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Lascive follie borghesi e castellane, 6a parte


di sexitraumer
18.03.2020    |    2.519    |    0 9.7
"Ancora…” …mentre il pubblico accusatore restava disgustato dalla strana scena, erotica, triste e tanto, tanto irreale…non di meno vera! Voleva morire con..."
Il figlio Edoardo ci pensò, guardando il boia, e la strana macchinaria di legno con la scure sospesa, poi fissando il pavimento. Né il patibolo, né le precisazioni avute riuscivano a ispirarlo. Poi pensò alle puzzolenti celle in cui gli avevano insegnato a mettere per un periodo limitato pute fuori di via apposita, o mendicanti troppo molesti, o delinquenti; in celle come quelle la condannata avrebbe dovuto finire i suoi giorni; per cui, dopo un sommario, ma logico giudizio, disse sicuro:
“Io sono perché si proceda ad ogni modo!”
“Lo immaginavo. Si procederà infatti. Preparatevi, che non vi sarà consentito voltarvi!”
“La castellana avea preso il suo posto in piedi ad uno dei lati del cortile; pochi passi accanto a lei, il figlio, il giudice, e il pubblico accusatore…
All’improvviso un uomo si fece strada, chiedendo di avvicinarsi al giudice e alla controparte Pannocchia…
Un uomo dai capelli lunghi, brusco nei modi, con occhi lucidi e naso aquilino, si presentò agli astanti; il dottor Pannocchia lo presentò agli altri:
“Avvocato Malapenna! Siete venuto alla fine!”
L’avvocato Malapenna salutò con un inchino la baronessa madre, ignorando Edoardo, della cui presenza e conoscenza non aveva avuto contezza. Avendo da supplicarla s’inginocchiò davanti alla nobildonna…
“Illustrissima baronessa, vi imploro di riconsiderare la decisione! …è… è una donna folle dalle manie infantili… non distingue il bene dal male! Andrebbe curata siccome pazza, non giustiziata! Se non la lasciate in vita, non potrà mai capire che ha sbagliato!”
Edoardo s’intromise:
“…ma avvocato, se pazza è, come farà mai a capire che ha sbagliato?!”
“Perdonate, signorino…non ho il piacere…voi…”
“Sono il figlio della castellana, alabardiere di polizia! Il mio nome è Edoardo! E debbo assister al pari di voi all’esecuzione.”
L’avvocato inchinandosi davanti all’erede, si giocò un’ultima carta: un dubbio finale…
“La pazzia, eccellenza, può esser fatta regredire colle cure apposite de’ li cerusici, fino al punto in cui la pazza, rimanendo magari tale, non è più pericolosa…ci possono volere anni certo… mentre dalla morte indietro non si torna!”
Ormai però anche la baronessa aveva maturato la stessa convinzione del figlio…circa la scarsa vivibilità delle celle delle carceri…
“Avvocato, vi assicuriamo di aver considerato abbastanza la questione. Mettetevi il cuore in pace! Si procederà.”
“…ma…ma potrebbe essere incinta! Un custode del penitenziario si trattenne con lei due ore…”
Il pubblico accusatore, ridendo un pochino, rappresentò la cosa:
“…e venne dalla vostra cliente cacciato con seccatura, caro avvocato! Immagino l’avevate convinto voi quell’uomo…”
“…no…non…non so di cosa parliate pubblico accusatore!”
“Solo del fatto che del custode del penitenziario, che doveva ingravidarla, ci eravamo voltati dall’altra parte anche noi…!”
Intervenne a quel punto la baronessa:
“Avvocato Malapenna, nessuna più di noi sa, quanto vi siate battuto! Ora è finita! Noi in fondo interpretiamo anche la volontà della povera condannata, che marcirebbe in un fetido carcere tutta la vita sua rimanente…forse se la cava di lusso!”
Il giudice Delcadé aggiunse a sostegno della baronessa:
“Avvocato, se fosse stata giustiziata colla ruota, dato il reato abietto, niuno avrebbe avuto a ridire. Invece morirà di rapido per decapitazione. Ci siam raccomandati di proteggerla dal volgo, e non è stata torturata…sempre tranquilla…lo sa anche ella che è la soluzione migliore!”
“Lo credo che è tranquilla! Da una settimana prima gli mettevate il bromuro nel cibo!”
Intervenne Pannocchia con un sorriso per precisare meglio:
“…due!”
Intanto che Malapenna e Pannocchia finivano di discutere, la baronessa fece cenno al boia, un uomo giovane e coscienzioso all’apparenza, di avvicinarsi…
…e giunto che fu davanti a lei le diede un cuscino dei suoi, che si era portata dietro, dopo aver svegliato il figlio.
“Questo è per quando cadrà la testa! Allora mastro, sapete il lavoro vostro?!”
“Sì altezza.”
“Ripetete allora…davanti a nostro figlio, che deve fare pratica!”
“Voi non siete usa dare lo segnale. Quando la condannata metterà il collo sul cippo, aspetterò che il prete reciti un paio di versi udibili dalla condannata, poi farò cadere la scure da sopra, che le reciderà il collo! E giustizia sarà fatta.”
Sentendo quel frasario sugli ultimi momenti della condannata, Edoardo s’imbarazzò con un’erezione che si alternava ad una strana attività di nervi sull’inguine…la madre con un tono normale continuò a dare istruzioni al boia:
“Ci raccomandiamo, dacché vi abbiamo già pagato in anticipo. Regolate bene la macchinaria. Un solo colpo! Quella poveretta ha già sofferto abbastanza…giusto è che lasci questa terra per il paradiso, che neanche a lei sarà negato, ah una cosa importante mastro boia…”
“Dite altezza!”
“Non afferratele la testa, non havvi bisogno di ostentazione! Lasciate che si spenga come cade!”
“Altezza, se afferro la testa non è per ostentarla, ma per far scolar sangue velocemente!”
“No, non per questa volta! Secondo noi bisogna solo aspettare che si spenga da sola, secondo natura…la lascerete dove si fermerà! Inoltre v’assicurerete che alcuno di noi, o dei presenti, tocchi lei o il corpo mozzo, intesi ?! Solo don Paolo potrà avvicinarla…”
Poi si rivolse al proprio avvocato del casato nel cui castello si sarebbe svolta l’esecuzione:
“…avvocato Sanfedele!”
“Dite altezza!”
“Notificherete la sentenza alla condannata in italiano e garbatamente, o siate libero d’usar il dialetto, se dovesse esser necessario. Ciò farete alla presenza del vostro collega Malapenna. Dopo la notifica a voce la lascerete entrambi sola col prete, verranno fatti sedere lì senza disturbarli…voi signori giudici avreste obiezioni?”
“No. Alcuna obiezione signora baronessa!”
L’avvocato Sanfedele si mosse:
“Bene altezza, faccio sistemar subito le sedie…con permesso!”
Intanto un rumore di zoccoli di un cavallo che tirava un calesse si udì appena, dato che rimase sul ponte verso l’esterno. Una donnina di una trentina d’anni, mal portati, con delle rughe, e coi capelli scuri, e tagliati corti sommariamente, vestita con una graziosa camicia da notte bianca con decorazioni floreali, come quelle della baronessa, già legata, venne aiutata a scendere da uno dei servi del castello, che accoglieva presso il portone. Si muoveva a piccoli passi, dato che aveva i vincoli di metallo anche alle caviglie. Il boia fece portare la ragazza in un angolo, dove liberarono le sue mani affinché potesse farsi il segno della croce, se richiesta. Si avvicinarono a lei Sanfedele e Malapenna, e dietro di loro un anziano prete, don Paolo… L’avvocato Sanfedele notificò la sentenza a voce alla donna, ormai tranquilla, che avea ascoltato senza troppo interesse.
“Maria di Cesare, di Giuseppe, ascoltate: debbo notificarvi che tra poco verrete messa a morte pei misfatti da voi compiuti, che già vennero accertati al processo che vi ha condannata, oggi ventidue marzo millecinquecentocin…”
“Quella donna bionda è bella… chi è? Che face alla morte mia?”
Intervenne Malapenna:
“La baronessa reggente, vedova del signor barone dei luoghi nostri…ha insistito per ospitar l’esecuzione qui, senza che morivate alla piazza del borgo…c’era gente che voleva andare con voi oltre la vostra morte, amica mia…”
“Ma…è quella che mi hae inviato questa camiciona addosso a me?”
“Sì.”
“E poi la farà lavare? Come? Il sangue sporca, non lo lavi più…”
“Ve ne ha fatto dono, in quanto donna, come voi…”
Maria voleva rivolgersi alla baronessa per ringraziarla, ma la baronessa la stava ignorando parlando coi magistrati o fingendo di farlo…Don Paolo trovò opportuno intervenire:
“Signori, vi prego! Debbo salvar l’anima di questa donna! Resta poco tempo…”
Maria di Cesare abbracciò ridendo l’avvocato Malapenna, che aveva le lacrime agli occhi, quindi presero posto dov’erano prima. Don Paolo seduto sussurrando di fronte a lei ridusse la confessione a pochi minuti. La donna compì i gesti richiesti dal prete mentre le parlava sussurrandole.
Edoardo notò la camicia da notte della condannata, e stava per dire che era identica a quelle della madre…la baronessa madre gli precisò senza farsi sentire da don Paolo:
“Gliel’abbiam donata, poiché non vogliam che debba morir ricoperta di stracci laceri e sporchi! Le mandammo anche una tinozza con acqua profumata, e due delle nostre serve per lavarla…dato che si dovrebbe sempre morir con dignitate…sappiatelo questo, quando il barone sarete voi! Non fate morir niuno colli cenci laceri…o sporco nel corpo! E non vi dimenticate la pancia piena…”
Edoardo, guardò con interesse la macchina decapitatrice…la madre gli disse a bassa voce, ma senza sussurrare…
“Questa macchinaria ci è costata trecento ducati, ballanti e sonanti! Finiremo di pagarla colli tributi di giugno prossimo…e ci dicono che manda il colpo sicuro e rapido. Li condannati soffron punto…immaginate…contando fino a uno, la testa è già caduta! Così ci venne detto.”
La baronessa non fece alcuna fretta, e i magistrati neanche…poi ad un cenno del prete il boia si riavvicinò, i due si alzarono dalle sedie; la donnina venne legata di nuovo, e accompagnata a mani dal boia verso la macchina lignea con un giogo circolare per la trattenuta del collo. Mentre stava lucendo il cielo, alla donna venne offerto del vino rosso, un grosso nappo, forse drogato con del bromuro; e lo bevve tutto, ruttando di rimando…
“Buuur..ghr…grooot!”
…e sputando a terra guardando il giudice Delcadé, che rimase impassibile: in fondo anche lui l’occasione di salvarsi gliel’aveva offerta, interrogandola meticolosamente durante le udienze…l’avvocato Sanfedele le chiese se volesse dire qualcosa…dapprima fece cenno di no, poi mentre rifiutò la benda, ci ripensò dicendo:
“…uhhh…ehi boia, dici al servo, quel giovane biondino lì, se mi stringe li seni sotto, che mi piace assai…face freddo, e voglio morire con le minne strette dalle mani di quel giovane servo…nessun biondino mi toccò mai! ...apritemi la camicetta per favore…”
Il boia aprì due bottoni della camicetta al petto, per favorire l’uscita delle tette della condannata. La donnina venne fatta inginocchiare, al giovane servo venne fatto cenno d’avvicinarsi, e prontamente accorse di fianco a lei, aspettando istruzioni, dato che non avea udito la donnina, ma intravisto solo lo sguardo severo di giudice e pubblico accusatore disgustato…la donnina moritura gli chiese in ginocchio con le mani legate dietro la schiena…
“Ehi tu, come ti chiami?”
“Giovanni…”
“Quanti anni hai?”
“Diciassette signorina!”
“Mò che metto il collo lì… stringimi le minne!…me le scaldi…sai, che fa freddo…fammi popi popi…stringile bene!”
Il garzoncello, di turno dall’alba quel giorno, aspettò la conferma smarrito, e l’avvocato Sanfedele gli fece cenno col capo di fare quello che la donnina gli avea chiesto…intanto la donnina docilmente si chinò per mettere il collo sul giogo di legno; il boia chiuse la testa con lucchetto; ora non avrebbe più potuto toglierla…la donnina ripeté:
“…le minne, prendimi le minne…dai Giovanni! Che aspetti!”
Finalmente il timido garzoncello le mise le mani nude sui seni, pendenti per la postura china, stringendoglieli più volte come voleva lei…in modo che si scaldassero; alla stretta erano ancora belli e tanto tanto caldi…non erano grossi, Maria Di Cesare non li aveva mai avuti grossi, ma su per giù adolescenti; una media mano adulta riusciva a contenerli chiusa su di essi…
“HAHNNN…ohhhhh! Ancora….ancora…”
…mentre il pubblico accusatore restava disgustato dalla strana scena, erotica, triste e tanto, tanto irreale…non di meno vera! Voleva morire con le minne prese e strette…il giudice sorrideva appena appena quando guardava il pubblico accusatore incredulo…impassibile la baronessa madre che avea chiarito, non avrebbe dato il segnale; stupefatto, e fisso con gli occhi al corpo chino e inginocchiato della femmina Edoardo, che forse la conosceva di vista, quando molestava le coppiette, e le donne sole colli amici di pria dell’arruolamento negli alabardieri di polizia. Pallido e sudava freddo l’avvocato Malapenna, del quale il collega Sanfedele si stava preoccupando che non svenisse…
“Ahnnnn!”
La donnina cercava solo il piacere della stretta, mentre guardava forzosamente il pavimento. L’umile Giovanni pensò di farle qualche complimento per farla sentire meglio.
“Ehhh…son calde…le sento signorina…son belle signorina…”
“Mhmmm…stringi…stringi…ancora…”
“Io stringo…!”
“…ringi! Mhmmm…mhmm! Che aspettate!?!”
Al giovane servo venne fatto cenno di tacere, e continuare a confortare la moritura come da desiderio di questa…quindi ella mentre sperabilmente godeva delle ultime prese, il boia sistemò il cuscino fornito dalla baronessa sotto la testa della vittima alla distanza da lui giudicata ad occhio prevedibile per una caduta nel morbido. Mentre la vittima commentava il boia…
“…ure il cusc…no…sono mport…ante…ohhhhhh stringi, sai!”
…si diresse finalmente dietro la macchina. Il prete, evitando per pudore di guardare quel gesto infantile ed erotico, un peccato carnale bello e buono in articulo mortis, commesso senza matrimonio, ma confortante la vittima…anche il religioso diede le spalle al servo di fianco alla testa della condannata; e mentre aveva iniziato a recitare una preghiera che solo la vittima poteva sentire, prima che capisse cosa erano quelle parole latine, il boia più dietro aveva già tagliato la cordicella che tratteneva la pesante lama, e la lama cadde verticale, da meno di un metro, sul collo della vittima. Il giovane servo le strinse il seno anche nel momento supremo…rimase ipnotizzato nella presa sui seni mentre guardava dubbioso i magistrati, e non vide muoversi la lama…
La testa si staccò, non senza aver emesso prima un urlo un attimino prima…
“NNNAA…AH!”
La testa, dopo un lunghissimo istante di raccapriccio per chi stava guardando bene, era caduta sul cuscino con gli occhi sbarrati aperti, per poi rotolare da esso sul tappeto di iuta, spargendo il sangue effuso per un buon mezzo metro…il garzoncello Giovanni era balzato in avanti d’istinto, trattenendo la presa di quei caldi seni, dato che le sue mani erano parecchio dietro la lama, mentre il corpo mozzo non cadeva per terra, dove però stava già versando una sangue a iosa…ci fu un istante di disorientamento, tra i vivi soprattutto…

…il boia con una manata spinse indietro Giovanni che aveva già perso l’equilibrio, per evitare che cadesse sul corpo della condannata, poi prontamente venne aiutato a rialzarsi dalla caduta di lato dietro dal sopraggiunto Sanfedele, che a gesti gl’intimò il silenzio…
…una testa era appena rotolata fermandosi non lontano dal cuscino…
Giovanni, rialzatosi precariamente, svenne quando vide non la testa, ma il corpo mozzo a cui avea poc’anzi stretto i seni, anche dopo che la testa s’era separata, trasformarsi in una pozzanghera di sangue…
…venne da Sanfedele preso e trascinato indietro, e fatto rinvenire a schiaffi; la baronessa evitò di guardare quella scena così ridicolmente umana; alzatosi un’altra volta, alle spalle dei convenuti, riprese il proprio colore, e il proprio autocontrollo, e capì che come secondo incarico della sua corvèe del giorno appena iniziato, avrebbe dovuto ripulire il pavimento coll’aceto, per la parte traspirata dal tappeto di iuta, che sarebbe andato buttato…
Mentre quell’esistenza si stava spegnendo inesorabilmente, la castellana fece cenno al boia di lasciare la testa dove si trovava, invece di prenderla per i capelli e ostentarla, intanto che la morte si completasse da sola; del resto il sangue sarebbe defluito lo stesso, mentre l’ultima cosa vista da quegli occhi probabilmente era il cielo blu schiarito dall’alba; per sua intelligenza, o forse solo istinto, o addirittura per solidarietà con quella testa mozzata di donna, sospetta libertina come lei, aveva compreso che la smossa del boia avrebbe potuto smuovere il sangue ancora all’interno del cervello, e farle provare un istante di coscienza lieve, ma sempre coscienza; quindi sempre a cenni chiamò a sé il boia, onde tenerlo impegnato più secondi possibile:
“Ha sofferto, mastro boia! Codesta macchinaria per decollare rapido, che ci avete fatto acquistare o non funziona, o non è stata adoprata bene…abbisogna di veruni perfezionamenti…la lama cade poco, soprattutto, ci è parso, cade lenta…in veritate ci sembrò di vedere tutto il taglio, come veder tagliato il salame…ci ha messo un paio d’istanti a tagliare…troppi! Quando la lama l’ha colpita era cosciente che le stava attraversando il collo…e se non si fosse staccata?! Ci pensate?”
Il boia, per nulla impressionato precisò quello che era accaduto senza polemizzare con la castellana.
“La lama tagliò la testa, altezza! In carcere dissi alla donna di contare a mente fino a cinque dopo il solletico al collo…se ha contato… ha perso conoscenza prima di arrivare a tre! …però non ha sofferto: nel vino che le avevamo dato c’era abbastanza bromuro da addormentare un cavallo! Per un misterioso motivo tardò a fare effetto. Farsi stringere li seni fino alla caduta della lama deve aver spostato il collo di poco …forse se fosse stato più stretto il giogo di legno…doveva stare ferma! Aver lasciato che si facesse stringere il seno è stato lo sbaglio, ma all’ultimo disìo delli condannati son uso non oppormi! Non so voi signora baronessa…”
Il servo ignorando il proprio turbamento a metà con dell’eccitazione, pensò di precisare:
“…Io non l’ho spostata! Ho stretto con gentilezza…però quando la lama è scesa non ce l’ho fatta a reggere…ho perso l’equilibrio, ecco! Son caduto…però il boia…”
L’avvocato Sanfedele intervenne per evitargli guai:
“Tacete voi, pria che vi diano la colpa della sofferenza di quella poveretta! E già che vi trovate mettete il corpo nella bara, ora che ha scolato! Il sangue è finito! Non vedete?! La camicia da notte è un dono della castellana, e appartiene al corpo morto. Pure il cuscino.”
Al giovane servo, da poco al castello, toccò l’ingrato compito di prendere di nuovo quello stesso corpo a cui aveva stretto i seni su richiesta della titolare di quel corpo…e di trasportarlo ancora caldo e legato verso la bara di legno semplice. Il servo chiese:
“Devo slegarla?”
Sanfedele disse:
“Sì, componete il corpo senza le corde! Tagliatele!”
Ci pensò il boia, dopo che Giovanni mise il corpo nella bara. Poi Sanfedele rivolto al boia aggiunse:
“Può darsi che sia come dite voi. Tuttavia è un fatto che s’è accorta del taglio; non è stato rapido. Il collo dovevate farlo recidere un po’ più in alto. Ha sofferto vi dico! Restituirete alla tesoreria metà della mercede vostra! E dalla prossima esecuzione consiglio che si torni ad usar la scure! Le cose fatte a meno vengono meglio!”
La castellana disse:
“Così sia…! Mastro boia, non prendetevela! Tenete pure la mercede intera. Se quel servo non le avesse fatto presa ai seni sarebbe stata ben ferma…e il collo nella posizion corretta; tuttavia anche questa macchinaria è da migliorare…la lama dovrebbe cader da più in alto. Voi che ne dite Edoardo?”
“Io…io…niente, madre! ...mastro boia! Quanto tempo ci mette a morire una testa mozzata?”
Il boia interrogato su argomento su cui aveva competenza, anche se limitata, disse:
“Altezza, lo ignoriamo, ma li cerusici e chirurghi che scienza tengono, dicono che mandi segni vitali come mover gli occhi se chiamata, no, anche se non chiamata, per venti o trenta battute di voce subito dopo lo taglio…se avessi saputo che eravate interessato, possiedo la clessidra da un minuto…la prossima volta, va bene altezza?!”
“Le battute? Cosa sono?”
“Secondi di tempo…altezza!”
“Poc’anzi avevate detto che se la donnina avea contato fino a cinque, s’addormentava pria del tre…abbiam sentito tutti!”
“Certo altezza! Ma mentre la morte si compie per intero, forse sogna, uno o due minutini, ma in veritate non lo sappiamo, né noi, né li chirurghi…”
“Avete visto mover d’occhi alle teste mozze? A me poco fa sembrò di vederli…cercavano qualcosa…”
Ormai il boia aveva una certa aria di sufficienza nel rispondere, e Sanfedele gli fece cenno di moderarsi nel rispondere…
“Luce cercavano, luce…subito dopo la separazione li muovono, e s’allargan le pupille che cercano altra luce senza alcun successo. Un’ora dopo li muovono lo stesso, ma son riflessi latenti delle palpebre…e non vitali, le pupille restano spente. L’arte mia, sapete, la studiai privatamente da un chirurgo altezza!”
Durante quelle spiegazioni morbose e interessanti ad un tempo Edoardo provò uno strano fenomeno come l’erezione, resa evidente dai pantaloni aderenti. Il boia, che conosceva certe reazioni, finse d’ignorarla, mentre la baronessa madre ne approfittò beffardamente compiaciuta dell’interesse del figlio erede (incestuoso) per le decapitazioni: diede una graffiatina laterale con la sua unghia dell’indice, curata ed affilata, dietro il collo del figlio, nel punto dove la lama di norma doveva tagliare il collo ai condannati…facendogli malino…no…proprio male!

Edoardo sentì un dolore fastidioso, di taglio, e la madre gli disse beffarda a bassa voce:
“Contate a mente fino a cinque, Edoardo!...”
Gli soffiò un po’ d’aria sul suo viso, e poi completò amabilmente la frase:
“Pria ch’arriverete al tre perderete conoscenza!”
Edoardo guardò la madre con smarrimento, e lei lo riportò alla realtà:
“ ...ora siamo pari, caro figlio!”
La baronessa madre, gli aveva ricambiato la sua tagliente sodomia di poche ore prima. Edoardo ripensò senza volerlo alla decapitazione della donnina, e a quell’urletto abnorme, e all’improvviso gli venne un conato di vomito a vuoto, o meglio tre.
“AURGHHHH…gloammm…HUHHRGG!...ohhh…aiuto!”
Naturalmente non emise niente. S’inginocchiò a terra per timore di cadere…aveva sudato freddo un attimo, ben di più del povero Malapenna, che invece continuava gelido nello sguardo, e rigido nella postura eretta, a fissare la testa mozza in pace a una certa distanza dal conciliabolo; l’avvocato Sanfedele aiutò il barone erede a rialzarsi, per poi dirgli:
“Alabardiere Edoardo…altezza! Gli homini che vanno alle esecuzioni si dividono in due categorie…”
“…qua…li? Gurgh…cough!”
“…quelli che hanno già vomitato, e quelli che prima o poi vomiteranno; col tempo ci farete l’abitudine, coraggio! Non siete morto voi oggi!”
Poi Sanfedele in preda ad un po’ di spirito si rivolse a Giovanni, che quel giorno aveva tutta l’aria di esser diventato maggiorenne…
“Giovanni, stavo pensando…non è che gradireste diventare aiutante del boia? Posso raccomandarvi se volete mettervi ad apprendistato…magari potreste raccoglier voi le teste, o tirare li piedi alli impiccati…mi basta una firma vostra, sapete firmare?”
“So soltanto leggere avvocato, e scrivo malissimo!”
Il boia compiaciuto aggiunse mettendo la mano sulle spalla destra del biondino servo Giovanni…facendo trasalire un istante. Gli sussurrò tra lo scherzoso e il semi serio…
“Piacere, son mastro Germano, mi servirebbe un assistente, sapete?!”
Giovanni scostò la mano al boia bruscamente…senza dire niente. Ovviamente non avrebbe mai fatto da assistente al boia.
“Senza rancore Giovanni!…stavate cadendo sul corpo della donna ormai senza testa…ho dovuto scostarvi…”
“Non è colpa vostra mastro boia! Ma non…insomma è l’ultima volta che…”
Sanfedele paterno gli annuì intimandogli il silenzio, dato che il prete aveva iniziato a guardare storto i presenti…un primo rimprovero, muto…
Il prete per nulla interessato a quel conciliabolo ai limiti del frivolo, intanto benedì la testa mozzata dagli occhi ormai spenti. Quindi si ritirò raggiungendo i presenti, e dicendo:
“L’anima sua è salvata! Ma innanzi alla morte di solito si fa silenzio!”
Lo disse a tutti compreso Edoardo, ma senza guardare la castellana che tornò seria, ad alta voce disse a tutti i presenti:
“Sia questa testa esposta in questo cortile fino al tramonto, acciocché chiunque possa prender visione dell’avvenuta esecuzione di questa assassina lussuriosa et infanticida plurima sulla terra! Ora però affidata, nella sua anima emendata, alli angeli del paradiso! ... Che chiunque possa osservarla astenendosi dal bestemmiare, sputare, et urlare improperi vari, sotto pena di frustate trenta, et un mese di reclusione… il caso è invece che si preghi per l’anima sua! …che chiunque possa leggere lo riassunto del processo, o farselo leggere da homo istruito! ...che all’uopo verrà ora messo a guardia di questa triste esposizione, esponendo li fatti che ci costrinsero, invero colla morte nel cuore, a confermare la suprema delle pene, dal giudice serenamente comminata secondo la legge. Così sia fino al tramonto! Liberi di passar parola tra il volgo!”
Poi rivolta al boia…
“Mastro boia lavate la testa, che sia pulita, chiudetele gli occhi, e se potete pettinatela; e sistematela sopra un piatto da mettersi a propria volta sopra un cippo di legno, e così venga esposta. Si porti all’homo istruito del processo un tavolo e una sedia, da piazzare avanti al cippo senza che il normal passaggio sia turbato.”
Il boia afferrò la testa per i capelli, e la lavò dentro un secchio d’acqua, mentre altra servitù stava accorrendo dato che il Sole stava sorgendo in maniera più evidente; avevano preso il corpo mozzo, e l’avevano messo dentro una bara di legno, non chiusa fino alla riunione con la testa.
“Messer Alfio, che siete dottore in legge, dico a voi!”
“Ai vostri ordini altezza!”
“Da quanto siete il praticante dell’avvocato Sanfedele?”
“Sei mesi altezza!”
“Conoscete li fatti di causa?”
“Sì altezza. L’ho seguita però solo da osservatore, senza parlar mai colla condannata.”
“Bene! A chiunque dovesse chiedere riferirete li soli fatti del processo, e la motivazione della sentenza. Prenderete posto non appena sistemeranno la testa pulita composta sul piatto, dietro di voi. Per il tramonto vi faremo tornare alla magione vostra.”
“Come credete altezza, servo vostro!”
“Signor giudice, signor pubblico accusatore, avvocato Malapenna, reverendo Paolo…noi ci congediamo dalle persone vostre, et indi salutiamo! E vi ringraziamo di essere intervenuti tutti! Se gradite un cordiale dopo quest’evento infelice e necessario, l’avvocato Sanfedele sarà felice di farvelo servire! Buon giorno a voi!”
Tranne il prete tutti i presenti s’inchinarono; quando la baronessa si fu allontanata insieme al figlio erede, l’avvocato Malapenna si rivolse al collega Sanfedele, tremando:
“Vi sarei gra-grato se il bromuro che avete offerto alla mia cliente…inso…insom-ma se ce ne fosse un po’ anche per me! …Fino all’ultimo momento ero incerto se venire o no…poi ho deciso di sì…ma sono agitato…quella decapitazione mi è sembrato di viverla…non funziona bene quella macchinaria…un po’ di bromuro serve a me! Non ci crederete, ma invidiavo quella testa!”
“No, caro collega, comprendo la vostra empatia, ma non dite così…un po’ di questo liquore è meglio, permettetemi di offrirvelo…ecco tenete!”
L’avvocato Sanfedele offrì un bicchierino di liquore al collega penalista Malapenna che tremando di nuovo accettò di buon grado, e subito deglutì…poi ne chiese un altro che gli venne prontamente versato…intanto Sanfedele continuò con le spiegazioni del caso:
“…da quel bromuro nel vino non si sarebbe risvegliata comunque! Del resto se non avesse chiesto la stretta alle minne, il boia l’aveva piazzata bene, e quel servetto biondo, suo malgrado ignorante di decapitazioni, l’ha fatta avanzare di quel pochino che ha fatto incontrare più resistenza alla lama. La lama avrebbe colpito nel punto in cui si colpisce con la scure…non ha sofferto, date retta. E in fondo se volea salvarsi avrebbe accusato lo zio orco al processo. Il giudice ben disposto parea, sempre fissato con la domanda: ve l’ordinò il vostro amante? - Non siete riuscito a farglielo dire nemmeno voi…”
“Non ci son riuscito perché era pazza!”
“Avvocato, abbiamo tante cose di cui parlare; sapete una cosa? L’ufficio della procura voleva confiscare la casa dei genitori della poveretta…che sapevano…il padre pare sia impazzito, quando ha saputo che la figlia stessa ha cercato la condanna a morte, e ora non risponde manco alli cerusici, e lo tengono ricoverato siccome pazzo lui, privo d’intelletto…la madre non dice una parola a niuno, e niuno la saluta nel borgo; solo una vicina della via loro…”
“Lo so, son impazziti tutti e due: fortuna che i corpicini li aveva seppelliti in casa dello zio, altrimenti oggi il lavoro era triplo!”
“Stavo pensando, a quella donna: non credo vivrà ancora a lungo…se gradiste opporvi, se vorrete trattenervi nel mio ufficio, ne discuteremo assieme …stavo pensando, se convinceste i signori, cioè la padrona di casa a intestare la casa alla baronessa, cioè al suo patrimonio privato, continuerebbe ad abitarlo finché saranno in vita, lei e il marito ricoverato, e concederemmo di non chieder loro pigione…il Pannocchia non oserebbe mai far causa alla baronessa…”
“Voi, dite…ma le spese del giudizio già son state pagate, mi son fatto fare ricevuta!”
“Quel Pannocchia non si è soddisfatto col solo patibolo. Volea pure la pena accessoria…ve lo notificheranno a giorni; ha presentato ricorso per l’esazione della multa che non accompagnava la sentenza d’appello…”
La baronessa madre, e il figlio Edoardo si allontanarono tornado nei loro appartamenti. Al mattino, cioè nelle prossime due ore, il figlio erede sarebbe tornato in caserma, per il servizio. E la castellana avrebbe atteso il ritorno del nipote in missione per suo conto in quel di Tricase…nei corridoi madre e figlio conversarono.
“Allora Edoardo, avete visto chi si doveva salutare stamattina?”
“Più che salutare, direi saltare. Perché non l’avete fatta giustiziare in piazza al borgo?”
“Perché il popolo volea farsi giustizia da solo, dileggiarla, et umiliarla; abbiam raccolto delle voci in merito…c’era chi volea marchiarla col foco, e poi strangolarla…un altro uomo avrebbe voluto appenderla colle corde de’ li macellai per tagliarle il collo durante l’appendimento…un altro ancora bruciarla viva e sodomizzarla con palo puntuto…chi urlava per chiederne lo squartamento…tutti ignoranti vendicativi…altro che sete di giustizia!”
“…ma…madre…insomma come avete saputo queste cose?”
“Colli buoni uffici di messer Vezio…visto che di notte c’era chi gettava palle di prezioso cotone infocate e pietre contro le mura del carcere… e chi tirava sterco alla finestra a sbarre della condannata…allora per il popolo abbiam fatto fare il passa parola, cioè era stata messa la voce che sarebbe stata giustiziata la settimana prossima colla ruota. Invero facemmo presidiare la notte la piazza della morte, ma senza montar patibolo…o meglio facendo creder che sarebbe stato pronto per il prossimo sabato…e si son calmati!”
“E io madre, infatti ho dovuto far turno di notte, con due colleghi che hanno saputo fingersi malati…ho fatto da mezzanotte all’alba…ma poi il capitano Dal Vey m’ha dato due giornate libere…ed eccomi qui!”
“Sapete, Edoardo, si dice che qualcuno si sia anche, come sempre capita, affittate le finestre…Noi invece abbiam dato ordine d’anticipare…cioè di farlo oggi qui all’alba, quando il popolo ancora dorme. Se qualcheduno avesse voluto venire qui in cortile a presenziare sarebbe stato il benvenuto…ma non si son fatti vedere…meglio!”
“E ora?”
“E ora chi voglia saper che giustizia è stata fatta ha tempo fino al tramonto per accertarsene.”
“Madre…”
“Che c’è ?”
“Son ancora eccitato…sapete anche per quel vostro scherzo infame! Eccitato, sì!”
La madre, sicura di sé, ignorò la protesta del figlio…
“Lo crediamo bene! Gli homini si eccitano sempre dove scorre il sangue, e se scorre in abbondanza specialmente! Più se ne versa, più se ne vuole! Che ne dite?! Non sarebbe meglio impiccare e basta? Col cappuccio obbligatorio, così il popolino non vede strabuzzar gli occhi, o sputar la lingua, vedete?!”
La baronessa madre fece il mimo, e la smorfia della donna impiccata, storcendo gli occhi, in uno sguardo deforme, deformando anche la lingua in uscita…il figlio non apprezzò distogliendo lo sguardo...poi, dopo un paio di passi, però si sentì cercata proprio lì…nell’ano.
“HOH!”
Edoardo, dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno in corridoio, data l’ora aveva messo una mano, la sinistra sopra il culo della madre…e il dito più in dentro a esplorare nonostante la stoffa. Pronunziò deciso quanto aveva voglia di fare…
“Adesso vi accompagno nella vostra stanza privata, ove havvi ancora il nastro lilla sulla porta…orsù verrò con voi, madre!”
La baronessa madre, avesse avuto dieci anni di meno, lo avrebbe preso a calci; ma con l’età che stava avanzando, decise che non avrebbe perso alcuna occasione di usar li sensi, specie ove di solito vi era proibizione che rendeva la cosa morbosa assai, quindi appetibile! Persino Luigino Dresser, il suo amante privatissimo da sempre, ora non era più un ragazzino imbelle, ma un uomo propriamente detto…
“Uhmmf…come volete! Siamo agitate anche noi! Sapete, eravamo tentate di commutar la pena a quell’infanticida…l’avvocato Malapenna ragione tenea da venderne…forse era proprio folle…volle che un biondino le stringesse le minne…dopo che s’era confessata! Una piccola lussuria, dopo l’emenda de’ li peccati suoi…Il dubbio ci rimarrà, caro voi.”
I due arrivarono nella stanza privata della baronessa. Il giovane mise il nastro lilla sulla maniglia, e chiuse, la porta. La madre ignorandolo si stese per intero a pancia sotto sul letto, mettendo la testa bionda di fianco sul materasso, privato del cuscino che avea donato alla condannata per l’esecuzione, più indolore possibile…non era proprio andata così…ma ormai era fatta. Il figlio le chiese:
“Siete stanca madre?!”
“Sì, delle vostre intemperanze Edoardo! Ma ci rendiamo conto che non desistereste facilmente…forse c’è qualcosa di folle anche in voi…no anzi, in noi: me e voi!”
“Mi sto spogliando nudo, madre…e lo stesso vorrei di voi!”
“No, Edoardo! Quando ci siam messe a gattonare nuda eravamo, e ci avete fatto del male! Ora che vi abbiam perdonato, vi lasceremo fare, quindi sollevate la gonna e …”
“…e ?...”
“…prendete ciò che volete! Non vi ostacoleremo! Tanto già sappiam cosa più vi piace!”
“Vengo sopra di voi, madre mia!”
“Sta bene! Ma datevi da fare voi solo…da noi avrete soltanto il corpo…e basta!”
Il figlio, eccitato dall’esecuzione capitale, balzò nudo sopra il letto; quindi avendo per sé il supremo dei suoi balocchi, scoprì la gonna della madre distesa, e vide le gambe leggermente divaricate, e il culo, una delle sue prime figure erotiche appiattito dalla postura e dall’età. Si abbassò a baciarle le natiche, e dopo avergliele aperte, anche l’ano, che pensò di deliziare usando anche la propria lingua. La signora restò imbarazzata dal gesto umido del figlio roteando le pupille, come fosse irritata…certo venir cercata proprio là, dove certo niuno profuma…forse era rassegnata al dito che immaginava già introdotto a momenti…e invece l’incestuoso figlio agiva sempre di lingua…
“Mhmmm…ohn…uhhh…”
Le stava esplorando il muscoletto striato, maltrattato ore prima, tutto intorno con la lingua salivosa che Edoardo stava movendo rapidamente, alternando l’esplorazione periferica, con quella centrale… e casualmente, dopo attimi di vuoto, infilando la lingua oltre…
“Hohhhh!...mhmmm!”
…la donna dai superbi portamento e bellezza, dall’insospettabile morale esteriore, che aveva dato fascinosamente eretta disposizioni circa la testa della giustiziata, adesso aspettava che il figlio, ormai un tantino degenere, sfogasse le sue insospettabili voglie carnali più intime, roba da confessione in articulo mortis. Quando ebbe sazietà dei sapori grassi e pesanti dell’ano materno, rimanendo sopra di lei a contemplarle il culo, si smanettò il cazzo affinché finisse di drizzarsi…un affare di pochi momenti…la donna avea chiuso gli occhi anche per riposarsi, poi il figlio sistemò la cappella sopra l’ano inumidito della bionda madre strofinandocelo sopra…lo strofinio era il suo avvertimento; la sua bocca leccava la nuca e il collo della baronessa, in cerca di eccitazione. Indugiò per parecchio affinché il cazzo s’indurisse in quei preliminari di struscio, poi decise di prendere sua madre per i fianchi, e farle sollevare il culo.
“…aspettate Edoardo…ecco tenete! Sappiamo cosa ci aspetta, fate piano!”
La signora comprendendo mise le ginocchia sul materasso, offrendo il bacino nudo al cazzo del figlio eccitato. La signora baronessa già di suo sapeva dove sarebbe stata penetrata, e scostò un poco una natica, la sinistra, per favorire l’apertura dell’ano, non appena la cappella che vi veniva strofinata, avesse ricevuto un’adeguata spinta…che non tardò, data l’eccitazione morbosa di Edoardo. La donna emise un imbarazzato sospiro:
“AHN! …hohhhhh…tutto…ahi…dentro tutto!...AHN!”
Edoardo spinse contento, e tutto il suo cazzo finì nel retto della nobildonna…
“HOH…ora sì ! Lo sentiamo…movetevi Edoardo!...Uhmmmm…ohhhh! HOH!”
Edoardo prese a muoversi dopo aver impalato carnalmente sua madre, la quale lo stava incoraggiando affinché sborrasse contento e sfogato…la madre dopo un po’ di colpi stava cominciando ad apprezzare quella rabbiosa sodomia…in termini emotivi, e di sbattimento, il figlio ci stava dando dentro, facendole passare quella passività, che gli aveva opposto…s’era accorta che godeva di ogni affondo del figlio. Dunque era questo l’effetto che gli facevano le condanne a morte! Tutto quel sangue effuso l’aveva in qualche modo turbato…ed eccitato morbosamente! Come pure forse lei da qualche parte, nella sua non tanto pulita coscienza…voleva assistere, peggio ancora, godersi quella decapitazione semi automatica, da vicino, morbosamente vicino…
“AHNN…ahnnn…ahnnnn…ahnnnn!”
“Ahnnn…ahnnn…ahnnnn…ahhhhhnnn”
Godeva di ogni affondo del proprio figlio, del dolore non le importava! Un cazzo duro si stava facendo strada nei suoi visceri, facendo di lei una puttana del borgo; quando finalmente il ragazzo venne…venne abbondante! Sentì che di recente, se non mai, le era stato riempito così il retto…si sentiva soddisfatta, al punto che disse al figlio…
“Ahnnnn…non abbiamo mai goduto tantoooooohhh… prese da dietro! Sapete, Edoardo! Per fortuna che le vostre sorelle non ci sono! Oh se mi vedessero…che vergogna!”
“Se ci vedessero, madre!”
“Ahnnnn…ora se ci liberate l’ano, ci voltiamo, e saremo vostra! Avete fatto subito…! Comunque abbiamo goduto, caro figlio, abbiamo goduto! Del dolore c’importava poco o punto.”
Il ragazzo tirò fuori il cazzo, e la madre, senza dargli il tempo di contemplarle l’ano riprendere la normale forma, si voltò sbottonandosi subito dopo la veste verso il petto, per dargli il seno. Sorrideva al figlio come se se lo fosse meritato. Il seno sinistro era fuoriuscito. Stendendosi supina si rimboccò la gonna sopra, e il biondo pelo col grazioso carnale roseo spacco, si presentò agli occhi del figlio, grazie al Sole che illuminava bene la stanza…come se con la luce avesse fatto pulizia dei loro sentimenti morbosamente animaleschi durante la sodomia in penombra. In realtà stavano solo respirando l’aria fresca del mattino…gli occhi alla baronessa madre le erano tornati ottimisti e luminosi…
“Volete la patacca, o le minne, Edoardo? Siete riuscito a eccitarci…”
“Le minne, madre…e se mi ritorna dritto vorrei farvi buon servigio lì fra le vostre cosce…anzi ci voglio poggiar le guance, che calde saranno…!”
“Calde lo son sempre! Accomodatevi…e poi venite quassù a suggerci le minne…che ci piace!”
Edoardo, pratico del sesso biondo della madre, le aprì le cosce alla distanza giusta e iniziò a baciarle la pelle delle stesse verso le parti più interne in cui l’odore della pelle liscia anticipava il più forte odore della vulva, dalla pelle vellutata. Poi ovviamente cercò proprio la fica, ben disposta ad aprirsi da sola. Salutò quella bionda vulva leccandola ambo i lati, insalivandoli bene, poi iniziò ad andare avanti e indietro lungo lo spacco, fino a su, dove delle piccole labbra custodivano il prezioso clitoride della madre. Leccava la vulva con metodo…servilmente…voleva trarne piacere, sia dai sapori che riusciva a cogliere, sia dai rantoli e respiri della donna, eccitata che già si stava toccando seni e capezzoli da sola, pizzicandoseli di tanto in tanto, quando il figlio ad esempio indovinava una leccata, sia per pressione della lingua, sia per il piacevole solletico…la donna respirava e respirava…avrebbero potuto udirla…tuttavia il nastro viola sulla maniglia non facea avvicinare alcuno.
“AH…AHNANNN…ahnnn…ahnnnn…ohhhh come la leccate bene! Potremmo…mai…privarci di voi Edoardo?!...Ohhhh…mhmmmm…piano…e di nuovo…dai…di nuovoooohhhh !”
Il figlio ripeté la leccata che aveva appena dato, e la vulva cominciò a sgocciolare…ovviamente la punta della lingua di Edoardo colse la goccia col sapore amarognolo…
“AHNNNHAAAANNN ! Ohhhhh Edoardooooohhhh !...ahnnn…ahnn…ahnnnn!”
Il figlio continuava a leccarla, quando la madre disse:
“Entrate, adesso…entrate che finalmente verremo… bagnate…di nuovo! Ficcate il cazzo, ficcate!”
Essendo molto giovane il cazzo di Edoardo si drizzò di nuovo, e il figlio ci trafisse la fica della madre vogliosa…come entrò in lei…
“AHNNN !”
“Vi piace, madre, vi piace…?!”
“Ahnnn…ahnnnn…ahnnnn…ahnnnn…!”
Edoardo fece delle contorsioni per suggerle i capezzoli e mantenere l’amplesso; ma se perdeva tempo a succhiare non poteva muovere il cazzo dentro; tuttavia dato che non voleva uscire da quella fica calda e bagnata, portò la lingua dai seni dritti e duri della baronessa, alle guance della donna letteralmente verniciate di saliva dalla lingua famelica del ragazzo-uomo; saldamente congiunti s’incontrarono le loro labbra, e quindi le loro lingue, pronte a sovrapporsi l’una all’altra durante un morboso e salivoso mulinello, ch’ebbe l’effetto di far venir di nuovo il ragazzo dentro la madre…entrambi s’erano abbracciati per il piacere che avevano provato.
“Yuhllllmmmmm…HOHHHHHH..AHN!...vengo madreeeeeehhhh ! AHN ! AHN ! AHNNN !”
“Ohhhhhh sì ! Bene Edoardo…ohhhhhh!”
…la sua fica venne innaffiata meno rispetto al retto mezz’ora prima, e probabilmente incinta non sarebbe rimasta…
“Restate dentro Edoardo…e riposatevi! Sarete stanco…dopo tutte queste emozioni…pciù, pciù…pciù…”
Finito l’orgasmo restarono congiunti un’oretta; poco prima di riaddormentarsi baciato Edoardo ricordò d’aver succhiato un po’ con calma il capezzolo sinistro della madre…
…cari moderni, che dirvi? La pacchia sulla quale contava Edoardo non era destinata a durare. La baronessa avea bisogno che il figlio dalle inconfessabili voglie, lasciasse borgo e castello, pria che s’imprigionassero entrambi in una spirale perversa, colla quale si sarebbero traditi o sbugiardati colla servitù e li conoscenti. Nella missiva che Luigino recapitò in mani all’arcivescovo di Tricase, c’era una supplica per sua eminenza, da parte della baronessa: avrebbe dovuto accogliere Edoardo, che adesso d’arte militare conosceva abbastanza, come alabardiere di guardia alla persona del vescovo. All’uopo si sarebbe stabilito in Tricase pagando pigione per un appartamento privato. E nella stessa missiva c’era la richiesta di tenercelo almeno quattro anni, indi incoraggiarlo a trovarsi una donna per lui sul posto, possibilmente tra le figlie, o d’altri nobili, o possidenti da sua eminenza conosciuti. Sistemare Edoardo fu abbastanza facile. Peccato non vedere la sua faccia quando il suo comandante Dal Vey, dopo averlo convocato in ufficio, gli disse:
“Alabardiere Edoardo!”
“Agli ordini capitano! Volevate vedermi?”
“Sì, vi ho appena mandato a chiamare. Ho una missione riservata per voi solo, fuori borgo e fuori di questa signoria…è una missione che dovete portare a termine da solo; non potete farvi aiutare.”
“Di che si tratta?”
“In questo cofanetto di legno con sigillo sul lucchetto ci sono atti riservati per l’arcivescovo di Tricase, il posto dove dovrete recarvi. Penserà lui a rompere i sigilli, lui e lui solo! Oltre a questo ho qui per voi un lasciapassare, che esibirete se richiesto alla porta tricasina, vi lasceranno entrare senza farvi pagar tassa. Dismettete la divisa da alabardiere, e indossate solo abiti dimessi, da civile; meno vi farete notare nel viaggio, meglio sarà per la missione. Non viaggerete armato. Sarete solo un viandante, riservato, e rispettoso delle leggi. Avete soldi con voi?”
“Sì, capitano. Ho ricevuto il soldo, come sempre.”
“All’ora terza parte per Tricase un convoglio di carri merci più un calesse privato, che appartiene a un mercante a noi noto; fa parte di un più ampio convoglio, che trasportano di tutto un po’; prenderete quello, pagando il prezzo richiesto. Recatevi alla porta sud. Vi presenterete al conducente come il geografo Edoardo, sanno già che devono accogliervi.”
“Perdonate, come li riconoscerò?”
“Li riconoscerete perché solo essi partiranno all’ora terza dalla porta sud! Vi vedo perplesso, cosa v’angustia?”
“La mia missione è segreta e ciò m’innervosisce assai…se vengo sopraffatto, e mi viene sottratto il cofano?”
“Se vedrete che le cose si stanno mettendo male, aprite il cofano, e fate mille e millanta pezzetti delle pergamene, e disperdetele pure al vento. Dato che manco io conosco tutto il contenuto del cofano, se dovesse esserci denaro usatelo per salvarvi la vita! La cosa veramente importante è che solo l’arcivescovo legga le pergamene dentro!”
“Se mi chiedono la ragione del viaggio, lì dentro il calesse intendo…”
“Trattasi di missione riservata, ma non segreta, né militare… per cui inventatevi una ragione senza mai nominare l’arcivescovo. Durante il viaggio siate cortese, ma senza esser ciarliero! Arrivato in Tricase, discenderete dalla vettura, e quindi a quelli del luogo chiederete dell’arcivescovo. La parola per farvi riconoscere presso l’arcivescovado è PERSEVERANDO…la inserirete in un frasario di saluto, come per esempio: son qui giunto perseverando, etc, etc…vi porteranno dall’arcivescovo al quale porgerete i miei e i vostri rispetti, indi gli porgerete il cofanetto. Sa lui cosa deve fare. Avete capito, giovanotto?!”
“Sì capitano, ho capito. Quando dovrò tornare?”
“Ecco, non saprei. Dipenderà da ciò che l’arcivescovo vi domanderà di fare per lui. Avete il nostro permesso di metterci il tempo che occorrerà. V’ordino di non sentirvi vincolato, né dal tempo, né dalla distanza. Non so altro. Ora andate a svestirvi della divisa, che dovrete cambiarvi d’abito, e ritirare il denaro per il viaggio presso la secretaria. Son già passate le ore due del pomeriggio. E voi dovete partire alle tre…muovetevi!”

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