempo non riuscì a trattenere l’urina che uscì copiosa rilassandola e sporcandola tutto intorno. Paolo Roscio andò ad attingere dell’acqua per pulire le cosce ed il pavimento di pietra, che diversamente avrebbe mandato una puzza nauseabonda. Poi notando che la donna dormiva senza riprendere conoscenza, nemmeno durante il lavacro intimo, la afferrò per le braccia e la spostò di un paio di metri; tanto il pagliaio deposito era piuttosto grande…l’anziana donna dormì nella paglia pulita per un’oretta, poi ridestatasi si guardò intorno, e scoprì che era stata spostata. Paolo che si era steso a riposare di fronte a lei le disse:
“Avete dormito come un ghiro, sapete…”
“No, Paolo me la sono fatta sotto, e poi sopravvenutami la cecità ho perduto pure li sensi…immagino mi abbiate lavata, e spostata voi, o no?”
“Sì, non riprendevate conoscenza, e ho pensato di lasciarvi dormire…alla vostra età ne avete comunque bisogno…”
“Siete un brav’uomo Paolo, sapete…”
“Di ciò vi ringrazio, ma non dovete illudervi: non ho voglia di farvi da marito…”
“Paolo, dite la verità: vi hanno ordinato d’intrattenermi, vero?”
Paolo in imbarazzo non rispose alcunché.
“Dove vogliono farlo?”
“…”
“Andiamo, non sapreste dove…!”
Paolo alla fine rispose
“Forse veramente dentro lo salone! Ma non sono sicuro punto.”
L’anziana donna fissò il vuoto, poi sentenziò sicura di sé:
“Datemi il vostro pugnale, che tanto non sapete adoperarlo, che mi serve un attimo…”
Paolo, incuriosito, le chiese:
“Che volete fare?”
“A voi niente Paolo…a voi niente…datemelo che aspettate, su ?!”
“…forse farvi suicidio a voi stessa?”
“Non ne sarei capace, credetemi.”
Paolo, che tendeva a subirla, glielo diede…la donna lo prese, ne saggiò il filo assicurandosi che tagliasse, poi afferrò in mano i suoi lunghi capelli bianchi. Ne prese una lunga porzione che arrivava fin quasi alla nuca, e se li tagliò in due o tre gesti, fino a restare con dei capelli corti tagliati via alla meglio; poi dopo avergli restituito lo spadino, gli comandò:
“La terza botticella, quella là in fondo, guardate!”
Paolo eseguì, per poi confermare:
“La vedo, e allora?”
“In quella c’è della grappa; riempitene un boccaglio, generosamente! Niente sparagno!”
Paolo Roscio riempì il boccaglio, alto una mano pressappoco, di grappa:
“Bene! …poi raggiungetemi fuori in cortile!”
La donna senza guardarlo in faccia, uscì in cortile dove normalmente si spaccava la legna…prese l’ascia, e verificò che tagliasse, spaccando un tronchetto di legno. Il tronchetto venne tagliato in due dal colpo di prova tirato da lei. Ebbe conferma che l’ascia, larga una decina di dita, era abbastanza affilata. Paolo l’aveva raggiunta con la pinta di grappa…avendo lavorato in gioventù, quando aveva appena preso i voti, come assistente di un chirurgo cerusico era pratica di anatomia umana. La donna, vedendo la pinta piena di grappa, gli disse di dargliela; e mentre gliela diede, sorridendogli come volesse ringraziarlo, dapprima posò il boccaglio di grappa sul cippo di legno, poi tornando verso di lui gli chiese di portarle un po’ di torba, prendendola da quella depositata nel fienile…
“Quanta?”
“Me ne basta un pezzetto, assicuratevi che sia sporca…”
“Boh…”
Paolo eseguì, e le portò un pezzettino di torba, come da lei richiesto. La donna macchiandosi volontariamente il dito ne spezzettò un altro pezzo sputandovi sopra, e assicuratasi che macchiasse tracciò dietro il suo collo un segno orizzontale, in un tratto che aveva cercato per via tattile…poi prese a parlargli:
“Paolo, promettetemi che presto acquisterete dei buoni vestimenti, sta per arrivare l’inverno, che qui è molto freddo…”
“Posso usare quelli del marchese…”
“No, Paolo, non sono della misura vostra; e comunque non sono adatti all’inverno quelli che ora indossate…”
“Ma costerebbero…con cosa potrei mai pagarli?”
“Con li duecentotrenta scudi che ho ritirato dallo banco della Tavola de’ Bonsignori di Finanza; li ho nascosti dentro lo materasso dello letto mio nella stanza della puttana Devota; prendeteveli voi giovanotto, e non fate ricchi i vostri novi padroni!”
Finito di dargli le ultime raccomandazioni prese dal cippo il boccaglio pieno, e bevve rapidamente la pinta, raccolse l’ascia, per poi dire a Paolo Roscio:
“Ahhhhmmmm…ohhhhh…burp !...Tenete, prendete voi quest’ascia! AVANTI!”
Paolo la prese incredulo; la donna continuava a dominarlo; lui chiese:
“Che dovrei fare?”
“Mi dovete tagliare la testa! Così farete quello che vi ha raccomandato Bonaldo. Solo che lui voleva farmi morire di strangolamento, dopo che seppe ch’ero stata in paese! E io la soddisfazione di scalciare impiccata a quella schifosa puttana di Devota Maria non gliela darò mai!”
“Ma…”
“Non negate! Probabilmente Devota Maria glielo deve aver chiesto, visto che l’ultima volta che mi ha toccato la vulva l’altra mattina l’ho respinta con un calcio! Non avevo voglia di soddisfarla, volevo solo dormire…”
“Ma …perché? Non è meglio col veleno? Devota Maria deve avere ancora dell’arsenico, credo.”
“Col povero padre non hanno saputo usarlo…lo avevano solo addormentato, tanto che ci è voluto Bonaldo per trafiggergli il cuore…qui di veleni non se ne intendono caro Paolo Roscio…”
“Ma perché non fuggite? Vi coprirò io…”
“E verso dove?”
“Oh beh un convento si trova…ve l’ho già detto!”
“Non ho voglia di tornare in convento, e poi alla mia età non ho voglia di assistere più nessuno. Ho passato tutta la vita ad assistere gli altri…aiutavo di persona un cerusico chirurgo quando avevo la vostra età Paolo Roscio.”
Poi l’anziana donna nuda coi capelli fortemente accorciati indicò uno dei finestroni che dava sull’interno del palazzo…
“Guardate verso il finestrone che dà verso di noi, guardate…”
Paolo Roscio volse lo sguardo nella direzione che gli aveva suggerito suor Caterina ridendo, o per ironia, o per rassegnazione. Nonostante il fatto truculento dell’uccisione del vecchio marchese avrebbe dovuto fargli vedere chi erano Devota Maria e Bonaldo Caputo, sembrava non voler credere ai suoi occhi…

…una corda piuttosto robusta era visibile dalla finestra mentre pendeva dalla trave di legno spesso che attraversava il soffitto trasversalmente…normalmente quella corda non sarebbe stata necessaria. Le spalle di Devota Maria facevano capolino dalla finestra, dato che probabilmente stava contemplando la forca personalizzata messa in opera da Bonaldo, che avrebbe presto regalato alla sua compagna, prossima moglie, l’impiccagione della sua sorvegliante-badante…l’anziana donna commentò:
“Avete visto Paolo ?! All’inizio ero convinta che l’avreste fatto voi con lo spadino…”
“Ma io non volevo uccidervi toccando lo spadino. Volevo solo sapere se si poteva indossare di nascosto…ve lo giuro! Io nemmeno lo so se si porta a destra, o a sinistra…”
“Siete destro, o mancino ?”
“Io?”
“Sì, voi caro Paolo!”
“Iddio mi fece mancino, ma dicevano che devo imparare a usare a fare le cose con la destra…ma con la sinistra le faccio davvero bene…”
“Lasciate perdere quello che dicono gli altri! Se siete mancino, portatelo a destra! Sapete, la mano più abile deve potervela far sguainare con rapiditate, no?”
“Siete acuta Caterina!”
“Paolo Roscio, sentitemi bene! So benissimo che vi hanno detto di liberarvi di me; e io non ho voglia di fuggire, aver paura, e poi ancora fuggire…e quando non fuggo, mi becco la cecità per colpa della diabeta, durante la giornata mi prendono giramenti di testa, e tremori, con quell’ingrata che si prende gioco pesante di me…una vita come questa non ho voglia di viverla, e tanto sarebbe per poco ancora. Non voglio aspettar la morte pisciandomi sotto…insultata da quella donnina malata!”
Paolo restò in silenzio un paio di minuti, per poi proporre:
“Facciamo conto che abbiamo giocato tutti sorella Caterina, sapete che vi dico?! Vi sposo, e padron Bonaldo non vi toccherà, e se ne farà una ragione…su basta con questa buffonata, rivestitevi!”
Paolo le diede il vestito grigio, che la donna non indossò tenendoselo in mano. Nuda sembrava a suo agio.
“No, Paolo, non ho più disio di scappata…oggi darò a quella donnina malata la più grande delusione della vita sua!”
“Ma…ma…perché non vi fidate? Sentitemi bene: io a quei due non vi consegno! Sì, sarà vero che hanno chiuso i portoni con lo catenaccio, ma ascoltatemi signora! Lo marchese ebbe a dirmi pochi mesi dopo che mi prese a servigio da lui, che lo palazzo tiene un passaggio segreto, che passa per li sotterranei: lo fece costruire dalli operai che venivano da fuori questo feudo, mi disse, per l’occasione che li contadini sui, dopo la morte dello capo delle sue guardie, o addirittura le sue guardie, volevano tenerlo prigioniero…lo passaggio porta dietro la via dove s’affaccia lo palazzo…e di lì potete sortire tosto. A Bonaldo, anche se sposerà Devota, questa cosa dello passaggio segreto non la favellerò. So per certo che alla figlia lussuriosa nascose la costruzione del cunicolo…tanto lei era talmente puta, che inimici non potea farsene…parole sue, del padre! Venite che vi mostro dov’è?...venite vi prego!...venite…”
Paolo Roscio, buttata per terra l’ascia da spaccalegna, prese per mano la donna ignuda, e se la portò vicino un posto da lui conosciuto nel locale dove si trovavano. Era a meno di dieci metri da loro. Tolse un tappeto di paglia e, scoperto un coperchio di metallo grossomodo quadrato di poco meno di un metro di lato, ormai arrugginito, ma comunque in grado di ruotare sui cardini, lo aprì mostrando le scale che portavano là sotto…
“Datemi una candela, e ve lo mostro, porta parecchio fuori il muro del palazzo…avete il vantaggio che ancora essi non lo sanno…su vestitevi e andiamo ! Quei due ci resteranno di merda…”
Degli squittii attrassero l’attenzione di Caterina, ancor nuda.
“QUIIIIITT ! Squiiiiiitt…!”
“Topi vero ?!”
“Certo signora, ove ci son cunicoli ci son topi…ma noi due siamo più grossi. E poi quando vedono le torce scappano da soli…”
Un altro rumore più sommesso, una specie di soffio, venne più volte udito. La luce aveva attratto un altro animale che soffiava…
“FHFFFFHHHH…”
Lo strano animale aveva un riflesso grigio, come fosse grigio-ghisa lungo più di un metro, ma oscillava, oscillava…era una biscia, che stava cercando di risalire i gradini. Paolo Roscio batté i piedi per terra e il rettile, inizialmente disorientato, dopo una decina di colpi molto rumorosi di Paolo batté in ritirata riscomparendo oltre le scale…Caterina da ex aiutante di un medico, piuttosto intelligente disse:
“I topi prima stavano scappando da quel biscione. Mi sa che lo cunicolo tiene infiltrazioni d’acqua e l’umiditate, e lo calore richiamano li rettili delle paludi qui intorno…Paolo chiudete lo portello prima che codesti animali arrivino qui dentro! Vi feci leccare la patacca bagnata con la birra; l’odore intimo mio attrarrebbe la fauna…”
“Ma Caterina, vi precederò io con la torcia: rettili e li topi temono lo foco! Camminerete dietro a me, non vi toccheranno…”
“Paolo Roscio, ma quanto sarebbe lungo?”
“Cento, centrotrenta metri, forse. Solo due sono le curve…”
“E da quanto tempo non scendete là sotto Paolo Roscio?”
“Beh, ecco, da quando venne aperto sei anni fa, io, noi, io e lo marchese, no, non…beh, ecco, non scendo lì sotto da…”
“…uhmm…da …?”
“Dalla primiera volta che il marchese me lo mostrò; se le cose si fossero messe male, io e il marchese e sua figlia saremmo sortiti…ma l’occasione mai ci fu.”
“Paolo io, là sotto non scendo; il morso anche piccolo di un topo potrebbe costarmi la peste…anche se la biscia non è velenosa mi fa schifo lo stesso, e poi dove c’è biscia c’è anche la vipera, e quella è mortale di suo…”
“Prenderemo due focose torce Caterina! Ci daranno campo libero, vi basterà moverla, e camminare di bon passo…anzi ho un’idea! Porteremo con noi quel piccolo carrello per movere le botti; fisserò le torce in basso, e vedendo appropinquarsi il foco di due torce ci daranno terreno, e scapperanno subito…io movo il carello, voi restate dietro a me!”
“Alla etate che tengo, Roscio ? Là dentro l’aria è consumata, e zeppa di miasmi, non ci si respira, no Paolo, lo cunicolo andava curato et arieggiato ogni tanto, ma per sicuro non si è fatta sorveglianza veruna…non camminerò là sotto, neppure con voi!”
Paolo Roscio era sempre più smarrito ed eccitato, più o meno colto da un desiderio di potenza e protezione…
“Ma non capite?! Sarete libera! Basterà che non torniate qui, per sempre, no?! Se permettete, vado in camera da letto e vi porto li scudi vostri, ci potrete alloggiar dovunque! Io verrò con voi, poi qualcosa m’inventerò…”
“…e cosa? Voi non siete capace di lasciare questo palazzo, poiché esso stesso per le cucine da voi dipende…qui ormai è praticamente casa vostra Paolo!”
“Non temete, v’affiderò allo primo prete che incontreremo, che vi proteggerà dentro la canonica…poi Bonaldo e Devota, avranno a farsene ragione…non oseranno toccarvi…andiamo, su! Se ci prendiamo due o tre ore di vantaggio non sapranno più dove cercarvi e vi considereranno involata siccome augello!...”
“Se avete finito di favellare vi dico quello che dovrete fare; sapete, mi sta per sopraggiungere la cecità, quindi non potrei seguirvi di passo per molte ore…ascoltate benedetto ragazzo: ora poggio il collo su quel cippo; voi che siete un giovine ancora valido colpite con l’ascia dove ho macchiato col pezzo di torba, colpite forte! Vi ho segnato il punto, dietro il mio collo, dove calare la scure…ecco guardate, vedete?”
Frattanto che parlavano la donna era riuscita a trascinarlo fuori; erano tornati in cortile, vicino il cippo con l’ascia per terra:
La donna si voltò per mostrargli dietro il collo il segno dove colpirla per decapitarla al primo colpo. Poi finì di dirgli:
“L’ho provata!…l’ascia è buona; se darete un buon colpo, forte, non soffrirò…”
“…guardate che…”
“Se mi lasciate viva, vado dal capitano di giustizia, e vi denunzio per la morte del marchese! …vi denunzio tutti quanti per congiura! Voi, quello schifoso ladro di Bonaldo, e quella bagascia malata di Devota finirete sul patibolo; lei per parricidio, voi per complicitate et omosessualità…ma se voi ora colpite sul segno nero, io me ne vado, e voi sarete salvi! Io così non ce la faccio, e comunque mi resta poco! Su! Datevi da fare; tanto ci vedremo tutti all’inferno tra non molto tempo…vi aspetterò, non dubitate!”
“Ma perché?”
“Perché a voi non piaccio, o forse per la mia etate fate fatica a guardarmi! Voi non volete sposarmi…fra poco la grappa mi farà svenire…su! Prendete l’ascia, e colpite dove vi ho detto; se mirerete giusto basterà solo un colpo! Sennò dopo il colpo, se va a male, non esitate un attimo! Prendete lo spadino, e recidete la carotide, e saremo liberi tutti e due!”
“Sul serio volete? E poi sta per far freddo, perché non vi coprite?”
“All’inferno si sta caldi…fate ciò che vi ho detto, e per il seppellimento regolatevi come credete! Se potete seppellitemi sotto una pianta, così farò da concime; l’idea di nutrire la natura col corpo mio non mi dispiacerà punto. Addio non voglio dirvi altro!”
La donna non lo guardò più in faccia, anche se Paolo Roscio cercava di guardarla, lo ignorò, si fece il segno della croce, disse una brevissima preghiera, e quindi, fattosi di nuovo il segno della croce, la vecchia ed infelice donna, ex suora, dopo essersi inginocchiata, perfettamente a suo agio nuda, poggiò il collo sul cippo reggendosi saldamente ad esso, e chiuse gli occhi tranquilla aspettando che Paolo Roscio facesse quello che gli aveva detto. Il diabete la tormentava con giramenti di testa, attacchi di cecità, vertigini, e continue necessità di urinare, senza contare sudori freddi, e tremori con batticuore; e voleva farla finita per non essere ancora sfruttata da quella schifosa lussuriosa deviata mentale di Devota Maria, che aveva sempre sfogato su di lei l’odio per il severo padre, o la sua tristezza per la perdita della madre. Paolo Roscio ci pensò su un minuto…

…ne aveva bisogno per sé stesso…

…ma la donna, che ostentava tranquillità, e mercé il torpore per la grappa, non dava segni di angoscia, e non voleva saperne di aprire gli occhi; per cui Paolo Roscio, domandato chiaramente d’improvvisarsi boia, alfine valutò la convenienza di suor Caterina morta, prese l’ascia, l’avvicinò al segno nero sul collo, e rialzatala fin sopra la propria testa, esitò ancora diversi istanti…poi mirando teso cercò di guardare bene, e finalmente senza altre esitazioni, vibrò il colpo con tutta la sua forza...
“SHVAAAAM !”
“HUH!”
“…”
La vecchia suora aveva ragione: la testa si recise di netto dal collo un istante dopo quella soffocata esclamazione, senza bisogno di ulteriori colpi, e rimase di fianco sul cippo senza cadere a terra, come di solito succedeva in quei casi. Paolo non essendo un boia di professione non ebbe né la prontezza, né il coraggio di prenderla per i capelli, e far colare il sangue svuotandole del tutto i vasi; restò a occhi chiusi dopo avergliela tagliata; se avesse guardato, lo stomaco e il suo cuore a mille, avrebbero parlato per lui; un minuto di silenzio, e di vuoto, gli paralizzò corpo e mente, per cui forse era probabile che, al contrario, quella testa fosse ancora cosciente almeno in parte…gli occhi li mosse due o tre volte, poi uno si chiuse, e l’altro rimase aperto fisso…il corpo mozzo aveva mosse le gambe a caso, mentre cedendo un istante dopo la presa delle mani alla corteccia del cippo, il corpo era caduto del tutto a terra in un lago di sangue, che sembrava inarrestabile. Paolo Roscio, come fosse un automa, guardando fisso davanti a sé, raccolse la testa senza avere il coraggio di guardarla, e la portò dentro la legnaia, avvolgendola nel copricapo dell’appena defunta donna; poi andò a raccogliere il corpo nudo e mozzo che, essendo privo del controllo del cervello rilasciò tutta l’urina generata da quella pinta di grappa quando lo prese in braccio, e gli macchiò i pantaloni nuovi aderenti. Non ci fece caso. Tornato dentro il palazzo si recò nelle cucine per mangiare qualcosa, ma come fece per masticare, forse il pensiero di quello che aveva fatto, sia pure su chiara e decisa richiesta dell’anziana suora ormai libera dai tormenti della malattia, e da Devota Maria, vomitò abbondante. Poi ricompostosi alla meglio, si recò in salone, e vide la corda col nodo scorsoio pendere dalla trave del soffitto. Devota Maria vedendolo non fece caso al suo pallore e sudore freddo; ignorando la sua faccia tesa, parlò:
“Paolo Roscio, dato che ormai è ora, vi dispiacerebbe andare a chiamare suor Caterina? Noi qui gli si deve parlare…”
Paolo poco a poco stava riprendendo temperatura e autocontrollo…
“Parlare…? E di che cosa di grazia?”
“Come nobildonna figlia di un signor marchese, oggi mio malgrado morto, ho diritto di piccola, media et alta giustizia dentro lo feudo mio! Suor Caterina usò avvelenare mio padre marchese ordinato da Dio, et non avendo avuto a…insomma ecco… avere riuscimento della cosa, a ucciderlo col veleno intendo, è stata vista da me e Bonaldo usare lo pugnale contro lo petto del padre mio, puntando al cuore.”
Paolo Roscio rideva rassegnato della sua ormai padrona che si dava arie da inquisitrice, e giudice supremo…certo non era impressionato dalla favella della donnina, decisamente poco istruita, e indottrinata alla meglio dall’altrettanto poco istruito, però più intelligente Bonaldo; Devota Maria, senza intuire il disprezzo di Paolo Roscio, proseguì fiera:
“Et allora facciamo decreto che venga appesa per lo collo finché morta non resti! Voi aiuterete Bonaldo, portandola qui con un motivo che troverete voi…avanti! Andatela a prendere! Bonaldo, quando entrerà, al mio cenno, tirerà la corda per darle la morte innanzi a me medesima marchesa erede!”
“Signora marchesa, vi devo dare disillusione! Non potrete impiccarla punto, mia signora! Suor Caterina mi disse che non vi avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla scalciare appesa per lo collo per il vostro divertimento personalissimo…”
“Cosa intendete finocchio Paolo? Forse ha fuggito?”
“No, pretese di restare nonostante mi offrii di farla sortire, nonostante li lucchetti vostri! Invero pagommi li risparmi sui tutti, affinché la mandassi io istesso all’altro mondo, con la rapiditate dello taglio della testa coll’ascia per la legna. Scelse fiera il morire più rapido in cortile, et ignuda onde non sporcare li vestimenti sui. Invero lo feci malvolentieri su richiesta della vittima poco fuori lo granaio dopo il molto sesso che mi chiese di far con ella da viva…”
Con una certa irritazione da delusione chiese:
“Volete dire che morta è?...è…?”
“Sì vostra altezza. Ed è anche già qui!”
Paolo svolse il sacco annodato con la testa dentro, e mostrò all’esaltata neo-nobildonna la testa mozzata della sua perpetua, con uno sguardo irreale, ad un occhio solo aperto e l’altro chiuso, che però all’improvviso si aprì, spaventando la viziosa donnina.
“HUUUHHHH!...ma….ahhhh…ch…che…!?!”
Paolo Roscio se n’era accorto, e le precisò:
“Era solo un riflesso! L’ho recisa ormai da abbastanza tempo! Ormai l’anima sua è in pace altrove!”
“Toglietela tosto dalla mia vista! Vile finocchio!”
“Come desiderate, signora!”
Devota Maria irritata dalla ferma spiegazione di Paolo Roscio, e dalla sua tranquillità, afferrò un candeliere acceso, e lo tirò violentemente contro il volto di Paolo Roscio, che riuscì in parte a schivarlo, per poi dire:
“Dovevamo impiccarla qui in salone! Mi dovevate avvertire! Bonaldo vi farà giustiziare anche a voi, ve lo prometto! Rotolerà anche la vostra, di testa! Oh se rotolerà…!”
“Il vostro Bonaldo mi disse solo di starle vicino, finché non mi avesse chiamato…non sapevo che volevate organizzar un’impiccagione qui nel salone dentro! Le esecuzioni vere si fanno in terrazza o nel cortile, davanti alli contadini tutti…non nei saloni di ricevimento…”
“Per intanto, per vostra punizione vi comunico che non mangerete per due giorni e due notti! Intanto togliete la corda, e non osate bruciare li resti qui al focolare del salone!”
“Li resti li brucerò fuori, che ormai son pratico! Questo è un salone per li ricevimenti, sìora! E questa corda adesso la tolgo io, che è un oltraggio alla memoria dello padre vostro!”
Paolo Roscio lanciò il cappio dall’altra parte della trave per far cadere a terra la corda, poi sciolse il nodo scorsoio, e la corda tornò una normale fune. Poi si rivolse di nuovo alla donnina, sua prossima padrona:
“Avvertirete Bonaldo che userò due giarette d’olio delle riserve per cremar lo corpo, e non vi farete di bile! Pagherò io istesso le due giare d’olio colli scudi che vado a prendermi, dato che mi confidò dove li tenea…”
“E sia, allora! Ma da me non fatevi vedere più!”
“Non mancherò padrona, non mancherò!”
La punizione della neo marchesa era stata sotto un certo aspetto una cura: rimase a digiuno due giorni per lo choc postumo, limitandosi a bere un po’ d’acqua di tanto in tanto. Il neo marchese Bonaldo, al terzo giorno, dopo aver allontanato con un pretesto i contadini che avevano il permesso di raggiungere il granaio, mentre lo stava aiutando a cremare il cadavere del corpo e la testa, e le fiamme s’intensificavano nella fossa, per l’aggiunta continua di sterpi, paglia e altro olio in abbondanza, cercava di parlargli per tranquillizzarlo:
“Su caro Paolo, ci avete risparmiato di strangolarla…e se ve lo ha chiesto lei di darle una morte rapida cos’avreste da rimproverarvi?”
“Non sapevo che sarei stato capace di decapitarla, tutto qui.”
“Voglio farvi una confidenza: nemmeno io avevo alcuna voglia d’impiccarla; sinceramente lo avrei fatto solo come regalo di nozze a mia moglie Devota che have insistito sulla cosa; nemmeno io m’immaginavo che volesse impiccarla, e soprattutto vedere gli scalci dell’agonia…ma dite caro Paolo, l’avete spogliata dopo l’esecuzione?”
“No, padron Bonaldo! Ha insistito proprio lei per morire ignuda, nonostante lo fresco inoltrato…mi disse che all’inferno, dove ci ritroveremo tutti e tre molto presto, si stava caldi! Coraggiosa! Mi ha persino segnato sul collo suo dove dovevo colpire…!”
“Era sicura che sarebbe finita all’inferno?”
“Si è fatta lo segno di croce, poi una preghiera silenziosissima et rapida, poi di nuovo lo segno della croce; quindi ha abbracciato inginocchiata il cippo, e atteso lo colpo. Certo s’era stordita con una pinta di grappa, che le ha dato calore e coraggio…Quando la calai la lama disse huh, ma poi la testa si è staccata senza altri colpi…ora siamo liberi tutti! Son stato vostro complice et amico, padron Bonaldo, et una grazia vi chiedo…”
“E sarebbe?”
“Quando vi stuferete di me, e vorrete uccidermi, io non voglio sapere quando morirò! Trafiggetemi di spalle, o tagliatemi rapido la gola, o ancora un colpo al cuore d’improvviso con un pugnale! Non voglio morir di forca, né d’attesa della forca, che tanto piace alla vostra donna, padrona Devota…”
“Voi mi servirete ancora Paolo Roscio…vi prometto che farò come dite, senza indurvi sofferenza alcuna. Per come vi conosco ritengo che oggi siete diventato maggiorenne et in diritto di darmi dei consigli. Non temete per la vostra testa. Con donna Devota ci parlerò io…Ora andate a riposare, qui al fuoco finisco io…vi libero…che avrò ancora bisogno dei vostri servigi non appena vi rimetterete in forze…Don Giussetto, il nuovo curato, verrà in settimana per unirci in matrimonio. Dobbiamo escogitare qualcosa che sostituisca l’autorizzazione paterna per Devota Maria…”
“Penserò a qualcosa padron Bonaldo!”
“Bene, era quello che volevo sentire, ora andate. Buon riposo, amico mio…”
“Grazie vostra altezza.”
Eh già, poiché ormai completamente liberi Bonaldo e Devota Maria, nel frattempo auto incensatasi marchesa, mandarono a chiamare lo curato nuovo, Don Giussetto, che mai avea visto in vita sua lo marchese, ch’era arrivato da poco il prete, sapete, e si fecero frettolosamente unire in matrimonio, dato che creatura stava secondo essi per nascere; naturalmente don Giussetto chiese notizie del marchese delli luoghi, e Bonaldo con la complicitate del servo personale Paolo, falsificarono una pergamena nella quale il marchese Adeodato, in seguito a vocazione interiore avea lasciato lo feudo per un viaggio di pellegrinaggio et espiazione verso la Terra Santa, e nella pergamena nominava la figlia Devota Maria amministratrice de lì beni materiali fino al suo ritorno. Lo servo Paolo vero artista era, poiché la pergamena con la firma autografa del marchese al prete, homo d’istruzione e lettere, parve autentica, o comunque dovette bastargli per l’autorizzazione del padre alle nozze…la pergamena cara zia vi assicuro che esiste! Mi venne mostrata dallo avvocato della famiglia nostra che la custodisce appositamente ancora…comunque zietta lo servo Paolo rivestì il Bonaldo con le vesti del vero marchese Drezzer; in tal guisa poté farlo passare come barone Bonaldo Petronio di Santa Clementina in Lucania, che da parte sua si presentò alla cerimonia lavato, vestito, e sbarbato; lo padre mio Agostino ebbe a raccontarci che prese lo cognome dell’uomo che avea assassinato, e dall’unione loro nacque lo padre mio Agostino, che sposata la figlia di un barone dei luoghi finintimi, la mamma mia donna Robertina, nacqui io. E fin da bambino mi raccontarono ogni bene dello nonno mio Bonaldo, fino a quando papà Agostino, sapendo di dover morire s’alleggerì l’anima sua tramandandomi il segreto, ch’ebbe ad ascoltare dalla mamma sua, vera et immeritevole marchesa Devota Maria, sposa a un delinquente popolano di cui era sempre stata l’amante innamorata persa…una settimana dopo, avuto sentore che Don Giussetto stesse chiedendo notizie del marchese originario, Bonaldo e Paolo, travisati da cappucci andarono a casa sua, et usarono ancora una volta lo spadino…don Giussetto venne trovato la mattina dopo con la gola tagliata; anche nella casa dove risiedeva fecero disordine affinché si pensasse alli ladri et alli briganti; per meglio occultarsi lo stesso neo marchese Bonaldo, mise una taglia su chi avesse fatto catturare l’assassino di don Giussetto, et fece tributare buon funerale, e degna sepoltura…lo padre mio Agostino mi disse pure che il finocchio Paolo, morì all’improvviso sotto gli occhi suoi in un incidente di caccia alli cinghiali; mentre parlava con lo nonno Bonaldo nel bosco, lo papà mio Agostino da dentro la carrozza ove stava siccome ancora infante di dieci anni al sicuro con la mamma sua Devota, lo vide cadere a terra trafitto allo petto da una freccia tirata dalla balestra di un cacciatore, lo quale scusandosi con Bonaldo che lo credea fratello o parente, essendo anch’egli nobile, si offrì di pagargli una riparazione…Paolo Roscio morì proprio con questo spadino indossato con eleganza al fianco, et io, zietta cara, oggi porto con me la maledizione di questo!”
Luigino spinse per terra lo spadino e con esso anche il suo vestito.
“Ma caro nipote Luigino, perché parlate di maledizione?”

-continua -
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