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incesto

Michele, tre teste e tre candele 2a p.


di sexitraumer
17.02.2011    |    11.152    |    0 6.5
"Una donna di statura non bassa, mora con i capelli raccolti e ben pettinati all’indietro mi comparve davanti..."
“E ditemi caro amico, come devo comportarmi quando andremo? Mi presentate voi?”
“No, Toraldo, io e mia madre accompagneremo vostra moglie. Vi presenterete voi.”
“E io come ?”
“Le direte che siete aiutante del cerusico, il dottor Amodeo Amodei che è quello sposato; che non gli va più di toccarla dato che secondo lui è una malata immaginaria; è stanco di farsi prendere per i fondelli dalla zia Emilia; mi disse la volta scorsa: vostra zia è sì malata, ma di solitudine! Quel dottore, caro Toraldo, è fedele alla moglie sua, ed è cattolicissimo devoto. Ora viene prima da me, quando la zia lo manda a chiamare…voi, Toraldo le direte che siete assistente, o che fate tirocinio dal dottor Amodei, e il resto, - lasciatemelo dire - verrà da sé…”
“Ma se vostra zia lo dicesse a questo cerusico tra qualche tempo, e questi controllasse…?”
“”Vi ringrazierebbe, credetemi! Ma anche se pure avvenisse, sarete già lontano al paese vostro!”
“Ma se vostra zia mi chiedesse medicine?”
“La medicina giusta Toraldo ce l’avete voi, e lo sciroppo, di quello che piace alla zia pure…ah, dimenticavo! Una cosa: se vi chiedesse de’ filtri d’amore, rifiutatevi! Che il cerusico Amodei fa la guerra alli venditori d’acqua zuccherata a pagarsi, o di qualche venefico intruglio col mercurio che dà li saturnismi financo alla morte!…dove sente ste’ cose si rivolge alli armigeri!”
“Capito, niente filtri.”
“Visitatela, toccatela vi dico, che il resto, vi ripeto, verrà da sé!”
“Patti chiari Michele, io le darò il mio seme, ma se resta incinta, io non sono il padre! E voi mi farete dieci ducati per domani. Per me e la moglie mia Francesca.”
“Affare fatto amico mio, e state tranquillo! Lei sola vuol far bambino! E neanche io sarò il padre!”
“Io ci provo Michele! Ma a quell’età non resta incinta!”
Sapete, cari moderni che leggete, a me questa zia così particolare, benché non giovane, mi dava il sollucchero; tanto incinta non sarebbe rimasta. Intanto erano tornate sua madre con il vino nella sporta, e la moglie mia che l’aveva accompagnata. Michele disse alla madre:
“Mamma, datemi la sporta che pesa! Or vado a prendere il calessino che noi si va a prendere Alcide alla Chiesa; gradite un passaggio signora Francesca?”
“Mah, io torno con mio marito signor Michele. Grazie.”
Pronto le dissi:
“Francesca, mia cara, il mio amico Michele si offrì d’accompagnarvi col calesse in compagnia della madre sua alla nostra locanda…andreste con loro per cortesia?! Debbo sbrigare degli affari in vista di domani, e la vostra presenza, pur gradita mi sarebbe d’impaccio.”
“Davvero dite? Non sapevo d’esservi d’impaccio marito mio Toraldo…”
“Che dite moglie mia!”
“Signora, noi si voleva solo accompagnarvi…”
“Accompagnarmi dove?”
“I signori qui presenti debbono andar col calesse a prendere il di lui figlio Alcide alla Chiesa Madre; poscia accompagneranno voi alla locanda dove mi attenderete per la cena, che ne dite?”
“Non capisco signor marito. Se proprio devo signor marito, obbedisco! Ma in particolare che dovreste fare? Il mistero non s’addice tra moglie e marito…”
“Ecco moglie mia. Dovrei aiutare un cugino del signor Michele, che per sorte avversa non è a posto colle tasse e li balzelli del comune, già da un paio d’anni. Debbo aiutare questo signore ad aggiustar li conti pria che si presenti all’università a pagare, di sua sponte perché pentito l’arretrati,…son calcoli noiosi cara moglie, nulla vi proibirebbe d’assistere; ma se talun connestabile avesse a interrogarvi, voi potrete sempre dir che nulla avete da riferire, perché non avete assistito in verità. Certo non potrete mai parlar di ciò che non sapete! Per tale ragione mi scuserete se non vi dico come si chiama, o dove vive il cugino di Michele! M’intendete moglie mia?”
“Sì marito mio Toraldo, comprendo lo segreto nella professione vostra, e d’impicciarmi neanche ho voglia…però non vorrei vi accadesse qualcosa di male…domani mi dovrete portar all’esecuzione!”
“Ci andremo, certa state!”
Poi un’idea mi venne: inventai pronto un’altra condizione onde sviar mia moglie, e conseguir qualche vantaggio al cognato notaio d’atti di poco valore:
“Caro Michele, se li calcoli che proponeste per vostro cugino si rivelassero esatti, mi farete la cortesia di far rogare la nuda proprietà, e l’usufructo dell’immobile dal nostro cognato il notaio Ranuccio Tresoldini ? Lo marito della locandiera Olivina…”
“Oh, per me sarà un onore…”
“Sapete, voi che siete mastro muratore date uno sguardo alla murata davanti che abbisognerebbe in verità di una ripittura…magari potrete fare alla sorella mia un preventivo; di lei mi fido come fossi me stesso…”
“Oh beh, certo…beh, signora Francesca, volete venire con noi?”
“Grazie Michele, un attimo che saluto mio marito…”
Mia moglie Francesca, quel tesoro di moglie ch’ebbi a tradir millanta volte, mi disse innamorata:
“Son felice che siate così ben stimato anche qui signor marito! Ora vado; vi attenderò con ansia…fate buon lavoro con i calcoli vostri…”
Mi baciò sulle labbra orgogliosa. Intanto mastro Michele si era avvicinato col calesse, e fatto accomodar la madre; adesso restava da far salire Francesca ignara di quanto fra poco avrei fatto.
“Ecco siete a posto. Andate Francesca, senza alcun timore…ci vediamo a cena.”
Michele partì con il calesse con le due donne a bordo in direzione della Chiesa Madre; quando sparirono dalla vista mi cercai da solo vico San Carlo dove vivea da sola questa lussuriosa zia Emilia. Girai per dei minuti ch’era trascorsa a occhio delle ombre la seconda ora dopo la mezza, o forse poco più; ecco che all’improvviso vidi vico San Carlo: non c’era che una sola porta intorno alla quale c’era dell’intonaco spagnolo ampiamente consumato dal tempo. Presi un bel respiro poiché temevo che la donna, essendone la sorella, somigliasse alla madre di Michele invero abbastanza brutta. Il fatto che avesse trentasette anni solamente (certo molti meno se confrontati con quelli che dimostrava la madre del mio nuovo amico) mi tranquillizzava poco. Mossi l’anello di ghisa, e diedi tre colpi, che il cuore prese a battere veloce ed intanto i secondi dopo i tocchi passavano…sentivo dei passi, poi altri lunghi istanti vuoti…
All’improvviso la porta marrone e bianca a due ante si aprì; ero tesissimo per il sembiante che tra qualche istante avrei visto e valutato. Una donna di statura non bassa, mora con i capelli raccolti e ben pettinati all’indietro mi comparve davanti. Il suo viso era liscio e non rugoso; abbastanza tondo; non certo un piacevole ovale, ma bianco, lindo e pulito a vedersi. Certo, Michele aveva ragione, la signora aveva poco seno, e il petto suo era tutt’altro che evidente con la veste nera che indossava. La signora aveva le labbra non molto carnose, ma degli occhi neri piacevoli a vedersi. Non riuscivo a capire perché non avea trovato, a sentir Michele, a maritarsi, visto l’aspetto tutt’altro che sgradevole del viso. Bella no, non era; ma certo meglio della sorella più grande alla quale non somigliava per niente. Mi tolsi il cappello, e la salutai senza riuscir a profferir parola veruna:
“Sìii…?”
Trovai il coraggio non appena le gambe mie accennarono un lieve tremore, che poi sparì parlando:
“Perdonatemi signora, mi manda Mich…no!”
“No ? Ah ! Michele dov’è ? Siete suo amico forse ? Vi vedo or la primiera volta…”
“Lo conobbi stamani verso la mezza per servirvi.”
“Ah, dite giovanotto…dite !”
“Scusatemi gentil signora…”
In parte mi stavo per tradire; non chiedetemi, cari moderni, dove prendessi tutta quella disinvoltura dell’ultimo momento; ma trovai lesto una via d’uscita.
“Signorina messere!”
“La signorina” era sospettosa quanto bastava con uno sconosciuto; come biasimarla? Ma rimase con sorriso e cortesia innanzi all’uscio senza favorirmi l’entrata, né sbarrarmi il passo; piuttosto si tratteneva con il sottoscritto:
“Signorina allora! Volevo dire che mi manda il cerusico Amodei, col quale ho l’onore di compiere il mio tirocinio di ancor giovane medico…”
“Oh, siete dunque un cerusico anche voi?!”
“Vostro nipote Michele ebbe a dirmi che abbisognereste di una visita ogni tanto; e se mi posso permettere gradirei sapere se posso esservi utile per la cura de li malanni vostri …il dottore Amodei vi saluta distintamente; è piuttosto indaffarato ultimamente, e ha mandato me, che devo far un po’ di pratica!…”
“Come parlate bene giovanotto, mi direste il vostro nome e lo cognome, dacché siete un gentiluomo?”
“Toraldo, madame.”
“Oh, Toraldo è solo il nome, come fareste di cognome?”
“Toraldo Delli Tosti, per servirvi, madame!”
Pensai che aggiungendo il “madame” si sarebbe tranquillizzata circa la mia appartenenza ai gentiluomini. Delli Tosti non era il mio vero cognome; ma ciò non aveva importanza…di tosta c’era solo la mia faccia, con lei, e con la povera fedele moglie mia.
“Delli Tosti vi chiamate?”
“Per voi solo Toraldo, vi prego! Immagino siate donna Emilia, la zia di Michele, mastro muratore?”
“Per servirvi Toraldo! Che fate sull’uscio? Entrate, adesso che vi siete presentato siete il benvenuto…”
La zia Emilia mi fece entrare in casa. La casa aveva uno stanzone unico di pietra, e un’uscita interna sul giardino; l’ertu come lo chiamiamo noi dalle parti nostre, dove si prende aria e si fanno i bisogni che poi vanno nella fossa…lo stanzone di quattro metri circa aveva alle pareti i ritratti dei santi, e della Vergine Maria ed un Crocefisso piccolo di legno. Ognuna di quelle icone su ciascuna parete di bianco tufo. C’era poi a sinistra il focolare, la porta aperta verso l’aria, e la cascia nera dove la signora teneva i suoi averi. Al centro della stanza un piccolo tavolo rettangolare di legno, con una tovaglia bianca e qualche macchietta di cui non voglio saper l’origine, ma forse era qualche traccia carnale di Michele…la casa era piuttosto illuminata dato che nel soffitto a volta gotica, al centro c’era un lucernario in quel momento aperto di un metro di lato. Lì fuori potei notare qualche giara per l’acqua ed il vino, e un catino con acqua e petali di rosa; la signora ne dedussi usava lavarsi (per buona sorte !). La donna mi diede il tempo di ambientarmi, quindi disse:
“Giovanotto, Toraldo mi avete detto, voi sapete visitare?”
Dissi con tutta la faccia tosta del mondo:
“Sì signorina, il dottore m’insegnò a farlo.”
“Attendete che metto il paletto all’uscio; che non vorrei ci disturbassero i monelli…”
Andò alla porta, e si chinò a terra mostrandomi l’ampio posteriore che tanto aveva attratto il nipote suo Michele tempo addietro. Poi tornò da me che tenevo una mano sulla tovaglia del tavolo.
“Dottore mi sentireste la schiena ed il cuore? Che da tempo non me lo ascoltano…certe volte mi sembra di sentirlo rallentare.”
“Signora, prego, son qui apposta…”
“Vi spiace sbottonare dietro la veste?”
Pronto le tolsi i bottoni, e le abbassai la veste dalla schiena. Indossava sotto una bianca camicia intima in cotone. Pensai, da cortese cerusico, che per il momento potesse bastare. La signora restò in piedi, ed io poggiai l’orecchio sulla sua schiena. Il cotone della camicia aderiva alle mie guance; provai ad ascoltare, anche se non capivo niente. Dopo un minuto forse, le chiesi:
“Respirate ampio signora, un bel respiro, su!”
“Ahhhhhhhnnnnnnahhhhhh!”
Attesi qualche secondo, poi le ordinai:
“Buttate fuori l’aria, e respirate di nuovo!”
La signora obbedì, ed intanto che cambiavo posizione all’orecchio la sua mano sfiorò la mia veste verso il cazzo; fu un solo istante, poi tornò a posto. Dunque la signora ci stava già provando…pensai fosse meglio continuare la recita...
“Signora, sedetevi sul letto, starete più comoda. E favoritemi il braccio sinistro.”
“Perché il sinistro?”
“Perché è quello più vicino al cuore! Debbo prendervi il polso…”
La signora eseguì, ed io le auscultai il polso con le dita contando mentalmente fino a trenta e scanditi gli ultimi secondi a voce, dissi qualche latinismo da due soldi, per impressionarla.
“Ventotto, ventinove, e trenta! Uhm, sì! Coeteris paribus, i battiti sono regolari !”
Il suo braccio era di un liscio così piacevole, e nonostante l’età la sua pelle era ancora vellutata; era una donna curata, ma che paura doveva avere il nipote? Ci provai di nuovo:
“Madame, vi scoprireste il seno sinistro che devo risentirvi il cuore, un po’ meglio, senza la stoffa a far d’ostacolo…”
“Dottore, vi offendete se mi tolgo la veste? Che piegata si sgualcisce alquanto…”
“Oh, prego fate pure!”
Mi voltai ed in pochi secondi la signora, toltasi la veste, era in camicione di cotone bianco tagliato alle ginocchia o poco più oltre. La signora con gentilezza mi chiese:
“Lo seno sinistro avete detto?”
“Sì, madame.”
Si abbassò l’asola sul braccio, e scoprì il relativo bianco seno, non ampio in verità, ma con un capezzolo marrone carnoso abbastanza esteso, forse un pollice…mi beai di quella visione, e subito poggiai sopra quella morbida e calda pelle, prima la guancia, poi l’orecchio a malincuore; il che mi faceva staccar di pochissimo la guancia; tuttavia ne sentivo ancora il calore. Chiusi gli occhi, e finsi di auscultarle il cuore; lo sentivo, ma sentivo anche il suo respiro caldo, di donna, inframmezzato dal solletico del suo capezzolo. Non so quanti minuti mi scaldai con quella tetta. Sta di fatto che la gita in paradiso venne interrotta dalla signora:
“Tutto bene al cuore dottor Toraldo?...”
“Oh, si signorina, sì, il vostro cuore è a posto, ve l’assicuro! Vorrei ora, se non vi spiace, veder la bocca vostra.”
La signora aprì la sua bocca mostrandomi la lingua ancora dentro. Io le dissi:
“Tirate fuori la lingua e dite aaaaa…”
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa…”
Le guardai la lingua e i denti ancora sani ma immarroniti li molari senza saper cosa dire, poi finsi di guardar la gola in fondo dove vidi le tonsille. Intanto alla vista di quella rosea lingua il cazzo già mi si stava un po’ drizzando. Poi toccai la lingua con due dita e lei capì che poteva rimetterla al suo posto. Non sapevo cosa fare a quel punto. La donna mi aiutò.
“Dottore, volete che mi stenda ? Sento un certo qual dolore al ventre.”
“Oh, stendetevi donna Emilia, si capisce!”
La zia Emilia si allentò la camiciona sul davanti al petto, e quindi sul letto si distese. La camicia intima la copriva aderendo fino a tre dita sotto il ginocchio, adesso che vedevo bene. Io presi una sedia, e mi misi accanto a lei distesa e rilassata ad occupare il suo letto. Iniziai a metterle la mano sopra la pancia al centro senza premere, e naturalmente dissi:
“Dov’è che vi fa male?”
“Più in basso dottore.”
Scesi di due dita sotto l’ombelico e premetti con garbo, quindi dissi:
“Qui?”
“Premete di più Toraldo, se no cosa sentite? Son tonda ! Sapete?!”
Seguii le sue istruzioni, e premetti più deciso chiedendole:
“Così ?! Vi fa male?”
“Uh!”
“Di nuovo dottore. Premete, forse è più in basso, lì a sinistra…”
Portai la mano dove diceva lei. Sentivo il rilievo dei peli del suo pube, che mercé il racconto di Michele, già immaginavo folti e numerosi.
“Qui?”
“Quasi appena…ci siete quasi…continuate a premere un pochino.”
“Qui?”
“Ahn! Sì, premete ancora…ahn!”
“Ma insomma vi fa male?!”
“No, provate più in basso, se non vi spiace…”
Dovevo essere più o meno all’altezza del suo monte di venere, forse un po’ di lato. Mentre timidamente premevo, perché ciò che sentivo era in realtà solo la sua fica, la signora Emilia aveva finito di allentarsi la camicia fino alla pancia e quindi con un gesto misurato la sollevò scoprendo dapprima mezze cosce, poi all’improvviso, dopo avermi fatto cenno di alzar la mano, tutto il pube fino a sopra l’ombelico. L’indumento era ormai rimboccato, e sgualcito e lasciava scoperta la metà inferiore del suo corpo tondo, ma non ancora obeso; certo di cosce era abbondante. La fica della donna era folta, grande ed allo sguardo piacevole, maternamente abbondante, e per come potevo vederla in luce diurna, ospitale.
“Dottore premete sul mio basso ventre, tutto. Ora, che non c’è l’indumento ad ostacolarvi.”
Premetti sul monte di venere, dove si presume, una donna qualcosa sente, ma lisciavo il suo basso ventre così liscio e caldo, soprattutto caldo; ogni tanto premevo per darmi arie da medico, mentre ero solo un lubrico cialtrone amici miei! La donna faceva:
“Ahn, ahn, ahn, continuate Toraldo!”
Ormai era inutile fingere; la mia mano stimolava calore e carezze a quel suo ampio pube nero. Ad ogni mio carezzare la vulva si scaldava di più, di più, tanto che divenne umidiccia. Mentre toccavo e carezzavo, la signora scoprì entrambi i seni stimolandosi i capezzoli con le proprie mani. Provai a dare una stretta a quella fica abbassando la testa un poco verso i suoi seni; chiedendo nel contempo alla signora:
“Così vero, devo toccarvi…lì se posso…”
“Ahhhhhh! Uh! Prego Toraldo, servitevi!”
Le si erano irrigiditi i seni: non ci pensai due volte e mi abbassai a suggere il suo capezzolo destro, carnoso e turgido alle mie labbra, oltre che tiepido rispetto al calore che dalla pelle del suo seno lambiva la mia faccia, e che si gonfiava col respiro. Succhiavo e baciavo, prima un seno, poi l’altro, Emilia mi baciava la testa e mi chiedeva un po’ di labbra baciandomi la fronte non appena ce l’aveva a portata. Umidi erano i suoi baci. Risposi a quei baci baciandola sul collo e leccandole le guance non ancora rugose. Trovai le sue labbra, ed un istante dopo la sua lingua contro la mia. Scambiammo con i nostri reciproci respiri e delle repentine aderentissime labbiali congiunzioni dei salivosi baci e dei colpi di lingua d’un solletico sottile. L’amoreggiare con quella donna mi stava facendo sentire un uomo vigoroso e vivo. La signora cercò il mio cazzo tra i miei cosciali aderenti e infilatami la mano sotto di essi lo trovò, e cominciò a masturbarlo facendolo uscire dai pantaloni. Baciai la mia paziente, e mi staccai qualche istante, per finire di spogliarmi; anche lei si tolse del tutto la camiciona restando nuda, tonda, e soda sul suo letto. Rimasto nudo mi distesi sopra a lei leccandole lubrico il viso ed il collo, le orecchie dietro e dentro. Lei cercò, e strinse le mie natiche, quindi iniziò a cercare il mio ano, per introdurvi il dito suo di donna. Il mio cazzo era una spada di carne ormai ben dura, che bussava alla vulva calda e bagnata della donna, che continuava a scambiare con me colpi di lingua, mentre le cercavo il suo di ano con il dito della mia mano sinistra. Esplorai il suo culo con la mano facendomela scaldare, poi la donna mi disse:
“Entrate in me dottore, che vi voglio!”
“Ahhhh! Aspettate, signora, devo assaggiarvi un po’ la fica, aspettate un altro po’ che ve la lecco un tantino…ne ho bisogno! Debbo leccarvela credetemi!”
“Ohhnnnnh, ohhhh, eh, uh! Leccate, messere, leccatemi la fessa allora, ahn! Ma credo, che vi verrò sul viso…vi sporcherete tutto…io caro voi, son facile a venire, e resto sempre tutta sporca!”
“Sìiiiiii! Vi voglio tutta ! Lasciatevi leccare, madame! Sporca, si, no , che importa! Date qua!”
Scesi con la lingua sul suo ventre, quindi sul basso ventre seguendo geometrie discontinue, e ricurve, poi all’improvviso misi la punta della mia lingua tesa sullo spacco, cercai di pescar qualcosa dentro, e immediatamente risalii lungo la pelle interna fino alla clitoride dove insistetti con la lingua più leggera, con piccole ed imprevedibili leccate leggere come ala di farfalla. Dei peli mi erano finiti in bocca, ma non aveva importanza alcuna. La femmina in calore allargò le ampie cosce sue, e tra un rantolo sconnesso, e l’altro m’implorò d’entrar col cazzo, che non volea goder di sola lingua.
“Sono allo spasmo Toraldo! Ahn! Uh! Mmmhhh! Uh! Vi prego! Ahn! Come leccate bene! Sembrate mio nipote da giovin signore! Uh! Ohhhhhhh! Ahn! Ancora un attimo sul clito Toraldo! Ahhhhh!”
Le slinguettai bene la clitoride, e invece di occuparmene ancora riabbassai la lingua sullo spacco, e leccai via una bava trasparente salaticcia ed umida; era in quelle solleticanti gocce amare del suo generoso sesso la goduria della malata immaginaria, di cui il vero cerusico del paese rifiutava la seduzione. Quale imbecille a perdersi quei sapori così intimi ed intriganti…
La sua fica insalivata s’era aperta da sola. Il cazzo mio, diventato un duro palo di carne la trafisse, e si precipitò in fondo a quelle scivolose caldissime pareti di dolcezza e piacere. Ad ogni affondo il mio cazzo veniva bagnato ed ingoiato da quel carnalissimo conchiglione intriso di umidità e calore da forno. La zia di Michele godeva, e si bagnava, godeva, e respirava mentre io le leccavo le orecchie a fondo, e lei mi ricambiava con la lingua nelle guance.
“Uhm, ahn, uhmmmm! Slurp, uhmmm Toraldo, glooooom, uhhmf, ahn, ahn!”
“Venite qui, Emilia che ve lo do tutto, prendete, ahn! Ahn! Che fica profonda avete! Oh, ahn! Uhhhh!”
Presi rifugio con la testa nel suo collo, e chiusi gli occhi per godermene il calore; sentendo il suo respiro moltiplicai gli affondi, e la velocità con cui la trafiggevo. C’era spazio a volontà in quell’enorme sesso. Tutto il mio mondo era il suo respiro, il suo calore, la sua fica. Avevo dimenticato Olivina in quei momenti così intimi; e nemmeno Francesca era così vicina nei miei pensieri. Tutto il mio vigore per amare quella donna che aveva stretto l’abbraccio con il suo dito nel mio ano. Mi sentivo i coglioni sempre più pieni, sempre più duri; due palle di cannone incandescenti; la miccia era ormai alla fine; ecco sento arrivare gli ultimi attimi, - ormai li conosco: sono sempre più corti e numerosi - fin quando, davanti alla mia piacevole incapacità a trattenermi ancora, partì la prima frustata dal mio inguine ed un enorme piacere sulla punta della mia cappella. La sborra le scendeva calda ed in gran copia invadendo il suo collo dell’utero, proprio come lei voleva dal nipote timoroso della gravidanza, per lui che già aveva un figlio non necessaria. Riceveva da me uno, due, tre,…forse fino a sette colpi in cui ero felice di donarle me stesso mentre i nostri sessi ancor congiunti l’uno dentro l’altro si raffreddavano soddisfatti e presi come fossero un tutt’uno. M’ero accorto solo adesso che donna Emilia mi aveva baciato appassionata per ringraziarmi di ogni colpo che le sparavo dentro. I suoi baci erano sempre più teneri, piccoli e numerosi; come quelli di mia moglie Francesca nel post orgasmo; sol che questi erano di una donna diversa, più nuova…
“Ahhhhhhhh, calda ed in gran copia la vostra linfa Toraldo! Mi avete soddisfatta! Siamo venuti insieme mio caro dottore. Devo farmi visitare più spesso…”
“Sì, eh….!”
“Dottor Toraldo, voi non avete bisogno di pratica. Andate bene così!”
La signora mi baciò contenta. Affannavo, ma ormai piacevolmente stanco e scarico; pensai di chiederle qualcosa d’intimo:
“Prima mentre vi leccavo la fessa, avete nominato vostro nipote come giovin signore…che volevate dire? Se posso permettermi…sapete son dottore e le reazioni dei pazienti m’interessano…”
“Che quando era un ragazzo pubere - certo non più un bambino! – dopo qualche anno, caro dottore, gli diedi permissione di farsi una manovella mentre mi leccava la fessa…che gli piacque! Dentro però, visto ch’era un immaturo non lo facevo entrare, nemmeno per un fra le cosce; la testa a posto non gli andava ancor di metterla… Poi sua madre mia sorella un giorno ci scoprì che lo facevo felice lasciandomi leccare le natiche, e il buchetto, e mia sorella ritenendomi demoniaca, dietro minaccia di denunziarmi alli armigeri mi cacciò di casa. Così tornai a vivere con i nostri genitori, qui in questa modesta magione, che ho da loro ereditato. Però da me il nipote ci veniva sempre mentre cresceva e diventava uomo. Fino a quando mio nipote non conobbe la sua povera moglie - Paradiso Requiem Eterna!- che ha perso da poco suo malgrado, veniva a trovarmi di nascosto per dei piccoli contentini come strusciata di cappella sulle natiche, e sborrata sulle cosce; i pompini solo se m’andava, glieli facevo! Poi da quando è vedovo, anche se non son più così giovane, mi faccio amare tutta quanta, sempre di nascosto da mia sorella…”
“Perdonate signorina Emilia, qualcosa mi raccontò…”
“Immagino dottor Toraldo…si è andato persino a confessar dal prete poiché più che cristianissimo è superstizioso; ma poi però è tornato qui da me! A peccar di nuovo. Anzi se mi manda Don Donato confesso anche lui…perdonate dottore questa mia favella libera. So che con voi posso confidarmi.”
“No, che dite…”
“A proposito dottore…”
“Dite madame.”
“Mi visitereste l’ano ben addentro ? A mio nipote sol da poco tempo sono usa concederglielo, ma non me lo lecca mai…io invece vorrei proprio un po’ di lingua lì, prima che ci metta lo spadone! Mi vedreste se ha fatto dei danni ? Non entra mai piano piano…e poi mi fa anche male a farlo con il culo e basta…”
“Perdonatemi Emilia, ma una visita approfondita all’ano ve la potrebbe fare solo il dottor Amodei, che ha molta più esperienza. Io sono solo un principiante. Più di guardarvelo non posso fare, ma per una diagnosi devo consultarmi con lui…”
“Me lo guardereste?”
“Sì, se ci tenete.”
“Compiacetevi di alzarvi Toraldo, siete pesante sapete?!”
Sfilai il cazzo dalla fica della donna, e mi alzai nudo dal letto. Lei, una volta libera, prontamente si mise carponi, e mise il culo verso l’alto.
“Allargate voi le natiche, e mettete un dito dentro per aprire l’ano, vi prego Toraldo. Guardatemelo dentro…”
“Se non volete altro…”
Le allargai le tonde natiche ed il roseo buchetto un po’ peloso grande poco più di un pollice, si presentò ai miei occhi. Che bel culo ! Su questo il nipote aveva ragione. La donna doveva aver previsto tutto. Spontaneamente avvicinai il volto, e leccai tutto intorno al buco qualche minuto. Un buon sapore dolce e grasso mi aveva attratto lì dentro come non facevo nemmeno con Francesca. L’ano si contraeva e rilasciava di poco per i miei stimoli linguali, poi all’improvviso feci pressione con l’indice della mano destra, e ci feci entrare il dito allargando l’apertura circolarmente. Gli feci ingoiare l’indice fino all’ultima falange, e poi ancora più in fondo, finché l’ano non me lo avvolse tutto. E così glielo muovevo anche avanti ed indietro dandole del godimento; intanto le dicevo:
“Signora, per quello che ne so funziona bene…ma io son dottore alle prime armi…”
“Ohhhh, uh! Hn! Umm, ahn! Dite dottor Toraldo ?”
Approfittai della sua ignoranza. Così le proposi:
“Se ci potessi mettere il cazzo potrei farmi un’idea più approfondita, ma sempre e solo empirica.”
“Ahnnnn! Uh! Ahnnnn! Bello il vostro dito! Toraldo, uh! Che vuol dire empirica?”
“Che conta l’esperienza, l’esperienza fatta signorina Emilia…si chiama anche esperimento!”
“Fate esperienza con le falangi, che mi piace! Uh! Ahn! Ahn!”
Intanto continuavo a muoverle il dito al caldo di quel buchetto così innocente e collaborativo. La donna aveva chiuso gli occhi onde meglio godersi quell’esplorazione di cui apprezzava lo stimolo.
“Vi prego continuate con quel dito, siete un uomo dolcissimoooooh. Oh! Stimolatemelo ancora. Ahhhhh! Vi sarei grata, uh!...se mi risparmiaste il cazzo! Ahnnnn! Ce l’avete grosso come mio nipote! Che lì dentro brucia assai, ah!!...e la sborra là non calma il bruciore…ancora col dito Toraldo…uh!...mio nipote non è così dolce col mio ano…siete proprio un gentiluomo dottore, non siete rozzo come mio nipote!”
“Felice di darvi il vostro piacere Emilia! Non abbiatecela con vostro nipote! Ve lo mette al culo perché ha paura d’ingravidarvi…”
“Toraldo, vi prego, ahn! Mettevi sotto di me, mi leccate la fessa, e col vostro dito nel mio culetto ve lo prendo in bocca, e vi prometto, ohhhhhhh, che la mia lingua vi soddisferà; Uh, uh, uh, ahn! Spero mi farete bere alla vostra fonte, vi farò carezza anche ai coglioni, onde svuotarveli nella mia bocca. Ingoierò la vostra linfa dottor Toraldo! Vi prego che mio nipote è un tirchio!”
“D’accordo, fate posto Emilia, son vostro.”
Ci piazzammo l’una sull’altro a far sessantanove. Reinfilai il dito nel culo alla donna, e con la testa chiusa tra le sue carnose cosce leccavo la sua vulva pelosa assai. Subito la sua bocca si precipitò sul mio piccolo cazzo da risollevare. Stretti nel diabolico numero con cui si danno piacer di lingua gli amanti prendemmo ad amarci li contrapposti sessi. Ad un certo punto, onde meglio cercar lo spacco e il clito della sua fica calata sulle mie labbra, mi liberai la mano destra togliendole il dito indice dal culo, e ciò facendo, le diedi del rettal sollievo a sfilarlo repente da dentro. La donna n’ebbe un piacevole sospiro che la fece continuare col bocchino.
“Ahhhn! Ohhhh! Ahn ! Uhmmm, uhmmm!”
Sostituii quel dito appena bagnato con il medio della sinistra, ch’ebbe il suo bel daffare a entrarvi tutto. La femmina però godeva anche con l’affondo. Certo, doveva piacerle, l’essere violata di completo senza troppa grossezza. E mentre deliziava il mio membro con la sola lingua prese, non so da dove, una normale candela spenta, e me la passò. Non discussi e la presi, e dopo qualche istante, la zia di Michele, carezzandomi i coglioni, e mandando fiato alla cappella nella fredda aria fuori dalla bocca, mi disse:
“Prego, Toraldo mio, come siete sollecito nel culo, oh, ahn, oh, uh!”
Parlandole tra i peli della fica risposi:
“Prego ditemi signora!...”
“Il vostro dito non mi basta, mi lecchereste un po’ dove già sapete? Poi metteteci la candela, che la voglio dietro ben addentro quasi tutta mentre mi vien di lingua la patacca…”
“Eseguo mia signora!”
Tolsi il dito dal buchetto, e” bucandolo” con la lingua un po’ d’istanti, lo preparai per la candela leccandolo sulle rosee striature, e baciandolo con tenerezza. Ella intanto avea ripreso ad occuparsi del mio cazzo dritto andando su e giù sulla cappella, concentrandosi su di essa. Sentivo i suoi caldi seni cadere sulla pancia. Uno sputo sul buchetto e lo trafissi con la candela, facendola entrare con delicatezza, poi sempre di più. Era una candela a torciglione, ed entrava bene per avvitamento; quando ne fu dentro la metà ripresi a leccare la patacca che ormai s’era bagnata. Le labbra mie s’erano inumidite di quei sottili filini di femmineo colo. Dunque la mia amante stava già godendo siccome vacca? Introdussi la lingua tra le pieghe dello spacco, e pescai più che potevo. Che la tonda femmina godeva lo sentivo dal caldo sfiato delle sue nari sulla mia asta, sempre più forte e veloce seppur piccolo. La sua bagnatissima calda lingua mi dava sensi di acuto piacere sul cappellone mio ben tosto, e mi faceva sussultare quando indugiava sulla punta. Per mia risposta le muovevo dentro la candela, e tutta la sua vulva si contraeva e si rilasciava lasciando scendere un po’ di liquamino, che m’ero già sporcato in viso. La donna afferrò decisa il mio carnale palo, e lievemente stringendo la base dei coglioni, valutava quando era il momento. Mi disse affannosa dopo un rapido sguardo alla cappella di nuovo al freddo dell’aria:
“Uhmmm, direi che ci siamo quasi mio Toraldo, ihhhhh, ahnnnnn!”
Avevo accelerato con le leccate alla sua fica; tutto il suo bagnato pelo m’irritava le guance con fastidiosi pruriti. Ella tornò con la lingua sulla punta dell’uretra e con uno, due, tre sfiori ed una strettina garbata alle palle, ebbi la suprema sensazione di calore in punta, e venni sparandole sulla sua bocca aperta il primo colpo, poi con la sua esperta mano ne fece uscire un secondo, e poi un terzo… Donna Emilia si bevve tutto il mio seme, mentre io ormai davo solo qualche leccata alla sua fica che aveva già goduto di lingua sul mio viso. Mi lasciai la testa dietro non più interessato al suo tiepido sesso. La donna capì, e allargò un po’ le cosce, lasciandomi libera la testa. Mentre mi ripuliva il cazzo le muovevo piano piano la candela ancor nel culo per metà. I suoi capelli s’erano sciolti per la foga, ed ora mi solleticavano le palle, ed il bacino mentre il mio cazzo chiedeva riposo, dopo aver nutrito la signora, la quale mi disse:
“Togliete la candela Toraldo, che devo liberarmi…”
“Le tolsi la candela con del garbo. Emilia ne godette il toglimento, che le stimolava ancora il retto; quando fu libero, e la candela mi rimase in mano di marroncino sporca, andò tutta nuda nel suo pietroso giardino, ed in un angolo liberò la vescica; e per la posizione qualcosa uscì anche dal culo. Poi al catino si lavò con abbondanti manate d’acqua fresca scaldata al sole le parti intime. Quand’ebbe finito anch’io mi recai nudo al catino in giardino, e usai la sua stessa acqua per dare fresco sollievo al mio organo ed ai pendenti. La vista dell’acqua mi mandò a pisciare, poi tornai al catino a finire di lavarlo, e col cazzo fresco rientrai in casa, mentre la mia amante, ancora nuda, si ricomponeva i capelli. La baciai sul collo, poi le chiesi:
“Emilia, una grazia vorrei chiedervi.”
“Capisco, immagino abbiate fame mio focoso amante…”
“Mi avete letto nel pensiero.”
“Se vi piace ho dell’ottimo pecorino nero delle parti nostre, lo gradite dottore?”
“Certo che lo gradisco signorina…”
“Aprite il cassetto lì sul tavolo; è avvolto in una stoffa. Tagliatene anche per me, se non vi spiace…”
Così feci, com’ella aveva detto; ancor oggi, cari moderni, cosa darei per gustare quel nostro formaggio…presi un piatto, e ne tagliai diverse fette, per me e la gentil signora, che nel frattempo s’era alzata e, aperta la cascia nera, aveva tirato fuori pure un pane ed un paio di friselle. Tagliai anche quello; poi nuda andò in giardino a bagnare nell’acqua della giara le frise; già che c’era prese da una di quelle nostre ‘nserte appese alle pareti alcuni pomodori rossi da spremuta, ed oliate le friselle condite al pomodoro, me le mise sul piatto; entrambi mangiammo nudi, come si conviene a due amanti. In attesa che l’acqua e l’olio rendessero molle la mia frisa, gustavo beato quel formaggio con il pane contadino. La donna interruppe quel mio coito del palato col cibo chiedendomi:
“Se non vi spiace Toraldo, andreste fuori a prendere del vino, che me ne son dimenticata…”
Andai in giardino a prendere la giara del vino da lei indicatami a gesti, e la portai al tavolo. I bicchieri li aveva presi lei; non erano dei nappi di legno o creta, dato che poteva permettersi quelli di vetro. La frisella s’era fatta, ed iniziai a mangiarla di gusto. Gustai anche il suo vino, bianco, migliore di quello offertomi da suo nipote Michele qualche ora prima.
“Una cosa vorrei chiedervi Emilia.”
“Dite Toraldo.”
“Ma vostro nipote è innamorato di voi? Si lamentò che non vi voglia ingravidare punto.”
“Uhm, sì e no ad un tempo! Con me ha paura a fare vero coito, perché è ancora pieno nella sua testa delle scemenze che li preti vostri gli raccontarono quand’era infante…però nemmeno vuol staccarsi, e per brevi coiti anali torna sempre…prooooooot! Oh, scusate m’è scappata!”
Non feci caso alla scoreggia perché non sta bene rinfacciarla, anche se fra poco forse la puzza non avrebbe tardato dato ch’ero sottovento di fronte alla porta che dava sul giardino. Continuai con la conversazione, con il vino, ed il formaggio.
“Li preti nostri? Che intendete dire madame?”
“Dovete sapere, che io alla chiesa vado il meno possibile poiché cattolica romana non lo nascetti…”
“Nacqui, scusate se vi correggo…”
“Nacqui allora. Quando venni al mondo in quel di Nereto, e fui abbastanza grande verso li dieci anni, io chiesi perché non andavamo in chiesa come gli altri; i miei veri genitori mi dissero ch’eravamo giudei e non cattolici. Lo padre mio -riposi in pace - era mastro pellaio conciatore, e la mamma casalinga. Potevano permettersi la fantesca ch’era una donna cattolica devotissima, ma infida; da piccola mi rapì di nascosto – pensate, me lo confessò in punto di morte ! - e mi fece battezzare da un vostro cattolicissimo prete, non buono coi semiti, e discreto misogino col tempo…poi mi riportò alli genitori miei che nulla ne seppero. A tredici anni li persi entrambi; son sopravvissuta poiché non mi permisero d’andar con loro quel giorno infausto. Al vespro di ritorno dalla campagna loro, che s’erano attardati, subirono imboscata de’ briganti che sapendoli giudei, e come tali con i soldi secondo loro in gran copia, li passarono entrambi con la spada dopo essersi fatti consegnare il borzello coi denari. La fantesca infida, tale Addolorata, scoprì li loro corpi dopo essere andata a cercarli invano; quindi fece denuncia alli armigeri che cercaron li briganti pe’ tre giorni e pe’ tre notti senza ovvio trovarli. Lo connestabile ebbe a dire che siccome giudei non convertiti non avean diritto a che troppo s’indagasse, anche perché c’era ancora la guerra co’ li saraceni infami. E li uomini validi e cristiani erano preziosi. Immaginate da solo dottore mio Toraldo… la fantesca infida Addolorata, cui ero affezionata, non potendo mantenermi che s’avea a cercar un'altra famiglia con li soldi, mi affidò ad una famiglia di muratori, li nonni materni di Michele, che sapendomi battezzata cristianamente mi adottarono collo nome di Emilia…che mi chiamavo Giuditta, ma io siccome son giudea d’origine, anche se sorella per l’adoptio delli genitori della madre di Michele, sempre impura e demoniaca ero considerata; ed oggi mi tocca viver sola; cosicché lo nipote mio Michele quando mi viene a trovare, innamorato dello culo mio fin da piccolo, e si congiunge meco gli sembra di esporre l’anima sua a miscuglio coll’impurità de’ li giudei che crocifiggettero quel vostro Cristo che sempre vi perdona…anche quando fate male alle donne.”
Mentre finivo di mangiare mi accorsi che provavo tenerezza per donna Emilia o Giuditta che fosse con un nipote, dal membro valido e prestante, forse un po’ coglione, che non riusciva ne’ momenti d’intimità coi sessi ad ingravidare la donna de’ li sogni suoi, siccome pieno delle baggianate sui giudei de’ li cattolicissimi preti. Finimmo entrambi di mangiare; poi premuroso aiutai la donna a sparecchiare. La giudea Emilia era donna intelligente, e davanti ai baci miei al suo collo, ebbe a dirmi:
“State per chiedermi qualcosa, vero Toraldo?!”
Le stavo lisciando le natiche come facea il nipote suo Michele, per cui avendo ripreso le forze, ruppi gli indugi, e le dissi:
“Rimasi innamorato del vostro posteriore, quando v’era dentro la candela; vi ho leccato la vulva come volevate, ben felice di esser da voi bagnato senza quasi respirare; or dunque mi permettete di farvi il culo come si conviene? Cercherò di fare piano…”
Intanto che parlavo le cingevo la vita baciandola sulla nuca con sapienti solchetti della lingua.
“Ahnnnn, uhmmm, siete cattolicissimo voi, Toraldo? ”
“Poco madame, ve l’assicuro…”
“Se vi si alza, fate pure! Ben lieta di darmi a voi contro natura! Mi volete sul letto, o contro il tavolo dottor Toraldo ?”
Presi il cuscino dal letto, e lo misi sopra il tavolo. Emilia capì, e si accomodò onde piazzarsi china con la testa sul cuscino. Il suo culo attendeva davanti ai miei occhi con le gambe chiuse quasi unite. La femmina, di nuovo disponibile a dura monta, mi disse:
“Che Satanasso v’accompagni nel mio culo Toraldo, fatemi sentir che sapete fare! ”
Presi a menarmi di nuovo l’uccello arrapato dalle procaci forme sode del suo corpo. Ella attese paziente dei minuti mentre strusciavo la mia cappella tra le sue tonde forme, dicendomi di come suo nipote Michele apprezzasse quel rapporto così peccaminoso; io intanto rimasto colpito dal racconto di Michele che le aveva violato il culo durante la loro complice intimità incestuosa, preparavo il mio spadone per l’ultima battaglia, che già mi facean male i coglioni…però col pranzo mi ero rimesso in forze!
“Pensate Toraldo, che quand’ero più giovane concessi a mio nipote di leccarmi là dove voi ora state per trafiggermi col vostro arnese; io son fatta in cotal modo: se lì mi vuoi violare, gentilmente in quel buco hai a leccare; ma di questo mio nipote non ne dava troppo per inteso. Aveva sempre fretta lì d’entrare, e fretta d’uscire per aver consumato incesto con la parente impura...”
Impura, incesto, giudea, consumazione, leccare… quelle sue parole mi eccitarono di nuovo, sì che persistendo dolore alla base dei coglioni, l’erezione mi tornò pronta. Appoggiai il mio cazzo all’ano suo, e davanti al suo tremore lo tolsi, e mi abbassai con le labbra a leccarglielo ben bene, prima d’indurle male forzando. Gli odori provenienti da quel buco non eran certo fini, ma grassi e saturi per le nari; indiavolato a dovere leccai quel magico muscoletto roseo delle femmine gentili, e quando valutai che fosse pronto, vi ripoggiai il cappellone che avevo fatto indurire carezzando la pelle delle natiche. Al fine il momento venne, e poggiato il cappellone sopra il buco vidi che le avrei indotto troppo male; tanto grosso era il membro mio. Provai allargandolo di lato, e scostandole con gentilezza la natica destra, entrai nel suo retto:
“AHHHHNNNN, che male Toraldo! Uh! Come vorrei la candela, il vostro membro è troppo grosso, uhi! Tor…ahn! Ahi! Ahn! Toraldo, muovetevi dolce vi prego! Ahn! Ahn!”
Entrato mi mossi piano, finché perdurava l’erezione, e incastrato il cazzo in quel generoso muscoletto tondo smuovevo il mazzo dell’Emilia. La donna urlava così tanto che avevo paura che ci scoprissero.
“Ahhrghhhh, uhi, che male, che male, Toraldo! Ahi! Lo sento, ma fa male! Uh! Certo, uhi! Michele ce l’ha più piccolo, ahi! Toraldo vi prego, muovetevi piano!”
“Sì, madame, così va bene?”
Avevo rallentato un po’. Emilia sopportava il male ad occhi chiusi, e senza più profferir parola con senso, aspettava che venissi nei suoi visceri. I minuti di sodomia trascorsero lenti per la donna impalata per mio solo piacere. Poi riprese ad incoraggiarmi:
“Ahi! Ahn! Ahn! Sì ! Uh! Che bel cazzo duro Toraldo, siete ben dotato…sborrate vi prego! Che non ce la faccio oltre!”
“Sì, Emilia, sì, vi sborro nel vostro culo divino, femmina demoniaca! Mi piacete proprio perché siete giudea, ahn! Ahn! Uh, come siete impura! Prendete il mio cattolicissimo cazzo! Uh! Ahn!”
“Sì, ahn! Uh! Toraldo, fate buona giustizia, ahn! Sì, ahi! Porca di quella…ahi! Sì, ahi, proprio quella là! Uhnnnn, ahi! Ahn! Sì ! Evviva Satanasso e li sensi che scatena!...nel mio culo! Sborrate in buona copia! Ahi! ”
Non occorse molto tempo e senza accorgermene venni sparandole dentro cinque o sei schizzi che già sapevo misti a sangue. Il dolore alla base delle palle era tale che avevo paura che mi sarebbero cascate.
“Innaffiatemi, Toraldo, bagnatemelo tutto! Concimate l’orto di Satana! Sì, lo voglio tutto dacché son atea!”
“Tenete, madame, ve lo sparo dentro tutto, ahhhhh, ahn, ahn! Altro purtroppo non ne tengo! Ah! Ahn!”
Emilia si alzò, nonostante il palo ancora ben piantato in culo, e avvicinandosi al sottoscritto cercò voltandosi con difficoltà i miei baci. Intanto la sborra mia le debordava da dentro il suo povero sfintere allargato, ed esausto. Generosamente tolsi il membro che se ne scese per stanchezza sporco di cacca, sangue e sperma. L’ano sborracchiato alquanto di donna Emilia aveva preso la forma del mio cazzo, e cercava di tornare alle sue dimensioni normali. Mi voltai verso la porta nel baciarla, e vidi che non eravamo soli, ma ero troppo stanco per sorprendermi. Il paletto di sicurezza era stato sollevato con un ferro lasciato sul pavimento, ed una sagoma non familiare faceva capolino dalla porta semichiusa. Era un monello, che essendo delle vicinanze forse sapeva come rimuovere il paletto mercé lo spazio di non perfetta chiusura tra le ante delle porte. Il monello, un biondino spettinato con i calzoni corti e scalzo era dunque un guardone, e dalla macchia dei suoi cosciali capii che si era masturbato toccandosi da fuori le intimità, spiandoci. La domanda era: da quando ? Avevamo dato uno spettacolo tutto per lui. La zia Emilia disse:
“Che vuoi tu ? Sparisci cafonaccio ! Non sta bene spiare le donne grandi, vattene monello!”
E gli tirò una scarpa! Tanto essendo le due porte ancor socchiuse, non lo avrebbe colpito certo al volto. Il monello in calzoncini corti, spaventato per esser stato scoperto, scappò via. Poi Emilia si calmò:
“Ma tu guarda! E magari ruba pure!”
All’improvviso dalla porta aperta:
“Toc, toc, toc!”
Emilia urlò di nuovo:
“Va via ! Una buona volta!”
Un altro ragazzo, meglio vestito, più o meno della stessa età comparve all’uscio. Era moro e solo lievemente spettinato, probabilmente si era spaventato:
“Sono Alcide zia, perché urlate tanto?”
“Ah ! Sei tu ?! Beh, oh, non mi dire che c’eri anche tu lì impalato nipote mio ?! Vuoi informar tutto il paese? Non è che ti sei portati dietro gli amici? Chi era quel monello ?”
“Maurizio, un amico di dottrina! Lui solo c’era! In verità io venivo dopo.”
“Sì, eh?!”
M’intromisi, anche per calmare un po’ la zia Emilia.
“Vostro nipote?”
“Sì, Alcide, il figlio di Michele.”
Il ragazzetto si affacciava alla porta sforzandosi di non guardare, probabilmente ci aveva visti pure lui.
“Chi è costui zia?”
Chiese il nipote mezzo imbambolato sulla porta alla zia ancor ignuda, che si copriva i seni e la fica con le mani, mentre Alcide fingeva di non guardare, ma fissava qualche secondo di lato, eccome!
“Un dottore amico mio, è l’aiutante dello cerusico Amodei…”
Io lo salutai con un sorriso, poi andai all’ertu a lavarmi il cazzo, che ormai intendevo vestirmi ed andar via, prima che mia moglie sospettasse qualche cosa. Da fuori potevo sentir mentre urinavo i loro discorsi. Poi lavatomi il cazzo, le mani, e il viso rientrai dentro, passivo spettatore della loro conversazione mentre mi rivestivo. Il ragazzo era ancora sulla porta.
“Mio padre zia, mi proibì di vedervi ignuda!”
“E ci credo! Ma certo non ti proibì di spiare in compagnia dei monelli alle donne che fanno cose loro…vero?!”
Provai, benché ignudo a mettermi sulla linea di vista dato che stava per entrare. Disinvolta la zia Emilia si stava reinfilando il camicione sgualcito sul letto dov’era tornata alla svelta mostrando il culo agli occhietti curiosi del ragazzo; Alcide continuava a guardarle la fessa da dietro finché poteva, poi ovviamente, scesa la veste bianca, scomparve alla sua vista. A quel punto il ragazzo entrò. Non mi salutò essendo io un estraneo.
“Sì, senti, sei venuto per qualcosa? Perché non hai bussato? Ormai sei un ometto, e avresti da imparar le maniere buone. Ci parlo io con tuo padre, Alcide!”
“Io bussai in verità, ma eravate troppo impegnata per sentire! Allora quando Maurizio me lo ha detto, io,…io vi ho guardato! Beh, insomma a turno! Prima a lui, poi io. Ho fatto peccato! Andrò a confessarmi zia, ma non ditelo a papà! Perdonatemi zia, non ditegli che vi osservai fare quelle cose sì intime e zozze col vostro amico! Se no mi mena assai! Io le cose sporche non le faccio!”
“Io non glielo dico, e tu dici a Maurizio non dica in giro di avermi sentito invocare Satanasso, se no gli armigeri e l’Inquisizione mi mettono in catene…e incatenano anche voi! Quelli non scherzano!”
“Sì zia, ve lo prometto. Glielo dirò a Maurizio…”
“Dai su…”
La zia Emilia sorridendogli gli fece una carezza, poi, vedendo che anche lui aveva i pantaloncini con la macchia lì, lo portò al catino fuori; e dopo avergli comandato di calar le braghe, gli fece ripulire la fontanella che aveva eiaculato dopo quella del suo amico. Quindi asciugatogli il pisello con il lembo del suo camicione, tornarono dentro; il ragazzetto in quei momenti chinò lo sguardo, e fece per veder se riusciva a rivederle un po’ la fessa; tuttavia restò deluso; il ragazzo tirò fuori dalle tasche delle monete, e fece per dargliele alla zia:
“Son venuto per portarvi zia li quattro ducati che mio padre vi passa per la settimana…la nonna non lo sa che mi mandò qui da voi a portarveli!”
“Ah, grazie! Dai, qua!”
La zia Emilia dunque segretamente veniva aiutata dal nipote che aveva interesse a tenersela come amante finché non avesse trovato a maritarsi. Ormai ero vestito; una più casta zia Emilia stava facendo gli onori di casa col nipote più piccolo dopo averlo indubbiamente turbato un poco. La donna non faceva più caso a me. Salutai con un cenno, e me ne andai; poco prima che varcassi la soglia sentii la zia Emilia chiedere al nipote ben pacata:
“Hai fame Alcide ? L’è quasi ora della merenda...ho un po’ di formaggio con il pane, ne vuoi ?”
“Grazie zia, datemene un poco.”
“Datemene un poco, per favore!”
“Datemene un poco per favore allora…”
La donna gli diede del pane col formaggio, poi gli precisò:
“Niente vino però…capito?!”
C’era ormai un certo fresco e le ombre erano più lunghe verso oriente. Per quanto ne sapevo poteva esser trascorsa l’ora quinta del pomeriggio. Me ne tornai soddisfatto a piedi alla locanda di mia sorella Olivina dove la devota moglie Francesca mi attendeva per la cena col resto dei parenti.


-continua-



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Commenti per Michele, tre teste e tre candele 2a p.:

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