Prime Esperienze

Bianco latte


di ringo00
12.06.2022    |    15.228    |    6 9.2
"Non mi ero rivestita, forse avrei potuto divertirmi ancora un po’..."
~ATTENZIONE ~ QUESTO RACCONTO È UN’OPERA DI FANTASIA, OGNI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALI È PURAMENTE CASUALE

Questa storia non poteva avere titolo più adatto: ha infatti il sapore del latte. Il mio. Che scortese, non mi sono nemmeno presentata: il mio nome è Cleo, e sono una mamma più o meno felicemente single. Più o meno perché il padre della creatura che portavo in grembo se l'è filata poco prima del parto; il tipico uomo che esce a comprare le sigarette e non torna più. Ma non voglio annoiarvi con la mia telenovela di sfiga; per farla breve, nacque una splendida bimba che chiamai Aurora, perché riportò la luce nella mia vita. La prima volta che abbracciai quel germoglio di vita mi sentii travolta da un oceano d’amore, e quando le porsi il seno per allattarla provai un piacere enorme, come mai prima d’ora. Per qualche tempo tutto andava bene, sembrava una dolce favola, ma all’orizzonte si andavano addensando nubi nere. Aurora all’improvviso iniziò a stare male, vomitava e aveva male al pancino; la pediatra, con molto tatto, mi disse che purtroppo la mia bambina era intollerante al latte materno, che avrei dovuto sostituire con quello in polvere. La notizia mi fece venire la morte: l’allattamento era il legame più forte che avevo con Aurora… Se mi toglievano quello, cosa mi restava? Comunque, per il bene della mia bambina accettai, e iniziai a darle il biberon: non era il massimo, però almeno Aurora stava bene. Non poteva però dirsi altrettanto per la sottoscritta: non potendo allattare, i miei seni erano doloranti e gonfi come palloni, senza quel naturale sfogo stavo davvero male. La ginecologa, per evitare mastiti, mi consigliò di usare un tiralatte, ma duró poco: primo perché quel succhiare freddo, meccanico e sempre uguale era completamente diverso dalla boccuccia di Aurora; secondo, mi lasciava degli orribili segni rossi sulle tette e terzo, cosa più grave, una volta completata l’operazione dovevo svuotare il contenuto nel lavandino. La prima volta che vidi il mio oro bianco sparire giù per lo scarico mi misi a piangere come una fontana, ero preda di una incipiente depressione. Per lunghi giorni non mi svuotai, ma quando il dolore al seno divenne insopportabile decisi per una soluzione artigianale: presi un asciugamani, mi sedetti sul letto e mi tolsi maglietta e reggiseno; presi un lungo respiro, afferrai le mie mammelle doloranti e iniziai a strizzare. Un forte gemito sfuggì dalla mia bocca: man mano che strizzavo il dolore scemava; spostai le dita sui capezzoli, troppo e da troppo tempo trascurati: bastò una leggera stimolazione e il latte prese a colare copioso, bagnandomi le dita. Dopo una decina di minuti finalmente il dolore era svanito, ma una nuova sensazione stava facendo sentire prepotentemente la propria voce: la voglia. Ci pensai un attimo: ero disperata a tal punto? Mi sbirciai fra le gambe: portavo dei pantaloni tipo leggins, e proprio fra le cosce c’era una larga macchia umida. Ma che cavolo, pensai, e infilai la mano nelle mutandine. Altro gemito: le mie labbra vogliose, umide e gonfie, accolsero le carezze come manna dal cielo. Bastò il semplice contatto dell’indice con il clitoride per un orgasmo devastante, tanto che mi mordetti la lingua per non farmi sentire. Nei giorni seguenti, la “cura”, per così dire, funzionava: svuotata sopra e soddisfatta sotto, e una volta, in preda alla lussuria, mi sparai un mega ditale dopo essermi umettata la mano con il mio latte, una porcata da porno. Il mio punto di piacere si era spostato sul seno, ormai non mi toccavo piú: sdraiata sul letto, mi strizzavo forte le tette, schizzando bianchi fiotti verso il soffitto, ed erano orgasmi da paura, di quelli che fanno tremare le gambe. Una volta calmata, spesso mi leccavo da sola un capezzolo (vantaggi delle tettone), gustando il sapore dolce del mio nettare. Si, ma c’era un però: la cosa iniziava ad essere monotona, il gusto del peccato era ormai svanito. Ciò che desideravo ardentemente era qualcuno con cui dividere le mie sensazioni: un amante, un confidente, un amico…
È incredibile come a volte il destino corra in tuo aiuto, e a me apparve con il faccino delizioso di Lorenzo , figlio di una carissima amica del piano terra. Era il ragazzino più bello che avessi mai visto: un viso d’angelo, un carattere affettuoso e coccoloso, ogni volta che mi guardava con quegli occhioni… mi colpiva dritto negli istinti materni, e dovevo combattere la voglia di abbracciarlo e riempirlo di coccole. Veniva spesso da me, da quando ero rimasta sola, un po’ dietro esortazione materna, e un po’ perché credo fosse un pochino innamorato di me. Gli davo da fare qualche piccola commissione, stavamo insieme e facevamo merenda. Quel giorno si presentò alla mia porta, allegro come un uccellino: “Ciao, Cleo, come stai? Hai bisogno di qualche cosa?”
Stavo per rispondere, quando mi resi conto di una cosa: Lorenzo era un uomo. In erba, certo, ma sempre un uomo. Scacciai quell’idea perversa: è un bambino, che cavolo! Però… come ero combattuta…
Lorenzo si avvicinò, chiedendo in tono preoccupato se fosse tutto a posto. Gli guardai inconsciamente la bocca; che belle labbra ha, pensai, sembrano così morbide… Al solo pensiero i miei capezzoli fremettero, e a quel punto capitolai. Il desiderio aveva vinto. Dovevo mantenere la calma, giocare bene le mie mosse; gli diedi qualche soldo, chiedendogli di scendere al negozio all’angolo per prendere latte e biscotti. Lorenzo sfrecció via, e una volta chiusa la porta alle mie spalle sbirciai l’orologio sulla parete: avevo circa un quarto d’ora per rendermi presentabile. Mi diedi una lavata veloce, mi aggiustai i capelli e presi una camicetta dal comò, quando notai una cosa: indossavo ancora il reggiseno per allattare, di quelli con la chiusura a bottoncino, ormai più per abitudine che altro, e risultava sexy quanto uno scaldabagno; dopo una breve riflessione decisi di tenerlo: tanto, se tutto fosse andato secondo i miei piano, lo avrei indossato poco. Finii giusto in tempo, il campanello avvertì l’arrivo di Lorenzo. Facemmo merenda assieme, come sempre, seduti sul sofà. Lui mi raccontava della scuola, della squadra di calcio e altre cose; io stavo a sentire, ma dentro di me fremevo dall’impazienza, non vedevo l’ora di realizzare il mio piano. Ad un tratto mi feci seria in volto, e presa la mano di Lorenzo tra le mie gli dissi: “Lory, tesoro… devo chiederti un grande favore. Se non te la senti non fa nulla, non intendo costringerti..”
Sul suo viso apparve un’aria incuriosita: “Di cosa si tratta, Cleo?”
Brevemente , e con il maggior tatto possibile, gli spiegai la faccenda per la quale non potevo più allattare Aurora. “Per cui, Lory, te lo chiedo apertamente: vorresti succhiare il latte dal mio seno?”
La sua faccina avvampó, e per un istante sembrò intento a prendere una decisione. Poi però fece un deciso cenno di assenso: “Se è per farti stare meglio, Cleo, lo farò volentieri!”
Sorrisi commossa: quanto era bravo, il mio Lory!
Tutto stava procedendo bene: dissi al mio piccolo aiutante di sedersi sulla mia coscia, come quando da piccino gli facevo fare il cavalluccio. Quando fu in posizione, mi sbottonai adagio adagio i bottoni della camicia, giusto per provocarlo un po’ e osservare la sua reazione, e a giudicare dallo sguardo attento stava per cadere fra le mie braccia. Posata la camicia sul bracciolo del divano, passai al reggiseno: Lory fu colto da un fremito quando mi chinai in avanti per aprire il gancino sulla schiena, e cacciò un lieve gemito quando liberai le mie gonfie mammelle. Non potei trattenere un sorriso: la sua espressione era un capolavoro, mi guardava con due occhi così, e mi sembrava quasi di leggere quali pensieri stessero passando nella sua testolina: TETTE! DONNA NUDA! TETTE!
Godetti per un po’della sua faccia buffa, poi gli offrii un seno per invitarlo: “Su, serviti pure finché è caldo!”
Come in preda a un sogno, Lory si avvicinò, titubante ed imbarazzato; portai pazienza, era sicuramente la prima volta che si trovava in una situazione simile. Vinta la timidezza, Lory avvicinò la bocca al mio capezzolo destro e diede una leggera leccatina, seguita da molte altre. Mi mordicchiai un labbro: era piacevole, ma quanto mi teneva sulle spine…
“Loryyy…” gemetti. Lui si fermò di scatto, chiedendo se avesse per caso fatto qualcosa di sbagliato. Gli sorrisi: “Amore, se fai così non esce niente… devi succhiare per fare in modo che il latte esca…”
Lory ci provo, stavolta con più calma; chiuse le labbra sul capezzolo e succhió. Un lungo sospiro sfuggì alle mie labbra: finalmente! Quanto avevo sognato e atteso quel momento, ero folle di gioia. Lory succhiava piano, con molta delicatezza, chiedendo ogni tanto se mo stesse facendo male. In realtà il contatto occasionale dei suoi dentini sul capezzolo super sensibile era tutt’altro che sgradevole. Mi sentivo colma di amore e gratitudine verso il mio Lory, e tiratolo a me lo abbracciai forte, godendo del caldo contatto del suo corpo sul mio. Sentivo anche una leggera pressione al basso ventre, Lory era eccitato, ma non dissi nulla per non metterlo in imbarazzo. La poppata procedeva alla grande, gli porsi anche l’altra tetta, che ricevette a sua volta le dovute attenzioni. Mi abbandonai sullo schienale, lasciando a Lory libertà di azione, quando a un tratto fu colto da un brivido e si strinse a me, nascondendo il viso nel mio seno. Inutile chiedersi cosa fosse successo, la sensazione di bagnato che sentivo non lasciava spazio a dubbi: Lory aveva appena eiaculato. Non mi guardava negli occhi, era rosso in viso e sul punto di piangere; gli passai la mano sulla testa: “Eri tanto eccitato, tesoro?”
Fece un timido cenno di sì, e mormorò “Scusa…” Gli sorrisi con fare materno: “Non c’è problema, va tutto bene, Lory, la tua reazione mi rende tanto felice… Ora però vieni, dobbiamo lavare i pantaloncini. “
Mi diressi in bagno, seguita da Lory, silenzioso come un’ombra. Non mi ero rivestita, forse avrei potuto divertirmi ancora un po’. Lory tolse le scarpe e non fece obiezioni quando gli abbassai i pantaloni, ma fece un passo indietro quando feci per fare lo stesso come mutande, tendendo la maglietta per nascondere l’inguine. Con amorevole calma scostai le sue mani, e sul davanti della mutandina c’era una bella macchia umida; sembrava quasi sul punto di sprofondare dalla vergogna, ma non dissi nulla, limitandomi a sorridere. Tolta la mutandina la infilai in lavatrice assieme ai pantaloni, poi presi una salvietta inumidita con acqua calda e delicatamente ripulii il suo pisellino. Lory fremente sotto quelle carezze, il suo giovane organo stava riprendendo vigore, alzando la testa poco a poco. Ero molto orgogliosa, stava credendo bene, il mio Lory, da lì a qualche anno sarebbe diventato un bel ragazzo. Mentre la lavatrice era entrata in funzione gli dissi “Mentre aspettiamo che ne dici se ci sediamo un po’ sul mio letto, così stiamo comodi?” Lory mi seguí, docile come un agnellino, e si sedette accanto a me. Era visibilmente imbarazzato, ma il piccolo bozzo laggiù indicava che era pronto; gli passai un braccio attorno alle spalle e lo accarezzai a lungo, mentre gli davo dei bacini sulla testa, cosa che aveva sempre amato sin dall’infanzia. A un tratto mi venne un’idea un po ‘ perversa: gli tolsi la maglietta, lasciandolo tutto nudo; osservai bene la sua pelle ancora liscia e morbida, sfiorandola con le dita. Lo feci mettere sdraiato e osservai i suoi capezzoli: erano davvero graziosi, quasi femminili, di un bel rosa. Non resistetti alla tentazione: la mia lingua li accarezzò languidamente, strappandogli dei gemiti super carini.
“Hai dei capezzoli bellissimi, tesoro… Guarda”, gli dissi, “sono quasi dello stesso colore dei miei.” Presa una tetta nella mano premetti un capezzolo sul suo, strofinandolo delicatamente. Nel mentre delle goccioline del mio latte colarono sul suo petto, e le leccai via golosamente. Lory era cotto, al limite: “C… Cleo…” ansimó. Non serviva aggiungere altro: mi spogliai a mia volta dei leggins e delle mutandine, restando tutta nuda ai suoi occhi adoranti. In quel momento mi sono sentita davvero desiderata, mi sentivo nuovamente donna. Lory mi guardava ammaliato, i suoi occhi danzavano sul mio corpo, dai seni gocciolanti al triangolino pubico umido di voglia. Il suo sesso era teso allo spasmo, sulla punta brillava una goccia di seme trasparente. Era il momento: sedetti a gambe larghe su di lui, indirizzando la sua virilità verso la mia micia affamata, che non oppose resistenza. Iniziai a muovermi ritmicamente, senza fretta, volevo godere di ogni secondo; Lory era in balia della mia voglia, sdraiato a occhi chiusi, completamente abbandonato, mugolando quieto. Lo presi per le spalle e lo misi seduto, gli schiacciai le tette sul petto mentre gli riempivo la faccia di baci, la sua pelle si scaldava piacevolmente sotto le mie labbra. Dal canto suo Lory mi afferrò le chiappe con le mani, stringendole con inaspettata decisione, mentre la sua bocca cercava vorace i miei capezzoli. L’orgasmo raggiunse entrambi quasi nello stesso momento, quando Lory schizzó un fiotto di seme dentro di me, ancora immaturo ma denso e caldo. Calmati gli spasmi, restammo abbracciati a lungo in quella posizione, a farci le coccole.
“Sei stato davvero bravissimo, Lory. Ti sono davvero molto grata…”
Da qualche parte nei dintorni del mio seno lui mormorò qualcosa, ma era esausto, stava per crollare, così lo cullai, finchédi addormentò tra le mie braccia. Quando si svegliò, i suoi vestiti erano pronti, e mentre si ricomponeva mi guardava, sorridendo, uno sguardo tenero negli occhi, uno sguardo da innamorato che mi colpí dritto nell’anima. Sulla porta di casa, Lory si voltò e disse: “Grazie per.. la poppata, e… per tutto il resto. “
“Prego, tesoro, torna pure quando vuoi, ti aspetto.”
Lui esitò un attimo, poi mi guardó negli occhi e disse: “Cleo, io ti… ti… amo.”, avvampando furiosamente. Il cuore mi palpitó in petto, e senza pensarci lo acchiappai per le guance e gli stampai un lungo bacio sulle labbra, un bacio adulto colmo di passione. “Anche io ti amo, Lory…”
Lo guardai divertita scendere le scale, con un passo un po’ da ubriaco, doveva essere stata una giornata memorabile per lui, ma anche per me. Già fantasticavo sulla prossima volta, e al pensiero, dai capezzoli uscì un po’ di latte che inumidí la maglietta…

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