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incesto

Mi distesi sul pavimento 5a par. Pomodorina


di sexitraumer
13.07.2009    |    23.808    |    1 7.3
"Mi stavo già allungando verso il suo cazzo che reclamava la giusta uscita dalla patta dei pantaloni..."
“Tipo?”
“Me la peleresti tu la passera, la vorrei liscia, senza neanche mezzo pelino. Hai il rasoio adatto?”
“Sì, certo.”
“Allora ci mettiamo al lavoro?”
“Quando?”
“Se puoi ora! Devo averla così per stanotte! Sarei venuta prima, ma col lavoro e casa mia non ho avuto tempo!”
“Con chi?”
“Con chi cosa?”
“Con chi dovresti scopare?”
“Non chiedermelo! È uno dell’università. Un assistente. Ti ricompenserò ad ogni modo...”
“D’accordo, allora la prima leccata è mia!”
“Ci sto. Ma non mi tenere qua tutta la notte. Ho detto che per mezzanotte tornavo.”
“Andiamo in sul letto che prendo la bacinella...”
Mi sistemai stesa sul letto. Ilde prese un asciugamano e lo sistemò sotto il mio culo. Le mutande e la gonna me le ero già tolte mentre Ilde andava in bagno a trovare una bacinella. Venne da me che aspettavo a gambe poco larghe sul letto. Avevo solo la maglietta e dall’ombelico in giù nuda. La mia peluria pubica era a disposizione della vista di Ilde la quale commentò:
“Hai una bella fica Daria, mi dispiace pelartela. Ti sta così bene quel pelo biondino...solo a vederla viene voglia di baciarla e leccarla!”
“Lo so, lo so, ai maschi piace baciarla e leccarla con tutta la lingua, se la porterebbero anche a casa, peggio! Se la metterebbero in tasca se potessero.”
“Lo so cosa piace fare ai maschi! Quando fai uscire quel pelo dalle mutande o dai pantaloncini hai una fica magnifica Daria! Eri bella anche dall’obiettivo!”
“Dai su, iniziamo! Voglio che me la peli.”
“Solleva il culo, prego. Così...adesso appoggiati alla plastica. Bene allarga un po’...perfetto! Resta così colle gambe! Vado a prendere dell’acqua calda col sapone.”
“Ohi?! Il rasoio è sterile?”
“Sì, tranquilla, monouso! Colore rosa va bene?”
“Sì.”
Ilde tornò con una brocca d’acqua calda con cui bagnò la mia vulva tutta quanta. L’acqua, comunque poca, scese nella bacinella per riempire qualche millimetro dell’altezza. I miei peli biondi sfumati castani si arricciarono un pochino. Ilde diresse un breve schizzo con un gel spray verde sulla peluria, poi lo sparse con le dita delicatamente fino a coprirmi tutta la peluria. Lo fece per un buon minutino continuando a carezzarmela con i polpastrelli delle sue dita. Poi mi disse:
“Vuoi una sfumatura di pelo? Magari la lascio sopra.”
“No. Via tutto. Voglio proprio una, una...ecco una pomodorina!”
“Allora adesso li taglio tutti.”
Vi poggiò sopra il rasoio e lo mosse con sicurezza e leggerezza. Sentivo la piacevole sensazione del distacco dolce di ogni pelo. Andava dall’alto verso il basso, piano, piano, con la mano sicura. Con due dita dell’altra, protesse la mia clitoride e finì di asportare il restante pelo intorno. Lavava il rasoio con l’acqua della bacinella. Poi riprendeva a rasare. Guardavo la mia vulva. Era pelata ma l’ombra delle radici dei peli restava. L’aspetto era di un grigio chiaro, nebbioso. Ilde ripulì il rasoio un po’ meglio, poi prese nuovamente lo spray per rispargervi sopra più o meno la stessa quantità di prima. Risparse col suo dolcissimo massaggiare il gel, e riprese a radere. Ora doveva tagliare solo la radice dei peli. La cosa richiese solo due minuti di lavoro. Ilde mi chiese:
“La tua pomodorina è quasi pronta. Non è che vuoi una ceretta per asportare le radici? Comunque o tu hai poco pelo, o ti eri già rasata. Allora la ceretta, la facciamo? Ci vogliono solo altri venti minuti!”
“No. Magari i peli tra qualche tempo mi piaceranno di nuovo. Stanotte voglio piacere solo al mio lui. Comunque veramente buono il tuo gel. Delicato.”
“Sì è molto buono. Me lo ha dato un’amica come prova gratuita. Poi ho preferito comprarglielo. Se vuoi ti do il telefono...”
Ilde mi sciacquò, e poi sollevò il culo per prendere la bacinella e portarla via. Io ero stesa sul suo letto con la vulva pelata rimessa a nuovo. Adesso per un paio di giorni avrei avuto la fica di una pre-adolescente.
“Vado a prendere una tovaglietta pulita. Aspettami.”
Ilde tornò con una tovaglia pulita di cotone e mi asciugò la vulva. La poggiò sul mio bacino con delicatezza, e vi mise sopra la mano per scaldarmi la vulva che si asciugava sia per il panno che per la sua mano. Muoveva la sua mano leggerissimamente, ed il solletico mi procurò un sospiro di piacere. Ilde sapeva come eccitare una donna. Ovviamente l’avrei saputo fare anch’io, ma a gesti insistette per farlo lei. Ora ne avevo la conferma: era una vera bisex. Poi smise e mi disse:
“Et voila! Alzati e vai allo specchio. Alzati, dai guardatela! Che bella!”
Alzatami dal letto andai davanti allo specchio, e mi vidi la mia vulva senza pelo. Rosea, innocente, con lo spacchetto con cui si poteva riscontrare la simmetria delle grandi labbra. Ilde aveva lavorato bene. Era una fica eccitantissima. Ilde, dopo avermi accarezzato le natiche con gentilezza, mi riaccompagnò sul letto. Era un modo come un altro per ricordarmi che dovevo pagarle il conto. Mi venne un’espressione contrariata nel viso; inconsciamente forse era dovuto alle palpeggiatine. Ilde se ne accorse. Intuiva che non avrebbe ottenuto ciò che aveva chiesto. La prevenii chiedendole:
“Ilde, mi fai un piacere da vera amica ?”
“E sarebbe?”
“Rinunceresti alla prima leccata? Vorrei offrire quel sapore particolare al mio lui ! Dai, se no l’esame non me lo fa passare; ed io voglio che si diverta, perché poi non gliela darò più. Dai, sii buona Ilde. Siamo amiche. Non me la sono mai sentita così pulita...ti prego!”
“Me l’avevi promessa. Cazzo!”
“Ilde ti prego!”
Poi mi venne un’idea. Le feci una controfferta. Era stata brava col rasoio. Si meritava ricompensata comunque. La abbracciai stringendo anche il mio seno contro il suo. Uno “scontro di pesi piuma” con riferimento ai nostri seni. Io ero decisa a difendere la mia passera rinfrescata. Poi dopo che le diedi due linguosi baci sul suo collo le proposi:
“Mi rivesto, ti pago, oppure...ecco facciamo che te la lecco io, va bene?”
Ilde non avrebbe certo rotto la nostra amicizia per una leccata mancata; in realtà la mia controfferta era stata generosa. Ero decisa a leccarle la sua di patacca purché, almeno in quel momento, non toccasse la mia.
“D’accordo. No, non voglio soldi. Vado a lavarla, mi fai compagnia? Vieni?”
Accompagnai Ilde in bagno, e la osservai mentre se la lavava seduta sul bidet. Fu sbrigativa, ma se la lavò bene con la spugnetta. Tanto che profumava da un buon metro. Se la asciugò ed io le dissi di andare sul letto e di accomodarsi lì. Si stese e mise le sue coscette a forbice. Le guardai il pelo per vedere fin dove si intrecciava sulle grandi labbra poi, esitando, - ma ero decisa ad onorare la mia parola !- avvicinai il mio volto. Il mio naso restava ad una mezza mano di distanza. Davanti a me solo pelo, e l’ombra dello spacco. Timidamente vi poggiai la punta della lingua proprio sullo spacco, e sentii il sapore della carne umida, preavvertita dall’odore pieno del suo sesso. Un odore che invadeva sia le mie gote, che le mie narici, anche grazie al sapone. Io respiravo ed espiravo dal naso, e la mia stessa aria ritornava verso di me dopo essersi mescolata con lo strato d’aria che sovrastava la pelle della vulva appena lavata di Ilde. Avanzai lentamente fino alla clitoride e lì stazionai un po’ di più facendo roteare la punta della lingua sul cappuccetto. Incontrai anche i peli intorno. Fastidiosi lo erano. Ma erano puliti, e non mi davano disgusto. Non ero brava a leccarla, stavo imparando. Mica è facile leccarla ad una donna quando sei una donna. Fosse stata una cappella maschile avrei saputo cosa fare, d’istinto! Ilde godeva. Le piacevano le mie lappatine incerte. Ero smarrita. Ma sapevo di dover deliziare la mia amica. E se mi avesse pisciato sul viso? Rimossi il pensiero. Ci voleva molta concentrazione per far godere una fica fino allo schizzo dell’urina; l’orgasmo delle lesbiche! Allontanai la punta della lingua, e leccai col dorso di essa sul grande labbro di destra. Avanti ed indietro. Poi anche l’altra porzione della sua vulva. Indugiai qualche altro secondo sulla clitoride, e le baciai anche tutta la fica fin dove resistevo. Una decina di passaggi dall’alto in basso. La fica di Ilde cominciava a bagnarsi un poco, ed un pochino mi bagnava le guance, e gli angoli delle mie labbra. Si stava bagnando significativamente; ogni secondo di più. Dunque gliela stavo leccando per la seconda volta. La cosa che mi dava più da pensare era che riuscivo a farlo senza sentire disgusto. Non avevo il tempo di chiedermi se stavo diventando una lesbica anch’io. Trattai quella vulva con tenerezza, anche se devo confessare che il cazzo di mio fratello era molto più attraente per trasgredire. Sulla passera di Ilde poggiai tutta la mia guancia per un istante e sentii che era calda ed umida. Una carezza bagnata si annunciò al mio viso. Poi ripresi a darle piacere con la lingua. Il suo sapore di pesce lesso mi stava attraendo. Provai a solcare lo spacco per andare più in profondità, anche se solo di qualche millimetro. Nel buco, lì dentro, non avrei leccato. Non sapevo chi o cosa faceva entrare Ilde nel suo buchino rosa. Una donna etero o omo lì dentro qualcosa deve mettercelo se vuole godere, ed Ilde a mettersi dentro cose non aveva mai esitato. Leccavo e le baciavo la vulva risalendo repentinamente fino alla clitoride, e poi più su per baciare teneramente col naso il suo monte di venere. Le avevo appena sfiorato proprio il monte di venere con l’alito caldo del mio naso, e la clitoride con la mia lingua salivosa. Ad ogni leccata era sempre più calda la vulva di Ilde. Dovette apprezzare quel gesto perché Ilde mi chiese di farlo ancora tenendo la mia testa per la nuca.
“Ma dove hai imparato? Ahnnn! Sei così brava! Uh! Maledetta a te Daria! Te l’avrei fatto io questo servizio! Ahnnnn! Uhhhhh! Toccami le zinne Daria!”
“Sluuuuurpppp! Non so. Mi va di farlo e basta.”
Leccavo, e leccavo. Non mi andava di fare tardi. Fui un po’ cafona: dopo tre o quattro spremacchiate al suo seno destro mi fermai un istante:
“Ilde, cerca di godere che devo andare, sulla lingua non voglio la tua lacrimina...”
“Ahn! Ahn! Sì...un giorno di questi, ahnnn, ahnnn, facciamo un bel 69...ahnnnn!”
Le diedi un paio di colpi di lingua sulla clitoride bagnata, e quasi scappucciata. Ora Ilde era più sensibile; dovevo fare piano. Senza insistere troppo. Poi decisa dissi:
“Lasciami fare con le mani! Stavolta godi!”
Con la mano sinistra le tenevo il ventre carezzandoglielo; con la destra le massaggiai la vulva gonfia dal colore rosa scuro e dopo tre-quattro minuti di carezze sfiorate al ventre e di massaggi vaginali, venne. La feci godere. Mi bagnò la mano destra. Dapprima un calore che mi attraeva, infatti continuai a spremergliela un po’, poi tiepida a mano a mano che godeva, quindi fredda. Mi sporcò tutta la mano. Il succo del piacere di Ilde mi solleticava ed irritava fra le dita per il caldo. Continuai a massaggiarle la vulva finché quell’organo, che diede quel che poteva, non reagì più alla mia mano. Ilde mi chiese di fargliene altri, e naturalmente non mi opposi. Certo non ero pronta per farmi bagnare il viso con l’orgasmino. Le strinsi all’improvviso un’ultima volta quella vulva, e dopo due-tre prese decise e rilasciamenti finì di godere ansimando di brutto. L’orgasmo glielo avevo procurato. Anche se era veramente finito si tenne la mano sulla sua vulva qualche minuto, Ilde era proprio una lesbica nata! Traeva piacere dal contatto con la mia mano femminile. Poi pagato il conto me ne andai in bagno a lavarmi le mani, ed il viso. Ilde restò sul letto a fumarsi una sigaretta con la vulva ancora sporca e sudata. La salutai, e me ne andai. Erano le ventitre e quaranta. Per mezzanotte sarei stata di nuovo a casa. Forse Carlo aveva già provveduto col sonnifero. Neanche la mia coscienza era pulita. Tuttavia speravo che mio fratello, come aveva saputo mandare nel mondo dei sogni più di una volta me, così speravo non esagerasse con i nostri genitori. Forse ero stata troppo frettolosa a proporre a Carlo nientemeno che la narcosi dei nostri genitori. Il fatto che papà lo prendesse comunque non giustificava minimamente. I miei pensieri non mi avevano fatto sentire la lunghezza della strada. Avevo compiuto il tragitto sovrappensiero. Ero già arrivata al portone di casa nostra. Entrando a casa vidi che c’era silenzio. La Tv era bassa. Carlo stava sparecchiando portando in cucina i piatti sporchi in punta di piedi. Era stato rapido e discreto. Abilissimo nello sciogliere o far assumere dei sonniferi. Li stava lavando lui. Bene, ero contenta che si rendesse utile almeno un po’. Passai in camera da letto. I nostri vecchi stavano dormendo vestiti. Li coprii io alla meglio dopo averli spogliati nel sonno, e ripiegato i loro abiti. Uscii dalla stanza in punta di piedi per non fare alcun rumore. Intercettai mio fratello Carlo che stava cercando un asciugamani in bagno. Gli dissi a voce bassa vedendolo:
“Dormono della grossa. Secondo te quanto tempo abbiamo?”
“Circa tre ore, se non squilla il telefono.”- Rispose Carlo a voce altrettanto bassa.
“Cielo! Il telefono! Vado a staccarlo subito. Me ne ero dimenticata completamente.”
Il mio sussurrare aumentò il senso di complicità tra noi due. Andai di nuovo in camera da letto e staccai lo spinotto del loro cordless. Feci lo stesso in corridoio. Certo, se avevano il cellulare acceso eravamo daccapo. Frugai nelle tasche dei pantaloni di papà, e trovatovi il suo cell glielo spensi. Tanto a quell’ora i colleghi non lo avrebbero cercato di certo. Ripetei l'operazione con quello di mamma, e vidi che era già spento, e sotto carica. Meglio! A quel punto andai all’ingresso e guardai dentro un vecchio ferro da stiro a carboni che decorava il ripiano prima della specchiera a muro. C’erano delle chiavi: erano quelle della terrazza. Le presi, ed a quel punto andai da Carlo che si stava lavando il pisello al lavabo del bagno: troppa fatica scendere, e sedersi sul bidet. Il bidet in piedi ! Invenzione tipicamente maschile. Poi però in autobus il posto a sedere se lo prendono...Fra poco mi avrebbe messo dentro quella piccola fontanella di carne che usava accarezzare con l’acqua tiepida. Quello lui lo chiamava lavarselo. E io che me l’ero fatta pelare per fargliela leccare meglio; più in pieno. Gli dissi di sedersi sul bidet che gliel’avrei lavato io. Gli dissi anche:
“Hai intenzione di fare così anche quando andremo a scopare con lei?”
“Lei chi?”
“La Bonanno, no?!”
“Quando?”
“Tra una settimana, forse. Dobbiamo definire ancora i dettagli. Dai togliti i pantaloni e siediti!”
Mio fratello Carlo si tolse i pantaloni e le mutande e si sedette sul sanitario. Io mescolata l’acqua perché venisse tiepida gli passai la mia mano destra bagnata sul pisello, e sulle palle. Poi glieli insaponai abbondantemente. Passai la mano più volte sul suo apparato riproduttivo anche per sciacquare. Posso dire che Carlo apprezzava quelle mie cure materne che finirono quando ebbi finito di lavargli il suo pisello.
“Asciugati e togliti che ora mi siedo io.”
Mi ero tolta la gonna in un battibaleno e abbassate le mutandine. Gli mostrai la passerina glabra, e lui subito si precipitò a leccarmela come un qualunque maschio arrapato. Ovviamente voleva sentire se aveva cambiato sapore dopo la depilazione. La mia fica era pulita. Il primo sapore lo diedi a mio fratello Carlo. Tuttavia non volevo godere lì al disopra del bidet, con il rischio che i nostri genitori si svegliassero richiamati dal sonno dai nostri mugolii. Carlo cominciava già a respirare veementemente. Pensai: - se me la insaliva non mi stacco più! – quindi indietreggiai col bacino di un passo, lasciando lui goffamente a lingua all’aria, per interrompere quel piacevolissimo contatto orale, e sedutami sul bidet iniziai a lavarmela con acqua calda. Poi da affettuosa sorella scelsi di farlo fare a Carlo già deluso per la leccata interrotta. Eccitai Carlo giustificandomi, e per tenerlo eccitato, mentre la sua mano me la stava lavando gli baciai il volto e l’orecchio con la lingua:
“Carlo, quello era solo il trailer! Il film completo te lo fai fra poco, su in terrazza!”
Carlo ci si mise d’impegno: mano destra e sapone, e massaggiandomela, me la lavò passandovi la mano un po’ dappertutto, anche quando non era più necessario. Se penso che i nostri genitori dormivano a tre-quattro metri di distanza... ad ogni buon conto pensai che fosse meglio che me la asciugassi da sola. Lasciai lui in bagno ed andai a prendere della biancheria nuova, per me, e per lui, che pensava di re-infilarsi quelle vecchie di mutande. Con i sessi puliti come nuovi gli sussurrai in corridoio di andare avanti lui fino al pianerottolo dell’ultimo piano dove l’unica porta era quella di metallo dell’ascensore. Io lo avrei raggiunto di lì a poco, non appena mi fossi assicurata che la situazione rimanesse stabile. I nostri vecchi in altre parole dovevano mostrare di continuare a dormire. Mentalmente calcolai che all’una di notte quei sonniferi dovevano fare pieno effetto. Mi rimisi la gonna, e chiuse le porte delle nostre stanze, dopo aver preso il dildo per compiacere Carlo, sgattaiolai via dal corridoio chiudendo la porta di casa con cauta lentezza cercando di evitare il minimo rumore. Vidi che l’ascensore non c’era. Poco male. Avrebbe fatto solo altro rumore; inutile chiamarlo. Decisi di salire i tre piani rimanenti a piedi. Ci misi più di un minuto ad arrivare, e trovai Carlo che aveva avuto l’intelligenza di portarsi dietro un lenzuolo ed il materassino da palestra che aveva in camera sua, senza che lo avesse finora usato: ecco che si presentava l’occasione. Aprimmo pian piano la pesantina porta metallica della terrazza, e ci ritrovammo all’aperto. Il clima era fresco. Era buio. Vedevamo le luci da sera dei condomini vicini. Mio fratello Carlo già cominciava a palpeggiarmi il culo pregustando quello che gli avevo mostrato lavandoci. Quando valutai che eravamo fuori vista rispetto alle terrazze degli altri condomini, gli dissi di piazzare lì il materassino. Carlo eseguì, e ci si stese lui per primo per provarlo. Io mi tolsi le mutandine e la gonna davanti a lui che mi attendeva steso per terra con ancora i jeans indosso nella penombra delle luci notturne. C’era umidità, e mi pentii di essermi tolta la gonna. Per lo meno senza negare il sesso a lui mi sarei protetta i reni e la vita in genere dalla frescura. Pensavo che tanto mi avrebbe scaldata lui col lenzuolo. Mi abbassai col bacino verso il suo viso adolescente. Lo avrei fatto esordire con una leccata di fica “per gravità”. Il suo apparato gustativo avrebbe visto e percepito una specie di unico universo, costituito dalla sola mia fica pelata. Dovunque la sua lingua avesse colpito avrebbe trovato solo carne liscia e morbida, vellutata e profumata come lo era quella dei sessi. Gradivo sentire arrivare sullo spacchetto l’alito caldo del suo naso. Strusciavo la fica sul suo viso perché la sentisse bene sulle guance, sulle labbra, ed attendevo che tirasse fuori anche la lingua. Gliela strusciavo velocemente senza staccargliela mai. Fica, fica e solo fica: il suo viso non avrebbe conosciuto altro per ben più di qualche minuto. Due secondi dopo la sua saliva bagnava le mie grandi labbra, e la punta della sua lingua scavava attraverso il mio spacco. La lingua di Carlo, benché schiavizzata dal peso del mio bacino, lavorava comunque di gran lena. Una bella leccata servizievole. Leccava Carlo, leccava, e nemmeno immaginava che entro una settimana la pacchia finiva. Chissà se respirava bene. A giudicare dal suo caldo alito nasale contro la mia fica direi di sì. Usava saliva in abbondanza per deliziare la mia vulva a pomodorino tutta per lui. Lavorava col dorso e la punta della lingua e qualche volta col di sotto. Sulla mia clitoride non era nella posizione di potervi indugiare molto come mi sarebbe piaciuto, e nel frattempo c’era da drizzare anche il suo di cazzo. Mi staccai, e mi voltai rapidamente offrendogli lo spacco delle mie natiche più o meno dalla stessa posizione. Però non sarei rimasta seduta su di lui. Mi stavo già allungando verso il suo cazzo che reclamava la giusta uscita dalla patta dei pantaloni. Glieli aprii, e glieli calai tutti di un buon metro. Poi abbassatigli gli slip gli catturai, affamata, la cappella a mezz’aria. Favorii il suo scappellamento chiudendovi le labbra sopra, e spingendo indietro il prepuzio. Poi mentre l’asta assumeva consistenza l’afferrai anche con la mano destra, ed iniziai la mia sega-pompino del nostro 69. Lui aveva preso a leccarmi le intimità anche dietro affannando di più. La sua lingua che si infilava nel mio ano mi dava sensazioni di soddisfazione. Inguine, ano, e natiche erano le uniche cose che poteva assaggiarmi. Poi cominciò a leccarmi la fica da dietro, e col dito indice e poi col medio entrava nel mio culetto, avanti ed indietro per il semplice gusto di invadermi lì. Dopo avergli scappellato ed insalivato tutto il glande, andavo avanti ed indietro con il mio pompino succhiando e succhiando. Poi afferratagli l’asta per spipparlo nelle mie pause orali cominciai il mio servizio completo: gli leccavo, e succhiavo pure i suoi testicoli per il gusto di sentirli duri e gonfi sulla mia lingua. Il paradisiaco “ristorante Daria” oggi offriva lessata di palle. Me le cucinavo in vista di quando avrebbe dovuto usarle per mandarmi la fica fuori giri. Gli carezzavo l’asta, e i coglioni usando anche il mio nasino caldo con delle sfiorate infantili imparate da piccola col gioco del naso contro naso. Tanta tenerezza che mi ripagava con la giusta durezza del membro virile di mio fratello. Non lo avevo dimenticato. Continuavo a fargli seghe delicate, e mentre mi occupavo delle palle la sua cappella poteva sbattere contro il mio palato caldo e trovare sollievo contro la mia lingua salivosa. Il suo cazzo svettava duro cercando di raggiungere chissà quali altezze. Ancora un paio di minuti di quel trattamento ed avrebbe sborrato troppo anticipatamente. Tolsi il mio culo dalla bocca di mio fratello, e portatami in avanti di scatto per la fame di congiunzione mi impalai sicura sul suo cazzone dal quarto d’ora imperioso; ma dovevo sbrigarmi a godere anch’io: in realtà mio fratello, per come lo conoscevo, un quarto d’ora non sarebbe durato. Nella fretta di sfruttare quella sua erezione mi misi di spalle a lui, e purtroppo vi rimasi. Pensai: poco male; tanto mi vede il culo! L’illuminazione notturna ed i giochi di penombra davano a mio fratello Carlo la possibilità di vedere il mio culetto, che tante volte lo aveva eccitato andare su e giù, mentre il suo membro portava lentamente all’orgasmo la mia fica appena trafitta, ma già gonfia per l’abile leccata di Carlo. Cavalcavo Carlo alla massima velocità permettendomi anche di ululare in terrazza per il piacere di avere dentro un cazzo caldo e duro, anche se non grandissimo. C’era una cosa inoltre che mi dava scariche di adrenalina: la scopata alla frescura notturna e la possibilità (tuttavia remota) che ci sentissero i vicini di sotto. Inconsciamente volevo che ci sentissero. Il mio orgasmo era diciamo più condito, più salato, più speziato se c’era il sospetto, ma non la prova chiaramente, che eravamo due amanti incestuosissimi! In realtà per quello che ricordavo eravamo comunque gli unici in terrazza, dove a rigor di termini nessuno poteva recarsi senza un valido motivo. Ad ogni affondo bagnavo quel suo cazzo più di prima. E tutto ciò Carlo lo avrebbe apprezzato o fatto apprezzare al suo cazzone. Il bagnetto dei miei liquami intimi era pure caldo, caldo, caldo, come calda percepivo la sua cappella sulle pareti interne della mia passera. Mio fratello aveva ripreso ad indugiare col suo dito esploratore dentro il mio ano. Ma se si sporgeva troppo rischiavamo di disgiungerci, ed in quel momento in cui sentivo il mio basso ventre andare avanti a tremori, contrazioni, rilassamenti e ancora contrazioni, cercavo di mantenere il nostro contatto carnale, intimo, peccaminoso e tanto, tanto materialista. Una corrente interna mi percorreva la vagina facendone contrarre e rilassare le pareti che avevano avvolto ed ingoiato il cazzo di mio fratello. L’aria fresca mi sarebbe sembrata secca aria desertica se si fosse interrotto il nostro amplesso bagnatissimo. Continuavo a cavalcare convinta ed a sbrodolare sporcando le sue cosce pelosette. Quel suo cazzo dentro di me non intendevo mollarlo. Guai se quel cazzo se ne fosse uscito! L’orgasmo sentivo che mi stava montando. Ero attraversata intimamente da ondate e correntine elettriche che mi facevano sussultare lo stomaco ed il basso ventre; piccole frustate neurotrasmesse fino al diaframma accompagnate e talvolta potenziate anche da tremori repentini, fino al cervello. Le mie zinne erano già dritte, e in certi istanti me le sentivo esplodere per il calore! I miei capezzoli li sentivo turgidi al mio tatto. Carlo non arrivava a toccarmeli. Peccato! Sentivo scendere lungo l’asta i miei liquamini intimi intanto che aspettavo che lo sperma di mio fratello agisse da giusto estintore per il fuoco umidissimo della mia fica. Volevo mescolare i miei umori con i suoi. Anche Carlo per fortuna si muoveva. Potevo sentire i suoi colpetti di lancia. La mia fica reclamava godimento. Il cazzo di mio fratello faceva il suo dovere. Sì, ero tutta un godimento, e lo stesso mio fratello. Ero sicura che sarebbe venuto prima lui. Ero ansiosa che mi sparasse il suo proiettilino liquido. Mio fratello mi diceva:
“Hoh! Hoh! Godi Daria, sto per venire! Hoh! Hummmm! Hoh! Hoh! Hoh! ”
“Ahn! Ahn! No! Resisti ancora un po’! Uh! Che bello! Dai! Dai! Ah! Ahnnn!”
“Sì! Eccoti un altr...o affondo! Uhhhh! Ti piace? Hoh! Hoh!”
“Sì ! Mi piace! Continua, che veniamo assieme! Uhmmmm! Sì Carlo, sì!”
“Uh! Ahnnn! Uh che fica ! Che bomba!”
“Dai, Carlo la mia fica è pronta! Sborra! Sono pronta! La voglio! Sì !”
“Sì! Eccooooooo!”
Mio fratello Carlo mi sborrò dentro. Mentre accoglievo il suoi primi due proiettili di crema ero così felice di essere investita dal suo sperma, che mi misi a far tremolare il mio culetto di lato. Eccitai di nuovo Carlo che vi rificcò pochi secondi dopo il dito dentro per esplorarmi ancora; intuivo che voleva cogliere qualche misteriosa movenza interna del mio intestino. Per non staccarmi durante il nostro caldo amplesso non mi ero mai voltata. Avevo scopato con lui un po’ egoisticamente dall’angolazione in cui gli davo le spalle. La sua unica vista erotica era la mia maglietta ed il mio culetto. Era comunque bastato per eccitarlo a dovere. Ora stavo ricevendo i suoi ultimi stanchi proiettili di sperma; poco più che acquetta densa. Quella bianca, abbondante e calda di pochi istanti prima si era ben sparsa dentro la mia fica. Dovevo lasciare la posizione seduta. Il suo pisello si stava ammosciando. Presto non mi avrebbe più sostenuta. Erano stanchi tutti e due: Carlo ed il suo non grande, ma valoroso cazzo. Mi staccai, mi voltai verso Carlo e abbassatami sul suo cazzetto in ammosciamento gli ripulii la cappella dai nostri liquami. Carlo diede un urletto di piacere quando succhiai e appoggiai la mia lingua proprio al centro della sua cappella finendo di sturarlo dalle ultime gocce di sperma freddo. Una piccola quantità che non era riuscita ad uscire. Il suo cazzo era amaro e sudato, e mi stava anche piacendo anche se al mio palato era irritante. Ero più che disposta a sporcarmi se ero io a voler dare del piacere! Finito di succhiare mi piazzai sopra di lui per abbracciarlo replicando quegli abbracci che gli facevo sul letto da piccoli quando da protettiva sorella maggiore gli concedevo di dormire con me (e si accontentava di una sbirciatina alle zinne ancora inesistenti). Cercai di scaldare mio fratello Carlo. Purtroppo adesso, finito il calore del coito, la frescura notturna la sentivamo di più tutti e due. Provai ad avvolgere entrambi con il lenzuolo che mio fratello aveva portato insieme al materassino. Carlo era stanco, ma non domo. Mi stava ancora cercando l’ano per ficcarci il dito dentro. Gli dissi:
“Andiamo dentro? Sul pianerottolo. Qui fa troppo freddo e poi lì c’è la luce della lampada...ehi! Che fai?”
“Uhmmmm! Pciù. Smack! Slaaaaappp! Slurp! Uhmmmm!”
Mio fratello mi stava baciando il collo e le guance leccandomi su tutto il viso. Era proprio affettuoso. Un dito cercava di entrare nel mio culo mentre con l’altra mano mi spremacchiava la tetta sinistra. Continuò così una decina di minuti. Voleva coccolarmi come un innamorato. Lo lasciai fare qualche minuto; poi mi alzai; dito o non dito, zinna o non zinna. Insistetti per l’interno. Scopare davanti a tutta la città in notturno mi era venuto meno facile di quanto avevo creduto. Anche la penombra notturna della scala era eccitante dopotutto. In più eravamo costretti a godere più silenziosamente...Entrammo e facemmo entrambi molto piano. Sistemammo il materassino lontano dalla porta metallica verde un paio di metri, quattro scalini più sotto. Eravamo illuminati dalla luce elettrica esterna che filtrava dalla finestrona dell’attico davanti a noi. Faceva più caldo per cui mi tolsi anche la maglietta. Ero completamente nuda. Mi distesi sul tappetino. La mia fica era ancora un pomodorino liscio benché adesso fosse arrossata e lievemente aperta. Insomma l’aspetto usato ce l’aveva. Mio fratello Carlo me l’aveva chiavata dopotutto. Carlo si precipitò su di me a leccarla di nuovo. Gli sussurrai sorridendogli:
“Ehi, dai ! Non ti sta puzzando?! Guarda che ci hai già goduto!”
“Slummmpf! Uhmm! Sì, puzza! Uhmmmm, ma che buona la tua fica Daria!”
Gli carezzavo il viso per accompagnargli quella sua dolce lingua che deliziava la mia vulva insalivandola ancora con delicatezza. Mio fratello Carlo di dolcezza per la fica ne aveva da vendere. Mi stavo intenerendo. Le sue leccatine mi piacevano tantissimo. Allargai di più le cosce; la sua testa era la benvenuta tra le mie cosce. Baciavo mio fratello usando la fica. Gliela accompagnavo contro le sue labbra premendo sui suoi capelli con dolcezza. Che bravo Carlo. Neanche il più fedele dei cagnolini...La mia clitoride si era scappucciata tutta, e Carlo vi aveva poggiato la lingua con molta delicatezza per non indurmi male. Lì, sulla clitoride, sono molto sensibile. Mi lambiva sia il centro della clitoride che la base del cappuccetto. Che sensazioni magnifiche! La mia fica si era gonfiata di nuovo e soprattutto si era aperta. Ero pronta per una nuova penetrazione. Accidenti ! Ecco mio fratello che prende il dildo. Era molto più grosso del suo cazzo in erezione! Me lo ficcò dentro con garbo, ed io allargai ancora di più le cosce per dimostrargli la mia approvazione. Me lo mosse dentro inducendo movimenti circolari, trapanatori, avanti ed indietro, anche laterali; riuscì persino a combinare quei tre movimenti dandomi tanto godimento. Stavo affannando anche se contraendo il basso ventre cercavo di silenziare un po’ le mie espirazioni di godimento. Carlo morbosamente osservava il dildo zuppo della mia fica dentro. Si fermò lasciandomelo dentro. Riprese a leccarmi la clitoride, poi dopo mezzo minuto di nuovo il dildo, quindi la clitoride di nuovo. Con la sinistra finiva di separare le grandi labbra della mia vulva umidiccia ed olezzante di piacere e per pochi secondi scendeva a leccare tra clitoride e bordi dello spacco...poi all’improvviso mi infilò il dito della mano destra (che era stata libera) nel culetto muovendo con la bocca il dildo, e con pollice ed indice della sinistra sfiorava la mia fica tenendola delicatamente aperta. Con i denti dava lievi colpetti alla parte posteriore del dildo che sporgeva fuori. Sentivo delle piacevoli sensazioni in tre punti diversi, e per qualche istante contemporaneamente. All’improvviso dalla mia fica dilatata cadde una lacrima trasparente lunga sei o sette centimetri. MI era finita sulla coscia di sinistra e Carlo si precipitò con la lingua a coglierne quello che poteva.
“Uhmmm! Che buona! Salata!”
“Ahn! Ahnnnn! Bravo! Sei proprio un cagnolino! Ahnnn che lingua! Ahn, dai, non assaggiarla mai troppo! Potrebbe avere i microbi! Sputala fuori scemo! Dai, basta! Su!”
“Uhmmmm, ancora un po’! Come sei buona, Daria! Sluurrrp! Uhmm!”
Il trattamento triplo di mio fratello (diventato così fantasioso, ma come?) mi fece rilasciare una o due gocce di urina dal meato. Carlo imprudentemente assaggiava con la sua lingua ed il suo palato qualunque cosa uscisse dalla mia vagina, che continuava a far muovere come un capitone nell’incarto del negoziante di pesce, quel dildo inanimato ospitato dentro di lei. La sua lingua cercava ai lati del dildo sulla pelle delle labbra e prendeva. Poi scostandomi con cautela le labbra della mia vulva più sopra mi leccava leggero sul meato. Il suo ovvio solletico mi faceva contrarre e rilasciare il meato e la vescica alternativamente. Un pruritino caldo si manifestò sul meato, e dopo un suo leggerissimo colpetto di lingua non riuscendo più a trattenere alcunché, finalmente schizzai! Due soli spari. Provai molto sollievo. Tutti e due in faccia a mio fratello. Non poteva lamentarsi se era la reazione della mia vagina occupata che cercava. Carlo decise, forse per morbosa curiosità, di togliere il dildo. Peccato! Dentro mi piaceva! Era tutto zuppo dei miei liquami di piacere, e di lubrificazione naturale. Se lo mise in bocca, e si prese tutti gli umori che la mia fica aveva lasciato su quell’oggetto duro ma inanimato, per niente pulsante come un vero cazzo. Mio fratello Carlo voleva esplorare tutti i miei sapori; anche i più nascosti e meno nominabili persino davanti a me stessa. Dovevo averne fatto un vero maniaco! - Non prendetevela con lui! La responsabile sono io ! - pensavo in quei lascivi momenti di solo piacere davanti ad un buffo tribunale immaginario di persone le più varie: vicini di casa, preti, vescovi, poliziotti, parenti, genitori, il titolare dell’internet point vicino casa nostra, professori... Tornata alla realtà dopo aver perso la cognizione del tempo mi preoccupai per i suoi occhi che si erano beccati la mia urina. Era sempre mio fratello minore! Purtroppo la fame di mio fratello Carlo per le mie intimità liquide cosparse sul dildo mi fece vedere un’immagine più degna di Daria che di un maschio con le palle. Mio fratello Carlo aveva preso in bocca il dildo come a spompinarlo. Glielo tolsi immediatamente in maniera abbastanza brusca, ma non volli rimproverarlo. Era chiaro che non volevo che si abituasse a certi gesti. Non era il caso. Dimenticai immediatamente il suo gesto morboso, e sorridendogli gli dissi:
“Sei stato grande! Ho goduto intensamente. Grazie! Ma ora vai ai lavandini della terrazza e sciacquati il viso e gli occhi. Se ti si arrossano per l’urina che diciamo a mamma e papà? Dai, su ! vai!”
Carlo andò a lavarsi nel locale del bucato della terrazza. Di acqua ce ne era poca dal rubinetto per via della pressione scarsa. Eravamo all’attico del resto. Come era strana la vita. Non ho mai goduto tanto come sul pianerottolo di notte, non ho mai scopato più strano con mio fratello come quando era riuscito a deliziarmi la vulva esterna con due dita o la lingua per qualche istante, stimolarmi la vagina interna col dildo, e stimolarmi contemporaneamente anche il buchino del culo. Carlo stava scendendo gli scalini verso di me che mi stavo massaggiando la vulva con la mia saliva per lavarmela alla meglio quando all’improvviso trasalimmo entrambi: dei rumori forti. Lo scatto di una serratura del piano sotto. Uno, due, e diamine! Si stava aprendo una porta dalle scale. Merda! Decidemmo nel volgere di due secondi. Scendere non potevamo. Toccava salire e nasconderci in terrazza. Carlo prese il materassino e lo piegò in un istante. Fortuna che era di gomma! Io raccolsi le mie mutandine reinfilandomele a razzo e la maglietta senza dimenticare il lenzuolo che passai a Carlo non so perché, e corremmo fuori! Avevamo circa sei o sette secondi. Il vicino non stava usando l’ascensore. Andava a farsi un piano a piedi. Nascosti dietro uno dei camini io, e dietro un ripiano di cemento lui, non tardammo a capire il motivo: era Gabriele, il quarantenne dell’ultimo piano col...col...cazzo! Questo si è portato dietro il trespolo! Già, un cavalletto col telescopio astronomico! Merda! Proprio stanotte! Lo aveva piazzato poco avanti il centro della terrazza, poi lo aveva lasciato per ridiscendere di nuovo, forse. Carlo voleva approfittarne per smammare, ma gli feci segno di no. Non era ancora il momento. Sentivo dentro di me che sarebbe tornato subitissimo. Me lo diceva l’istinto. E non mi ero sbagliata. Non era ridisceso: era solo andato a prendere uno zaino dove teneva una reflex professionale. Armeggiò sul cavalletto, e sugli oculari del telescopio (dei quali aveva una collezione completa) e fece per montare la fotocamera. A gesti mimai a mio fratello (facendo appello alla sua intelligenza intermittente) i gesti della mira, della messa a fuoco, e dello smammamento (riferito a noi quest’ultimo). Carlo mi annuì. Aveva capito. Mentre il nostro Gabriele, impiegato presso la sede dell’INPS, astrofilo per hobby, regolava la fotocamera al telescopio e guardava nell’obiettivo, Carlo, nudo, in puntissima di piedi prese coraggio, e si mosse di spalle a Gabriele per fortuna occupato a focheggiare verso qualche pianeta o magari qualche stella nell’oscurità generale della terrazza. No, non lo vide mica. Quando giunse in prossimità della porta la aprì lentamente. Speravamo entrambi che non si voltasse in quel momento. No, non accadde. Carlo guadagnò l’uscita e scese al piano di sotto. Quello nostro. Sì ma le chiavi le avevo prese io nella foga. Ora ero io che dovevo guadagnare l’uscita! Ma ero non tanto dietro Gabriele, quanto di lato. Solo un paio di metri e poca oscurità sottraevano all’astrofilo la visione del mio corpo quasi tutto nudo. Se mi vede, pensai, - che fa ? Mi scopa qui sul posto?! – No. Di farsi vedere non era il caso. Si sarebbe comunque chiesto se lì in terrazza ci andavo con qualcuno. Senza contare che poi anche la voce l’avrebbe sparsa lui stesso, un uomo che a quanto ne sapevo era solo e forse pettegolo sebbene non cattivo. Se persistesse a guardare in quel cazzo di mirino almeno cinque secondi! Cosa darei per cinque secondi! Un’idea ci voleva! Un’idea! Mi tolsi le ciabatte silenziosissimamente che avevo indossato lasciando la casa per non far rumore, e seminuda mentre si concentrava sul puntamento e sulla focheggiatura cercai di svignarmela. Esitavo. La mia mente sapeva che passando davanti a lui per almeno un secondo sarei stata visibile se si fosse voltato di lato. Fu un lunghissimo istante nel quale il cuore mi era diventato grosso come una patata e ce l’avevo tutto in gola! Proprio mentre dovevo passare davanti a lui, andò verso gli spalti della terrazza in direzione opposta alla visione del mio corpo: mi salvò un rumore, tipo uno scontro in lontananza parecchio avanti a me. Gabriele attirato dal rumore andò a curiosare in direzione di esso dall’altra parte della terrazza che dava sulla strada, e mi lasciò il campo libero. Corsi via, e feci seminuda tre piani a piedi scendendo senza usare l’ascensore per non insospettire Gabriele che stupido non era. Fui tranquilla solo quando beccai Carlo seduto sul pianerottolo fuori dalla vista degli spioncini delle altre porte che mi aspettava. Mi baciò il culo proprio sull’ano, ma fui costretta a scostargli la faccia. Ormai la cosa doveva finire in ogni caso. Dovevo aprire la nostra porta silenziosamente indossando solo maglietta e mutandine mentre mio fratello Carlo era ancora seminudo. La gita in terrazza ormai era finita per l’imprevisto di Gabriele. Ci misi trenta lunghissimi secondi ad aprirla pian pianino, abbastanza da farci passare entrambi. Carlo non se lo fece dire due volte. Entrò subito a casa dirigendosi nella sua stanza. Io chiusi tutto, e mi diressi nella mia. Potevo riposarmi finalmente. Che tensione! Adesso, piano, piano andai in giro per casa riattaccando le spine del telefono, e riaccendendo i cellulari. Erano le tre e trentacinque del mattino e Gabriele ci aveva rovinato la notte di sesso trasgressivo nel posto più strano che mi ero potuta immaginare. Decisi di dare a mio fratello un ultimo contentino: andai in stanza da Carlo e toltemi le mutande davanti a lui gli mostrai di nuovo tutto il mio culo. Però non potevo restare se avesse tenuto la luce accesa. Era più rischiosa l’atmosfera adesso. Il pericolo di svegliare i nostri genitori c’era, ed era reale. Gli feci il cenno del silenzio con un ampio sorriso, poi aggiunsi il cenno dello spegnimento dell’interruttore e ottenuto il suo consenso con un gesto del capo, gli spensi la luce e non mi mossi: Il mio culo era di nuovo sul suo volto. Solo la debole luce di ripresa del suo videofonino illuminava debolmente l’ambiente. Mio fratello Carlo si era inginocchiato dietro di me sullo scendiletto; ora poteva baciarmelo quanto voleva. La porta era chiusa, ma non bloccata; la bloccavo io facendo massa e presa sulla maniglia. L’acustica era ottimale in senso negativo: sentivo russare nostro padre, e prima avevo visto che, per fortuna, anche nostra madre dormiva della grossa. Volevo chiudere dando a Carlo un’ultima possibilità di piacere. Mi piazzai alla pecorina in piedi davanti alla porta tenendola chiusa. Mentre mio fratello Carlo mi slinguava l’ano il pensiero mi andò al dildo. Mi voltai, e chiesi a Carlo a bassa voce se lo aveva preso lui; io non lo avevo. Dava i brividi, ma il dildo era rimasto in terrazza insieme al materassino, ed al lenzuolo! Merda! Il mio dildo! Carlo mi disse a bassissima voce mentre cercava di sodomizzarmi senza troppa abilità per la posizione:
“Tra due ore è l’alba! Quel cretino avrà finito di fotografare, no?...Io l’ho messo sotto il materassino; è avvolto nel lenzuolo. Se quello lì fa solo le foto ai suoi pianeti del cazzo, nemmeno lo vede! Tra due ore trovi tutto...vai, e te lo riprendi!”
“No mio caro! Vai e me lo riprendi tu. Tu l’hai lasciato lì. Ahnnn! Sempre lì lecchi!”
Per rispondermi Carlo staccò la lingua dal mio ano e continuando a farmi presa sulle anche disse:
“Sì ma fra due ore si svegliano loro, e loro non sono abituati a vedermi mattiniero! Che succede se mi vedono con il dildo?! Che andrebbero a pensare?”
L’osservazione di mio fratello era giusta, anche se lui era solo un paraculo, un coccolatissimo paraculo di casa nostra.
“Hai ragione, porca troia! Hai ragione pure te! Finisci st’inculata dai!”
Mi voltai di nuovo col culo rivolto a Carlo.
“E se non ti tira, insisti! Con la bocca o con la lingua! Poi prova ad entrare, insomma fai tu! Ci vado io dopo! Ci vado io! Dai ! Entra ora !”
Permisi a Carlo di finire quello che aveva iniziato sul pianerottolo. Con la seconda eccitazione però non aveva potuto fare molto: mi aveva sborrato debolmente tra le natiche dove ci si era pure asciugata la cappella (magrolina soddisfazione) dopo aver cercato (senza successo) una breve penetrazione nel mio, e per certi aspetti suo, diletto culetto; il quale stavolta non voleva saperne di accoglierlo. Un mio pietoso pompino sulla sua cappella aveva reso possibile quella sua ultima sborrata; ma quando allontanavo la bocca, il cazzo ritornava un pisello normale e moscio. A mio fratello piaceva entrare con l’asta rigida e la cappella dura. Allargarmi l’ano con le mani non gli piaceva molto. Provava più piacere a premere sullo sfintere, provare, e quindi forzare, riservandosi semmai la dolcezza per il dopo. Poteva permetterselo perché non ce l’aveva così grosso da farmi urlare in caso di riuscita sodomia. Adesso però quel suo grazioso manganellino di carne con un po’ di spessore non funzionava. Io collaboravo, ma non funzionava lo stesso. Avevo provato anche ad allargarmi io stessa l’ano voltatami subito dopo il pompino, ma il suo pisello non ne voleva sapere di restare duro ed entrare dentro. Avendo già sborrato nella mia fica gli restava moscio. Eravamo nervosi tutti e due. Soffocavamo i nostri respiri per non svegliare i nostri genitori. Fortuna che i nostri vecchi dormivano, e papà russava anche non poco. Pensai, ma non è che ha esagerato con le dosi? Comunque alle cinque del mattino, mentre il sole stava sorgendo stando alla luce delle finestre, lasciai la stanza di mio fratello Carlo, e assicuratami che i nostri genitori respirassero regolarmente, andai a dormire un po’. Ero stanca e mi addormentai presto, non appena mi poggiai sul cuscino in cerca di pace per lo stress indotto da quello stronzo, astrofilo da strapazzo, del nostro vicino Gabriele. Il mio sonno durò meno di due ore, anche se a me era sembrata poco più di mezz’ora: alle sei e trenta il mio orologio da polso, che avevo lasciato sul comodino, mi fece svegliare di soprassalto, e nonostante la seccatura, debitamente vestita, andai di lena in terrazza a recuperare materassino, lenzuolo e dildo! Per la fretta non ero neppure andata a pisciare in bagno. Quando arrivai nuovamente in terrazza il sole era già sorto. Dovevo sbrigarmi; la donna che lavava le scale poteva arrivare da un momento all’altro. Ora si vedeva tutto ciò che avevamo lasciato imprudentemente: il materassino di gomma, il lenzuolo sporco anche di noi stessi, e avvolto dentro il mio dildo; quell’oggetto che mi feci comprare da un’amica che ero ancora minorenne, e per giunta con i miei risparmiucci di liceale; era per questo che mi piaceva! Io non avevo l’età per acquistarlo. A nostra madre dissi che dopo aver comprato un cellulare con i miei risparmi, lo avevo perso. Il mio giocattolo per le soddisfazioni solitarie l’ho sempre nascosto bene nella mia stanza. E posso escludere che i nostri vecchi lo abbiano mai rinvenuto. Di cazzi inanimati, di gomma, ce ne sono e ce ne saranno tanti; ma quello mi faceva un particolare effetto. Era abbondantemente grande rispetto alla relativamente piccola vagina che avevo quando me lo feci comprare da una coppia di amici miei frequentatori di sexy shop. La prima notte lo provai in bocca, e ricordo che per poco non mi feci male ai denti incisivi, e tra l’altro mi resi conto di cosa voleva dire ingoiare un cazzo; nella vagina mi fece godere per la durezza, e nel culo lo feci entrare solo poco, perché sapevo, già a vista, che mi avrebbe fatto solo male. Poi qualche giorno dopo per curiosità personale feci il tragitto fino a scuola con quell’oggettino dentro. Potei provare l’orgasmo camminando. Tutti questi miei ricordi scorsero velocissimi mentre facevo le scale verso l’ultimo piano. Oh, ecco la terrazza ! L’astrofilo Gabriele per fortuna non aveva notato niente di quanto dovemmo abbandonare di fretta io e mio fratello, e se aveva notato qualcosa, lo aveva lasciato lì. L’ho chiamato stronzo, ma in fondo era una brava persona. Ripresami il dildo ritornai a razzo a casa facendo le scale di corsa, e appena arrivata corsi in bagno. Lo lavai col sapone da doccia contentissima di averlo recuperato; e mentre lasciavo nella stanza di mio fratello Carlo, che dormiva stanco e beato, il materassino ed il lenzuolo (che aveva portato lui) notai che si erano sporcati molto. Per quell’avventurina in terrazza tutto era sporco, me compresa. Con nostra madre, pensai ridendo tra me e me, ne avrebbe risposto lui. All’improvviso sentii dei suoni familiari; la radiolina di papà: la radiolina accesa mi ricordò che nel frattempo nostro padre si era svegliato già da qualche minuto. Dovevo mettere via il mio amato giocattolo segreto. Sentivo i passi di papà per casa. Fortunatamente non venne nella mia stanza. Si diresse in cucina, e dopo aver stabilizzato a volume medio-basso la sua vecchia radio a transistor, andò in bagno. Nell’aria si sentiva il giornale radio del mattino. Questione di trenta minuti e, tranne Carlo, ci saremmo “svegliati tutti”. Un altro giorno stava iniziando...


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