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IL GITANO MADRILENO


di Foro_Romano
28.12.2017    |    18.117    |    11 9.1
"M’incamminai sotto il sole cocente guardando i numeri civici per raggiungere quello indicatomi dalla guida “Spartacus” (allora c’era solo quella per appagare..."


(Racconto n. 86)

Ero giovane allora, ed anche molto carino a detta di molti. Avrò avuto 23-24 anni e, avendo un buon lavoro, mi potevo permettere anche quattro viaggi all’estero l’anno. Tutti di “piacere”, naturalmente. Andai a Madrid per la prima volta, capitale di una nazione divisa tra sacro e profano ma che riusciva a convivere serenamente tra le due entità. Era una mattina d’estate e, appena arrivato in albergo, decisi di godermela tutta da subito. Mangiai qualche “tapas” al volo e presi la metro per raggiungere una sauna altamente consigliata. Dovevo scendere all’ultima fermata, all’estrema periferia della città.
Mi ritrovai nella zona dei mercati generali, in una strada molto larga e lunga dove tutto il lato destro era occupato dai magazzini dei commercianti. Era domenica pomeriggio quindi erano solo una serie di saracinesche chiuse. L’altro lato erano tutte casupole malmesse, molte assolutamente fatiscenti. Non c’era un essere vivente a vista d’occhio.
M’incamminai sotto il sole cocente guardando i numeri civici per raggiungere quello indicatomi dalla guida “Spartacus” (allora c’era solo quella per appagare certi vizietti). Non arrivavo mai, anche perché in Spagna i numeri civici spesso non sono attribuiti ad una porta ma ad un intero isolato. Camminai non so quanto in quel deserto assoluto tanto da domandarmi se non avessi sbagliato strada. Ero proprio un incosciente: per soddisfare certe voglie non mi peritavo di affrontare situazioni ed ambienti assolutamente sconsigliabili e spesso pericolosi. A volte mi sono trovato in situazioni difficili ma, a distanza di tempo, non mi pento di averli affrontati, anzi sono contento di avere vissuto cose che molti timidi e paurosi non si sono neanche sognati di fare. Almeno ora ho molti ricordi e qualche sogno che purtroppo rimarrà nel cassetto.
Ma torniamo a quella strada assolata e deserta. Finalmente raggiunsi la meta ma si trattava di uno di quegli edifici abbandonati. Nessuna insegna. Davanti alla porta due o tre gradini. Li salii e suonai il campanello o meglio, lo premetti ma non suonava. Mi maledissi per aver fatto tutta quella faticata per niente. Quella guida a volte lasciava a desiderare.
Mi girai da dove ero venuto e, come dal nulla, un uomo, a distanza, stava venendo verso di me. Ma da dove era spuntato fuori? Possibile che, in tutto quel lungo deserto, non lo avevo visto prima? Era una visione celestiale. O meglio, la sua bellezza era straordinaria (alto quasi due metri, dal fisico muscoloso e perfetto, capelli nero corvino) ma, più che un angelo, sembrava Satana in persona (faccia da duro avanzo di galera, un grosso orecchino a cerchio d’oro al lobo sinistro, uno sfregio sulla guancia destra, braccia nude ed un tatuaggio imprecisabile su quello sinistro), ma d’altronde anche Satana era un angelo ed anche molto bello, a quanto si dice. Indossava un gilet nero decorato sui bordi (in oro o rosso, o forse tutti e due) e tanto pelo nero sul petto e sulle gambe (quello lo ricordo bene).
Più si avvicinava e più ne avevo paura, pur rimanendone affascinato. Ma dove mi ero andato a cacciare? Ero lì, assolutamente solo e avrei dovuto affrontare un uomo che con un cazzotto avrebbe potuto uccidermi e derubarmi. Non un’espressione, non un sorriso. Prima di raggiungermi mi indicò col dito dietro l’angolo della palazzina e capii che mi stava segnalando il vero ingresso della sauna. Ci arrivammo insieme. Insieme entrammo, pagammo ed entrammo nello spogliatoio. Durante tutta la svestizione non mi tolse gli occhi di dosso, mai una volta. Due occhi neri anch’essi e profondi che non trasmettevano nessuna emozione, solo durezza e ferocia. Io lo guardavo di soppiatto. Era troppo bono ma anche troppo pericoloso. Sui 30 anni o poco più, la pelle olivastra. L’aspetto era di uno zingaro ma uno di quelli autoctoni della penisola Iberica, i Gitani. Mai si sarebbe potuto dubitare che quel tipo non fosse etero o che avesse certi interessi. Ma quella nazione, come ho detto, viveva di contraddizioni.
Entrato dentro mi trovai in un ambiente ben curato e rilassante. Luci soffuse, una leggera musica di sottofondo e molto spazioso. Si sviluppava su tre piani: uno sopra ed uno sotto quello d’ingresso. Una impressione completamente diversa da quella che avevo avuta dall’esterno. Volli visitarla tutta: il salotto, l’angolo bar, le docce, la piscina, le due saune (secca ed umida), i camerini, la sala di proiezione con dei grandi gradoni davanti allo schermo per sedersi. Lui sempre dietro di me. Ovunque andassi me lo ritrovavo a fissarmi. Non mi lasciava tregua. Più lo evitavo e più me lo ritrovavo davanti. Ero veramente preoccupato e combattuto.
Mi sedetti sull’ultimo gradone in alto per gustarmi un bel video porno per rilassarmi ed eccitarmi nel vedere tanti bei culetti deflorati da tanti ancora più bei cazzoni da monta. Pochi minuti ed eccolo là. Non venne a sedersi accanto a me e provarci, come avrebbe fatto chiunque. Voleva essere il mio incubo. Si mise sulla porta d’ingresso della sala, di fianco allo schermo, appoggiato allo stipite, sempre con lo sguardo su di me. Molti sbavavano a vederlo, lo strusciavano “casualmente”, ma lui niente, vedeva solo me.
Che dovevo fare? Sta il fatto che, forse eccitato dal video o forse spinto dall’incoscienza, alla fine cedetti. Scesi dalla scala, uscii dalla sala passandogli accanto ed entrai in un camerino molto spazioso. Mi seguì dentro e chiuse la porta. Ero alla sua assoluta mercé. Non un gesto gentile e sempre quello sguardo di ghiaccio. Si tolse l’asciugamano dalla vita e mi strappò via anche il mio. Una mano sulla testa e fui subito al cospetto del suo scettro del comando. Lungo, venoso, enorme ed ancora moscio, a contatto con la sacca dei coglioni grossa e pendente. Se lo prese in mano e me lo mise in bocca senza tanti preamboli.
Cominciai a non capire più niente. Succhiai, leccai, pompai, lo assaporai, respirai l’odore inebriante dei genitali di un maschio puro (o impuro, come volete). Andai nel pallone e più mi dedicavo a quella pompa indimenticabile più il “coso” s’ingrossava paurosamente. Non esagero se dico che raggiunse i 25 centimetri (per i patiti delle misure). Mi spingeva la testa ed io mi smascellavo e mi ingozzavo non riuscendone a prendere nemmeno la metà, eppure mi stava sfondando la gola. Mi aiutai con la mano facendogli contemporaneamente una sega ma la mano non riusciva a circondarlo tutto. Emettevo abbondante saliva, mi strozzavo ma non ne potevo fare a meno. Ero ormai completamente sottomesso a lui, alla sua virilità incarnata.
Ad un certo punto mi staccò da lui, mi prese da sotto le ascelle e mi gettò sul largo materasso a pancia in giù. Mi venne sopra, allargò le mie chiappette con le sue grandi mani e me lo schiaffò tutto dentro, di colpo, fino in fondo. Urlai nel palmo della sua mano con la quale mi aveva prontamente tappato la bocca. Cominciò subito a fottermi con una forza incredibile esclusivamente per appagare le sue voglie. Eppure, passato il doloroso momento iniziale, poi fu solo piacere anche per me. Tanto ma tanto piacere. Quando il mio buco si fu adattato a quelle dimensioni elefantiache, cambiò posizione, tante posizioni, ma senza mai ridurre la velocità dei colpi di pistone che mi infliggeva. Mordeva, succhiava ogni angolo del mio corpo, violentava la mia bocca con la sua grossa lingua riempiendomi di saliva, mi usava come una bambola di gomma.
Io gemevo, mi lamentavo, lanciavo piccole grida ma si potevano sentire anche i suoi grugniti, i suoi grufolii, i rumori delle sue stantuffate, i suoi coglioni che sbattevano sulla mia pelle ad ogni spinta (feroce, belluina, animalesca), ogni volta con l’impressione che mi uscisse dalla bocca, lo sfrigolio degli umori del mio buco sfondato, l’odore del sudore. Fui sottoposto a quel sublime sacrificio per almeno un’ora e sempre a quel ritmo, instancabile. Aveva una resistenza incredibile ma arrivò alla fine. “Me corro, puta” e con un ululato liberatorio scaricò dentro di me una quantità enorme di sperma, spinta dopo spinta, contrazione dopo contrazione. Tutti i suoi potenti muscoli vibrarono, il suo cuore batteva al massimo (come il mio d’altronde) e si lasciò andare su di me, schiacciandomi come ultimo segno di possesso assoluto della sua vittima (che poi ero io). Solo il ricordo di quella monta subita mi eccita così tanto che dopo tanti anni mi ci tiro delle seghe stupende. Ah, come vorrei “subirne” ancora!
Si sfilò da me, che rimasi inerte ed ancora tra le nuvole, un rivolo abbondante di sperma semi-trasparente scivolava fuori del mio buco rotto, disfatto, spanato. Una voragine. Ero sfondato ed avevo come l’impressione di sentirmelo ancora dentro. Si mise l’asciugamano sulla spalla e, così nudo, uscì dal camerino facendosi ammirare il membro umido e sporco, a testimonianza della sua virilità. In tutto il tempo aveva detto solo quelle poche paroline al momento di godere, nient’altro.
Lasciò la porta aperta. Fuori si era creato un capannello di uomini attratto dagli eccitanti suoni che avevamo provocato. Più eccitanti dei porno in sala video. Mi videro lì, disteso. Alcuni (quelli passivi) mi invidiarono, ne sono certo, e finito lo spettacolo se ne andarono. Altri (quelli attivi), invece, prima prudentemente poi sempre più decisi entrarono e si misero in fila per imitare l’operato del gitano. Altri cinque maschi (più e meno giovani) approfittarono della mia inerzia per scoparmi senza remore, come se fossi una baldracca pronta a soddisfare tutti indistintamente. Ma forse lo ero, sentivo di esserlo e non mi opposi. A turno mi hanno fottuto scaricando tutto il loro succo dentro di me. Nessuno di loro però fu all’altezza né per dimensioni e né per capacità al primo. Alla fine fui lasciato solo.
Mi alzai lentamente, indolenzito nel corpo e dolorante nel culo. Avevo dentro di me un cocktail (curioso, si scrive proprio così) di ben sei carichi di sperma che mi scivolava lungo le gambe, finché raggiunsi le docce e mi scaricai lavandomi lentamente. La gente mi passava davanti e pensò sicuramente che stavo mostrandomi perché non ero ancora soddisfatto, invece ero completamente rintronato dall’esperienza. Mi guardai allo specchio attentamente e mi meravigliai che, nonostante il trattamento subito, non mi aveva lasciato alcun segno, nemmeno un succhiotto. Come aveva fatto non so spiegarmelo.
Appena credetti di essermi ripreso un po’ mi rivestii ed uscii per tornare in albergo. Mi allontanai per quel viale assolato barcollando, a gambe larghe ed ancora con la testa tra le nuvolette del paradiso.
Che ricordi!

(Storia vera, quando ancora certe cose si potevano fare. Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela tutta).


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