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incesto

Michele, tre teste e tre candele 1a p.


di sexitraumer
14.02.2011    |    18.322    |    0 6.3
"In lacrime accolse il seme mio che caldo le si riversava nei visceri..."
(prosieguo di “Aymone 2° p. (con Filomena assaporandosi)”)

Il mondo di Toraldo e Olivina, Terra d’Otranto XVI secolo

Alla fine dopo un buon girovagare per il paese, ormai scarico del sesso con mia sorella Olivina trovai la moglie mia Francesca in compagnia di Filomena che avean fatto spesa al mercato. Filomena mi salutò sorridendo con un lieve inchino, mia moglie Francesca mi diede un bacio ed un ampio sorriso anch’essa. Aveva un aspetto gaio.
“Ben trovato marito Toraldo. Abbiam fatto compere come potete vedere… spero che a voi non dispiaccia se spesi li denari che mi deste stamani.”
“Ben trovata anche voi moglie mia, e a voi Filomena…”
Mia moglie non badò troppo al mio rivolgermi alla giovane lavorante con cui aveva potuto girare pel paese in ore di mercato.
“Avete saputo signor marito ?”
“Cosa moglie mia?”
“Domani, qui vicino, decapiteranno tre condannati, de’ quali qui si dice, una leggiadra donnina di anni venticinque… una straniera!”
“E allora Francesca?”
“Sarei invero un po’ curiosa, mi ci portereste?”
“Voi mai lo credereste moglie, ma poc’anzi, sarà passata un’ora, incontrai per caso un tal Michele; una sorta di brav’uomo che affitta la stanza sua che da sul patibolo da sopra di un piano. Pensate, ci farebbe assister dalla sua finestra per soli dieci ducati…e io lo mandai via imperocché a me le esecuzioni capitali piacciono punto.”
“Oh, che peccato! Mi sarebbe piaciuto d’assistere; dunque sarà per un’altra volta. Sapete Filomena da piccola vidi un’impiccagione, e non mi piacque granché. Voi per caso assisteste mai ad un’esecuzione capitale?”
“Il fidanzato mio, Luca, mi portò a vedere un’esecuzione colla ruota. Fu uno spettacolo rivoltante vedere come il boia martoriava quel corpo di uomo colpevole ad ogni giro della ruota. Quindici giri e non somigliava più ad un uomo…ed intanto me si vomitava parecchio che anche il mio fidanzato stette male…”
“Marito mio Toraldo! Mai vidi una decapitazione, mi ci portereste?”
Io che avevo assistito da vicino all’esecuzione di una mia discussa compaesana, per giunta di mia conoscenza personale, vi assicuro che non è un bello spettacolo veder una testa quasi tosto mozzata cader da corpo ancor pulsante; se non legavano le mani poi, le braccia si muovevano per conto loro…forse mia moglie avea bisogno di uno schiaffo ben piazzato, o forse solo di assister una volta per non andare ad altre. Quale delle due lezioni darle?
“Sapete messer Toraldo se posso permettermi...”
“Cosa Filomena? Dite pure!”
“Domani il boia userà un modo, dicon tutti nuovo, di mozzar la testa…”
“Ah, sì…?”
Intervenne mia moglie Francesca:
“Ne parlavano al mercato, il boia monterà una specie di macchinario di solido legno ben stagionato, con la corda e la lama sospesa da sopra. Dicono che mettono la testa de’ li condannati, uno alla volta, in un cerchio di legno siccome giogo di gogna, mi capite signor Marito?...una specie di stretta cavezza…insomma gli ci fan infilare il collo…”
“Giogo, certo, dite Francesca…”
“Il giogo di legno tiene la testa ferma col condannato chino, quando il boia taglia la corda tesa la lama scende rapida e…zac! La testa rotola per terra attorno. A noi lo fece vedere il macellaio in piazza del mercato con una testa di capra morta…allora signor marito mi porterete? ”
“Dunque volete assister di persona? Cosa vi rese così curiosa Francesca ?”
“Non ci crederete marito mio Toraldo, ma la donna leggiadra morrà alla mezza con la veste da primavera della nostra Filomena…generosamente la lavorante di vostra sorella le donò l’abito suo del corredo…”
“Cosa dite Francesca…?”
S’intromise Filomena che iniziò il suo racconto di ciò che era successo di primissima mattina, quando il sole era sorto da due ore o meno:
“In verità un vecchio prete stamani presto, mentre voi si dormiva alla vostra locanda, venne da vostra sorella Olivina…”
…il prete, un uomo anziano, entrò in locanda e tosto chiese chi fossero i padroni. Il giovane Roberto, ancora con la stampella, si svegliò dal dormiveglia, e fatti due passi verso il banco dell’ingresso suonò il campanaccio, poi tornò ad assopirsi sulla panca vista l’ora di mattina presto. Vostra sorella Olivina, già sveglia d’abitudine, accorse, e vedendo davanti a sé un uomo di Dio fece una riverenza all’anziano religioso, che a sua volta si tolse lievemente lo zucchetto in segno di saluto…
“Son la locandiera Olivina Tresoldini, per servirvi padre. Orsù ditemi! Vi occorre una camera?”
“No. Non son qui per una camera. Piacer di conoscervi Olivina, mi chiamo Padre Rodolfo e mi manda l’amministrazione del carcere; permettete che sciolga il fagotto sul tavolo davanti a voi signora?”
“Prego padre. Fate pure.”
Il prete sciolse il fagotto, e svolse sopra il banco una veste da donna, di color del grano secco, e la mostrò alla locandiera. Non avea l’aspetto di una veste di lusso. Ricami invero pochi, nonché qualche motivo floreale, opaco più che mai, fra le tessiture. Era anche consumato, e ormai così sporco che donna veruna lo avrebbe indossato, neanche per i lavori di fatica.
“Con tal veste havvi a morir domani alla mezza una donna di anni venticinque, mia signora; siccome mi dissero che avete, o meglio potete gestire anche una lavanderia nella locanda, potreste farla lavare, e rapidamente farla asciugare e passarla al ferro da stiro ? Verrei a ritirarla io stesso domani alle undici. La donna, invero una ragazza ingenua di nome Odetta o Odette,- non son pratico del francese perdonate -, dovrebbe indossarla prima di avviarsi allo patibolo. Vorrebbe morir con l’abito pulito; questo solo sarebbe il suo disìo l’ultimo. Altri abiti non li possiede. Le guardie le diedero per queste ultime ore sue una divisa d’alabardiere, ma trattasi di vestizione provvisoria che non s’addice ad una donna, sapete, onde non giacer ignuda in cella…capite?!”
“Comprendo padre, ma come fare? Voi venite solo adesso. C’è così poco tempo di qui a domani! Fate veder meglio padre, posso?”
“Prego signora, fate pure voi che siete del mestiere!”
La mia padrona esaminò attentamente la veste, poi si pronunciò.
“Questa al tocco sembra veste alquanto lisa, vedo andrebbe rammendata, non so se possa reggere il lavaggio…per non parlare poi del poco tempo, e del poco vento, credetemi, da due giorni a questa parte!”
“Voi dite ?!”
“No, per domani non se ne parla neppure…”
“Posso pagarvi per l’urgenza signora. Le offerte dei fedeli son state generose ultimamente.”
Il prete mise cinque ducati sul banco, ma Olivina, che pur abbisognava continuamente di denaro, avea capito che non era il caso di farsi pagare.
“Non disturbatevi padre, tenete quei denari per li poveri…piuttosto ditemi che taglia è questa poveretta ?”
“Alta quanto voi signora, in verità più snella, e di buon sembiante aggiungerei…oh! Scusatemi signora, non volevo fare apprezzamenti sulla vostra bellezza…sono un vecchio sempre più sbadato ormai…”
Olivina ci pensò un minuto buono, forse due. Era silenziosa ed il prete si stava preoccupando…
“Vi contrariai troppo signora?”
“Attendete padre! Filomena ! Sei sveglia?...”
Dall’interno della locanda comparvi io ch’ero tenuta a svegliarmi presto con la mia padrona. Pronta dissi:
“Eccomi padrona, comandate.”
“Padre Rodolfo, direste che ha più o meno la taglia della mia lavorante?”
Il prete mi squadrò ben bene, tanto che non sapevo se dovessi fargli riverenza, e così mostrargli il petto; poi mi chinai soltanto un poco; questi poi si pronunciò:
“Sì, direi che potrebbe andare. Sì credo proprio di sì.”
“Bene, padre! Filomena…!”
“Dite padrona…”
“Vai a prendere la tua veste di primavera del corredo, e portala qui tosto!”
“Va bene, ma perché padrona?”
“Non discutere, vai!”
Andai a prendere la veste che vostra sorella Olivina mi aveva acquistato e cucito, e rifinito da sé tempo prima (per il mio corredo da sposa). Tornai con la graziosa veste, e Olivina mi disse di stenderla sul banco; poi interrogò il prete:
“Pensate che possa andare?”
“Direi di sì, ma ho sentito parlare di corredo, chi si dovrebbe sposare?”
“Filomena, entro un paio d’anni o forse meno. Filomena v’impresterà l’abito per l’esecuzione…io intanto laverò la veste di questa Odette, e dopo la …”
“Decapitazione!”
“La decapitazione allora! Il boia le cambierà l’abito con calma…prima di chiuder del tutto la bara.”
“Ma padrona Olivina, non pensate al sangue? Mica la impiccano la poveretta. Le mozzeranno il capo. Scorrerà a fiumi il sangue… non esce a lavarlo…”
“Già è vero…il sangue !”
“Oh!”
Olivina ed il prete compresero la superficialità del piano di Olivina. Ci fu un lungo imbarazzato silenzio dei due (Roberto dormiva o fingeva per convenienza); dissi io a questo punto:
“Oh, no signora ! A me questo prete ispira simpatia. Se è per una condannata a morte, a questo punto glielo regalo! Ma voi, padrona Olivina, me ne comprerete un altro a vostre spese! Se mi permettete l’ardire…”
Prima che vostra sorella mi rispondesse intervenne subito il prete:
“Olivina è massimamente giusto che io vi paghi l’abito. Accettate i miei ducati, invero non son molti…ma se mi dite il prezzo dell’abito entro la prossima settimana, dopo le offerte della messa, potrei finire di pagarvelo…”
Olivina aveva compreso, e disse più calma:
“Non fatevi di bile padre ! Filomena, tu che ne dici?”
“Perdonate padrona Olivina, ma con quei cinque ducati potrei comprare degli unguenti per la gamba di mio fratello.”
“Prendeteli dunque, ragazza mia! Son vostri. Io mi prendo l’abito.”
Il prete fece per prendersi l’abito, ma vostra sorella Olivina lo trattenne, e gli propose:
“Aspettate reverendo. Lasciate che lo stiri almeno un poco…Filomena!”
“Dite.”
“Prepara le braci per il ferro, stirerò personalmente l’abito. E sveglia tuo fratello. Tanto lo so che finge di dormire…sono le otto ormai a giudicare dalla luce, non è giusto che dorma ancora…”
Percossi allora mio fratello, e lo feci alzare. Lo accompagnai amorevolmente sul retro perché facesse la pipì, poi andai al caminetto a selezionare le braci più adatte per il ferro da stiro della padrona Olivina.
“Intanto che vi stiro l’abito, vi compiacereste di raccontarmi qualcosa di questa Odetta, padre?”
“Qualcosa posso dirvi poiché non si è ancora confessata…”
“Oh, non vi chiedo di violare il segreto della confessione…naturalmente.”
“Beh cara Olivina, che potrei mai dirvi… si tratta per come la conobbi, nientemeno di una spia del Sultano di Costantinopoli, comunque una straniera, una francese. Al processo il connestabile fece chiamare un interprete che capisse di francese perché, dissero, non intendeva troppo il nostro idioma…
Venne catturata dieci giorni orsono cadendo in un tranello. Il suo compare di qui, ch’ella avea da riconoscer da segni convenuti sulle vesti, era stato già arrestato, torturato, e avea quindi rivelato ciò che sapeva; L’arresto fu segreto, nottetempo, ed il connestabile dispose che il compare spia venisse sostituito da un messo del viceré vestito co’ gli abiti dell’arrestato, sottratti e all’uopo confiscati. Ella andò all’appuntamento recando seco delle informazioni compromettenti, che doveva cedere in cambio di una certa somma di fiorini. Consegnò una pergamena dove vi erano disegnate con simboli strani, come fossero un codice di segni, le guarnigioni nostre di Otranto, e la loro consistenza di numero, quelle di Roca, ed il numero delle navi spagnole alla fonda alla baia…c’era pure la dislocazione dell’estrema naval pattuglia di Capo Leuca che gli ammiragli del viceré volean mantener segreta, ma tale non era, almeno per lei; era donna molto informata sulle forze militari della Spagna e dello Regno nostro: consegnando la pergamena al falso messo in una taberna di qui s’accusò da sola. Venne prontamente fermata dagli armigeri scelti del connestabile ivi nascosti, e confusi tra li bevitori, e condotta alla magione sua in catene. Una perquisizione nella sua casa, che aveva fittato per due mesi, rivelò che possedeva ben mille fiorini nascosti nel materasso. Altra prova contro di lei, quella decisiva. Un rapido processo da parte del connestabile del Regno la condannò a morte quattro giorni addietro. E domani, come s’addice alle spie, e alli traditori della cristianità, cesserà di vivere.”
“Una donna così giovane…venticinque anni soli?”
“Sì Olivina, per me che l’ho vista purtroppo poco più che un’infanta cresciuta.”
“Ma non potrebbero graziarla? Una donna così giovane…perché non chiede la grazia?”
“Signora mia, la pena per li traditori è la morte pe’ squartamento e strappo del cuore…ma il connestabile che aborrisce la crudeltà sulle donne, le propose addirittura salva la vita se denunciava li compari suoi gli altri, onde prendere tutta la rete d’informatori dell’infame Sultano di Costantinopoli…ma la fiera donnina precisò che preferiva la morte al carcere a vita in una squallida umida cella, mangiata dalle zanzare e dai miasmi, e dalla puzza degli armigeri che a sentir lei poco si lavano… chiedea solo al processo di risparmiarle lo squarto, e avrebbe ammesso tutto! Che altrimenti sarebbe impazzita nell’attesa, e magari avrebbe fatto da sola se le imprestavano un pugnale…”
“Vorrebbe commetter suicidio ? Non andrebbe allora in Paradiso!”
“Dite bene Filomena. Comunque, quando la rassicurammo sul taglio della testa promise che non ci avrebbe provato. Ma la prudenza non è mai troppa, sì che il connestabile dispose che venisse sorvegliata sempre, anche al desinare, e discretamente quando chiede d’andar di corpo…”
“Addirittura…che donna coraggiosa!”
“Il giudice, uomo di grande senso di giustizia, ne parlò col connestabile che diede parere favorevole; insomma si mandò a dire al boia, un buon uomo che io confesso da anni, di provare su li tre condannati de’ domani la nuova macchinaria che decolla tosto.”
“La fecero gl’inventori nostri codesta macchinaria padre?”
“No signora Olivina; il boia mastro Germano mi disse che fu copiata invero, e quivi costruita da’ nostri falegnami da una macchinaria uguale in uso nella cattolicissima Scotia. Pare che tagli subitamente la testa…senza che si soffra troppo ad aspettar inginocchiati il colpo d’accetta lì sul cippo.”
Intanto che il ciarliero prete finiva di parlare della futura decapitazione, si era realmente svegliato e lavato anche Roberto, cosciente ed in piedi. Fra poco avrebbe svegliato lui stesso il piccolo Aymone, affinché dopo la colazione io lo accompagnassi a scuola. Olivina stava dando gli ultimi colpetti di ferro all’abito. Poi lo diede ben stirato a padre Rodolfo precisandogli come doveva portarlo per non sgualcirlo di nuovo. All’ora decima padre Rodolfo portò a piedi l’abito pulito presso il carcere, dove Odetta trascorreva la sua ultima giornata da viva. Una donna esile, bionda coi capelli raccolti, vestita a guisa d’alabardiere reale, goffa in cotali abiti trascorreva il suo poco tempo all’aria aperta. A questo punto della storia, finito il racconto di Filomena io e Francesca ne sapevamo abbastanza da voler vedere questa Odetta. Io Toraldo, dissi a mia moglie di seguirmi e suggerimmo a Filomena di tornare alla locanda; cosa che la lavorante fece. Provammo a raggiungere la piazza dell’esecuzioni, e qui giunti chiesi al primo che mi capitò:
“Scusate buon uomo, sto cercando un tale Michele, che possiede un appartamento al primo piano…”
“Non so chi sia, caro signore, ma provate dal maniscalco ferratore che conosce qui un po’ tutti…”
“Grazie, buon uomo. Vado.”
Io e Francesca entrammo nella bottega del maniscalco, e subito chiesi se conoscevano Michele; pensai all’uopo di darne anche una sommaria descrizione. Questi in cambio di un sorriso di mia moglie, accompagnato da moneta di rame, ci diede l’informazione che cercavamo. Ci disse sicuro:
“Salite le scale al terzo portone dopo la mia bottega. Lì abita messer Michele, mastro muratore…”
Andammo verso il terzo portone, e presa per mano mia moglie, salimmo le scale. Vedendo una porta bussammo. Una donna anziana, piuttosto brutta e rugosa, ci aprì l’uscio e guardandoci storto ci chiese:
“Non vi conosco signori, cosa desiderate?”
Restando sull’uscio esordii deciso, dopo aver preso un buon respiro per lo spavento:
“Sto cercando Michele, signora. Lo incontrai un’ora fa…mi hanno detto abitare qui.”
“Michele ! C’è gente che chiede di te…”
Michele venne. Era proprio l’uomo che incontrai per il vicolo.
“Ah, siete voi messer Toraldo ! Oh, e chi è questa graziosa donna che è con voi?”
“Mia moglie Francesca messer Michele. Ve la presento.”
“Francesca, questo brav’uomo vuole fittarci la finestra onde farvi goder comoda la vista dell’esecuzione…”
“Accomodatevi, entrate…su!”
Entrammo. Michele ci accompagnò ad un tavolo invitandoci a sedere con lui, poi disse rivolto alla donna che ci aveva aperto.
“Mamma portateci del vino ! Son con degli amici non vedete ?! Che avranno ben sete…”
La vecchia donna senza degnarci di troppi sguardi andò in un’altra stanza a prender del vino, e tre nappi di legno. Ci versò il vino per tutti e tre, poi ci lasciò portando via il fiasco. Michele protestò.
“Mamma che fate?! Lasciate qui quel vino! Son con degli amici…l’ho già detto!”
“Questo è l’ultimo Michele, poi cinghia! Alla fontana!”
“Ma dai! Ne compreremo dell’altro…anzi sapete che vi dico ? Preparatevi per uscire dabbasso! Andatemi voi per favore a comprare un altro fiasco di buon vino, eccovi il denaro, prendete mamma! Andate che io e il mio amico dobbiamo parlar d’affari, da uomini! Uscite un po’ che siete pallida…non fa bene stare sempre a casa!”
“Non disturbatevi Michele, che va ben così…”
Mia moglie interloquì:
“Grazie signora, siete molto gentile…non ci occorre altro vino.”
“Uhm!”
La vecchia ci lasciò con un mugugno, ed andò nell’altra stanza a vestirsi per uscire. Bevemmo quel vino rosso che, lasciatemelo dire, non era eccezionale. Un altro nappo però non lo avrei bevuto. Non era certo vino costoso. La casa di messer Michele era costituita da due stanze, una delle quali, la più grande, con un ampio finestrone che dava sulla piazza. L’altra più piccola rimaneva alquanto buia. La casa era miseramente arredata. Non aveva che una gran cassa di legno dipinta di nero, un tavolo con pochi intarsi e molti graffi e tre sedie in tutto oltre ad un paio di candelabri di rame con le candele quasi alla fine. Un paio di letti nella stanza accanto si vedevano con la porta aperta. Notai alla parete di nostro bianco tufo, di lato alla finestra, un ritratto di donna di profilo appeso senza la cornice. Per qualche strana combinazione somigliava molto alla moglie mia Francesca, che da me suggerita di guardarlo, non trovò la somiglianza. Poi, dopo averci osservato entrambi, Michele mi disse:
“La mia defunta moglie è quella del ritratto al muro. Il suo nome era Maria; è morta l’anno scorso! E di fronte a lei lo Crocifisso che protegge la magione.”
“Mi dispiace Michele, gli è che ne ammiravo la finezza del sembiante.”
“Era bella messer Michele, vi porgo le nostre condoglianze, mie e di mio marito insieme…”
“Grazie signora Francesca, ve ne son grato.”
Nel frattempo andai un attimo alla finestra, ed in effetti ammirai la buona vista che si godeva sulla piazza. Poi tornai a sedermi.
“Messer Michele, ammiro adesso l’ampia finestra della magione vostra…”
“Devo intendere che ci avete ripensato Toraldo ?!”
“Intendete bene amico mio…mia moglie mi disse che ci teneva a veder cader quelle tre teste di cui parlavate!”
“Signora perdonate, ma non state per sentire bei discorsi…”
“Che dite Michele?! Non mi disturbate punto.”
“Messer Michele, un’ora fa parlammo, e mi volevate fare un buon prezzo, se non ricordo male!”
“Cinquanta ducati Toraldo! Anticipati ! Perché siete voi! E con una moglie ben graziosa per giunta!”
“Cado dalle nuvole Michele! Quando ci eravamo lasciati mi proponeste nove ducati ed una forma di cacio!”
“Certo, ma ero io che volevo affittarvi la finestra! Ora siete voi che volete far l’affare!”
“Oh, beh! Avete ragione, ma a cinquanta non arrivo imperocché non li possiedo punto…”
“Beh, fateveli imprestare! Siete parente di vostro cognato, un notaio mi diceste voi stesso…vi aspetterò, rimarrò in parola con voi.”
“Oh, vi prego, lasciamo fuori mio cognato da questa faccenda! Vi offro dieci ducati !”
“Son tre teste messere! Fosse una sola, vi farei lo sconto, ma ne cadranno ben tre! Fra poche ore! Domattina busseranno alla mia porta assai persone, e fareste bene a prenotarvi adesso…io resto uomo di parola, anche se gli amici usano darmi dello stupido.”
“Vi prego, ne ho soltanto undici con me! Ecco vedete…”
Michele ignorò i miei ducati che volevo vuotar sul tavolo innanzi a lui.
“Son cinquanta Toraldo! Due ore fa mi avevate detto voi stesso di dare ad altri la finestra. Ora venite qui che avete cambiato idea, bevete il mio vino, non potete uscirvene con una misera offerta…”
“Il vino me l’avete offerto voi messere…”
“Certo, certo, così si usa tra amici…”
“E fatemi un prezzo da amico allora!”
“Domani qui parecchia gente potrà offrirmi ben più di cinquanta ducati per la finestra mia E certo non saranno amici! Io vi faccio un favore perché invero mi siete simpatico, e con voi vostra moglie.”
“Oh, grazie messer Michele, vi son grata dei complimenti.”
Michele si rivolse educatamente alla mia consorte:
“Signora, una gentilezza io vi chiederei…”
“Dite messere, dite pure!”
“Accompagnereste mia madre dal vinaio, qui per la strada, dove lei vi guiderà?! Vorrei parlar da solo a vostro marito…se non vi è di troppo disturbo. E ve ne prego accompagnatela, che son pochi passi qui di sotto in piazza, mia madre non vi darà tormento…”
Francesca ci lasciò andando nell’altra stanza, quella senza la famosa finestra, e avvicinatasi alla madre del mio ospite le disse che l’avrebbe accompagnata dal vinaio; raggiunsero tutte e due l’uscio; Francesca essendo giovane come d’uso le favorì il proprio braccio; quindi scesero dabbasso.
“Allora noi si va…”
“Certo andate pure, andate.”
Rimanemmo alfine soli:
“Toraldo, perdonatemi se vi parlo con franchezza. In verità sarei disposto a farvi quindici ducati solamente, per voi e vostra moglie. A certe condizioni…se promettete che non v’arrabbiate!”
“Orsù dite!”
“Prima promettete, messere!”
“Va bene, prometto. Allora?!”
“Or vi dico, e chiedo la vostra comprensione: la donna che vi ha accolto, mia madre appunto, ha una sorella molto minore, di trentasette anni ad oggi di nome Emilia, invero non troppo bella, e che non trovò a maritarsi per questa sua sfortunata condizione. Il cerusico che ogni tanto io chiamo perché un po’ la visiti e la tocchi, - che le piace che la si tocchi ! - non può venire sempre. La volta scorsa mi disse che la nostra parente è una malata immaginaria, e che è inutile che noi si spenda altri soldi in visite…il cerusico è uomo onesto e pio, e ha pure moglie! La tratta con garbo; ma ora è stufo pure lui; non vuole più toccarla, che dice che ci prova… ora considerando che non la va a trovare quasi mai nessuno, mi chiedevo se voi Toraldo, che siete così baldo e in ciccia, non potreste forse farle passare un po’ di tempo con piacevolezze di quelle cui vostra moglie non dovrebbe assistere…la zia Emilia non più è vergine lì davanti, e…da malata immaginaria è convinta che morrà presto, e che pria di morire vorrebbe mandar giù almeno un poco del seme dell’uomo inteso come grande, ma non vecchio, e credetemi se vi dico che per poco non ebbe a gustare quello mio…se voi oggi Toraldo le darete un po’ di vero divertimento, io vi farò un grande sconto, a voi due da soli, voi e vostra moglie!
“Insomma non dovrei deflorarla, dico bene?”
“No, dovreste solo farla ben godere nell’utero suo; poi dopo un po’ di riposo darglielo a bere quando è ancora ben caldo…che da freddo non le piace come fu nel mio sciagurato caso.”
“Ma io vorrei restar fedele alla moglie mia Francesca.”
“Se mi dite sì, vi affitto la finestra in esclusiva a quindici ducati…solo quindici! Ma fatele godere il corpo, che zia Emilia non ama gli ortaggi imperocché non vengono di dentro!”
“E non è troppo bella…”
“Beh, è bella solo un poco, ma ha discreto fondo schiena; migliore di quello di sua sorella madre mia; ancora sodo al tocco, credetemi!”
Per credere credevo; evidentemente almeno una toccata, - se non venti o cento? - deve averla data anche lui…anche questo Michele aveva, come il sottoscritto, qualcosa di non bello a confessarsi; parla e riparla aveva di certo confrontato i due culi delle due donne della magione sua, di cui una sua madre (perdonatemi, che brutta!)
“Ma voi Michele, come sapete queste cose sul fondoschiena di vostra zia?”
“Che mi dite Toraldo? Non siete stato anche voi osservatore della madre vostra da piccolo?”
“Beh,…”
“E allora io le osservai tutte e due; la madre e sua sorella, ben più giovane!”
“Ma prima, mi dicevate che per poco non ebbe a gustare il vostro seme, vi riferivate al vostro sperma messer Michele?”
“Son vedovo da un po’ di tempo, e poi la moglie mia in vita era gelosa. Adesso mancando lei, - Paradiso Requiem Eterna! – è un po’ diverso. Da un po’ di tempo, dovete sapere, che mia zia usa provarci con me quando siamo soli. Posso raccontarvelo Toraldo ? ”
“Prego raccontate Michele, che son interessato.”
“Quando eravamo tutti e due più giovani, io e la sorella di mamma mia, che la spiavo per farmi manovella, ci provai un certo giorno mostrandogli il membro dritto in cerca di una sua presa, e più di una volta mi respinse. L’anno scorso invece, quando morì la moglie mia adorata, la zia Emilia qualche mese dopo, forse cambiò idea, e alla fine della Messa mi chiese d’accompagnarla a casa, ed io lo feci. Arrivati a casa mi chiese di mettere il paletto all’uscio, ed io obbedii anche se era ancora luce fuori. Andò allu focalire e accese soffiando sulla brace ben tre candele perché la porta chiusa non faceva passar luce veruna; poi posato il candelabro sulla cascia venne innanzi a me, e d’abrupto s’alzò la gonna nel debole chiarore delle candele, si che potei veder con gli occhi miei che non portava mutande. Si mise china poggiata al tavolo della buia stanza, e mi disse di toccare le sue rotondità…di prendermi tutto il tempo che volevo perché fretta non ne aveva…”
Il racconto di Michele cominciava ad interessarmi:
“E voi cosa faceste?”
“Lei mi disse nell’intimità di quel chiarore: Michele toccatemi, toccatemi che queste natiche aspettano solo che uomo se le prenda, mio caro nipote…lisciatene la pelle, che so che da bambino vi piaceva di toccare…”
Io le dissi:
“Ma zia, voi mi mostrate le vostre fattezze, non temete di far peccato?!”
La zia rimaneva china sul tavolo tenendosi alto il bordo della gonna rimboccato. Le sue cosce ed il suo culo bianco erano davanti a me; lei mi disse:
“Lo farete assieme a me il peccato Michele, come volevate far da piccolo, ricordate?!”
Intanto che lei mi parlava io toccavo, pizzicavo, e lisciavo le sue carni; all’improvviso arrivai d’istinto a metterle il dito dentro il culo…lei ne ebbe un gemito che mi eccitò:
“Ahn!”
E intanto che le esploravo l’ano con gentilezza le domandavo:
“Vi piace cara zia?”
“Muovetelo quel dito che mi fa piacere…ah!”
“E voi, Michele?! Le faceste masturbazione al retto?”
“Gradite dell’altro vino amico mio Toraldo?”
“No, grazie. Già bevvi quel che mi bastava. Ma bevetene voi se ne avete voglia, ch’io vi ascolto volentieri…”
Di persona sapevo come ci si riduce assumendo troppo vino. N’ebbi esempio dal cognato mio Ranuccio, da poco disintossicato…Michele doveva invece bere onde proseguir il suo piccante e morboso racconto, al quale ero ogni momento più interessato…
“Sì, io devo berne dell’altro, imperocché ciò che vi confido per me è imbarazzante. Perdonate se me ne verso dell’altro. Voi proprio non ne gradite?”
Feci un cenno di diniego, e lo incoraggiai a proseguir la conversazione.
“Perché parlate d’imbarazzo ?”
“Ascoltate bene Toraldo! La zia Emilia mi si offrì, perché come uomo e lavoratore avevo, - parole sue! - diritto a giusto sfogo, dopo il travagliare; io stavo prendendo gusto a muover quel dito nel suo tiepido buchetto, poi temendo di farle male lo tolsi, e lei dopo essersi voltata, tenendo rimboccata la veste nera della Messa, mi favorì la patacca sua nera nel pelo, e mentre gliela guardavo stupito come fossi un infante, col suo bel cul poggiato al tavolo, mi prese la mano portandola sopra lo spacco, affinché le carezzassi la vulva; ma gli anni erano passati, e guardandola meglio a me troppo non piacque imperocché aveva troppo pelo, ma un bel culo bianco e sodo, quello ce l’aveva! Le dissi che a piacermi di lei era sempre stato soprattutto il culo; al che la zia si abbassò sulle caviglie, poi s’inginocchiò per farmi una fellazione ch’io in verità gradii; lasciate che ve lo dica, amico mio, di bocca sapeva travagliare…ah se solo avesse proseguito !… E debitamente inginocchiata con la lingua mi fece il membro ritto, si alzò, si voltò un’altra volta, si risollevò le gonne, e mi mostrò il buco suo di dietro, roseo, e per quanto ne sapevo ancora intatto, chiedendomene la pronta violazione!”
“E voi la violaste Michele ?”
“Provai col membro ben duro a violarle l’ano, ma di entrar non ne voleva sapere. Ero un po’ nervoso. Spinsi e spinsi, ma con quel buco stretto non entrava. Mia zia continuava a respirare, e a dire temendo il dolore:
“Ohhhh, uhn, ahn, spingete, nipote mio spingete, che il vigore ce l’avete. Lo sento…”
“Uhmmmf, aspettate zia che entro…”
“Sì, ohhhh, no, no che mi fate male, oh! Beh, perché vi siete fermato? Riprovate!”
Che le carezzassi con la cappella dura la liscia pelle delle natiche le piaceva, ma appena mi poggiavo sullo sfintere, la sentivo tremare tutta dal timore. C’era sempre la gonna che si abbassava facendomi perdere la mira. Le dissi quindi di togliersi le vesti, e lei prontamente se le tolse lasciandole sul tavolo. La zia Emilia ormai ignuda mentre stava voltata a mo’ di pecora mi chiese:”
“Siete sicuro che volete il prendermi il culo…? Ho la fica ancora giovane e morbida nipote mio. Che ne direste di violarla per prima? Son piuttosto vogliosa di ricever del maschio seme dentro di me! Poi dopo un po’ di riposo vi prenderete pure il culo…ohhhh, ahn!”
Avendola passiva e ignuda tutta per me cominciai a toccarle pure il poco seno.
“No. Restate come siete ora, cara zia che voglio entrar prendendovi anche i seni!”
“Fate nipote mio. Sento che ce l’avete ben duro.”
La zia Emilia si piazzò alla pecorina offrendomi il suo culo. In verità avrebbe preferito goder di fica, come tutte le donne normali; ma io avevo paura d’ingravidarla, e poi fin da bambino avevo sognato di prendermi il culo suo. Le poggiai di nuovo la cappella tosta sopra l’ano, e stavolta, vedendo che lei stessa se l’era allargato, premetti cattivo; il cazzo mio entro tutto tra gli urli di dolore della zia, e tosto mi presi pure i seni suoi stringendoli. In due parole me la feci inculandola.
“Nipote mio ce l’avete duro e grosso, muovetevi e fate piano, che sento dolore. Ahi , ahi, ahi.”
“Sì, zia ! Sì, uhmf, ahn, uhmf, ahn, ahn…”
“Ahi, ahi, uh ! Com’è difficile farvi godere nipote mio, ih! Avanzate! Ahi! Uhhhh, fate piano quando me l’avete messo al culo! Ahi, ahi! Com’è grosso! Ahi! Mi state rompendo tutta, ahi! Ahi! Mi fa male la pancia, ahi! Ahn, quanto è grosso dentro ! Ahn, come soffro, oh! Ahn! Ahn!”
“Uhmfff, zia, ahn, ahn che bel culo avete! Perdonate se vi do il seme qui di dietro, che non voglio ingravidarvi punto… eppoi il peccato me l’avete, ahn, ahn chiesto voi! Ahn!”
“Michele vi prego, ahi! Fate piano che ho dolore. Ahi, ahi, potessi aver qualche bacio almeno…ahi!”
“Uhmmmff! Ahn! Ahn! Ahn! Uh! Ahn! Fatemi con vigore Michele, son vostra! Ahn! Ahi!”
Provai a chinarmi sulla schiena per baciargliela qualche istante, ma poi dopo un po’ di lingua sulla pelle mi rialzai, e ripresi ad incularla. Non ricordo adesso quanto ci volle, ma me ne venni nel suo retto che le bruciava dal dolore. In lacrime accolse il seme mio che caldo le si riversava nei visceri. La zia Emilia pianse per la fatica fatta. Alla fine le uscii io stesso dal retto suo ben allargato, bianco e rosso ad un tempo. Zia Emilia si voltò ignuda col pelo ben in vista. Io ero stremato alquanto per la faticata nel suo retto, ed ero tutto sudato e spaventato per il peccato mortale commesso. Zia Emilia in piedi allargò un po’ le cosce sue bianchissime, e mi disse imperando con la voce:
“Abbassate la testa qui sul pelo, Michele! Voglio che me la lecchiate tosto, e continuerete fino a che a me non piacerà di farvi smettere…voglio un po’ di piacere che dietro mi fa ancora male, e mi stanno venendo strane voglie, ahi!”
Io le stavo lisciando un po’ il poco seno ch’ella avea, e quando sentii che le faceva ancora male, la baciai tenero sulla guancia e un po’ sul collo. Mia zia gradì quei miei baci di piccola passione, poi le dissi:
“Ma zia, io sarei stanco; non ho che poco fiato, credetemi!”
“Prego, nipote mio, qui c’è la fessa! Io e l’organo mio più delicato abbiamo aspettato con pazienza che faceste i vostri comodi. Adesso vi prego di piazzar la lingua lì sul clito, che ho voglia di godere anche io…favoritemi la vostra testa, che per leccare non occorre tanto fiato…inginocchiatevi nipote; me lo dovete!”
“Avete molto pelo zia, tutti quei peli non mi attraggono.”
“Quando avrò li denari andrò dal cerusico e gli chiederò di farmi un po’ di depilazione. Orsù abbassate qui la testa nipote mio, andiamo.”
La zia Emilia mi carezzò la guancia, ed io a quel punto obbedii:
M’inginocchiai ed avvicinai la testa a quella fica. La fica della zia. Invero non aveva un buon odore, ma quando piazzai la lingua sulla clitoride sentii che il sapore suo, quello vero, sulla punta della lingua era in realtà piacevolissimo, e così di buona lena leccai come la zia voleva. La lingua mia si faceva strada in mezzo al pelo suo nerissimo, e tentando trovò lo spacco dopo tanta ruvidezza di pelo. Vi ci feci scivolar la lingua dentro onde coglierne gli altri suoi sapori caldi e salaticci; era chiaro che ad ogni mia linguata zia Emilia godeva. Molti fastidiosi peli mi finirono in bocca. Tra un rantolo e l’altro mi disse da amorosa:
“Che il Cielo vi benedica nipote mio, come leccate bene! Ahnnn, ahnnn, ahnnn, fate, fate, ahn, ahn! Vi perdono per il culo fatto, ahn, ahn, oh, oh, ma leccate, leccate.”
Leccai e leccai, catturato dalla nebbia di quei sapori strani, ed intanto il membro mi si stava ingrossando di nuovo. All’improvviso la zia mi fece alzare, mi prese il membro virile in mano, e presomi per esso, mi portò sul letto suo. Qui si stese allargando le cosce affinché in quel debole chiarore delle tre candele vedessi lo spacco di carne ben bagnato e pronto. Ormai me ne intendevo e ripresi a leccare delicatamente quella morbida spelonchetta. I nostri liquami si confondevano tra loro; la saliva mia ed il bagnetto suo di fica ben leccata. Quando catturai l’ultimo rivoletto della sua vagina la zia mi disse:
“Non indugiate oltre, nipote mio! Entrate con il membro ! Non vi devo dire io cosa dovete fare! Orsù non fatemi penare oltre, che sto per godere!”
Mi prese di nuovo per il cazzo, poi me lo lasciò libero ben duro. Lo piazzai sopra lo spacco, e con un gesto rapido mi lasciai cadere dentro di lei. Ci scivolò tutto.
“Ahn!”
Non trovò alcun ostacolo; evidentemente si era già sverginata lei stessa con qualche ortaggio, che ne so ?! Una volta dentro tutto, iniziai a muovermi per indurle godimento.
“Ahnnn, ahhh, uh! Ahn, ahnnnnnnnn, sì Michele così, muovetevi, ahnnnnn!”
Spontaneamente cercai i suoi baci e le sue labbra. Ci congiungemmo tutti e due. Ci cercavamo le nostre due lingue, e godevamo dei nostri sessi uniti in un piacevolissimo coito. Ci baciavamo e ci insalivavamo desiderosi dei nostri corpi. Ogni istante che passava la fica sua era sempre più calda, e sempre più bagnata. Il desiderio mio cresceva ad ogni affondo, e si ricaricava ad ogni suo bacio. La zia Emilia si stava dando tutta a me, suo uomo e suo nipote. Alla fine dopo una leccata alle sue guance mentre mi sentivo i pendenti ben duri me ne venni! Stavo per sparare la sborra, ma raziocinavo: incinta non doveva finire! Lo tolsi, e gli diedi il bianco seme sopra il petto. Lei si precipitò tosto a leccarmelo il cazzo, onde prenderne le ultime gocce…poté ingoiarne molto poco poiché nel suo retto avevo già dato in abbondanza. Mi diede uno schiaffo in pieno viso per averlo tolto al culmine del suo piacere, poi mi abbracciò riempiendomi di baci e dolci sussurri, e dacché eravamo stanchi entrambi dormimmo qualche ora tra le nostre braccia…
A quel punto del racconto del mio amico sentivo una certa sete, e Michele mi servì un altro nappo di quel vino non tanto buono. Bevvi d’un fiato. Da come guardavo Michele questi scoprì ch’ero interessato ancora a quell’incestuosa vicenda.
“Diventaste l’amante di vostra zia ?”
Lui riprese:
“Non subito Toraldo…
…dapprima dopo quel coito interrotto, e quel sonno in quel suo corpo non più giovane, ma nemmeno così vecchio, mi vestii, e quando feci per andarmene, la zia Emilia mi toccò di nuovo il membro con dolcezza carezzandolo e, baciandomi e abbracciandomi, mi baciò di nuovo e mi chiese di rifarlo. Io ormai ero scarico, ma un po’ avevo riposato, per cui non mi opposi. Giacemmo di nuovo un’ultima ora nel letto, e stavolta di culo non ne volle sapere di mettersi, e dovetti farle goder la patacca trattenendomi; poi dopo averle sborrato le tette la lasciai, e me ne tornai a casa esausto. Ci pensai un paio di giorni, quindi andai a confessarmi dal prete che mi disse di troncar subito la relazione incestuosa prima che divenisse ingestibile per tutti e due.
Andai in Chiesa e trovato il prete gli dissi:
“Padre, devo confessarmi.”
“Seguimi figliolo, andiamo nel confessionale.”
Il prete, Don Donato, entrò nel catafalco di buon legno scuro e, chiusa la finestrella che dava sull’inginocchiatoio mi disse:
“Fatti il segno della Croce figliolo e dimmi cos’hai fatto…”
“Padre, mi perdoni perché ho peccato moltissimo. Come già saprete son rimasto vedovo più d’un anno orsono… e due giorni fa di domenica pomeriggio scorsa, dopo la Messa, ho giaciuto con una donna…”
“Era donna di malaffare in un tugurio ?”
“No, padre.”
“Era la moglie di qualcheduno?”
“No, padre; è nubile in verità…”
“Non vedo alcun peccato in questo; sei vedovo, e se lei era nubile; certo dovreste regolarizzare la cosa prima o poi, che li figli concepiti fuor dal matrimonio…”
“Padre, era una mia parente!”
“Ah ! Parente dici ?! Ed era stretta la vostra parentela?”
“Sì padre, molto stretta, no; abbastanza…io…però lei…beh…”
“Insomma chi era?”
“La sorella di mia madre, la zia Emilia, che mai trovò a sposarsi.”
“Sorella della mamma. Hai giaciuto dunque con lei?”
“Mi provocò lei stessa, di ritorno dalla Messa; restammo soli, e lei si scoprì le sue intimità carnose al lume di tre candele…mi chiese di toccarla. Io non sentivo un corpo morbido di donna da mesi padre, e sono caduto nel peccato. Lo facemmo tre volte, di cui una contro natura…e qui fui molto vigoroso…”
“Consumasti perfino la sodomia con lei figliolo?”
“Padre sì ! Ma fu colpa mia! Lo ammetto e me ne dispiace...La zia voleva farlo davanti,…insomma normale. Ma io fin da piccolo volevo farle il cu…oh scusatemi Padre! Mi è sempre di lei piaciuto il di…di…didietro. La mamma l’ho sempre rispettata, ma con la zia più giovane era diverso…”
“Basta così figliolo, i particolari non servono; inutile girarci troppo sopra! Hai ceduto a Satana, e sei caduto nell’incesto e nella sodomia.”
“Volete dire padre che non posso essere perdonato?”
“Il perdono di Dio c’è sempre figliolo. Il Signore non abbandona mai il suo gregge.”
“Padre mi perdonate allora?!”
“Rifletti bene figliolo! L’incesto non è solo un peccato contro Dio, è anche un peccato contro sé stessi; rappresenta un farsi male! A te, e a lei che alla sua età avrebbe voglia della compagnia di un figlio; se la parente tua rimanesse gravida non sai che li figli nascono con deformità o mezzi pazzi? Poi anche la fornicazione andrebbe fatta solo in costanza di matrimonio. Tu hai ceduto ai tuoi istinti animaleschi. Per essere perdonato devi renderti conto del tuo peccato. Potevi rifiutarti, ma hai scelto la lussuria; i tuoi sensi ti hanno oscurato la ragione. E tu Michele che sei un mastro muratore sai già che perché il muro non crolli devi usare la ragione…”
“Io, padre ho dormito abbracciato con quella donna peccaminosa, e invero la baciai con affetto sul momento, invero consumai la sodomia, ma provai poi pure dell’amore per averle indotto male…! Mi rendo conto solo adesso che era una diavola, se non fosse che è sorella alla madre mia…come ho potuto cascarci?...sono pentito padre! ”
“Non era lei la diavola, povero peccatore! Satana ha bussato alla tua porta nel momento in cui era aperto…”
“Ma quando bussò padre, io non lo sentii arrivare in verità…”
“Lo credo! Il diavolo è dappertutto; egli è piacevole, multiforme, gentilissimo, e suadente, non lo sapevi? Credimi quando ti dico che il diavolo siamo noi tutti peccatori quando non ci dominiamo.”
“Da ignorante non sapevo queste cose padre, vi prego chiedo il perdono del Signore…perdonatemi padre!”
“Sei tu che hai dato albergo a Satanasso, signore delle tenebre più oscure! Vuoi dunque perder l’anima tua nella sua nera oscurità?!”
Stavo piangendo disperato, il prete mi aveva spaventato; poi sentendomi tremare mi disse:
“Ma anche nel fondo della tua anima c’è una fiammella di bontà, che ardendo, te l’ha fatta baciare di tenerezza dopo la consumazione! Guarda bene in te stesso Michele! Eri tu che avevi bisogno di amore di donna! Risposati, non appena puoi, con una donna che non ti sia né parente né affine. Cercala fuori dal paese!”
“Sì, padre. Farò così. Grazie padre, per le parole vostre!”
Avevo sudato freddo parecchio, e pianto assai caro Toraldo; Don Donato pensò di acquietarsi e rassicurarmi che la tempesta, o meglio la lavata di capo, era passata…
“Siamo fatti di carne e spirito, ma pur sempre imperfetti e peccatori figliolo, e capita che noi si ceda alle tentazioni di Satana, ma adesso, se veramente vuoi bene alla zia tua, farai ammenda e otterrai il perdono…”
Mi fece recitare l’Atto di dolore, e mi diede una penitenza di due ore al giorno di preghiera con il Santo Rosario per una settimana. Avevamo peccato, e ora dopo la penitenza non avremmo dovuto ricader nel peccato d’incesto, altrimenti chissà, magari anche la Santissima Inquisizione avrebbe provveduto in altro modo a separarci. Ne andava delle nostre vite. Ignorai la zia per due settimane dopo la penitenza, poi andai a trovarla, e - neanche a dirlo ! - ricademmo di nuovo nel peccato. Ora mia zia Emilia, divenuta una lubrica amante mi sta assillando: vuole fare un bambino. Come non capirla ! Ma io, caro Toraldo ormai ho paura, e non voglio ingravidarla; coll’incesto li figli nascono deformi o pazzi. Lei mi disse che se la mettevo incinta mi lasciava la casa sua in proprietà nuda tenendosi l’usufrutto. Io la convenienza mia l’avrei, ma vi ripeto non voglio ingravidarla. Un figlio poi lo tengo già, ed è pure grande.”
“Dovrei forse farlo io ? Altri parenti non ne avete?”
“No ed io son pure figlio unico, se no l’avrei proposta la singolare cosa ad un fratello. Poi voi mi siete sembrato un uomo sano a vedersi…se non siete fertile voi…”
“Ma a trentasette anni, secondo voi Michele, una donna può ancora generare?”
“Non è bella, ma s’è mantenuta giovane messere, perché non provate? Non si può mai dire…”
“Se accettassi cosa me ne verrebbe?”
“Vi farei solo quindici, no, mi rovino! Dieci ducati Toraldo! Per voi e vostra moglie. E l’amicizia mia totale. Se avrete a rifare murature per la magione vostra, o del vostro cognato notaio vi farò mezzo prezzo…”
“E quando dovrei darmi il mio daffare?”
“Anche subito! Se volete accompagno io vostra moglie alla locanda vostra col calesse; fidatevi messere, mia madre verrà con noi. Invero dobbiamo andar a prendere mio figlio Alcide dalla Chiesa dove frequenta la dottrina per la Cresima.”
“Dite davvero Michele ?! E dove abita vostra zia Emilia ?”
“Qui vicino, in vico San Carlo! Non è lontano dalla Chiesa madre; vi ci posso accompagnare non appena tornano le nostre donne dal vinaio. Parlerete con vostra moglie, e le chiederete di tornarsene con noi.”


-continua-





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Commenti per Michele, tre teste e tre candele 1a p.:

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