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Lui & Lei

Troia per caso


di leius06
27.07.2021    |    10.662    |    3 9.2
"Poi si abbassò in un colpo solo pantaloni e mutande: “Mi faccia vedere cosa sa fare”..."
La prima volta frequentavo ancora il liceo. Non ero mai stata con un ragazzo, limitandomi solo a qualche rapido preliminare. Erano gli ultimi giorni di scuola e dovevo recuperare tre gravi insufficienze, una delle quali in greco. La settimana prima della versione decisiva chiesi a Paolo, il secchione della classe, di lasciarmi copiare. Lui mi guardò e sorrise: “Tu cosa mi dai in cambio?”. Rimasi spiazzata. Non avevo idea di cosa offrirgli.
“Se vuoi copiare la versione devi farmi una sega”. La proposta di Paolo mi colse completamente impreparata. Avevo già toccato un paio di cazzi ma l’esperienza non era stata entusiasmante, anzi. Ottenere la sufficienza in greco però per me era troppo importante. “Ok”, risposi.

Arrivò il giorno della versione. Paolo mantenne la promessa passandomi per intero la sua traduzione. Al suono della campanella per la ricreazione si avvicinò puntuale: “Vieni in bagno”. Ero sulla porta, Paolo mi fece cenno di entrare rapidamente per evitare che qualcun altro ci vedesse. Una volta dentro, chiuse rapidamente col chiavistello e tirò fuori il cazzo già semiduro. Era leggermente più grande di quelli che avevo visto. Mi prese la mano: “Segami”. Iniziai a muoverla timidamente su e giù, Paolo mi guardava mentre io non riuscivo a incrociare i suoi occhi. Tenevo lo sguardo basso. Sentivo il suo cazzo crescere di consistenza. L’orgasmo era vicino.

“Guardami”, mi chiese Paolo. Il primo schizzo mi colpì sulla gamba sporcando il fuseaux nero che indossavo. Mi scostai facendo in modo che il resto finisse sul pavimento del bagno. Finalmente trovai il coraggio di guardare il viso di Paolo. Incrociai i suoi occhi e ciò che vidi mi piaceva. Quando finì di sborrare anche l’ultima goccia era più imbarazzato di me. Aprì la porta e uscì, controllò che non ci fosse nessuno e mi fece cenno di fare altrettanto. Ci lanciammo un’ultima occhiata, quindi corsi nel bagno delle ragazze. Mentre mi lavavo le mani, togliendo via i residui del piacere di Paolo, mi guardai allo specchio. Ero sconvolta ma soddisfatta.

Nei giorni successivi Paolo mi evitò accuratamente. Io invece ripensai spesso a quel momento tra noi nel bagno dei maschi. Per la prima volta tenere in mano un cazzo mi era piaciuto. E anche parecchio. Ma perché? Non provavo nulla per Paolo. Non mi attraeva neppure fisicamente. Eppure portarlo all’orgasmo e vederlo sborrare aveva smosso qualcosa dentro di me. L’ultimo giorno, prima degli esami di maturità, Paolo mi chiese di parlare da soli all’uscita da scuola.

Ero tesa ma allo stesso tempo curiosa ed eccitata. Speravo che Paolo mi chiedesse di nuovo di prenderglielo in mano, ma lui alzò il tiro. La sua offerta era chiara: un pompino con ingoio per la versione degli esami. Non avevo mai fatto un pompino completo. L’unica volta che avevo leccato un cazzo era quello del mio ultimo fidanzatino ed avevo provato una sensazione di disgusto. Razionalmente avrei dovuto rifiutare, invece accettai senza pensarci su troppo. Paolo strabuzzò gli occhi: “Hai capito cosa ti ho chiesto?”. “Ho detto sì”, risposi quasi seccata e andai via lasciandolo senza parole nel cortile della scuola.


La versione era la seconda prova scritta dell’esame. Paolo anche stavolta mantenne appieno la promessa di passarmi l’intera traduzione, rischiando così di perdere la maturità pur di ottenere il suo premio. La mia sega doveva essergli piaciuta proprio tanto, pensai. A me invece sarebbe bastato succhiargli il cazzo per pochi minuti e avrei ottenuto un ottimo voto. Paolo mi diede appuntamento lo stesso pomeriggio a casa sua. Ad aprirmi fu la madre. Una signora molto raffinata e felice di vedere finalmente una ragazza insieme a suo figlio. Mi fece accomodare in salone dove scambiammo due chiacchiere finché non arrivò Paolo. Il figlio mi chiese di seguirlo in camera e ordinò alla madre di non disturbarci per nessun motivo perché dovevamo studiare.


Una volta dentro si accomodò sulla sedia della scrivania: “Succhiamelo”. Mi inginocchiai ai suoi piedi, abbassai la zip e lo tirai fuori. Il mio viso era a pochi centimetri dal suo cazzo. Sentivo l’odore forte. Era già duro. Molto duro. Lo guardai un attimo, Paolo mi prese la testa tra le mani e spinse leggermente. La prima leccata fu una scossa di adrenalina per entrambi. Il sapore non mi piaceva, pensai per un attimo di fermarmi e scappare via…ma non lo feci. Leccavo e baciavo il suo cazzo, mentre Paolo reclinava la testa con gli occhi chiusi quindi provai per la prima volta a prenderlo in bocca. Riuscì a fare entrare la punta e iniziai a muovere la testa avanti e indietro. Il mio primo pompino durò pochi minuti. Sentì pulsare il cazzo di Paolo tra le mie labbra, istintivamente provai ad allontanarmi, ma lui mi spinse la testa verso il suo pube e sborrò dentro riempendomi la bocca.

Al primo schizzo rischiai di affogarmi, tossì ma non mi staccai. Proprio mentre ingoiavo le ultime gocce però si aprì la porta. La madre di Paolo, forse richiamata dal mio colpo di tosse, entrò nella stanza trovandosi davanti una scena da film porno. Io in ginocchio col cazzo del figlio ancora in bocca. Lessi il terrore negli occhi di Paolo che cercò di allontanarmi e rimettersi il cazzo nei pantaloni, ma ormai era troppo tardi. La madre uscì subito chiedendoci scusa imbarazzatissima. Paolo mi ordinò di andare via senza neppure darmi il tempo di passare dal bagno per sistemarmi. Per la prima volta mi sentì usata. Mi sentì troia. E quella sensazione mi piaceva. Uscì dalla casa di Paolo con il sapore della sua sborra ancora sulle labbra. Dopo gli esami non l’avrei rivisto mai più.

Non provavo nulla per Paolo ma gli dovevo molto. Fu lui a farmi scoprire un lato di me che non conoscevo. Mi piaceva usare il mio corpo per ottenere ciò che volevo e da allora lo feci praticamente ogni volta che mi capitava l’occasione. E così che avvenne la mia prima volta.

Mi ero iscritta a giurisprudenza e procedevo veloce con gli esami, finché non arrivò il turno di Procedura Civile. Fui costretta a ripeterlo tre volte ma non riuscivo proprio a superarlo. Il professore, 65enne, era un vero osso duro. Capì molto presto che dovevo trovare un modo per ammorbidirlo e mi tornò in mente Paolo. Mi presentai all’orario di ricevimento per incontro privato. Indossavo una gonna attillata al ginocchio, calze velate, tacco 12 e sopra un corpetto generosamente scollato con una giacca, che sbottonai appena entrai dentro la stanza del prof. Notai subito che il suo sguardo cadde sul mio seno. Era la strada giusta. Nelle settimane successive andai spesso dal professore con la scusa di chiedere chiarimenti sul programma, finché finalmente non si fece avanti chiedendomi di andare a cena con lui la sera stessa. Passò a prendermi sotto casa ma non arrivammo neppure al ristorante.

Appena mi vide salire sull’auto in mini abito nero attillatissimo, scollato e con le spalle scoperte, sandali con tacco e trucco da vamp, allungò immediatamente le mani infilandole tra le mie gambe. Poi mi informò di avere già prenotato una camera nell’albergo più elegante della città facendomi chiaramente capire che, se avessi accettato l’invito, alla prossima sessione avrei superato l’esame senza problemi. Avevo quasi 21 anni ed ero ancora vergine. Accettai. Nonostante l’età non più giovanissima e un corpo non certo da atleta, il professore riuscì a possedermi due volte in poche ore oltre a leccarmi come nessun altro uomo aveva mai fatto prima.

Usò sempre il preservativo. Sentirlo entrare dentro di me fu una sensazione stranissima. Un misto di fastidio e soddisfazione, disgusto e piacere. Mi baciava e toccava dappertutto. Il professore ordinò la cena in camera. Restammo in albergo fino alle 23 poi ricevette una telefonata dalla moglie, mi chiamò un taxi lasciandomi i soldi necessari per il ritorno a casa sul comodino e mi diede appuntamento all’esame, che superai brillantemente qualche settimana più tardi. C’ero riuscita anche stavolta.

Raggiunsi la laurea, seppure non con il massimo dei voti. Ora l’obiettivo era trovare uno studio legale in cui fare la praticante. Scelsi ovviamente il migliore della città ma entrarci non era certo facile. Così presi informazioni e adocchiai uno degli associati. Quarantenne, belloccio, sposato da poco con un figlio piccolo. Iniziai a frequentare un locale dove era solito fare l’aperitivo quasi ogni giorno e lo avvicinai con una scusa. Sapevo che era molto sensibile al fascino femminile. In poche settimane lo avevo già in pugno. Iniziammo a scopare regolarmente. Pierfilippo, questo era il suo nome, mi mise a disposizione un loft in centro città dove mi raggiungeva ogni volta che poteva per fare sesso. Ero diventata di fatto la sua mantenuta. Gioielli, vestiti, viaggi. Non mi faceva mancare davvero nulla ma a me non bastava. Io volevo un’occasione all’interno di quello studio.

Iniziai a sondare il terreno finché un giorno Pierfilippo fu costretto a dirmi la verità. Se volevo un’occasione dovevo concedermi all’avvocato più anziano. Era lui che decideva chi poteva entrare e chi restava fuori. Non mi sembrava un ostacolo così grande. Ero ormai abituata a offrire il mio corpo per raggiungere i miei scopi, Pierfilippo però mi mise in guardia. L’avvocato, così lo chiamava lui, non si sarebbe accontentato di una semplice scopata. Provai a capirne di più ma non volle dirmi altro. In compenso si offrì di fissarmi un appuntamento con l’avvocato. Mi presentai all’orario di chiusura dello studio. Pierfilippo mi presentò all’avvocato, poi chiuse la porta alle sue spalle e ci lasciò soli.


Mi ero vestita come mi aveva raccomandato. Tailleur con gonna poco sopra il ginocchio, tacchi alti, trucco non esagerato. L’avvocato fu di poche parole. Mi chiese nome ed età, quindi si alzò venendo verso di me. Poi si abbassò in un colpo solo pantaloni e mutande: “Mi faccia vedere cosa sa fare”. Guardai quell’uomo ormai settantenne. Mi faceva schifo. Esteticamente e professionalmente. Ma volevo troppo quel posto e succhiare un cazzo, seppure a un uomo anziano e brutto, mi sembrava un prezzo tutto sommato accettabile. Appena lo presi in bocca sentì le mani dell’avvocato sulla mia nuca che mi spingevano in modo sempre più deciso. Di fatto mi scopò letteralmente la bocca con una violenza inaudita. L’avvocato mi infilò completamente il suo cazzo in gola facendomi quasi soffocare. Ebbi qualche conato di vomito ma non si fermò finché non venne nella mia bocca obbligandomi a ingoiare. Quando lasciò finalmente la presa avevo il viso rigato dalle lacrime ed il trucco che colava. Pensai che fosse tutto finito, invece era solo l’inizio.

L’avvocato mi aiutò a rialzarmi, quindi mi spinse sulla scrivania a novanta, mi alzò la gonna e strappò via il perizoma che indossavo. Capì cosa stava per succedere ma non ebbi la forza di fermarlo. L’avvocato infilò il suo cazzo nel mio culo in un solo colpo. Lanciai un urlo animalesco, ma il palazzo era composto solo da uffici che a quell’ora erano ormai tutti deserti. Non avevo mai concesso a nessuno di incularmi. L’avvocato si era preso la mia verginità anale e ora mi stantuffava con vigore tirandomi per i capelli finché non venne di nuovo riempendomi il culo. Una volta finito si staccò da me lasciandomi sanguinante sulla scrivania e si rivestì rapidamente: “Il posto è suo, la aspettiamo domani alle 8”. Guardandolo notai il sorriso beffardo sul suo volto. Raccolsi il mio perizoma da terra, mi abbassai la gonna e uscì dallo studio. Appena fuori provai a chiamare Pierfilippo ma non mi rispose. Trovai un suo messaggio: “E’ finita”.

Persi la possibilità di usufruire del loft di Pierfilippo ma ero diventata a tutti gli effetti una sua collega. Lo stipendio era più che buono, così iniziai a cercare casa. Dopo alcuni mesi finalmente trovai un posto da sogno. Era un attico con vista mozzafiato sulla città, piscina e ogni tipo di comfort. Peccato che il prezzo fosse inaccessibile anche per una giovane avvocata in carriera. Io però lo volevo a tutti i costi e trovai il modo di ottenerlo. Stavolta l’avvocato fece solo da gancio. Venne a sapere che avevo bisogno di soldi, molti soldi, ed un giorno mi invitò a cena. Inizialmente pensai che volesse incularmi di nuovo ma presto capì che le sue intenzioni erano molto diverse.

L’avvocato mi portò nel ristorante più elegante e lussuoso della città, dove presto ci raggiunse un distinto signore sulla sessantina. “E’ lei”, gli disse l’avvocato indicandomi. L’uomo mi sorrise facendomi il baciamano, poi si accomodò con noi al tavolo. Durante la cena non mi staccò gli occhi di dosso, alla fine della serata l’avvocato si allontanò per pagare e ci lasciò da soli. L’uomo mi allungò un biglietto con l’indirizzo di un hotel di lusso. Lo guardai senza chiedere spiegazioni. Aspettai di essere sola in auto con l’avvocato: “Cosa significa?”.

L’uomo che aveva cenato con noi era il rappresentante di un gruppo di suoi clienti molto abbienti. Politici, imprenditori, professionisti. Tutti disposti a pagare per intero l’importo dell’attico che avevo puntato. In cambio avrei dovuto essere sessualmente a loro completa disposizione per un anno intero. Se avessi accettato lo stesso avvocato si sarebbe occupato di stilare una scrittura privata per stabilire i pochi limiti previsti dall’accordo.

Mi presi qualche giorno per pensarci. Non era una decisione semplice. Inutile girarci intorno: di fatto sarei diventata una escort di lusso. L’oggetto sessuale di un gruppo di uomini facoltosi. In cambio avrei messo le mani sulla casa dei miei sogni. Ne era passato di tempo da quando facevo una sega a Paolo nel bagno del liceo per copiare una versione. Dopo una settimana di riflessione chiesi all’avvocato di stilare l’accordo. In base al documento i miei ‘clienti’ non avrebbero mai usato il preservativo e avrebbero potuto chiedermi qualsiasi pratica, eccezion fatta per quelle che prevedevano una qualche violenza nei miei confronti, che erano l’unica cosa espressamente vietata. Firmai. Il primo incontro avvenne il giorno dopo nella stanza dell’hotel indicatomi durante la cena. Lui era un uomo piacente di mezza età, si chiamava Massimo. A letto fu abbastanza ordinario: si prese il mio culo, poi mi chiese di succhiarglielo e infine mi penetrò venendomi dentro. Nei mesi successivi incontrai almeno un paio di uomini a settimana dai gusti sessuali più diversi. C’era chi amava che usassi i piedi, chi si faceva calpestare con i tacchi. Chi amava il pissing, chi voleva che lo legassi. Qualcun altro mi chiese di portarlo al guinzaglio per la stanza. Molti amavano riempirmi la faccia.

Quasi ogni sera il ‘cliente’ mi lasciava un regalo: a volte una borsa firmata, a volte un gioiello, altre semplicemente un rotolo di banconote. Li faceva sentire bene, mi faceva sentire forte. Nel frattempo presi finalmente possesso del mio attico. Finché una sera non trovai all’appuntamento ben dieci di loro. Si spogliarono e mi fecero inginocchiare, mettendosi a cerchio intorno a me. Quindi cominciarono a masturbarsi lentamente e a turno mi ricoprirono completamente di sborra. Ma non era finita. Dopo essere venuti ripresero a toccarsi, stavolta riempiendo una ciotola. Quando anche l’ultimo raggiunse l’orgasmo me la porsero: “Bevila tutta, troia”.

Continuò così ancora per mesi, fino alla notte di Capodanno. L’avvocato mi annunciò che avrei dovuto raggiungere i miei ‘clienti’ per l’ultimo incontro in una villa fuori città. Mandarono un’auto a prendermi. Stavolta erano presenti tutti. Venti uomini dai 35 ai 75 anni d’età. La serata iniziò alle 20 e finì solo all’alba del giorno dopo. A turno mi scoparono tutti. E tutti mi vennero dentro. La mattina l’autista mi riaccompagnò a casa. Avevo la fica in fiamme. Essere penetrata da venti cazzi in una sola notte non era una passeggiata. Rimasi a letto tutto il giorno di Capodanno nel mio attico extralusso. L’avevo pagato caro, ma ora era mio.

Passarono mesi. Avevo ormai trent’anni ed ero diventata un’avvocata in carriera, quando sul mio profilo Facebook ricevetti il messaggio di un uomo: “Ti ricordi di me?”. Guardai la foto ma non lo riconobbi: “Chi sei?”. L’uomo che mi aveva scritto non era bello, anzi. Magrissimo, occhiali, stempiato. “Sono Paolo”. Non potevo crederci. Mi tornò alla mente la sega nei bagni del liceo, poi il pompino nella sua cameretta con la madre che entra improvvisamente e mi sorprende col suo cazzo ancora in bocca. Non lo sentivo dai tempi della maturità.

Cosa voleva da me? Paolo mi chiese di vederci per un aperitivo in un noto bar del centro il giorno dopo. Non avevo alcun motivo per accettare il suo invito, ma la curiosità vinse su tutto. Quando lo vidi mi sembrò ancora più brutto che in foto. Superati i convenevoli di rito chiesi a Paolo i motivi di quell’invito. Arrossì e abbassò lo sguardo. Mi spiegò che negli anni aveva spesso ripensato a quello che c’era stato tra noi. Non mi aveva mai dimenticato, anche perché di fatto non aveva avuto altre donne. Era vergine.

Capì molto presto cosa stava per chiedermi ed ero pronta a dirgli di no. Paolo però allungò un assegno in bianco sul tavolo: “Fai tu la cifra”. Mi bastò guardarlo e leggere la voglia di me nei suoi occhi per cambiare idea. Prendemmo appuntamento per il sabato sera della settimana successiva. Mi presentai a casa sua, un elegante appartamento non molto distante dal mio, intorno alle 19. Abito nero poco sopra il ginocchio, molto aderente. Calze velate, tacco 12, trucco leggero. Paolo fu come sempre un vero gentleman. Mi fece accomodare sul divano, sorseggiamo un ottimo brandy finché non allungò le mani sulle mie cosce infilandole velocemente sotto il vestito. Ci baciammo per la prima volta mentre la mia mano scendeva per sentire il suo cazzo. Era già duro.

Abbassai la zip e mi inginocchiai davanti a lui. Dopo tanti anni avevo di nuovo il suo cazzo a pochi centimetri dal mio viso. Lo guardai negli occhi, sorrisi e lo presi in bocca. Lo succhiavo e ripensavo al pomeriggio nella sua cameretta. Ma ora era un uomo. Paolo ora voleva di più. Mi fece sedere sul tavolo del salotto, allargò le mie gambe sfilandomi calze e perizoma, quindi si infilò con la testa sotto il vestito e iniziò a leccarmi. Paolo si dedicava al mio piacere. Negli anni avevo scopato con tantissimi uomini ma pochi si erano davvero preoccupati di farmi godere. Raggiunsi l’orgasmo proprio mentre Paolo entrò dentro di me per la prima volta. La sua prima volta.

Non mi ero mai sentita tanto desiderata da un uomo. Paolo mi scopava guardandomi negli occhi, occhi in cui leggevo tutta la sua voglia di me. Sentì il suo seme riempirmi completamente e con mia grande sorpresa proprio in quel momento raggiunsi il secondo orgasmo. Paolo volle che passassi l’intera notte con lui. Dormimmo abbracciati come due fidanzatini, tra noi ci furono ancora tanti baci e carezze. L’indomani mattina, quando mi svegliai, Paolo non c’era più. Sul tavolo della cucina trovai la colazione già pronta e un biglietto con sole due parole: “Ti amo”.
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