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La (tragicomica) prima volta di Claudia


di ringo00
11.08.2024    |    3.467    |    2 9.3
"Visto che nessuna del gruppo si fece avanti mi sacrificai: “Devi dirci qualcosa, Bice?” Ne sembrò deliziata: gonfio il petto con aria di importanza e disse..."
~ATTENZIONE ~ QUESTO RACCONTO È UN’OPERA DI FANTASIA

Era l’inizio estate dell’ultimo anno di liceo, nel lontano 1984. A quel tempo, la sottoscritta, Claudia, era con la testa china sui libri, in vista degli esami; in classe regnava l’atmosfera di noia tipica degli ultimi giorni di scuola, dove tutti hanno già la testa rivolta verso le vacanze. Un bel giorno arrivò quella smorfiosa di Bice, con un'aria più tronfia del solito, di quella “non sapete cosa mi sia capitato “, per intenderci. Visto che nessuna del gruppo si fece avanti mi sacrificai: “Devi dirci qualcosa, Bice?”
Ne sembrò deliziata: gonfio il petto con aria di importanza e disse “Ieri sera è successo…”
Alla richiesta di cosa fosse accaduto, fece una lunga pausa e terminò: “Ho perso la verginità!”
Un Ohh~ da parte nostra, poi tutte addosso a farsi raccontare la vicenda, senza dubbio gonfiata da quella presuntuosa. Non mi unii al gruppo, la cosa non mi interessava poi tanto, non ero una assatanata di sesso e masturbazione; riguardo a quest’ultima la praticavo ogni tanto, quando avevo voglia. Il guaio è che poco a poco tutte le amiche si aggiunsero al club delle sverginate, lasciandomi in disparte: aveste visto come mi guardavano, con aria da donne fatte e consumate! Non me ne curavo, che facessero i loro comodi.
Quel pomeriggio, dopo pranzo, ricevetti dalla mamma l’ordine di dare una bella pulita al solaio di casa; mi piaceva lassù, era pieno di cianfrusaglie e vecchie cose interessanti. Armata di scopa cominciai a pulire, ma goffamente urtai uno scaffale, dalla cui sommità cadde una scatola che mi precipitò dritta in testa. Massaggiandomi la capoccia diedi un’occhiata a quella malnata scatola, che si era pure aperta, sparpagliando il suo contenuto. Robaccia, vecchi quotidiani, lettere ingiallite e altre cartacce buone per la pattumiera, quando la mia attenzione si fissò su una rivista, e non a una rivista qualsiasi, badate bene, ma a una vecchia rivista porno in bianco e nero, dei primi anni 70. Sfogliai le pagine, era una specie di fotoromanzo, con delle didascalie sotto a delle foto belle esplicite. In una pagina doppia faceva bella mostra di se una modella completamente nuda tranne che per un paio di calze a rete che fasciavano le gambe oscenamente aperte. Osservai rapita la foto, era una di quelle bellone di una volta, con i seni enormi e pelo pubico tipo castoro. La curiosità era troppa, e voltai rapida la pagina, dove la bellona stava prendendo un cazzo di dimensioni notevoli da parte di un uomo mascherato. Ero tanto persa nella lettera che non avevo sentito la mamma chiamare spazientita per il pranzo. Rimisi tutto a posto e scesi da basso, decisa a riprendere la lettura più tardi. Dopo pranzo la mamma si mise a spettegolare con le altre donne del condominio, papà era al circolo e non sarebbe tornato prima di sera: via libera! Quatta quatta salii nuovamente in solaio, recuperai al volo la rivista e mi chiusi a chiave nella mia cameretta. Mi sentivo come una spia in missione, una specie di Mata Hari al liceo. A pancia in giù sul letto ripresi la lettura, dondolando pigramente le gambe. Le immagini erano sempre più audaci, le didascalie più oscene, e ammetto che sentivo prurito laggiù. Poco più avanti una foto mi ispirò particolarmente: una ragazza riccia, dal seno piccolo e tutta nuda si stava infilando due zucchine in entrambi gli sfinteri contemporaneamente, con un’aria di chi sta raggiungendo il Nirvana. Non fu tanto la vaga somiglianza con la sottoscritta ad attirarmi, quanto un’improvvisa voglia di imitarla. Dopo una breve riflessione decisi di tentare: corsi in cucina e spalancata la porta del frigo passai in rassegna il cassetto delle verdure: niente zucchine, solo carote. E va beh, meglio di niente… Ne scelsi una bella spessa e dritta, e tornai in camera tenendola ben stretta. Mi spogliai di tutto, e la specchiera dell’armadio restituì l’immagine di una diciottenne dai capelli mossi color castano, seno minuto e un bel cespuglietto appena più scuro. E ora, cosa faccio, mi chiesi. La soluzione era verso la fine della rivista: una donna stava succhiando appassionatamente un cazzo. Non avevo mai fatto un pompino, perciò improvvisai: insalivai bene entrambe le estremità, per poi umettarmi le dita: ero vergine, e molto stretta, non avevo proprio voglia di sentire male! Indugiai lentamente sul taglio della mia micetta, la carota era bella fresca, una sensazione strana ma gradevole. Le mie tettine si erano inturgidite, i capezzoli duri puntavano allegramente verso l’alto. La parte appuntita della radice arancione caló lenta verso il buchino dietro, anch’esso vergine, senza trascurare quel punto ipersensibile tra i due orifizi. La punta premette sul fiorellino, e subito strinsi i denti: istintivamente i muscoli si contrassero, rendendo il pertugio inespugnabile. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto decisi di lasciar perdere, dedicando le mie attenzioni alla patata. Stavolta optai per la parte stondata, muovendola in lenti cerchi sulle labbra. Quelle carezze stavano facendo effetto, i miei petali stavano poco a poco aprendosi svelando il fiore nascosto; provai ad allargarle delicatamente con le dita, e una falange entrò senza problemi, poi una seconda; la terza faticó leggermente, facendomi mugolare un pochino, ma tutto sommato stava andando bene. Mi penetravo con le dita della destra, indice e pollice della sinistra tittillavano i capezzoli, una piccola macchia umida si stava formando sul lenzuolo. Dopo qualche minuto mi ritenni pronta, per cui puntai la carota sull’imbocco della patata: la superficie liscia e fresca mi fece sussultare, ma trattenni appena in tempo un gemito tappandomi la bocca; la carota entrava lentamente, quasi al rallentatore, fino al sottile muro della mia verginità. Con movenze calcolate del polso facevo dentro e fuori, bene attenta a non andare troppo a fondo. Ora sì che godevo, allargai le gambe come la maialona della rivista e immaginai di essere nei suoi panni. A mezza voce ripetevo le zozzerie che diceva nelle didascalie, mi stavi immedesimando alla perfezione. Cambiai posizione varie volte, fermandomi poi sul fianco, con la gamba alzata tipo posa da aerobica, sentivo l’orgasmo ormai pronto a scuotermi, nulla sembrava potere andare storto… C’era solo un piccolo neo nel mio pornopiano: quando avevo recuperato la carota avevo distrattamente dimenticato di chiudere la porta a chiave; me ne ricordai solo quando la mamma fece capolino, restando lì come fulminata. Ero lì, nuda come un verme, e in una posa a dir poco oscena; ah si, con una carota infilata su per la mia parte più intima. Non vi dico che spavento presi, mi scappò un gesto brusco della mano che stringeva la carota, che scivolò un po’ troppo in fondo. Una scena tragicomica, sangue ovunque proveniente dal mio ex imene, la mamma che mi faceva un fiume di paternale e io che cercavo maldestramente di cercare scuse. Una volta sistemata la situazione mamma passò al secondo round, rifilandomi la peggio cazziata della mia vita, ma questa è un’altra storia. L’indomani, con una punta di sana vergogna ancora addosso, mi recai a scuola, trovando il gruppo dell’imene rotto prese a ciarlare. Non ricordo chi me lo chiese, ma rivelai vagamente di aver preso anche io la mia innocenza. Tutte fecero circolo attorno a me, attratte come mosche dallo zucchero: mi invitavano a raccontare senza escludere il minimo dettaglio. Mi sentii arrossare le guance al pensiero di quello che era successo, ma decisi di accontentarle; presi fiato e cominciai: “Era uno con i capelli rossi…”

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