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Prime Esperienze

Salve Terra, qui Koona 8a parte


di sexitraumer
24.01.2012    |    4.494    |    0 8.5
"” Meravigliata domandai: “Potevo chiamarlo George?” “Sì..."
Passai la comunicazione all’interfono che mi faceva comunicare con il computer.

“Computer! Servono antibiotici.”
“Di che tipo Koona ?”

Rigirai la domanda a Johanna che mi rispose:

“Di che tipo devono essere Johanna?”
“Multispettro. Per via orale vanno bene.”
Non fu necessario che ripetessi; il computer aveva sentito la parola chiave:“multispettro”. Il computer fece una ricerca e dai tiretti dell’infermeria venne servito un blister con delle compresse avvolte in una pellicola. Non facemmo caso alla data di scadenza. Mario ne assunse una ingoiandola, poi chiese:

“Joha-nna, quanti ne devo pren-ne-re?”
“Sorella Johanna per lei Van Brenner! Una ogni otto ore. C’è il rischio che lei debba pilotare con la febbre. Mi dispiace è inevitabile. Si procuri del ghiaccio in cucina, e ne metta in bocca più che può.”
“Quanto le devo sorella Johanna?”

Johanna gli voltò le spalle dicendogli:

“Niente.”

Johanna uscì dall’infermeria, e ci lasciò da soli. Io asciugavo amorevolmente la fronte a Mario aiutandolo anche a pulire la sua bava indotta dall’anestesia. Poi mi misi a coccolarlo baciandolo sul viso sudato. Gli carezzavo anche i capelli. Poi poggiai la mia testa sul suo petto caldo. Il cane graffiava la porta fuori dal locale. Potevo vederne la sagoma. Aprii e feci entrare il cane che si recò immediatamente da me girandomi intorno. Poi si fermò accanto al mio piede sinistro. Ripresi a coccolarmi Mario. Gli infilai la mano sotto la maglietta, e cominciai a carezzargli il petto. A me Mario piaceva anche se avevo visto con i miei occhi che io per lui sarei stata solo un episodio passeggero. Non riuscivo più a focalizzare gli ultimi avvenimenti: il sesso con me, la sorpresa di Johanna, la violenza di Johanna, la contro-violenza di Mario, lo sfogo di Johanna con me, il sesso tra Mario e Johanna, e adesso Johanna che ha ripreso il suo ruolo di freddo medico. Ad improvvisarsi dentista ha avuto una certa abilità. Con Mario era stata fredda ed efficiente. Gli aveva tolto la causa del mal di denti che avrebbe potuto anche compromettere la missione. Io però avevo ancora una certa voglia di sesso con questo pilota che era stato mandato qui alla base per salvare me. Ignoravo cosa stessero facendo Johanna e Greg. Non c’erano certo bagagli da preparare e probabilmente neanche alla sottoscritta avrebbero consentito di portare via qualcosa. L’unica cosa che dovevo o potevo portare con me era Rasputin. Ero angosciata all’idea dello spazio a bordo con la capsula pressurizzata per il cane. Io immaginavo di lasciarlo fluttuare nel volume di bordo, ma probabilmente non sarebbe stato possibile. Presi una sedia e sistemato il cane sotto di essa ripresi ad appoggiarmi a Mario che stava smaltendo i residui dell’anestetico. La sua bocca era ancora gonfia. Perché non vi pensasse poggiai la mia testa, e per meglio dire la mia guancia sul ventre caldo di Mario. Poteva sentire il mio respiro sulla sua pelle dato che gli avevo alzato anche la maglietta. Ero decisa a pagare il biglietto per il mio cane; a qualunque costo! Dopo un buon minuto a scaldargli la pancia col mio volto, comodamente seduta, infilai la mano destra sotto i suoi pantaloni per cercare il suo pene. Trovai subito le mutande e non appena la mia manina si fosse soffermata abbastanza tempo sotto le sue mutande il suo pene in pochi secondi sarebbe diventato un vero cazzo. Avevo imparato questa nuova parola, ed ora sapevo cosa significava: lo sapevo in pieno. Mentre smanettavo sotto le sue mutande, e lui dimostrava di gradire le mie dita che gli cercavano il sesso, mi ricordai di non correre un’altra volta il rischio di venire scoperti. Ruppi quell’ovvio incantesimo dicendo rivolta ai droidi assegnati a me fuori la porta :

“Droidi, chiudere porta infermeria. Ragioni di privacy.”

Il droide con una trasmissione inviò l’ordine di chiusura alla porta dell’infermeria. Naturalmente in un secondo circa il droide passò la richiesta al computer di sorveglianza, che a sua volta la confermò essendo legittima, ed inviò quindi il segnale di chiusura. Greg evidentemente non lo aveva riprogrammato. Il computer rispondeva ancora a me. Ora eravamo soli con l’infermeria tutta per noi. Abbassai i pantaloni a Mario e dopo avergli scoperto il suo membro cominciai a muoverglielo impugnandolo per l’asta avanti ed indietro. Avvolto nella mia mano femminile quel pene ingrandiva secondo dopo secondo; e rallentando un po’ il ritmo, e stringendo un po’ la presa induriva progressivamente. Continuavo a masturbaglielo lentamente anche perché il gusto della presa in mano avevo imparato istintivamente a godermelo. Presa di quella carne vellutata e morbida che poi, grazie alla mia manina, diventava dura. Mario mi lasciava fare e cominciava a respirare più intensamente. Avevo imparato in quelle poche ore un nuovo gesto: la scopertura della cappella. Per farlo aspettai che indurisse ancora un po’. Dopo pochi minuti di tentativi di scappellamento presi la decisione che la mia mente aveva premeditato: glielo avrei preso in bocca. Ero curiosa di assaggiare il suo seme. Portai quell’asta verso di me, e mi ci strusciai il viso aggiungendo non pochi teneri baci alle parecchie carezze con le mie guance calde. Quel cazzo era mio e nessuno, neppure Mario, me l’avrebbe tolto. Johanna dopo averci visto a consumare sesso anale qualche ora prima una ragione doveva essersela fatta. Comunque non ci avrebbe disturbato. Mi aveva visto restare sola con lui, e non mi aveva più chiesto di uscire. Sputai un po’ di saliva al centro del cappellone di Mario, e dopo due tentativi iniziai a far entrare in bocca il suo membro virile. Provai a strozzarglielo chiudendo i denti sulla pelle di quel membro fino a metà dell’asta dentro la mia bocca esitante, ancora un po‘ ingenua. La cappella parzialmente strisciava sul mio palato superiore. Premendo con denti ne saggiai la durezza ed intanto pensai di carezzargli i testicoli con la mano libera. Non glieli avrei stretti; solo carezzati a dovere mentre con tutta l’oralità di cui ero capace bagnavo e succhiavo il suo cazzo ormai grosso e duro come volevo io. Avevo imparato in quei pochi secondi a respirare abbastanza bene per trattenere in bocca quel membro il più possibile. Andavo avanti ed indietro piano piano, e ad ogni mio affondare mi debordava un po’ di saliva che gli scendeva sull’asta. Guardando così da vicino potei avere una signora lezione di anatomia: sentivo pulsare e potevo vederla ingrandirsi la cosiddetta vena cava del membro di cui mi aveva parlato Miss Dera nelle lezioni di anatomia umana. Ora con la sperimentazione della mia bocca mi accorgevo che era la vera responsabile della durezza del membro maschile. I miei capelli solleticavano il ventre scoperto di Mario trasmettendo una curiosa correntina di prurito anche alle sue cosce maschili. Presi in mano con più decisione il suo membro, e mi abbassai con la bocca fino alla base delle palle. Sotto il mio mento le sfioravo e mi accorgevo che si erano gonfiate anch’esse. Adesso la sua cappella era in fondo alla mia gola sfiorando le tonsille. Andando su e giù con la bocca provai a succhiare, ma i sussulti di Mario sulla sedia si manifestavano solo quando muovevo la lingua sulla sua cappella. Provai a muoverla, però muovendola non potevo stringere la presa con i denti. Decisi di slinguargli il glande ben bene, da più direzioni come mi aveva suggerito lui durante il nostro incontro di sesso spinto. Avendo bisogno di prendere un po’ di aria lo tirai fuori dalla bocca reggendolo con la mano per timore che si afflosciasse. Timore infondato. Il sangue faceva la giusta pressione. Lo osservai qualche secondo investendolo con il fiato che usciva dalle mie narici. Ne sentivo l’odore, quella particolare “puzza di maschio” che mi faceva bagnare la vulva per la voglia. Ripresi a leccarlo, ma dall’esterno. Volevo vedere dove colpiva la lingua. La cappella era diventata violacea. Incuriosita dal centro della sua cappella provai a piazzarci un colpo di lingua facendo sussultare di brutto il mio uomo. Avevo paura che potesse cadere dalla sedia! Mi concentrai di più sul “pompino”, questa novità nella quale ogni secondo di più diventavo più esperta. Succhiavo decisa, ma lo sperma tardava ad arrivare. Pensai che non fosse solo una questione di succhio. Era chiaro che dovevo combinare il succhio con la lingua e soprattutto con la presa manuale. Provai con delle incursioni linguali lungo l’asta, tra asta e cappella dove c’era il suo frenulo (Miss Dera aveva notato la mia passione per l’anatomia maschile) ed ottenni un altro sussulto. Dunque anche il frenulo era sensibile! Richiusi la presa con i denti intorno al glande ottenendo un rantolo di dolore e di godimento da parte del mio Mario. Dispiaciuta per il dolore (ma era poi vero dolore?) chiusi le labbra alla base di quel glande violaceo e feci di nuovo mulinello con la lingua. “Pace fatta” pensai. Ripresi famelica a leccare la cappella, e mi fermai ad osservare la punta. C’era una timida goccia bianca che si apprestava ad uscire. Provai a succhiare e venne via. Si appiccicò alla mia lingua e provai a gustarla senza riuscire a focalizzare alcun sapore. Psicologicamente mi aspettavo un sapore simile alla soluzione di lipidi che mi veniva offerta tutte le mattine. Forse era simile, ma questa goccia era più amara ed appiccicosa. Innamorata di quel grosso membro presi a masturbarlo con la mano facendo sbattere il glande sul mio palato più e più volte. Forse avevo capito con fargli cacciare lo sperma. Di tanto in tanto tra quegli affondi davo un colpetto di lingua al centro ed un paio di leccate sui due lobi. Poi riprendevo con la sega. Mentre mi portavo la cappella sulla lingua, al termine dell’ultima ventina di colpi con cui avevo afferrato la sua asta, venni investita da uno schizzo improvviso, abbondante, biancastro, uno, due, tre schizzi; il quarto mi finì negli occhi. Il cazzo finalmente buttava. E buttava abbondante. Il mio viso era completamente sporco di quello sperma maschile. Ne catturai con lingua di fuori quanto più potevo, e riprendendo in bocca la cappella speravo di succhiargliene un altro po’. Mescolai lo sperma sulla mia lingua alla mia saliva e cercai di assaporarlo. Era amarissimo e purtroppo scoprii che si appiccicava. Me ne era rimasto un bel po’ tra le labbra, e lo ricatturai con la lingua. Istintivamente gli ripulii la cappella. Ingoiai il suo sperma e subito diedi dei colpi di tosse. Mario cercava di consolarmi. A mano a mano che riuscivo a ingoiare saliva, riuscivo anche a sciogliere quella densa sostanza biancastra apportatrice di nuova vita. Volli finire il mio lavoro. Presi in bocca tutta la cappella e poi feci entrare tutta l’asta. Ripulii tutto il corpo del membro virile di Mario per restituirgli un po’ d’igiene. Poi, chiusa di nuovo la mia bocca scaldai tutto il suo pene rimpicciolito dall’orgasmo con la mia guancia come all’inizio. Ci pensai su un pochino. Lo sperma maschile dopo tutto mi era piaciuto. Decisi che sulla nave alla prima occasione avrei cercato Mario non appena possibile, e mi sarei fatta offrire “un’adeguata colazione”. Scoprii che lo sperma tendeva ad assumere un sapore molto simile a ciò che Mario aveva bevuto qualche ora prima. Non credo che la mia passione per il sapore del pene maschile e della linfa che ne usciva potesse realmente ostacolata dalla mia custode Johanna. Mario stanco per lo stress dell’estrazione dentale e del mio appassionato pompino stava letteralmente dormendo. Continuai a “custodirgli” il membro sotto la mia calda guancia. Ero sporca di Mario sul viso. Lo sperma si era solidificato e raffreddato. Mi aveva anche irritato gli angoli della bocca. Mi alzai ed andai al rubinetto dell’acqua e dello sterilizzante. Mi lavai la faccia ed i denti con un piccolo risciacquo. I denti me li lavai con il dito bagnato. Presi una salviettina e dopo averla bagnata con acqua e sterilizzante andai con essa a lavare il pene di Mario. Ero una discreta mogliettina. Gli avvolsi dolcemente il membro sulla cappella e cominciai a ripulirglielo. Poi andai di nuovo al rubinetto, e ne presi un’altra per pulirgli l’asta. Dopo di che lo asciugai con una salviettina asciutta. Quindi glielo rimisi sotto le mutande e la tuta. Il cane mi seguiva silenziosamente e quando aprii la porta dell’infermeria l’animale uscì prima di me in perlustrazione. In sala riunioni Johanna stava parlando con Greg. Probabilmente gli aveva detto di me e Mario. Greg non aveva la solita faccia ottimistica. Era piuttosto perplesso. Sicuramente i rapporti di Mario e Greg sarebbero stati differenti da quel momento in poi. Presi la parola chiedendo loro:

“Che state facendo?”

Johanna rispose laconica:

“Ho fatto rapporto a Greg su quello che è successo nelle ultime quattro, cinque ore.”
“Che vuoi dire ?”
“Che Greg da capo-missione deve sapere alcune cose. Al ritorno sulla Terra la magistratura disporrà un’inchiesta sul comportamento del signor Van Brenner. Tu cos‘hai fatto stavolta? Per caso gli hai praticato la tua anestesia personale ?”
“Che vuoi dire?”
“Che il signor Van Brenner prima di conoscere te era un buon ufficiale, mentre ora non saprei come definirlo! O forse sì!”
“Ah, sì?! E come?”
“Uno squallido pedofilo!”
“Io sono quasi una donna, non più una bambina! E col sesso faccio come mi pare!”

Guardai Johanna senza alcuna espressione; Greg si rivolse a me dicendo con la pacatezza con cui lo avevo conosciuto:

“Ho saputo alcune cosette Koona. Anche se eri consenziente lui era tenuto all’autocontrollo. L’autocontrollo è la prima cosa che insegnano agli aspiranti nelle accademie civili e militari, specie in quelle di astronautica! Comunque visto che è il tuo pilota ormai, sai dirci come sta?”
“Sta dormendo.”
“Tra un’ora, - e non di più!- sveglialo! Io intanto verifico il TM. Tra due o tre ore lasciamo la base. Vuoi che ci pensiamo noi al tuo cane?”
“Il cane verrà con noi! Mario me l’ha promesso! Anche Johanna ha detto che non lo sopprimerà più.”

Johanna mi disse:

“Abbiamo avvertito il comandante di questo problema. Ha detto di provvedere come da regolamento. E di non badare ai capricci di una ragazzina.”

Divenni da fredda a stizzita in pochi istanti:

“Non m’interessa. Me la vedrò io col comandante. Mi prendo la responsabilità.”

Greg disse pacatamente:

“Non puoi prenderti responsabilità! Sei minorenne Koona!”

Johanna s’intromise:

“Non lo corromperai come hai fatto con Mario! Abbiamo avvertito il comandante di queste tue, diciamo, discutibili qualità. Non farti illusioni! Il commissario di bordo lo metterà agli arresti non appena arriviamo sulla nave. Dimenticati l‘idea di poterlo frequentare a bordo. La prima cosa che faremo sarà di separarvi. Ho suggerito che venga processato a bordo e imprigionato. Quando saremo nelle vicinanze di Marte verrà estradato sulla stazione Marte 3; è la più recente tra quelle costruite, e ha pure la prigione. Ce lo terranno un paio di anni marziani, ed intanto le autorità competenti sulla Terra ti avranno affidata a gente sicura con una nuova identità. Non rivedrai più nessuno di noi. In un certo senso non è colpa solo di Mario. Siamo noi che abbiamo fallito. Io per prima!”

Ero furente perché continuavano a suggerire di sopprimere il mio Rasputin. Per un attimo pensai di andare da Mario e dirgli cosa voleva fare Johanna. Poi, riflettendo meglio, pensai che fosse meglio di no. Avrebbe potuto anche ucciderli, o forse era solo una mia fantasia. Lasciai Greg e Johanna alle loro cose ed andai a vedere cosa aveva combinato Mario con la capsula per il cane. Arrivata in officina la esaminai: vidi che aveva solo aggiunto una sorta di cintura che lo tenesse fermo lì dentro anche se il mio cagnolino restava fermo e disciplinato. Mentre esaminavo il portello di chiusura per vedere se Mario aveva cambiato qualcosa trasalii all’improvviso: Mario si era svegliato e mi aveva palpeggiata la natica destra. Mi lasciai palpeggiare un altro paio di volte mentre mi baciava sul collo e mi stringeva uno dei seni. Quando stette per portare la sua mano sinistra sopra la superficie della mia vulva gli scostai la mano, ma gli lasciavo fare il resto. Sentivo le sue labbra e la sua lingua tra collo e mento e dopo un paio di istanti dietro e poi dentro l’orecchio sinistro. Aumentò la presa sul seno destro. Mi stavo eccitando di nuovo. Se continuava così mi sarei bagnata presto. Trattenei la sua mano sinistra perché non mi risvegliasse la mia zona erogena più umida … e provai a distoglierlo facendo conversazione mentre lui si riteneva padrone di baciarmi e parlarmi, oltre che di leccarmi dietro la nuca:

“Ho visto che hai aggiunto una cinturina. Ahnnn. Uhnn!”
“Sì. Hummm. Ogni due ore dovrai aprire la capsula e cambiargli l’aria. Pciù! Il cane non dovrà mai lasciare la capsula. Per due giorni saremo senza gravità e non voglio che ci sporchi tutto intorno. Ricordati che ci sono anche Greg e Johanna.”
“Ce l’hanno con te. Uhmmmm.”
“Sì, me lo immagino. Non mi perdonano che mi sono fatto sedurre da te.”
“Non hai paura di finire dentro?”
“Un po’. Ma non è detto che succeda. La mia parola contro quella di Johanna che secondo me era gelosa di te. Verrebbe indagata anche lei. Mi si è offerta.”
“Mi ha detto di averlo fatto perché in cambio non mi avresti toccata.”
“Dici? Era lei che voleva fare sesso. Chissà da quanto tempo non si faceva toccare da un uomo.”

Mario premeva col suo bacino, del quale sentivo il suo pene duro, contro le mie natiche.

“Vuoi ancora scopare ? Ha detto Greg che fra poco partiamo.”
“Strano a me non ha detto niente. Poco fa l’ho visto, e non mi ha degnato di uno sguardo.”
“Finiscila di spingere col tuo … coso… non mi va più di fare il sesso.”
“Come vuoi signorina. Allora direi che possiamo prepararci. Assicurati che il cane faccia la pipì prima del viaggio.”

Mario smise di spingere e di toccarmi. Io ritirai la capsula per Rasputin ed andai in soggiorno. Il cane mi venne incontro scodinzolando. Greg stava armeggiando col computer centrale: aveva inserito delle schede rosse e verdi negli slot di connessione (che a me né a mia madre non erano mai serviti), ed a mano a mano che comparivano delle schermate con dei simboli a me sconosciuti, toglieva questa o quella scheda digitando delle istruzioni da una sua tastiera personale. Aveva aperto dei pannelli che io non avevo mai osato aprire che contenevano dei blocchi che Greg non toglieva contrariamente a quello che avevo visto fare negli olomuvj nei quali il computer impazziva e l’eroe lo fermava in tempo per salvare la sua bella togliendo i blocchi di memoria … Greg continuava a dialogare con il computer soltanto attraverso quella sua tastiera a sfioramento. Tuttavia la sua connessione non era wireless. Un cavo collegava quella sua speciale tastiera a quell’elaboratore che mi aveva fatto compagnia tutto il tempo addietro. Neanche immaginavo che il mio rapporto con il Sorvegliante si era già concluso senza un saluto, né da lui, né da me. Eppure provavo qualcosa per quel computer quantistico. Pensai di chiedere a Greg che stesse facendo e lui mi rispose prontamente:

“La manutenzione di sicurezza, devo farla per conto della compagnia mineraria prima di lasciargli la base in gestione. Sono loro i proprietari di quest’enorme bestione che sorveglierà la base ed il reattore mentre non ci saranno umani. E non ci saranno per un bel po‘.”
“Io l’ho sempre chiamato computer. Come si chiama il coso che stai cosando ?”
“Galaxiamax Quantum Multilevel mark 3000 modello A, per gli amici George!”
“George?”
“Sì, era programmato per interagire usando un proprio nome di persona. Il suo era George. Non lo sapevi?”
“Io l’ho sempre chiamato computer o Sorvegliante …”
“Potevi anche chiamarlo George. Ma evidentemente il computer ha desunto che non era il caso di contraddirti. Lui in fondo non ha gusti.”

Meravigliata domandai:

“Potevo chiamarlo George?”
“Sì. Gli hai mai chiesto “come ti chiami”?”
“No. L’ho sempre chiamato computer, come faceva la mamma.”
“Ah, capisco.”
“Quella A finale per cosa sta?”
“Semplicemente Advanced. Modello avanzato. George era di un nuovo tipo: prendeva decisioni autonome sulla base delle sue esperienze. Il reattore però non mi va di lasciarlo a lui anche se è molto avanzato. La compagnia non ha sviluppato adeguati algoritmi di gestione a lungo termine delle scorie nucleari della fissione. Fuori dal pianeta Terra e dalla Luna se ne fregano delle misure di sicurezza.”
“Perché dici così?”
“La legge terrestre di navigazione spaziale pretende che i computer di sorveglianza siano di un determinato tipo; e George senza dubbio lo è. Tuttavia così non può dirsi per il suo software! Non vengono aggiornati né acquistati con regolarità, ed il software di George ho visto da solo che è molto vecchio. Di almeno dieci anni fa, quando George era il non plus ultra. E lo sarebbe anche adesso se fosse stato dotato di un buon software … purtroppo la compagnia risparmia.”
“Ma il reattore chi lo spegnerà?”
“Lo spegnerò io, ma per favore non mi fare domande sul nucleare! Motivi di sicurezza.”
“Certo, stai tranquillo.”
“E quello che ho detto adesso non lo ripetere sulla nave, intesi ?!”
“Sì Greg, d’accordo. Sarò muta:”
“La compagnia ha deciso di chiudere la base qui. Non rende abbastanza questo posto. Sto agendo di mia iniziativa. Spegnerò io il reattore, personalmente, usando i comandi manuali. George al pieno delle sue potenzialità, per preservare le nostre vite non mi farebbe accedere al reattore del braccio 3. Una volta che spengo il reattore nessuno, nemmeno George, potrà riavviarlo. Quindi se dovessimo restare qui sarebbero problemi … sarà tutto freddo e buio.”
“Ma il computer ha paura del freddo e del buio ?”
“No. Si tratta pure sempre di una macchina: è priva di emozioni.”
“A me ha detto che stava imparando.”
“Sì, è fatto anche per imparare, e per un motivo mio, umano, gli sto preservando la memoria multi-livello nella remota ipotesi che qualcun altro venga mandato qui. Ma la compagnia bada al profitto non al progresso dei suoi computer!”
“Me lo faresti salutare prima di spegnerlo ?”
“Temo sia tardi. Adesso è un normalissimo computer dipendente in tutto e per tutto dalla programmazione umana. Ci potresti dialogare soltanto con la tastiera. Solo linguaggio macchina.”

Carezzai istintivamente l’oculare dal quale il Sorvegliante mi guardava o meglio mi facevo guardare:

“Non sapevo che gli eri affezionata.”
“Beh, sai andarmene così … ”

Greg con un tono semi serio mi disse con solennità:

“Dai, togliamoci il pensiero Koona!”
“Che vuoi dire?”
“Koona! Proveresti a fare una tua richiesta al computer?”

Mi rivolsi al computer come facevo sempre:

“Certo, George ! Prepara il TM per un’uscita!”

Mi aspettavo una risposta immediatamente, ma non ci fu. Usai il nome generico che usavo sempre:

“Computer ! Prepara il TM per un’EVA. Esplorazione esterna del settore C-3, scopo didattica. Prego confermare.”

Silenzio. “George” non mi rispondeva. Greg se l’aspettava e mi disse:

“Mi dispiace Koona. Non sei più la padrona di casa. Ho disinstallato tutti i programmi d’interazione diretta con gli umani. D’ora in poi sorveglierà solo la base. Qualunque porta o pannello, una volta che noi si è fuori di qui, si aprirà solo dietro presentazione dei miei codici sorgente. Per ora non li ho ancora inseriti così puoi muoverti liberamente. Johanna è andata a prepararsi. Cosa fa il nostro pilota?”

I droidi, i miei acefali compagni a quattro braccia, raggiunsero il lato muro, e si spensero ripiegando le braccia meccaniche. Non si mossero più.

“Vado a vedere se è pronto. Andiamo Rasputin, vieni.”

Tornai in officina lievemente delusa, e vidi Mario che si stava mettendo in tasca qualcosa. Gli chiesi cosa fosse. Non mi rispose. Io non insistetti. Gli dissi però che Greg era pronto a lasciare la base.

“Allora direi che è meglio andare ora al bagno. Poi per due giorni dovrai farla nella tuta attraverso un tubo.”

Andai al bagno della base seguita dal cane al quale non importava niente che i droidi non mi seguissero più. Portai con me la capsula per il cane. Mario raggiunse Greg in soggiorno. A quanto potei vedere non si parlarono fino a quando non si fece vedere anche Johanna con due valigie. Lei era pronta evidentemente. Greg tolse tutti da quel gelido imbarazzo esordiendo:

“Signori, adesso mi recherò nel braccio Tre, quello che a voi è proibito per legge. Spegnerò il reattore e qui dove siete voi alcune cose si spegneranno automaticamente. Se dovete prendere qualcosa per cui occorra energia fatelo adesso perché tra dieci minuti qui inizierà a far freddo e le luci non essenziali verranno spente.”

Nessuno di noi doveva fare niente e nessuno di noi si mosse. Greg disse soddisfatto:

“Bene, ci vediamo tra una ventina di minuti. Aspettate qui. I corridoi e gli ingressi resteranno illuminati.”

Greg ci lasciò e si diresse verso il corridoio che portava al braccio tre senza casco dato che i tre bracci della stazione comunicavano. Era solo questione di piedi. Io dato che percepivo l’imbarazzo di Johanna e Mario pensai di chiedere:

“É difficile spegnere il reattore?”

Mario mi rispose subito con tono tranquillo:

“No. Greg deve soltanto andare nel quadro comandi e spegnere alcuni interruttori. Il computer farà il resto.”
“Greg ha detto che lo avrebbe fatto manualmente, dato che il software non lo convinceva.”

Johanna intervenne e mi disse con un tono amichevole:

“Non deve avvicinarsi alle pastiglie di uranio. Stai tranquilla. Alla peggio può semplicemente comandare il default delle barre di controllo … poteva farlo da qui col computer, ma se ha voluto farlo da solo è perché è un perfezionista. ”

Johanna mi illustrò a gesti con le dita dritte della sinistra che entravano nella sua mano destra piegata a botte la disposizione ed il movimento delle barre.

“Guarda qui: le barre di grafite che s’interpongono tra le pastiglie di uranio si abbasseranno del tutto per gravità mediante una specie di crollo da sopra, e la reazione nucleare finisce una volta per tutte!”
“Ah, capito. Boh.”
“Fissione nucleare, i neutroni che scindono l’uranio trovano nelle barre un ostacolo e non riescono a raggiungere gli atomi fissili perché sono assorbiti dalla grafite.”
“Qualcosa mi aveva detto Miss Dera, ma io per la fisica non sono molto portata.”

La conversazione ci aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Dei rumori di fondo che ero abituata a sentire fin dalla nascita cessarono; la cosa mi lasciò stranita. Adesso sentivo il nudo gelido silenzio della base. Nel frattempo si spensero anche alcune luci e l’ambiente divenne più grigio. Il soggiorno era quasi del tutto buio. Solo presso l’ingresso ed il corridoio esterno erano rimaste accese alcune luci. Iniziava a fare caldo. Il condizionatore d’aria era stato spento evidentemente. Greg stava tornando. Ne sentivo distintamente i passi. Si presentò davanti a noi in penombra:

“Se siamo tutti pronti direi che possiamo lasciare questa base. Tu Koona e sorella Johanna nel TM. Tu invece Mario, piloterai il nostro rover insieme a me! Lasciamo il comodo TM alle donne.”
“Come vuoi.”
“Allora direi che possiamo andare in sala vestizione. Il computer spegnerà tutto a mano a mano che lasciamo i locali. Johanna, hai preso abbastanza provviste liofilizzate ?”
“Ho tutto qui. Vedi la latta ? La scorta d’acqua dolce è di cinquanta litri in tutto. Trenta sono in dotazione alla Pegaso.”
“Bene. Koona, metti in sicurezza il cane. E conta due ore a partire da adesso. Speriamo che quella capsula funzioni.”
“Vieni qui Rasputin!”
“Bau ! Bau! Woufffff ! Bau!”

Il cane conosceva quella capsula. Vi entrò disciplinatamente e si lasciò legare attraverso il cinturino che lo tratteneva, cosa per lui abbastanza insolita. Generalmente ci fidavamo l’una dell’altro. Gli aprii l’ossigeno. Quindi ci recammo in sala vestizione. Non mi potei portare via niente, era già tanto che mi stavano lasciando il cane. Indossammo in silenzio le tute. Io ero abituata ad indossarla da sola. Mi accorsi in quel momento che la tuta puzzava del mio sudore. Non l’avevo mai fatta pulire dai droidi. Sperai solo che non se ne accorgessero. Johanna mi aiutò con le maniche ed i guanti e Greg aiutò Mario a sistemarsi il casco, quindi Greg aiutò Johanna. Ci guardammo intorno. Ormai avevamo tutti e quattro il casco e Greg mi stava dicendo qualcosa a gesti. Non capii subito, ma continuando a non sentire la sua voce mi venne in mente che dovevo accendere la radio. Greg mi fece cenno per dirmi in quale punto della manica c’era il comando di comunicazione per le tute.

“Mi senti Koona?”
“Sì.”
“Mario ? Johanna?”

Anche loro risposero di sì. Greg ci fece un’ultima raccomandazione:

“Allora andiamo. Io e Mario usciremo per primi. Poi Johanna e Koona. Verificate che i caschi siano bloccati. ”

Controllati i caschi che fossero fermi ci avviammo per quello stesso semibuio corridoio dove li avevo conosciuti due giorni e qualche ora fa. I due uomini andarono avanti a noi di due metri. Io dovendo portare Rasputin camminavo lentamente. Johanna cercava di restarmi accanto. Ero grande, e non trovavo necessario farmi prendere la mano da lei. In due minuti arrivammo alla prima anticamera. Greg infilò una tesserina in uno chassis e il primo pannello scorse aprendosi. I due passarono avanzando fino ad un secondo uscio a pannello. Poi ripeté l’operazione con la seconda porta che si aprì. Già sapevo che sarebbe rimasta aperta mezzo minuto al massimo dopo di che si sarebbe richiusa comunque per non disperdere troppo ossigeno dal di dentro del corridoio. Greg e Mario uscirono all’esterno e si voltarono facendoci segno di uscire a nostra volta. Non appena passammo la prima porta questa si richiuse dietro di noi. Passammo all’esterno senza curarci della seconda porta. L’avrebbe richiusa il computer in automatico. Fuori l’atmosfera era fredda. Davanti a noi l’orizzonte montuoso ed irregolare di Titano. I soliti anelli del nostro gigante Saturno che occupavano quasi tutto il cielo. Greg avanzò verso il TM ed andò ad aprirlo. Mario fece un cenno di saluto a Johanna che non gli rispose e si diresse verso lo scheletrico rover con cui erano arrivati qui da me. Cinquanta metri davanti a noi Greg era riuscito ad aprire il TM e vi entrò dentro trattenendosi ai comandi mezzo minuto, poi chiamò me e Johanna che mi era accanto in interfono.

“Johanna. Koona. Venite, il TM è pronto.”

Camminammo e in trenta secondi raggiungemmo il mezzo bianco e grigio. Salii io per prima e misi Rasputin da parte, poi aspettai che salisse anche Johanna. Mi recai in cabina di pilotaggio dove Greg mi aspettava davanti al quadro comandi, ridotto all‘essenziale, per lo più automatizzato. Greg aveva introdotto una scheda-badge con la rotta da seguire fino alla Pegaso :

“Koona, tu sai guidare il TM, vero?!”
“Sì.”
“Ho regolato la velocità massima per quindici km orari. Non superarla. O io e Mario non potremo starvi dietro. Guideremo il rover accanto a voi sulla destra. Mi raccomando Koona.”
“Ok, sta tranquillo Greg, ci penso io.”

Greg si rivolse a Johanna:

“Johanna! Koona sa guidare questo mezzo, lasciala fare. Sentite propongo di tenere le radio accese sempre. Sacrificheremo la privacy in favore della sicurezza reciproca. D‘accordo ?”
“Sì, Greg. Anche tu fai attenzione.”
“Johanna, se mi dovesse succedere qualcosa, lasciate fare a Mario, che è un buon pilota.”
“Fai attenzione Greg, tu sei in un rover esterno. Noi due nel TM siamo al sicuro.”
“Direi che è tutto. In gamba Koona!”
“Tranquillo Greg!”

Greg scese dal mezzo. Padrona della cabina chiusi il TM e attesi la purificazione dell’aria com’ero abituata a fare quando ero sola. Quando la spia divenne verde, segno che l’aria interna era stata purificata e resa respirabile, aprii il casco e lo deposi per terra. Avrei pilotato in piedi a testa nuda. Johanna mi toccò la spalla. La aiutai a svitare il suo. Lei mi fece cenno di no. Si limitò ad alzare la visiera. Potevo vedere la sua testa, e la sua cuffia bianca paracapelli (cortissimi). Prima che mi chiedesse perché mi ero liberata andai da Rasputin e lo liberai dalla cintura della capsula quindi la aprii. Liberai il cane che andò fiero a piazzarsi sopra il quadro comandi con le zampe sul plexiglas del parabrezza com’era abituato a fare con me. Johanna mi disse:

“Ti metti in libertà, vedo.”
“Dai svita il casco! Ci vorranno due ore.”
“Sulla Pegaso dovrai tenere la tuta due giorni, lo sai?”
“Sì.”
“Noi siamo pronte Greg! Koona si è svitato il casco…”
“Non fa niente. Se ha acceso la radio del TM.”
“Accesa Greg! Mi senti?”
“Sì, Koona.”
“Allora direi che potremmo muoverci. Seguimi Greg. Poi ti faccio passare avanti.”

Diedi potenza a un quarto della tacca, un settore rosso lungo tre cm, con l’indice della mano sinistra, quindi portai una ministick posta più a destra in avanti dritta, con la mano destra naturalmente. Il TM si mosse dolcemente con un grazioso brusio elettrico lievemente acuto. Avanzammo una decina di metri in cinque secondi. Portai la tacca della potenza con il polpastrello e mezza potenza, settore giallo, e la velocità salì a sette km orari. Il mio Rasputin felice condottiero stava davanti a me solleticandomi il mento con la coda. Vidi che anche Greg e Mario avevano avviato il rover. Mantenni sette orari dritta davanti a me per dare loro il tempo di affiancarsi alla nostra destra un metro almeno di lato. Mi assicurai che il rover potesse procedere più avanti, poi portai la tacca della potenza a due terzi, verso il settore verde; mi aspettavo che la velocità arrivasse a dieci orari, ma lo schermo digitale segnava undici punto quarantadue. Il terreno era piuttosto irregolare con qualche piccola buca ogni cinque sei metri e talvolta meno. A noi ci proteggevano gli ammortizzatori. Greg che guidava il rover doveva invece fare più attenzione. Fortunatamente era “sereno” e speravo che si mantenesse così. Le ruote del TM erano state lubrificate, facevano meno rumore del solito. Davanti a noi l’orizzonte con metà del pianeta madre ed i suoi anelli coperti da una nebbia giallo grigia. Regolavo la velocità con un certo anticipo rispetto a loro due per non sorpassarli. Non dovevamo temere di perderci, la strada era stata pre registrata sulla scheda-badge di Greg. Infatti potevo vedere che stavo passando sopra i solchi lasciati dal loro rover l’altro giorno, quando vennero alla base. Il loro rover prendeva parecchi scossoni. Guidava Greg. Mario si limitava a reggersi agli scheletrici corrimani ed appoggi del loro mezzo col motore elettrico posteriore. Non li invidiavo e mi sentivo un po’ in colpa per loro. Noi due eravamo al caldo della cabina del TM a ventidue gradi di temperatura. Fuori c’era centottanta sotto zero. Le loro tute erano scaldate elettricamente dal mezzo. Dissi a Johanna che stava in piedi accanto a me.

“Tranquilla Johanna, so guidare questo mezzo, puoi sederti se vuoi.”
“No. Preferisco stare in piedi, così vedo cosa fanno loro.”
“Meglio rallentare, tra poco vedo che ci sono parecchie buche.”

Rallentai l’andatura a cinque km/h e per due lunghi minuti finimmo sballottate entrambe da piccoli frequenti scossoni. Davanti a noi, per l’attrito, pozzanghere di metano ed ammoniaca liquidi evaporavano davanti al parabrezza. Non mi curavo del rover dato che loro avevano più manovra del nostro grosso mezzo. All’improvviso la mini stick si portò da sola, automaticamente, verso destra trascinando la mia mano con la quale istintivamente avevo opposto una certa resistenza (ma era tutto programmato); il TM svoltò di una sessantina di gradi verso destra completando il cambio di direzione in dieci - dodici secondi. Quindi il computerino di navigazione del TM mi restituì l’autorità sulla mini stick che riportai in avanti dalla posizione neutra in cui era tornata. Anche il ronzio elettrico tornò più regolare. Guardai a ore due, e vidi che Greg si era stabilizzato nel nuovo sentiero poco avanti a noi, come sempre. Ristabilii la velocità a dieci orari circa. Misi in stand by la radio del TM; poi feci cenno silenziosamente a Johanna di spegnere la radio senza avvertire Greg. Johanna mi guardò per un istante, poi accettò di spegnerla. I due maschi sul rover sembravano non essersene accorti dovendo guidare un mezzo scoperto.

“Johanna! Denuncerai Mario al capitano, una volta a bordo?”
“Certo. Mi ero offerta, ammetto un po’ ingenuamente a lui; ma è stato inutile! Non avevo tenuto conto del tuo carattere.”
“Ma a me Mario piace. Lo dirò al comandante.”
“E io dirò che doveva autocontrollarsi, invece di toccarti.”
“Ma ho quasi sedici anni. Non conta questo?”
“Conta poco. Anche se hai la consapevolezza sessuale sei sempre minorenne.”
“Ma non mi ha fatto niente. Io volevo fare il sesso con lui. E poi è un così bell’uomo!”
“E tu sei una così bella stupidina. Non hai la benché minima idea di cosa fanno gli uomini!”
“Johanna, non hai paura che ti succeda qualcosa sulla Pegaso?”
“Sulla Pegaso lo spazio è poco, e si sta stretti, e poi starò sveglia! Puoi starne certa.”
“Sai Johanna, prima ho visto che Mario si metteva in tasca qualcosa in officina.”
“Che cosa?”
“Non sono riuscita a vederlo e gliel’ho domandato; solo che non mi ha risposto.”

Johanna ci pensò su un secondo. Io ne approfittai per guardare lo schermo di navigazione. Davanti a noi c’era un ostacolo. Una collinetta alla quale non avremmo girato intorno; piuttosto l’avremmo attraversata salendo e discendendo. Mentre ci avvicinavamo rallentando l’andatura Johanna mi disse:

“Bah, non so Koona. Una sola cosa devi promettermi a questo punto!”
“Cosa?”
“Se dovesse succedere qualcosa, qualunque cosa di spiacevole, tra me, Greg e Mario dentro la Pegaso, tu non fare niente! Non cercare di saltarmi addosso come hai fatto alla base. Promettimelo Koona! Adesso Mario non è più lo stesso di quando siamo partiti per venirti a salvare.”
“Promesso.”
“Adesso fammi vedere come superi questa collina.”
“Non è molto alta. Basteranno cinque minuti.”

Avanzammo noi rispetto al rover. Il TM si preparava ad affrontare la salita lunga un centinaio di metri. Sulla sommità saremmo stati a dieci metri circa dal suolo. Poi una discesa di un altro centinaio di metri. Aumentai la potenza al massimo mentre eravamo circa a metà salita, ed il rumore elettrico sul TM divenne più acuto prima di ristabilizzarsi. Intanto l’indicatore di carica delle batterie di movimento era sceso all’ottantacinque per cento. Tenevo la mini stick salda armeggiando con la potenza con il polpastrello dell’indice. Avevo un certo nervosismo che mi provocò un mini crampo alle dita tese fino allo spasimo per gestire istantaneamente il cursore della potenza. All’improvviso sentimmo distintamente un botto proveniente dall’esterno. Era un tuono. Tanto per gradire tra poco sarebbe scoppiato un temporale. Cosa normalissima su Titano. Johanna trasalì a causa di qualche fulmine che aveva colorato l’innaturale cielo giallo e grigio davanti a noi. Era diventato di un grigio più scuro. Le argentee montagne titaniane davanti a noi erano quasi del tutto scomparse dietro le nube addensatesi. Anche Saturno cominciava a non essere più così visibile. Calò una certa oscurità. Io vi ero abituata; Johanna no. Iniziò a piovere e mi accorsi che si era innervosita. Intanto salivamo a tre km l’ora. Johanna disse:

“Fermiamoci e facciamoli entrare nel TM finché non smette di piovere, no?!”
“No. Non ora! Se mi fermo adesso che siamo in salita perdo troppa potenza. Dovremmo ripartire da zero e consumeremmo di più.”
“Ma loro sono fuori!”
“Non preoccuparti; arrivati giù dall’altra parte mi fermerò a motore acceso. Se ci supereranno vorrà dire che sarà andato tutto bene.”

Pioveva metano e forse anche ammoniaca. Mario e Greg erano protetti dalle sole tute con i caschi. Probabilmente erano dietro di noi. Mi venne in mente che avevamo spento le radio. Feci cenno a Johanna di riaccenderla, e riaccesi anche quella del TM. Prontamente sentimmo le due voci maschili.

“Finalmente avete riacceso! Siamo sei metri dietro di voi. Continuate. La pioggia è sopportabile. Ci teniamo sulla destra. Koona, visto che piove a vento da sinistra ci ripariamo restando a destra del TM. Ci fermeremo quando vi fermerete voi. Va bene?”
“Affermativo Greg.”

Il TM arrivò sul piano superiore della collina rocciosa.

-continua-
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