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Lui & Lei

Confessioni di una mente perversa. -4a parte


di sexitraumer
10.08.2018    |    4.993    |    0 9.4
"Quella sera non potei uscire…sì, ora ricordo! Faceva parte dei doveri del lutto..."
La ragazza era stata svelta a chiudersi la porta dietro. Avendo deciso di seguirla provai a bussare, ma nessuno venne ad aprire…che maleducazione! Al massimo stavano a sei sette metri, ma anche meno, da me…scusate se esisto mi sarebbe venuto da dir loro! Provai a spingere per entrare: a quel punto di apparire una perfetta maleducata non me ne sarebbe importato niente! Era aperto! Valeria aveva lasciato aperto. Entrai facendo piano e all’improvviso non potevo credere ai miei occhi! Valeria era semi nuda: ossia sotto il maglioncino rosso corallo fine non portava niente. Il giovane bidello-custode dopo aver aperto il portafogli diede 50 euro a Valeria, che li prese sistemandoseli dietro in un posto che poteva ben raggiungere dietro la sua schiena; poi si stese a terra allargando le gambe affinché il custode potesse leccarle la fica. Sono sempre stata abituata al sesso sul momento; ma in quel momento mi sentivo io come una madre che scopre all’improvviso che sua figlia è zoccola. Un mese prima la chiamai alla lavagna per una semplice derivata di una parabola. Riuscì appena a cavarsela: la parabola aveva il termine al quadrato negativo, il che significava che aveva la concavità rivolta verso il basso del piano cartesiano alla lavagna. Glielo dovetti far osservare dato che la stava disegnando con la concavità rivolta verso l’alto. Comunque capì in tempo, e quando le dissi di non appuntire troppo il vertice lo arrotondò un pochino. Caso volle che quella parabola fosse intersecata orizzontalmente in prossimità del vertice dall’asse delle ascisse…mi venne da ridere anche a me, più o meno un secondo prima che lo facesse la classe: Valeria disegnò questa parabola col vertice arrotondato poco sopra l’asse delle x, e quindi l’asse verticale passante per il vertice parallelo alle ordinate: tutti a ridere, e molti di voi avranno capito perché: quella parabola, forse volutamente mal disegnata, sembrava proprio un cazzo eretto da cacciarsi in fica, e cavalcarlo! Quando le chiesi di calcolare la derivata prima in un determinato punto dovetti guardare verso il basso fingendo di cercare qualcosa, altrimenti Vito, il compagno interrogato assieme a lei, non poteva riferirle a sussurro e gesto l’equazione di quella derivata, del resto stupidissima, dato che era una semplice equazione di primo grado. Chi andava a sospettare che una esile fighetta svogliata con un visino pulito, la seconda supponibile di seno, un culetto appena visibile, alta forse un metro e cinquanta più o meno, circa 44 kg con dei bei capelli castani scuri a caschetto, ed un paio di occhi verdi scuro, fosse una così abile puttanella, per giunta con quelli della sorveglianza. Una posa da eroina pornografica, quasi una piccola dea del sesso novello, per chi avesse potuto vedere le sue gambette aprirsi, mostrando lo spacchetto della fichetta di adolescente di quarta liceo. Il bidello Barella aveva ottenuto il posto che prima era stato del bidello Nigro, un napoletano che guardava e fotografava di nascosto i culetti delle studentesse in mini gonna, pur senza importunarle. Un giorno perse il cellulare, che venne trovato da una collega insegnante che lo portò al preside De Altis, che vide le foto, che licenziò il bidello…Infatti il bidello Barella, dopo aver messo in stand-by il quadro entrata-uscita, per non essere disturbato s’inginocchiò a terra, e reggendosi alle gambe di lei, fece scomparire la sua testa tra le sue coscette per il cunninlinctus…hai visto il custode! Un bel porcello pure lui, che beneficiando di quella giovane e morbida fica di studentessa per la sua lingua golosa di sapori intimi di studentessa troietta, si stava slacciando i pantaloni; alzò la testa un tantino deluso; la ragazza, avendo intuito che l’odore non era il massimo, ma non era nemmeno puzza, disse:
“Non mi sono fidata a insaponarla col sapone del dispenser, se la deve prendere fresca ad acqua dei bagni! Non è un sapone acido quello delle mani…e la fica è mia dopo tutto…la stava leccando bene! Perché si è fermato? Più leggero con la lingua, soprattutto lì in alto, grazie!”
Sembrava un felino che ha appena assaggiato i feromoni della sua felina…
“Ehhh? Certo, sì…la fichetta è tua…sì, va bene! Però, ecco…bah ! Mò riprendo…”
“Leccava bene…mi piaceva…su…”
Il custode riabbassò la testa su quella morbida vulva, con la metà o poco meno dei suoi anni o di quella cornuta ignara di sua moglie…
“Ahhnnnn, ahhnnnn, ahhnnnn!”
…sapevo come sarebbe andata a finire: tra qualche minuto il suo cazzone, eretto e dritto, sarebbe entrato nella fica della ragazza, che scoprii si faceva i suoi bei soldini prostituendosi con il personale. Chissà se la dava anche a qualche professore…pagante ben inteso! Forse non conosceva una cosa semplice come la derivata di una parabola, ma di sicuro conosceva, e bene il denaro derivato dalla somministrazione di sesso a tempo, o a buchetto che respirava… Valeria doveva essere proprio una troia consumata! Riusciva a fare conversazione durante la leccata della sua fichetta, che a quel punto doveva essere stata ben verniciata di saliva maschile…
“Ahnnnn …ohhh…ci vada piano signor Barella…se me la mangia che le do? Ohhhhhh…ahnn…uhmmmm…lo sapeva?”
“Uhmmmm, sluuuurp…sììì…cosa?”
“Ahnnn ! Quella di mate, la supplente figa moretta…ahnn…ancora?...le piace eh?”
“Sì, mi piace la tua fichetta, sluuuurp..slurrp…splaaaaaahhh, splutch…slurppp…”
“Ahnnn…ohhhh…un ditino piccolo…nel buchetto del culo…me lo può mettere…se ahnn, se vuole…ahhnnn…me la farebbe una forchettina…un po’ sull’inguinehhhh ! HUH ! Huuuuuhhh! Carburo meglio se mi lecca la fichetta così…col buchetto del culo stimolato…lo…AHN! Lo sapeva?”
“Uhmmm, cosa?”
“La supplente di mate, scopa! La Bone…L’ho spiata quella stronza che – AHN ! Più leggera la lingua, grazie! – Ahn … mi aveva interrogato…ohhhhh…sapesse come mette il suo bel culo alla pecorina…HUHNNN… contro la cattedra con quel suo amante piccolo spaccia…con Federico, quello che porta i pacchi con lo scooter…ahhhn…beh…ahnnnn ! Ma…le piace la mia fichetta, eh?! Lo sa…ahn !...dicono che abbia fatto il botto!...uhmmm…sìiiii…la lecca bene signor Baré…beata sua moglie!”
Pensai: non ho fatto il botto, troietta! Ci sono passata vicino che era già avvenuto…puttanella menagrama! TI ho aiutata nell’interrogazione, e m’insulti pure di sopra! La prossima volta che mi capiti vedrai! Ho una mezza idea di chiederti una discussione col sistema geometrico…mica te la farò cavare con Tanterville! Quello è per i brocchi! Quasi quasi t’infilo io una bella logaritmica nel tuo piccolo culetto, falsa studiosa! Vedi come caschi alla lavagna! Tempo quindici giorni, e te lo do io un bel botto!
“Sluuurp, sì ! Lo sapevo che gliela dava a quello lì…ahnnn…sai, Valy, mia moglie non vuole che gliela lecco troppo…slurrrrrrp…ha…uhmmm…paura di venire di lingua…vuole venì di cazzo…sluuurp!...uhmmm, sì quella di mate, la supplente è bona…come hai detto tu…ahnn..sluuurp, ma tu sluuuuurp…sei meglio…”
“Ha ragione la sua signora allora! Lei ce l’ha grosso; Io ho fatto cornuta mamma con il secondo marito…ma solo la leccata di fica per un i-Phone 5 nuovo! …ahn ! Come lecca bene signor Barella! Allora me la fa una forchettina? Mi fa bagnare di brutto, ho scoperto…ahnnn ! Il suo mignolo nel mio culetto…su…oohhhhh !”
“Sluuurppp, slaaap…ma per l’8 gli facevi entrà il cazzo ?!”
“Ma se lui, non c’ha manco il 7! ...ahnnnn ! Mamma gli ha regalato un’altra marca…ahnnn !”
“Sì va bene, poi però t’entro dentro…”
Il bidello custode ficcò il suo dito mignolo nell’ano di lei, che sussultò col culo per l’invasione, e così facendo movimentò quel lungo bacio integrale bocca di lui-fica di lei…in effetti con l’ano stimolato avanti-indietro la ragazza iniziò a rigagnolare un paio di goccette trasparenti sulle labbra di lui, che le leccò a tutta lingua, poi sollevata la bocca bagnata della fica della ragazza, sguainò finalmente il cazzo, lo poggiò sopra la fichetta di lei, e finalmente le entrò dentro! Pure io, toccandomi da sola, piano ed in silenzio, volevo vederla penetrata! Valeria ricambiò la penetrazione con un abbraccio totale, che consentiva a lui di sentirne il seno caldo attraverso il maglioncino, e di leccarle il collo, mentre le martellava la fichetta con il suo generoso cazzo. Il loro amplesso durò qualche minuto. La giovane ragazza si lasciò leccare tutto il volto, con la lingua fin dentro le orecchie, da quell’uomo letteralmente catturato dalla superficie della pelle del suo corpo adolescente, occultato dal maglioncino fine sopra l’ombelico.
“Ahnnn ! Ahnnn ! AHNNNN!”
“Oh Ahnnn ! Ahnnn ! Ahnnn …”
“Dì ! Ahhhhnnnn!! Mi dai anche il culetto?”
“No, tesoro mio! Mi doveva pagare ahnnnnn, pagare…ahn…ahn…pagare di più e voleva il culetto…ahnnn ! Senta, lo vuole ‘no smorzacandela ?!...così sta comodo, e si riposa un po’…”
Lo leccò sul viso per assecondarne la risposta…uno smorzacandela era la garanzia che non gliel’avrebbe messo nel culo, anche se nulla, tranne il portafogli vuoto, avrebbe impedito d’integrare dopo un ulteriore pagamento.
“Sì, ma lo fai mostrando il tuo culetto bella mia…”
“Va bene…allora esca e si stenda a terra…un cazzo così lo toglierei a mia madre! Me lo cavalco io…”
Valeria senza fare caso alla mia presenza dietro la porta a vetri interna, attese che il bidello custode si stendesse a terra, e dopo un sessantanove nel quale lui le aveva insalivato e leccato abbondantemente anche il culetto, e l’ano, oltre ad inguine e fichetta, dopo uno svelto pompino, si piazzò eretta sulle proprie ginocchia dando il culo al volto di lui, e accompagnata la cappella violacea all’ingresso della sua fichetta rosea depilata, vi cadde sopra ingoiando il cazzone quasi verticale di lui per intero…
“AHN ! Ce l’hai grosso! Tua moglie…ahnnn!...è fortunata…! Ahnnnn! Ahnnnn! Sì !”
La ragazza iniziò la sua cavalcatina personale su quel palo di carne da meno di venti centimetri per quasi tre stimando ad occhio, anche se la stima io da porca prima di lei l’avrei dovuta fare a fica…la mia fica…le cuI migliori amiche erano le mie dita esperte…
“Ahnnn Ahnn ! Ahnnnnn ! Ahhnnn !! Ce l’ha grosso signor Barella…ahhhnn ! Mio !”
“Mahhhh, veramente…ehhhh…l’hai fatta leccare al tuo patrigno?”
“Sì, ma lui non …ohhhhh…che affondoooohhhh…no…non…non ce l’ha grosso come il suo signor Barella! Ahnnn ! Bel cazzo !...Uno de stì giorni gliela do gratis ! Sto godendo!...Ahhhhnnn!”
“Lo sento, ti bagni…”
La ragazza tenendo gli occhi chiusi non riusciva a vedermi, ed io stessa a quel punto sentii l’esigenza di toccarmi meglio le cosce, e la patacca…era stato arrapante pure per me vedere quella studentessa, snella la metà di me, cavalcare con abilità quel signor cazzo…
Anche l’uomo si godeva quell’amplesso contemplando il piccolo, ma formoso culetto di Valeria; di tanto in tanto per contemplarne l’ano le allargava prima una e poi l’altra natica…finché quel cazzo era saldamente dentro la sua fichetta che l’aveva ingoiato meravigliosamente; Valeria non correva il rischio di essere inculata a tradimento. Quel cazzo doveva piacerle un mondo: i suoi capelli corti neri durante la cavalcata si erano spettinati, e lei stessa si era scoperta una tetta, la sinistra per autostimolarsi il capezzolo, già inturgidito dall’eccitazione…Valeria dopo sette minuti dell’orologio a parete così disse:
“AHNNNNNN…! ...Ohhhhhhh ! Io…ohnnn…io…sono…ve…ven…venuta adesso! ...Ora tocca a lei…!”
“Valy ! …meglio che lo esci ! Qui finisce che ti vengo dentro…”
La sua fichetta perdeva bavette trasparenti…l’insegnante Isef che mi ero scopata io, Enrica avrebbe fatto ogni contorsionismo, anche pericoloso per l’osso del collo, per leccarle via quelle bavette di autentico piacere…io non potevo che contemplarle uscire da quella fichetta…speriamo che il mio Fede non la conosca, manco come cliente…sennò quando lo rivedo?!...che sensazioni ! Lubriche e disagio al tempo stesso!
“No…mica posso restà incintaaahhhh…ahnnn…sennò mio papà chi lo sentehhhhh!”
“Ma non hai detto che gliel’hai fat…fatta leccareeeeh?”
“Al patrigno…ahn ! Mica a mì padre ! …se me se gonfia la pancia senza il fidanzatino, mì padre me stende…e poi ammazza l’omo che c’ha mamma adesso…’nsomma i soldi quello ce li ha…”
“Ohhhhh…allora…che facciamo…? Lo tolgohhhh? Bella fichetta calda che hai…! Ancora un po’, dai…”
“Però …ohhhhhh…uhmm…sta venendo lo sento, ohhhh bello il cazzo ! Trattenga, la prego, trattenga!”
“Uhnnn, ahnnn, ….ahnnn…na’ parola! Mi sa che te lo sparo dentrooooooohhhhh!”
“Ahn ! Ohhhh! ….Basta !”
Valeria si alzò all’improvviso, lasciando svettare il cazzo bagnato della sua fichetta con una macchia bianca evidente al centro della cappella, appena in tempo! …e lui restò disorientato per un paio di secondi col cazzone senza più nulla su cui sbattere:
“Madò! C’è pure la pillola del giorno dopo! Eccheccazzo!” … lei invece agilmente si piazzò alla pecorina, davanti a lui dicendogli:
“Su, mi sborri le chiappette…senza mettermelo nel culo! Su, tesoro mio, mi fido! Il culetto me lo farà un’altra volta…magari in classe quando se ne sono andati via tutti…come quella di mate co’ Fede…”
Il bidello sudato si alzò sulle ginocchia, e preso in mano il proprio cazzo, sbattè più volte il glande gonfio sulla pelle delle sue chiappette adolescenti, che per quell’imbarazzante pericolo d’inculata si irrigidivano per pochi istanti durante quel solo pelle-pelle effettivamente concesso dalla ragazza. Tuttavia mi era chiaro che Valeria aveva anche un buchetto di culo da far vedere al Barella, che in pochissimi secondi, il tempo di mettere a fuoco con gli occhi quell’innocente buchetto rosa scuro risparmiato, vennero sbiancate all’improvviso quasi del tutto da un paio di estesi, ampi rivoli da schizzo di sborra calda…
“Sìììììì ! Eccoloohhhhhh ! Tuoooooohhhh !”
Il bidello era venuto finalmente. La giovane Valeria si era spalmato quel bianco nettare che avrei voluto nella mia fica, ben addentro, su tutte e due le chiappette, finché durava la fontana bianca; poi, dopo meno di una decina di schizzacci minori; ricompostasi la tetta scoperta, Valeria disse:
“Fa caldo qui! Posso aprire la finestra?”
Il bidello disse:
“Sì, ma quella che dà sulla strada…sennò ti vedono i tuoi compagni…stanno per uscire quelli del recupero pomeridiano…cazzo qui devo riaccendere tutto!”
La finestra in questione si trovava più indietro rispetto alla guardiola, ad un metro da me circa in lato. Valeria mostrandomi le sue chiappette arrossate dalla sborra secca, aprì la finestra a scorrimento senza fare caso a me, affinché entrasse aria fresca, che a quel punto mi dissi: o ora o mai più! Come si voltò verso il suo cliente che riaccendeva il quadro comandi nel gabbiotto, ne approfittai per sgattaiolare dalla finestra aperta, e così raggiungere con un salto di un metro il piano strada…e se mi avessero notata, stì cazzi !

Ora salto, o adesso o mai più…là! Eccomi fuori finalmente! Certo ce n’era voluto per uscire quando non ti aprivano. All’improvviso però vidi una cosa che mi lasciò fulminata, e senza il conforto della sia pur minima logica: vidi una ragazza con un maglioncino rosso corallo e i capelli a caschetto citofonare dall’esterno sull’ingresso, dal quale io ero appena saltata giù: ma che stava succedendo? Quella era ancora Valeria! Caschetto ai capelli e maglioncino rosso fine! Una voce, quella del custode venne emessa dal citofono in attesa che si attivasse anche la funzione video:
“Sì ?...”
“Sono Valeria! Mi apre signor Barella?”
“Prego, vieni, ma non affacciarti troppo, a quest’ora potrebbero vederti…le cam hanno 30 secondi di riavvio…svelta!”
Ma era la scena che avevo visto un’ora prima ! Avercelo avuto un orologio! Mi sa che me l’aveva sfilato di dosso il carubba che mi aveva guardato nella borsetta…mò rientro! Voglio proprio vedere…no, cazzo! No ! Cazzo il badge era rimasto dentro! Oh, ma vabbé ! Ecchissenefrega ! Me lo faccio ridare domani! Un momento, forse era una sceneggiata! Per invertire l’ingresso…uhmmm; però posso sempre sporgermi, e guardare dalla finestra…dovrebbe essere ancora aperta! Salìì di nuovo sullo spalto, sollevandomi con gli avambracci: finestra trasparente a scorrimento chiusa…! Non ci stavo capendo più niente: però mi sporsi a guardare di nuovo: no!

…stessa scena di prima…ora adagiata la gonna sulla sedia girevole del gabbiotto del signor Barella, Valeria si stava sfilando le mutandine con noncuranza, lasciandole cadere a terra…il bidello-custode aprì il portafogli e le diede 50 euro che la ragazza sistemò dentro una tasca segreta dietro il suo maglioncino con una mossa che conosceva a memoria: l’avrebbe potuta eseguire a occhi chiusi! …e manco a dirlo, si siede a terra allargando le coscette affinché il bidello potesse guardare lo spacchetto del suo sesso…ma questa scena l’avevo già vista! Prima che perdessi i sensi, come dopo la scopatina strana con Enrica mi lasciai cadere da mezzo metro stavolta al suolo di nuovo…volevo solo andare via…riflettere mi provocava del disagio interiore…meglio lasciare quel liceo, dato che non riuscivo più a collocare nel tempo, ma solo nello spazio le mie scopate con Fede, Enrica, De Altis e la guardata di quella di Valeria, Valy per gli amici…via, via…volevo solo andare via…
Adesso si trattava solo di tornare a casa. Un altro problema: non avevo più né lo scooter di Fede, né soldi per il bus…certo con un taxi magari mi faccio accompagnare a casa, poi salgo e glieli prendo…magari citofono ad Antongiulio, però poi dovrei dirgli dove li nascondevo…uhmm…beh tanto un taxi manco c’era in quel momento, per cui mi misi in cammino di buona lena fino alla via trafficata. Lì avrei preso il bus rischiando la contravvenzione…cazzo c’era pure la contravvenzione che avrebbero elevato a Fede per quelle gomme lisce…quanti pensieri…quando ecco che…
…vidi che un taxista Un taxi giallo, una FIAT Tipo, il modello del 1988, - e pensare che ne circolano ancora! - stava passando, ma era già occupato. Per cui pensai – facciamocela a piedi! - E invece- altra stranezza: il taxista si fermò, e tornò indietro con la macchina fermandosi accanto a me: si aprì uno sportello dietro, e una voce familiarissima mi disse:
“Ehi Leda! Finalmente ti troviamo! Entra, accomodati, dai!”
Era il mio medico di famiglia: il dottor Maniglia, un uomo ormai anziano, prossimo alla pensione, ma usava dire che ci sarebbe andato quando avesse esaurito i pazienti più vecchi di lui; per quel che ne sapevo era ancora in servizio. Entrai, e mi sedetti dietro insieme a lui.
“Ti ho cercato tutto il giorno; dove sei stata?”
“Qui a liceo; avevo un appuntamento. Come va dottore?”
“Questo di solito lo chiedo io, sai. Comunque, scherzi a parte, senti, mi ha telefonato Antongiulio, e ho pensato che forse eri ancora qui.”
“Sì, ho passato la giornata a scuola…non ad insegnare però! ...oggi non ero nemmeno di turno.”
“E a fare che? Se è lecito, sempre…”
“Io…beh avevo un consiglio con i colleghi, ma mi hanno per lo più ignorata! E dire che ho fatto di tutto per essere puntuale! Avessi saputo, sarei rimasta di più con…”
“…con ? ...”
“…mhmm..io…”
Il dottor Maniglia, compreso il mio imbarazzo, si rivolse verso il taxista che guardava solo la strada, in attesa di ripartire verso la destinazione iniziale, immaginavo.
“Senta, per cortesia, potrebbe farsi una passeggiata fino all’edicola? Vorrei parlare da solo con la mia paziente. Qui c’è un extra per lei, e mi raccomando: lasci il tassametro acceso. Pago io…ben inteso!”
Il dottor Maniglia mise dieci euro in mano al conducente, che non stavo neanche troppo osservando, e che naturalmente le prese senza voltarsi, portandosele in tasca ai pantaloni senza nemmeno guardarle.
“Dottore, ma che…?”
“Va bene. Vorrà dire che metto le quattro frecce, e vado a comprare il giornale…non metteteci molto, però! Io non correrò, ma non mi piace lasciare la macchina ad estranei…”
“Tranquillo…tanto questa oggi non gliela ruba nessuno…”
Il taxista ci lasciò soli in macchina, con il quadro acceso, le quattro frecce, e si diresse meno di cento metri avanti a noi…
“Allora Leda, sarò franco: dei vicini hanno parlato con Antongiulio, e gli hanno detto che fumi in ascensore, e la cosa non è gradita; per ora hanno ne hanno solo parlato con lui. Non ce l’hanno con te…solo che qui a scuola ho parlato io oggi con due persone: uno era il preside, il professor De Altis, l’altra era una tua amica di nome Marta…mi hanno detto che da qualche tempo non sembri molto presente, e nei giorni scorsi i tuoi studenti ti hanno visto fumare spinelli con strafottenza durante le pause pranzo. Parlavi anche da sola. Il medico scolastico, allertato dal preside, dopo aver esaminato le cicche di sigaretta rollata a cartine che buttavi a terra, ha trovato tracce di hashish…io non ti giudico, ma non va bene; né per la tua salute, né per la tua dignità d’insegnante…hai idea di come ti vedano gli studenti, qui?”
“Dottore, ma tu vieni qui per una predica?! E poi che cazzo vogliono, non hanno mai visto la gente parlare da sola? O fumarsi una canna? Sì, proprio una canna. E allora? Qui ci sono studentesse che fanno pure le squillo in orario scolastico, con tanto di prezzario, e talvolta forniscono anche un alibi al coetaneo cliente…e giurerei pure qualche insegnante che fa marchette a domicilio! Se vuoi saperlo di questo abbiamo parlato al consiglio!”
“Non agitarti Leda! Arriviamoci per gradi, e dimmi: ricordi niente di stamattina?”
“Sono passata con lo scooter di un mio amico davanti ad un incidente, e mi hanno fatto un casino di domande; non la finivano mai, a furia di percuotermi mi hanno strappato anche la giacca…”
“Ho sentito parlare di quest’incidente. Me ne ha parlato tuo figlio…al telefono…”
“Beh, mi hanno interrogato, e guardato nella borsetta, i documenti li avevo, ma non erano persuasi…ma che si aspettavano da una testimone involontaria? Un’enciclopedia?”
“Leda, a me non dovresti mentire. Tuo figlio Antongiulio mi ha detto che fai uso di hashish o mariujana, o forse tutte e due, come capita da qualche tempo… ha detto che esci la notte per procurartela…la prima canna dice che te la fumi al risveglio, poi la spegni, e la riaccendi quando esci di casa…è vero?”
“Sì. Ma è solo una fumatina…che sarà mai?”
“Sono gli oppiacei, non è la fumatina…certo se prima di mezzogiorno ti fossi impegnata a non toccare nessuna sigaretta forse sarebbe andata diversamente…ora invece…non si può tornare indietro, non più allo stato delle cose…spero che questo tu, a questo punto l’abbia compreso!”
“Dottore, ma…che stai cercando di dirmi? Che sono una tossica?”
“No. Non è solo quello…purtroppo devi convenire con me che c’è dell’altro, ma non sembri pronta a comprenderlo!”
“Mi stai facendo l’esame su richiesta di quel furbastro di De Altis? Tutto sommato stamattina quello che gli abbiamo comunicato non lo stava turbando più di tanto…oh, no! No, non è De Altis! Ti sei consultato con il medico scolastico: è stato Li Moti a chiederti di parlarmi, vero?”
“No, Leda. Non lo conosco questo Li Moti, te l’assicuro…”
“E allora che ti occorre? Si può sapere? Io sto benissimo, ed ecco all’improvviso tutti a farmi delle domande…come se non me ne avessero fatte abbastanza i carubba stamattina…Dimmi un po’ dottor Maniglia! Perché sei voluto rimanere solo con me? Vuoi una marchetta in macchina, per caso? Sono queste che vuoi? Me le hai sempre ammirate durante le visite! Credevi che non lo sapessi? ...dimmi, dai!”
Feci per sbottonarmi la camicetta, pronta a mostrare il mio bel seno sodo, e dritto quando il dottor Maniglia mi disse di guardare verso il parabrezza:
“Oh guarda! Il taxista è tornato.”
Il taxista, tenendo lo sguardo basso, si accomodò di nuovo al posto di guida. Il dottor Maniglia gli disse:
“Vada dove sa…accetti un passaggio Leda, vero?”
“Verso dove?”
“Il policlinico. Io sto andando là. Vi lavoro come esterno.”
La macchina si mosse. Guardavo la strada con distacco, la macchina ripassò verso il luogo dell’incidente, dove rallentò a causa anche di un semaforo nel nostro senso di marcia opposto alla strada dell’incidente.
“Guarda Leda, il posto dell’incidente. Non ricordi niente?”
“Niente del tutto dottore! Forse è colpa delle canne…sì forse è colpa delle canne. Ora che mi ricordo ne ho fumata una stamattina, per andare al bagno…”
“Guarda meglio Leda…”
“Perché devo guardare?”
“Ah, scusa non sapevo che non volessi! ...ma come mai?”
Sconsolata ripetei:
“Dottore mio, ho parlato coi carabinieri stamattina… mi sono dovuta divincolare… non volevano lasciarmi andare via! Te lo giuro! Se mi vedono mi fermano di nuovo! No, basta ! Dai! Che poi Dai è pure il mio cognome… sai le risate?!”
“Le risate? …dare un cognome falso non so se sia reato… però…”
“Ah, ah…però…cosa?”
“Leda, dal libretto che mi hai sempre mostrato… tu di cognome fai Bonelli ! Cos’è questa storia del cognome Dai? … per caso era quello di mamma tua?”
Pensai un attimo…un lunghissimo attimo…
“…”
“…Leda… ?...”
“N…eh…?!...no, no… il cognome di… di mamma era Cardosi… pa… papà …si chiama …Giuseppe…”
“Giuseppe…”
“Giu …Giuseppe Bonelli!”
“Guarda meglio Leda! … Leda Bonelli…è il tuo nome…anche adesso!”
Abbassai il finestrino per guardare meglio, ma da lontano ovviamente, e arretrando la testa verso dietro. Dei carabinieri stavano facendo dei rilievi, una persona con un impermeabile beige stava per voltarsi lentamente verso di me; credevo avesse intenzione di guardarmi, e prima che la sua faccia preoccupata intercettasse la mia, ero pronta a distogliere lo sguardo; magari era uno della polizia criminale, gente con la quale non vorrei mai avere a che fare; e se avessero voluto fermarmi di nuovo? Altro che “si tenga a disposizione!” Affanculo dovete andare…la faccia si voltò: non avevo mai visto quell’uomo: mi guardò con una certa aria di sufficienza, e guardando verso di me, accennò un sorrisino ironico, che in pochi istanti divenne uno sguardo minaccioso; quella metamorfosi mi suscitò del disagio, per cui alzai il finestrino per non guardare più. Eppure era il quartiere dove conducevo la vita di tutti i giorni. Conoscevo di vista passanti, vie, e negozi, ed aneddoti non sempre di pettegolezzo; ovviamente ce ne erano pure su di me… e mio figlio da quando il mio compagno mi ha lasciata. Anche il dottore ormai si era arreso:
“Leda, a tuo figlio ho dovuto spiegarlo, e ha capito, ma te vedo che sei proprio una capa tosta…”
“Ma ti rendi conto dottore che la mia amica Marta, un’insegnante di ruolo come me, cioè no…lei è di ruolo, io sono precaria…ma anche lei! Anche lei! Quella si fuma canne né più, né meno della sottoscritta, e nessuno per questo avverte il suo medico curante!”
“Ma Leda, perché la stai prendendo così a male ?! Mai mi sognerei di denunziarti…e comunque adesso sarebbe inutile…ormai! Sai, il preside De Altis l’ha detto al medico scolastico, che l’ha detto a tuo figlio Antongiulio che frequenta la stessa scuola, e ne ha parlato con me…direi che ti stanno gestendo la cosa in famiglia…chiaramente non sei la sola che fuma spinelli a scuola…ma …non credi che ti sei esposta troppo? Magari questa Marta non butta le cicche delle sigarette rollate per terra davanti a tutti con, come dire… strafottenza, no ?!”
“Se c’è una che si esposta troppo è proprio Marta, la professoressa di religioni orientali: se ne fa quattro-cinque la volta!”
“Perché ti agiti? Quattro-cinque la volta cosa?”
“Di ragazzi, scopa…scopa anche a gang-bang…lo so perché l’ho seguita…questo Antongiulio non te l’ha detto, vero dottore?”
“Che mi doveva dire?”
“Della gita…”
“Gita?”
“Sì: …avendo visto, una sera prima, Antongiulio chiedermi venti euro, più l’autorizzazione per una gita scolastica, che in un paio di telefonate a scuola, scoprii in realtà essere inesistente; allora perché me le aveva chieste secondo te?”
Il medico mi fissava reggendo il mio sguardo: se gli fissavo gli occhi avevo quella odiosa sensazione che mi toccava riavviare il tempo…un’altra volta l’immagine dell’orizzonte marrone! Forse già che c’ero ne avrei dovuto parlare al dottore; ma non mi andava, anche se non era di quelli che ti accusano di mentire…come era sempre suo costume ascoltava senza spazientirsi, poi faceva una diagnosi accompagnata da un consiglio alla “chi vuol capire, capisca!” …
Proseguii, più che altro per me stessa; sentivo il bisogno di ricordare, e naturalmente raccontare:
Trovai la mia autorizzazione firmata dentro le pagine di un giornaletto lasciato a casa il giorno in cui doveva portarla a scuola insieme con i soldi. Come sua madre conoscevo la sua velocità di cammino media, per cui gli diedi tre minuti di vantaggio dato che quel giorno non aveva preso il pulmino insieme all’amico solito…lo pedinai piuttosto bene. Tanto che quando arrivò a scuola la mia collega ed amica Marta Kopelij, insegnante di storia delle religioni orientali, nel liceo dove lavoriamo entrambe, li stava aspettando fuori dalla recinzione: lei più altri cinque ragazzi di quinto sicuramente maggiorenni, ed il mio Antongiulio che non aveva ancora compiuto nemmeno i sedici anni. Comunque erano tutti in attesa, ne avevo riconosciuti un paio perché della classe in cui facevo supplenza: Christian Bernelli, un bel biondino molto curato nella persona e nei vestiti di buon taglio e materiale; la prima volta che lo vidi malignai che fosse gay; e Lenin Vallone-Marras, un bel giovane dai capelli ricci e scuri, sempre con quegli odiosi completi jeans abbinati malamente ad una camicia da boscaiolo, che proprio non gli donava; immancabile anche quella volta sul bavero della giacca jeans la sua spilletta con lo stemma, e con la sigla internazionale dell’URSS in cirillico, da noi letta come CCCP; gli altri tre erano due castani in giacca a vento, e un moro tarchiato con una felpa rossa, suo malgrado già semicalvo, non ricordavo appartenessero alle mie classi; e nessuno si chiedeva, o chiedeva all’altro che ci facesse mio figlio con quelli. Tra loro sembravano conoscersi di vista, e certo non erano al loro primo incontro con la mia amica Marta, con un buon soprabito ed una fascia sui capelli, la quale si spostò di lato non molto, ma – osservai – abbastanza da essere fuori vista da parte del custode; trovato un angolo cieco ognuno di quei ragazzi consegnò una banconota rosso arancio, una 50 euro, all’insegnante; alcuni un rotolino rosa, magari 5 da 10, il mio Antongiulio una sola, azzurra, ossia i venti euro che gli avevo dato per la gita scolastica; una gita – bisogna dire – in un certo senso lo era: per le fratte intorno al liceo! I ragazzi restarono fuori senza estrarre i loro badge; altrimenti l’entrata sarebbe stata monitorata e registrata; Marta passò il badge, ed entrò da sola. Parlottò un po’col custode, e gli passò qualcosa che non riuscivo a vedere; dedussi poi che probabilmente era la mancetta affinché non approfondisse cosa ci facevano quei sei ragazzi con lei fuori dall’orario di lezione e fuori dall’istituto…dopo un paio di minuti uscì col suo scooter, una vecchia Vespa 50: caricò il ragazzo semicalvo, e imboccò un sentierino sterrato poco dietro l’entrata del liceo; tornata da sola, dopo due minuti ne caricò un altro, Lenin, e due minuti dopo anche Christian, quindi ancora un altro, il castano a me ignoto…insomma fino a portarli tutti; poi buon ultimo toccò al mio Antongiulio. Marta gli voleva bene, perché fattolo accomodare alla guida, gli insegnò i comandi della Vespa baciandolo da dietro, per poi farlo guidare fino a quel luogo in aperta campagna. Io non lo avrei permesso, cazzo! Mah! Comunque ogni tanto essere un’insegnante di matematica serve: due minuti di tragitto a meno di cinquanta orari, dato che i ragazzi il casco non lo avevano si erano moderati con la velocità; calcolai: 40 km l’ora ossia 4 per 10 alla 4 diviso 36 per 10 alla seconda era uguale a 11 metri al secondo circa. Moltiplicando 11 metri al secondo per i due minuti che ci metteva, facevano circa 1,3 km. Non erano poi così lontani allora. Mi bastava seguire le tracce dello scooter, e dato che avevo il binocolino da borsetta che possedeva il mio convivente, non ebbi troppa difficoltà a trovarli per la campagna. Seguendo il sentiero sterrato vidi la traccia della svolta dopo 9-10 min di cammino bastava voltare a sinistra, e camminare verso l’erba più alta. Vista la vespa parcheggiata mi abbassai nel camminare, e quando cominciai a sentire delle voci: bingo! Mi gettai per terra incurante se ci fossero o meno rettili, e adoperai il binocolo esaltata come un agente che ha trovato la sua pista. Marta Kopelij si era tolto il soprabito rimanendo in gonna normale al ginocchio, e maglioncino dolce vita aderente alle sue curvette di graziosa fighetta pre milf, molto post liceo. Si piazzarono in cerchio tutti intorno a lei. Una specie di indianata dove tutti i presenti si passavano a turno una canna che sarebbe bastata al massimo per tre persone; Marta ne aveva due; uno era riservato a lei di quelli spinelli. Fumarono tutti tranne mio figlio; lui rifiutava cortesemente: ci teneva a rimanere sobrio? Nessuno trovò niente da ridire; Marta con una faccia da zoccola navigata continuava a tirare ampie boccate fino a quando non sbarrò gli occhi fissando il vuoto. I ragazzi cominciavano a toccare la loro prof, e amante un po’ dappertutto; pareva non rendersi conto di cosa le avveniva intorno. Faceva barcollare lievemente la testa. Il distinto Christian la costrinse a tirare fuori la lingua agendo con le dita sui lati della sua bocca in un bacio slinguoso che lei non rifiutò, e per forza! – notai. Christian era proprio bello. Il contatto con la saliva del ragazzo, impregnata del principio attivo dello spinello faceva ruotare gli occhi ancora di più alla mia collega più puttana di quanto avessi mai sospettato. Solo che quei colpi di lingua avevano reso un’invidiosa me! Guardandoli sentii una sensazione di caldo alla mia fica. Un altro ragazzo, il castano con gli occhiali spessi da miope le tolse il maglioncino per avere accesso al reggiseno che sganciò goffamente; che bello quel seno: bello eretto, una quasi quarta misura, con i capezzoli dritti pronti al succhio, e altri due ragazzi, il semicalvo e l’altro castano si presero una tetta ciascuno. Poi Marta, o accompagnata o costretta non saprei, si mise alla pecorina, ostentando una certa passività. Le tolsero completamente la gonna. La professoressa in posa animalesca allargò, o forse non oppose resistenza quando le allargarono le cosce, con le ginocchia sull’erba della campagna. Mio figlio Antongiulio, toltasi la giacca di velluto, e rimanendo in camicia le passò sotto la pancia agevolmente, e andò a piazzarsi sotto la sua fica, e si diede da fare con la lingua sul sesso della mia collega, che batteva le palpebre man mano che Antongiulio batteva la lingua tra le carni della sua vulva, mentre Lenin le baciava il buchetto del culo, affondando tra le sue natiche metà della faccia. Mio figlio si fermò un attimo per permettere al collega che le assaggiava il culo di toglierle completamente le mutandine ormai quasi strappate; sicuramente non le avrebbe reindossate. Ora era quasi completamente nuda, e il poco controllo del suo corpo sotto l’effetto dell’oppiaceo, le aveva fatto scendere i suoi capelli biondo cenere prima raccolti alla meglio dalla fascia, e adesso liberi di scomparire tra i fili dell’erba selvatica. Antongiulio continuò con una leccata di fica di cinque o sei minuti, quando un ragazzo, il secondo castano gli toccò la spalla per dirgli che ora toccava a lui assaggiarne le intimità. Questi si stese comodo sull’erba, e Marta ormai stupefatta piazzò la fica sulla sua bocca, affinché potesse assaporare quel paradiso di umidità e bave. Antongiulio toccò la spalla al ragazzo che le aveva insalivato l’ano, e armeggiò con un profilattico prima di metterglielo al culo, come forse voleva fare. Christian fu svelto, purtroppo meno scrupoloso; intanto che il mio figlioletto indossava il preservativo mise il suo cazzo già duro, e nudo, nel culo di Marta, che a malapena si accorse della trafittura. E il cazzo di Christian non sarebbe dispiaciuto nemmeno a me. Pensai – se quello gli manda dei bei colpi di reni per affondarglielo tutto – finisce che piscia in faccia a quello che le sta leccando la patacca già bagnata da mio figlio…un altro ragazzo piazzò il suo cazzo dritto in bocca a Marta, infiocinata al culo dal bel biondino. Infatti i colpi duri del suo inculatore provocarono un rilascio di urina in faccia all’autore del secondo cunninlinctus. Marta stava riprendendo conoscenza dalla breve stupefazione, e fece cenno all’altro ragazzo castano, e ad Antongiulio di avvicinarsi, mentre spompinava quello avanti. Una sega a tutti e due. Christian che le aveva fatto il culo le venne dentro; lei si spalmò nella natica sinistra la parte che era uscita da quel suo buchetto non più vergine. Quello della sega prese una bottiglietta d’acqua, e diede una ripulita sommaria all’ano sborrato di Marta, poi visto che Antongiulio aveva il preservativo già indossato gli favorirono il buco del culo della mia collega. Uno di quei ragazzi, il riccio Lenin, gli disse come appoggiarlo suggerendogli a gesti di appoggiare la cappella di lato, entrando di sponda, poi quando Antongiulio lo fece, Lenin le dilatò la natica sinistra, e mio figlio poté inculare in sicurezza Marta, la professoressa di Religioni Orientali, troia lussuriosa come non mai tra le fratte non lontane dal loro liceo. Anche la mia fica ormai non sopportava più le mutandine. Bagnate entrambe. Io stessa sentivo la punta dei miei capezzoli sensibilizzarsi a contatto con l’erba. Che prurito…Christian, Lenin, Antongiulio, i due castani, il semicalvo, più o meno tutti a braghe calate si alternavano come animali saprofagi sul corpo di Marta in offerta speciale. Un altro ragazzo, quello della lavata di faccia, piazzò il cazzo verticale stendendosi a terra, e Marta chiese ad Antongiulio di uscire un attimo…a malincuore lo fece; Marta si fece penetrare la fica, poi fece cenno ad Antongiulio che poteva finire…ma a mio figlio, essendogli mancato il contatto carnale, l’erezione passò, ed un altro di quei cinque ragazzi mise il suo di cazzo dentro il culo di Marta, che adesso aveva ambo i buchi tappati “a cazzo”, mentre i due ragazzi più mio figlio che avevano beneficiato prima dei buchini di lei si fecero prendere in mano il cazzo per una sega. Marta fece anche cenno ad Antongiulio di togliersi il profilattico, e di affidare il suo cazzo alla sua bocca. Praticò una bella fellatio a mio a figlio come per risarcirlo, tanto che distinguevo perfettamente la sua lingua muoversi sulla cappella del mio Antongiulio, anche quando teneva chiusa la bocca, tanto che mio figlio riuscì in pochi minuti a venirle in quella bocca, finalmente ben soddisfatto. Marta si era impegnata, ormai svegliata dalla stupefazione a ingoiare lo sperma di mio figlio. Se lo avesse chiesto a me, forse glielo avrei fatto anch’io, e ben volentieri! Lo sperma del mio Antongiulio se lo bevve tutto, poi vidi dell’altro sperma scendere dalle chiappe di Marta; l’altro ragazzo castano le era venuto in culo, liberandole poi il buchetto; avrebbe dovuto essere la seconda sparata in culo per lei; altra lavatina con la bottiglietta, poi venne pure quello che le chiavava la fica. Era solo il primo round. Marta si stava ripulendo alla meglio: mano, acqua, salviette umidificate; poi si pulirono il cazzo anche i suoi sei amanti. Era una cosa organizzata: il semicalvo portò le salviette, un altro paio di ragazzi, Lenin ed uno dei castani le bottigliette d’acqua, e Marta gli spinelli…finita di pulirsi scambiò tenerezze con tutti, poi afferrò Antongiulio, e si stese nuda sull’erba allargando le cosce solo per lui. I ragazzi in piedi tutto intorno maneggiavano i loro cazzi nuovamente puliti, e mezzi mosci. Tutti i presenti indietreggiarono di mezzo metro onde lasciare un po’ di spazio a Marta, e a mio figlio, suo privilegiato ri-chiavatore, sopra di lei. Iniziarono a baciarsi freneticamente, poi Antongiulio passò a farsi le tette, una ad una, non senza mordicchiarle i capezzoli. Mi toccai anche io per l’eccitazione di vederlo scopre felice. Le leccava, e insalivava il ventre, e tutt’intorno quella tribù di lussuriosi si spippavano i loro cazzi osservando il porno dal vivo. Pensai: speriamo non glielo mettano nel culo mentre la tromba; timore infondato: erano leali, e per quel che sembrava corretti, tra di loro e con Marta…mio figlio ottenne una nuova erezione, e lo mise dentro la fica di Marta tornata vogliosa. Iniziò a chiavarla riuscendo anche a scambiare dei lingua-lingua a mezz’aria. Christian, avviò il cronometro, mentre l’ignoto castano prendeva dei soldi come raccogliesse il denaro per una scommessa; scommisero su un certo tempo di venuta, ed intanto caricavano con i loro cazzi…mio figlio venne dentro la sua insegnante ed amante, e mentre mandava gli ultimi colpi di reni contro la sua fica, vennero anche i ragazzi intorno pronti a schizzare la loro insegnante, e se Antongiulio non si toglieva se la sarebbe beccata anche lui! Marta poté bagnare tutto il suo corpo con nuovi schizzi di tanta preziosa sborra…ero invidiosa! L’avrei desiderata per me tutta quella fiumana di sborra di bei ragazzi giovani! Anche il mio Antongiulio era stato della partita. Mio malgrado Marta non mi aveva mai detto niente della relazione che aveva con mio figlio…Antongiulio! Il figlio della sua migliore amica…come avevo fatto a non accorgermene? ...eh già! Ad osservarli quel pomeriggio mi ero bagnata anch’io. Me ne andai a testa bassa; non era detto nemmeno che mi avessero vista dato che erano tutti più o meno sotto oppiacei. Camminando lontano dalla scena trovai una macchia d’alberi: mi poggiai al tronco di uno di essi, e lasciate cadere sull’erba le mie mutandine ormai sporche, mi toccai freneticamente sotto la gonna per una veloce masturbazione: avevo bisogno di scaricarmi: chiusi gli occhi, e cominciai a roteare le mie dita sulla mia fica, cercando di pensare alla faccia di Antongiulio leccatore di fica, ed esaltato inculatore della sua professoressa. Me la masturbai furiosamente, e venni cacciando anche un urletto; ma ero lontana e non potevano avermi sentita.
“AHNNNN ! Ahnnnn ! Ahnnnnn ! Uh ! Uh !...sìiiiiiiiiii ! Ahnn ! Ahnnn ! Ahnnn, porco Antongiulio! Porco ! Sì ! HUH ! Uhmmmmm”
Mentre godevo, - e godevo ve l’assicuro! – avevo la sensazione che mamma mi spiasse con disapprovazione, ma chiaramente…ohhhhhh !
La mia fica squirtò un paio di schizzetti…
“AHNN ! AHN !”
Guardai meglio: mamma non c’era; a quel punto poi mi sedetti per urinare, e finito di vuotare la vescica nel terreno me ne andai sudata e soddisfatta. Quella notte stessa, a casa, dopo essermi dominata facendo finta di non sapere niente per non turbare Antongiulio, nel mio letto, sola, mi toccai di nuovo cercando di rivivere ancora una volta quei momenti, ed intanto mi masturbai anche la mente immaginando di andare in camera di Antongiulio, svegliarlo, e costringerlo a scoparmi come aveva realmente fatto con la mia amica e collega Marta…al culmine della goduta della mia masturbazione semi silenziosa, mi scaricai di nuovo, e rimossi la mia voglia di sesso con mio figlio, quella sera…ma mi promisi che avrei provato a sedurlo alla prima occasione, quando fosse passato un certo lasso di tempo…
Non ricordavo affatto quanta parte del mio racconto fosse arrivata al buon dottor Maniglia, che continuava a guardarmi silenziosamente con aria di compatimento. A tratti la sua immagine sembrava ferma e fissa. I suoi occhi forse mi avevano scrutata durante il mio racconto, e doveva essersi fatto un’idea di quello che avevo passato vedendo mio figlio Antongiulio partecipare ad una gang-bang per le fratte intorno al liceo; mi guardava senza dirmi niente. Forse nella sua testa si stava chiedendo chi fra me e Antongiulio, o anche il preside o il medico scolastico avessero parlato troppo…
Del resto erano più di 30 anni che vivevo lì, possibile che il dottor Maniglia si meravigliasse del mio carattere o del mio comprendonio? Il taxista mi chiedevo se sapesse dove ci stesse portando, ma tanto nemmeno io avevo troppa voglia di chiederglielo. Viaggiare servita era piacevole, e non sarei stata io a pagare quella corsa. Eravamo arrivati nei pressi del policlinico; prese l’entrata per le auto, ma non quella che portava ad esempio al Pronto Soccorso; viceversa un’altra che dava sul lato opposto dietro della grande infrastruttura. Dopo pochi istanti la macchina si fermò: il dottor Maniglia mi strinse cordialmente la mano senza una parola tenendo le sue palpebre basse; apprezzai il calore della sua stretta e il lieve sorriso che mi fece, poi pagò il taxista, e scese dalla macchina. Entrò verso un ingresso secondario, e scomparve rapidamente dalla mia vista…io rivolgendomi al taxista dissi:
“Senta, io non so dove dobbiamo andare…ma se deve partire abito in via dell’Acqued…”
“Dopo tanti anni…credi che non sappia dove abiti Leda?”
Si era voltato, e lo guardai meglio: un altro volto familiare; capii finalmente chi era: il signor Fabio Rubini, il nostro garbato vicino di casa di quando ero piccola, che faceva il taxista; era sempre molto gentile con me e mia madre; dopo un po’ non si era visto più, mentre la mia vita andava avanti; accidenti! Non ricordavo che fosse ancora vivo! Lo sarei andata a trovare qualche domenica che mi annoiavo! La sua faccia era quella di quando avevo dieci anni, ed in realtà era morto mentre io ero a metà liceo…che ci faceva qui con me adesso?
La macchina si mosse e raggiunse un altro ingresso del policlinico, lontano da quello dove mi ero salutata col dottor Maniglia…
“Siamo arrivati Leda, io devo lasciarti qui…comunque vedo che ti stanno aspettando…”
“Senta Fabio, io…spero non si sia offeso quando il dottore le ha chiesto di scendere un attimo…”
“Quindici minuti Leda, non un attimo … e praticamente ci ho preso solo la mancia di quelle strane ventimila lire… pensa che tonto!”
“Lire?”
“Beh perché? Il mio tassametro è in lire!”
“Guardi che il dottor Maniglia le ha dato venti euro, non ventimila lire!”
“E quanti sono venti euri?”
“Ma bastava che lo dicesse! Abbiamo la calcolatrice nei nostri smartphone! E che cazzo ci voleva a fare i calcoli! Insegno matematica…li potevo fare anche a mente! Ce lo diceva, no?!”
“…uhmm…Leda! Cosa sono gli smartfon?...”
“…eh?! Cosa sono! …ecco il mio, no?”
Mostrai il mio smartphone touch screen, tutto vetro, sul frontale; e il signor Fabio lo guardò con curiosità, ma anche disiniteresse…
“…e quella è una calcolatrice?”
“Ha anche la calcolatrice, certo! Ma non hai mai visto uno smartphone?! Un telefonino, no?!”
“No…io di solito mi fermo alla cabina telefonica…e uso il gettone!”
“Il gettone?!...signor Fabio ! Ma…ma un momento! Ci è o ci fa ?! Mi può mostrare i venti euro che le ha dato il dottore? Quelli ce l’ha, no?! Ho visto che li metteva in tasca.”
L’uomo si frugò la tasca destra.
“Sì, ma… insomma, cos’è questo euro?”
“Signor Rubini! D’accordo che ha un’età! Ma un euro sono 1936 punto 27 lire; la banconota lei ce l’ha… su, me la faccia vedere!”
Il mio taxista aprì la banconota stropicciata e mi mostrò la banconota, la sola che contenesse. La tirò fuori e…

“…!...”
…con mio grande sgomento era bianca! … Incredibile! Il dottor Maniglia gli aveva rifilato una patacca! Ma che gli era preso al medico! Alla sua età forse era ancora un burlone! Ma derubare un uomo che gli aveva messo il proprio taxi a disposizione per la nostra discussione privata…
Ero arrivata, una persona che conoscevo mi stava aspettando, ma anche lei! Che ci faceva lì !?! Era una mia parente, molto bella, e molto cara, per me almeno, e certo non la vedevo da molto, molto tempo…dovevo disimpegnarmi:
“Signor Fabio, come vicina non sono stata mai molto presente, ma la prego, mi dica: quant’è il prezzo della corsa?”
E quell’uomo con una voce paterna, tranquillizzante, mi disse:
“Niente. Il tragitto è stato breve, sono stanco, al punto che mi sono dimenticato il tassametro in stand-by dopo che era sceso il dottore: non l’avevo avviato proprio; segna zero, vedi che scherzi che ci fa l’età! Devo decidermi ad andarci in pensione…”
“Il dottore ha scherzato! Le ha rifilato un rettangolo di carta bianco! La prego, mi dica quanto le devo! Il tempo di andare al bancomat…”
“Tua madre, me la saluti quando la vedi, mi aveva detto che la banca aveva ancora la pratica in mano. Il tesserino bancomat lo aveva chiesto, ma non le avevano ancora risposto…qui comunque non mi devi niente! Legalmente niente! Guarda Leda, su!”
Guardai quel tassametro, e infatti c’erano solo zeri…una successione di zeri…
“Ma non c’è un minimo? Quanto, su…in tanti anni non ha mai voluto essere pagato, ma almeno una volta, dai…”
“Signorina Bonelli la giornata è finita, e me ne voglio andare a casa! Davvero signorina! Scendi pure…per il prezzo sarà per un’altra volta, regolo con tua madre quando la vedo, e intanto me la saluti; stai tranquilla Leda…”
“L’ha voluto lei gentile amico, la saluto.”
“…a presto cara amica…!”
L’ultima frase mi sembrava un tantino ironica, ma non vi diedi peso. Scesi dal taxi, poi mentre mi chiedevo perché avessi trovato proprio lui, una persona di famiglia mi stava aspettando ad uno degli ingressi fuori dalla struttura ospedaliera:
Zia Adriana! Sempre bellissima con quella chioma bionda, alta, ben fatta, occhi verdi chiari; seduceva maschi a mitraglia, ma loro malgrado, li informava quasi subito che era lesbica; …e di quelle toste! Mi venne incontro sorridendo, e la raggiunsi finalmente felice di rivederla. La abbracciai, poi la guardai un paio di secondi: era rimasta come la ricordavo. Non era praticamente invecchiata.
“Leda, sei arrivata finalmente; facciamo due passi prima, ti va?”
“Certo zia! Certo che mi va…come sono contenta di vederti! Dopo tutto questo tempo!”
“Certo Leda, certo…dopo tutto questo tempo…solo che adesso non ha granché importanza…”
“Cosa…cosa non ha importanza zia?”
“Il tempo, Leda, il tempo…vieni, va…ti va di fare una passeggiata assieme?”
“E me lo domandi? Certo anche se non so come…”
“Come che?”
“Come sia possibile, zia…”
“Allora cominci a capire Leda, spero…”
Camminammo insieme dentro il policlinico. Nessuno faceva caso a noi mentre conversavamo per i corridoi. Camminando incontrai di nuovo il dottore, stavolta col camice bianco, ma come feci per salutare il dottor Maniglia con cui mi ero lasciata poco prima, che stava conversando con un collega, mi guardò di nuovo con compatimento, e muovendo gli occhi con disapprovazione, come se non gradisse di avermi fra le sue conoscenze, e andò avanti ignorandomi ostentatamente…eppure era stato così garbato in automobile; mentre adesso era seccato che avessi cercato di salutarlo! Ma che gli avevo fatto ?! Gente del personale interno, medico e infermieristico, e ogni tipo di civili andavano e venivano. Non sapevo dove mi stesse portando, ma la stavo seguendo fiduciosa…le chiesi:
“Come mai sei qui?”
“In realtà sei tu che sei qui, e già da un po’ cara nipote! Mi hanno chiesto di venirti ad accogliere…insomma sto facendo un favore a delle persone, visto che quelle che hai incontrato finora non ci sono riuscite…”
“Riuscite? ...a far cosa?”
“A farti capire come stanno le cose adesso…”
“…e scusa! Come devono stare?”
“Senti, il bar è chiuso; ti va qualcosa alla macchinetta? Non so un caffè…”
Si fermò presso una macchinetta per le bibite, con le sue lucette accese.
“Va bene, ma io non ho monete…”
“Non preoccuparti, ho io la chiavetta magnetica.”
Fece il gesto di mettere la chiavetta nello slot, ce ne erano un paio pure nel liceo dove lavoravo, che ora avevo la sensazione che non fosse solo lontano nello spazio, ma con un certo disagio interiore, anche nel tempo; sembrò che la girasse, ma non ero riuscita a vederlo il gesto. Intanto la macchinetta iniziò ad erogare il primo bicchierino con la nera colata. Un mezzo minuto, poi zia Adriana mi diede il piccolo bicchiere…
“Non abbiamo regolato lo zucchero…vuoi il prossimo? Prendo io il tuo…”
“No, grazie zia. Lo prendo anche amaro…”
Arrivò anche il suo, e ci mettemmo a berlo. Il sapore del mio non era né dolce, né amaro; però mi era piaciuto mandarlo giù. Anche zia Adriana prese il suo, poi le cadde il mini bicchiere davanti a me: lo raccolsi per non lasciarlo a terra. Istintivamente guardai nel fondo, casomai e… il fondo era del bianco più bianco. Guardai zia Adriana, che mi sorrise…
“L’hai praticamente ripulito, zia.”
“No, il motivo è un altro Leda.”
“Vediamo se indovino: hai una lingua permeabilissima, o hai solo finto di prenderlo…”
“…mah vedo che non riesci ad abituarti…comunque…uhmm…diciamo…diciamo che nella chiavetta ne era rimasto per uno solo…per non offenderti ho preso il solo bicchiere che è gratuito…”
“No, non è gratuito zia: costa dieci cents il solo bicchiere…si vede che quelle erano rimaste dopo il mio…”
“Sediamoci qui in attesa che aprano il reparto…”
Ci sedemmo e per colpa del caffè e della tensione fino a quel momento chiesi a zia Adriana se sapesse dov’era la toilette…e me la indicò:
“Due porte avanti in fondo. La trovi. Se proprio ti dovesse servire…”
Andai al bagno senza darle il tempo di finire la frase in quel corridoio ormai vuoto; entrai in bagno e mi sedetti sul water per vuotare la vescica. Finito di urinare mi rilassai, e mi liberai anche di un po’ d’aria; poi sapendo che mia zia mi stava aspettando uscì dal cubicolo col water tirando la corda. L’acqua non volle uscire, tentai più volte, ma alla fine mi arresi, ed uscii nel piccolo atrio interno. Istintivamente aprii il rubinetto dell’acqua per lavarmi le mani; stavolta l’acqua uscì, ma all’improvviso mi spaventai: feci per guardarmi allo specchio e ricompormi, ma quello specchio non rifletteva che …un bel niente! Riprovai a lavarlo con l’acqua del rubinetto, e la mia mano, ma lo specchio, benché sempre uno specchio guardandolo, restava opaco alla mia immagine: angosciante sensazione…provai a rispecchiarmi di nuovo chiudendo gli occhi e riaprendoli: niente. Mi lavai gli occhi con l’acqua, e me li asciugai alla meglio. Riprovai, e ancora niente! Che brutto bagno! Pulito, brutto, e angosciante… uscii rapidamente di corsa per ricongiungermi con zia Adriana, che mi aspettava fuori leggendo un giornale gratuito abbandonato sulle sedie d’attesa…ero ansiosa di parlare con lei.
“Zia, in quel bagno c’è una brutta atmosfera! Uno specchio pulito, ma che non riflette niente…”
“Riflette, riflette…cara Leda…riflette gli oggetti intorno. Che altro dovrebbe riflettere?”
“A me non era possibile guardarmi allo specchio. Non venivo proprio riflessa, come se non ci fossi…anche stamattina presto provai a specchiarmi ad una pozzanghera vicino la fontana, e nemmeno l’acqua della pozzanghera mi stava riflettendo…pensai che era sporca, ma sembra proprio una congiura!”
“Leda, mi hanno incaricato di restare con te finché non capirai…ma tu, non ricordi proprio niente?”
“Ma…non…io…”
“Il taxista, ho visto che gli sorridevi come se lo conoscessi da tempo, chi era?”
“Il buon signor Fabio, il taxista Fabio Rubini, di quando ero piccola…sempre pronto a offrire un passaggio a me e mamma…il suo taxi era una Fiat Tipo, Alessandria 23…ora che mi fai ricordare…”
“Sono qui per farti ricordare, dato che il medico di famiglia non c’è riuscito…”
“Maniglia non so proprio cosa gli ho fatto…”
“Parliamo del signor Fabio: una volta ti sei lamentata con me che mamma tua, mia sorella, non ti aveva fatto andare ad una festa…”
“Sì, faceva parte dei doveri di… una cosa, ma...”
“Mia sorella, mamma tua, ti portò al suo funerale, ricordi?”
“Io…già! La mamma volle assolutamente che la accompagnassi in chiesa, e fino al cimitero. Quella sera non potei uscire…sì, ora ricordo! Faceva parte dei doveri del lutto.”
“Mentre arrivavi sei mica passata da qualche parte?”
“Beh il taxi ha fatto il viale dove c’è stato un incidente stamattina: un motorino identico a quello del mio ragazzo…con la targa bianca, non si leggeva niente, sai…insomma credo che sia finito contro il muro di lato, prima della svolta. Non sapevo di chi si trattasse, ma c’era un carabiniere che non voleva lasciarmi andare…io non stavo guardando…insomma sono andata di corsa a scuola con la giacca strappata! Mi dovevo vedere col mio fidanzato, Fede! Mi ero lavata ad una fontana, non volevo che Fede mi vedesse così…”
“La via del liceo dove lavoravi, vero? La facevo anch’io tempo fa con la mia 600, e una fontana non l’ha mai avuta, Leda, credimi.”
“C’era una fontana che buttava acqua pulita; mi sono lavata lì, ti dico…”
Anche zia Adriana mi sorrideva con compatimento – ma allora era una congiura! - e mi chiese:
“Ma tu…non ricordi con che mezzo sei uscita? Di casa, voglio dire…”
“Fede l’altro ieri mi aveva prestato lo scooter…il carabiniere che mi interrogava, ad un certo punto mi ha lasciata andare, gli ho detto che ero una professoressa, avevo lezione, ma non era vero: dovevo scopare con Fede in sala di ricevimento dei genitori. Voleva farlo lì…gliel’avevo promesso…era una scena vista su un porno, sai…volevamo rifarla identica…insomma, certo guidavo lo scooter, quando ho sentito un prurito alla faccia…mi sono grattata…mi ero irritata con le mie stesse mani, credo…credo…io…io…zia Adriana, senti io…io…mi sento come quando mi gira la testa…o quando so che avevo interrogazione, ma non ho voluto studiare…sto a disagio, te l’assicuro zia!”

Zia Adriana mi fece una carezza, poi disse:
“Cara la mia nipotina, ora ricordi, vero ?! Sei andata a sbattere dritta al muro! Lo scooter era quello del tuo compagno, Fede! La targa era bianca, perché la tua mente probabilmente rifiutava quello che era successo…successo al tuo corpo intendo…”
“Un momento, zia…io ho parlato con un carabiniere…non la smetteva mai di far domande. Senti zia, io a Fede non l’ho detto! ...sai, è uno che vendica i deboli, ma quel carabiniere mi aveva frugata…”
Ora finalmente mi era diventato chiaro quello strano orizzonte, marrone e ruvido che mi era apparso più volte durante la giornata. L’ultima cosa vista dai miei occhi carnali prima di perdere conoscenza per l’urto…la mia mente aveva avuto cura di registrarla…avevo la sensazione che la conclusione non mi sarebbe piaciuta…ma mi avvicinavo ad essa…inevitabilmente…
“No, Leda. Voleva vedere se eri ancora viva, era un carabiniere qualificato per il primo soccorso, ti ha fatto il massaggio cardiaco, cercava di rianimarti dicendo ad alta voce “dai…dai…”; ma sei deceduta dopo pochi secondi…ce l’ha messa tutta, mi è stato detto…il colpo è stato forte.”
“Detto da chi? Come lo sapresti tu? Mi ha preso pure la borsa; i suoi colleghi mi avevano preso la borsa!”
“Sempre un’illusione della tua mente, Leda. Cercava solo i tuoi documenti d’identità. Che lo scooter appartenesse a Fede in realtà lo sapevano pure loro…era strano che alla guida ci fossi tu…dal loro punto di vista…il tuo Fede pulito, pulito, non è mai stato, e se non sbaglio ti aveva iniziato all’uso costante della mariujana; ma privatamente ti procuravi dell’hashish pure te! Hashish che fumavi cara Leda, e quella mattina prima di metterti alla guida avevi fumato quell’erba dello spinello; ne hai fumata tanta per non pensare troppo, o meglio per prendere sotto gamba qualunque problema, e manco a dirlo sei andata a sbattere dritta al muro…”
Si materializzò davanti ai miei occhi il colore marrone del muro, e ricordai la sensazione di irritazione e prurito che mi aveva indotto a grattarmi, ma ovviamente era solo la mia mente; anche la ragazza della telefonata “catturata” da Enrica ero io: ogni tanto mi prostituivo, e un paio di clienti mi avevano offerto dei soldi affinché portassi della cocaina ad alcuni loro amici…per arrotondare un tre-quattro volte lo avevo fatto…zia Adriana si era accorta che avevo ripassato tutto; mi restava accanto pronta a sostenermi. Nel frattempo una stanza di quel corridoio si era illuminata, e la porta restava socchiusa…il - “capogiro?” - cessò:
“Allora se sei pronta, direi che possiamo entrare, ti va? Hai capito adesso?”
Non sarei mai voluta entrare! La luce verde-azzurra che s’intravedeva dalla porta accostata mi creava del disagio. Ma il disagio, all’improvviso, passò com’era venuto: in pochi istanti di tempo, o di non-tempo; il problema che, sopravvenuta la quiete interiore, non aveva più importanza; ormai mi sentivo veramente in quiete, avevo ricordato tutto, e seguii mia zia Adriana, una donna che avevo amato più di mia madre: mi aveva accompagnata fino a quella sala particolare. Particolare come quella di un obitorio. Per questo il taxista non era entrato dal Pronto Soccorso! Zia Adriana disse:
“Mi dispiace veramente Leda! Non ti aspettavamo, ma è successo…neppure qui si può nulla contro il libero arbitrio; il supremo dei doni fatti alla specie umana; tu hai deciso di fumare quella mattina, per disprezzo verso lo Stato, ti sei messa alla guida, nonostante non fossi né sobria, né pulita, e hai preso il muro in pieno! Credo sia stata anche colpa di quelle gomme lisce; oltre che di quella fumata; chi ti ha dato quello scooter è stato un gran superficiale! Evidentemente qualcosa deve averti distratto; hai rischiato pure di portare con te un passante, ma s’è l’è cavata con un grosso spavento…tu invece…”
“Ho capito zia Adriana! Infatti tu ci avevi già lasciato da qualche tempo, ma il tempo da qualche tempo…che curioso gioco di parole, non riesco più a contarlo…sai…non riesco a sapere quanto ne passa, cioè quanto tempo mi passa davanti…”
“Naturale! Bisogna abituarsi cara nipote! Ora il tuo corpo è quasi del tutto decaduto, non ti trasmette più il decadere chimico della biologia della carne…non appartieni più ad essa. Vieni, sediamoci qui che ti spiego…”
Ci sedemmo in fondo alla sala, lontane sette-otto metri dal cassettone non ancora estratto…i presenti non si curavano della nostra presenza. Parlammo come due amiche che aspettavano il turno alla posta; mia zia Adriana accavallò le gambe mostrando mezza coscia come faceva da viva per esibire a chiunque la guardasse la bellezza e la cura del proprio corpo…
Intanto dalla stanza era uscita una mia conoscenza: il custode della portineria: il signor Barella, un po’ invecchiato e come appesantito dall’età…ma che mi stava accedendo? Di poter prevedere l’evoluzione dei corpi? Che voleva da me, dopo aver ignorato le mie bussate per uscire, che voleva dopo tutti quei rapporti carnali mercenari con la giovanissima Valeria? Certo però era più giovane pure lui…
Già! La carne…non ribattei sul momento. Frattanto un’impiegata in camice verde che vedevo di spalle aveva estratto molto di più della metà il cassettone che conteneva…
…il mio corpo inanimato…
A quel punto avevo capito perfettamente: quel corpo rigido, che sembrava dormisse, era il mio, nudo e morto, e con dei lividi dovuti al trauma. Poi l’impiegata uscì, lasciando ai presenti un po’ d’intimità col mio corpo interamente estratto. Zia Adriana mi disse:
“Ti sei smarrita, eh ?! Tranquilla, succede a molti. Finché non vedono il loro stesso corpo cercano di credere che sia tutto solo un equivoco, ed invece è solo un nuovo status, per giunta provvisorio. Ascoltami Leda: tra qualche istante si aprirà una specie di canale uditivo, una breve parentesi più che altro: potrai ascoltare le voci dei presenti per un breve lasso di tempo; poi l’audio come è arrivato, andrà via; mi accorgo che hai qualcosa da chiedermi, vedo…avanti, fa presto! Non abbiamo molto tempo…qui le regole del trapasso sono ferree…”
“Zia Adriana, ma tu ora… stai in Paradiso?”
“No. Sto qui con te! Dove sto io il tempo non passa, o almeno non percepisco il suo trascorrere; non ricordo molto di quando ho lasciato il mio corpo in sofferenza; so solo che nell’istante del trapasso non si percepisce niente…”
“E scusa, allora dove sei finita?”
“Qui con te. Come se il tempo non fosse trascorso, o trascorra senza possibilità di sentirlo. Percepisco, mi accorgo all’improvviso, quando mi danno il dubbio privilegio di ri-percepire il tempo, che devo venire a prenderti, o meglio ad accoglierti per le spiegazioni del caso, ed eccomi qui. L’ho fatto anche per altre persone per le quali il loro tempo materiale era finito. In genere le accompagno, poi vanno da sole.”
“Hai detto quando. Allora il tempo lo senti zia; io non più.”
“Ti stai abituando alla privazione del tempo, con delle porzioni progressive e sempre più numerose di tempo-stasi, tutto qui.”
“Ma tu ci hai lasciati otto-dieci anni fa. Che hai fatto tutto questo tempo?”
“Niente. Non me ne sono accorta. Il mio corpo potrebbe essere benissimo morto due secondi fa, ed invece sulla Terra sono passati degli anni. Comunque Einstein non c’entra per nulla. Dove siamo ora non c’è bisogno del tempo, neppure come concetto. Noi ora però stiamo in una stazione di passaggio, per cui del tempo se ne fa un piccolo uso. Tu mi stai dicendo che ho lasciato il mio corpo otto-dieci anni fa. Come vedi non sei precisa; sintomo che anche tu ti stai abituando a non sentirlo più, e con esso l’ansia della puntualità…”
“Senti, quando eri in carne ed ossa non mi hai mai permesso di chiedertelo! Te lo chiedo ora, o mai più: perché non mi hai mai fatto terminare quel certo discorso intimo tra noi due, insomma quel cunninlinctus che mi avevi concesso alla tua vulva quando avevo dodici anni ?! Non l’ho mai capito…sembrava che ti stesse piacendo…”
“Leda, che ti viene in mente! Evidentemente una percentuale di porcaggine e trasgressione in te c’è sempre stata, e fin da piccola. Non era certo dovuta agli stupefacenti. Proprio adesso una domanda così! …comunque, in breve: eri stata brava! Si vede che a leccare la vulva avevi un talento innato; io però, non volevo che diventassi come me!”
“Io volevo diventare come te!
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