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Gay & Bisex

SENZA CASA


di Foro_Romano
15.04.2020    |    15.425    |    24 8.7
"E’ che… che… ecco, come dire, sono tre mesi che mi sono separato e… devo ammetterlo… mi manca la topa..."
Avviso i miei amati lettori, inguaribili segaioli, che questo racconto non contiene una ma più avventure. Pertanto, cercate di non venite subito alla prima ma continuate a leggere, almeno fin che potete resistere.


Mia madre è morta quando ero piccolo e mio padre, anni dopo, si è risposato con una di bell’aspetto ma profondamente falsa e cattiva, specialmente nei miei confronti. Così, sparlando con le sue amiche, venne a sapere che a me piacevano gli uomini e che dovevano stare tutte in guardia per evitare che coinvolgessi i loro mariti.
Io avevo solo 15 anni e che mi piacevano gli uomini era vero, ma non avevo mai fatto sesso con nessuno, nemmeno coi miei amichetti. Anzi, cercavo di tenere nascosto questo che doveva essere un mio segreto ma molti lo avevano capito lo stesso e avevano fatto girare la voce.
Naturalmente lei lo disse subito a mio padre che, un giorno, mi prese da parte e mi chiese se era vero. Lo confesso solo a voi, ma anche mio padre era tra le mie fantasie. Comunque volli essere sincero con lui e speravo nella sua comprensione. Invece, istigato dalla cara mogliettina, risolse di cacciarmi da casa perché ero il disonore della famiglia.
La mia delusione fu tanta e mi ritrovai, da un giorno all’altro, in mezzo ad una strada. Oggi so che avrei potuto denunciarlo per abbandono di minore ma allora mi sentii in colpa. Pensavo di essere un disgraziato e mi meritavo quella condanna. Era inverno e non sapevo dove andare. Mi accucciai nell’anfratto di un muro lungo una strada e cominciai a piangere, sentendomi completamente perso e senza alcun futuro. Tutto per colpa di una sessualità che sentivo forse dalla nascita e che, fino ad allora, non avevo neppure goduto. Volevo morire. Mi si avvicinò un signore distinto, sulla sessantina.
“Che fai qui ragazzino. Ti prenderai una polmonite. Vai a casa”.
“Non ho una casa” gli dissi tra le lacrime.
“Come non hai una casa? Sei scappato?”.
“No, non ce l’ho e basta”. Non volevo raccontargli i fatti miei, anche perché me ne vergognavo. Capì che non era il caso di approfondire.
“Va bene, allora per questa notte vieni a casa mia. Così starai al caldo. Poi, domani, vedremo”.
Lo guardai sentendo di non meritare quel gesto di carità e cercai di rifiutare, ma senza troppa convinzione, tanto che, alla fine, accettai e salii nella sua auto. Aveva una casa bellissima. Era un villino elegante e molto ben curato. Aveva alcuni mobili antichi e si capiva che era una persona agiata. Si presentò. Si chiamava Pasquale ed era scapolo ed avrebbe voluto tanto avere dei bambini ma la vita non gliene aveva dati. Mi chiese quanti anni avevo.
“Mi chiamo Walter ed ho 18 anni”. Mentii spudoratamente sull’età, anche perché ho sempre dimostrato meno anni di quelli che ho. Ci credette o fece finta di crederci.
Fu molto gentile nei miei confronti ed era contento perché, mi disse, almeno quella sera avrebbe avuto compagnia, avrebbe potuto parlare con qualcuno. Preparò una cena deliziosa, dimostrando di essere un buon cuoco, e mangiammo in una sala con il camino acceso. Mise sulla tavola anche un candelabro d’argento, dicendo che voleva trattare bene gli ospiti. Così, a lume di candela, parlammo del più e del meno: della sua vita, della mia (senza sbilanciarmi troppo). Mi sembrava di essere in un sogno, forse anche a causa del vino che bevvi senza farci troppo caso.
Dopo ci sedemmo sul divano, davanti al fuoco e mi offrì della sambuca. Gli confessai che, non so perché, quello era l’unico liquore che, anche se ne bevevo poco, mi ubriacava. Insistette e io ne bevvi ben due bicchierini. Non dico che mi girava la testa, ma veramente era come se stessi tra le nuvole. Era tutto così bello.
Sentii di confessargli tutto e la voce mi si spezzò dal dolore. Mi mise un braccio sulle spalle per consolarmi ed io reclinai la testa su di lui, come fosse il padre comprensivo che non ho avuto o, data la differenza di età, come un nonno. Mi accarezzò teneramente per un po’, poi sollevai la testa e ci guardammo intensamente. Non ci fu bisogno di parole e, istintivamente, unimmo le nostre labbra in un bacio casto. Ci guardammo ancora con sconcerto, almeno da parte mia, e poi fu la volta di un lunghissimo bacio passionale.
Per la prima volta ricevetti la lingua di uomo nella mia bocca e fu sconvolgente. Fummo travolti dal desiderio l’uno dell’altro. Seguirono altri baci furenti. Mentre le sue mani mi percorrevano tutto il corpo, le mie (non so spiegarmi perché) andarono dritte alla sua patta e sentii, sotto la stoffa, la durezza del suo cazzo. Fu allora che raggiunse il mio sederino per impastarmelo con forza. Sarà stato l’alcool che avevo bevuto, ma mi sentivo come protetto da lui ma anche disposto a sottostare alle sue (e mie) voglie.
Quando l’eccitazione ebbe raggiunto l’apice e fu certo della mia accondiscendenza, mi sollevò tra le sue forti braccia e mi portò, come una sposa al talamo, in camera da letto, sul grande letto matrimoniale. Si accinse con delicatezza a spogliarmi dei miei vestiti e poi dei suoi, mentre mi guardava con occhi pieni di ammirazione e di lussuria contemporaneamente.
Aveva un fisico eccezionale, a dispetto dell’età. Massiccio, con larghe spalle e collo taurino, un ampio torace coperto di pelo. Anche le braccia e le gambe erano muscolose e pelose. Era l’incarnazione l’uomo delle mie seghe solitarie.
Mi fu sopra e mi regalò un altro bacio profondo. Dopo io passai a leccargli il collo, le orecchie (scoprii che gli piaceva moltissimo), le ascelle profumate di sudore e deodorante. Quel sapore nuovo mi scatenò gli ormoni. Poi fu lui che, staccatosi un poco, scese a leccarmi i capezzolini e le areole, i fianchi e giù fino alle palline. Fece scivolare la lingua ampia, ruvida e viscosa di saliva sul cazzettino rigido. Non resistetti e mi sborrai sulla pancia.
Ne raccolse un po’ con due dita e me le mise in bocca. Non avevo mai assaggiato lo sperma, nemmeno il mio. Mi piacque. Era dolce. Si alzò per mettersi a cavalcioni sulla mia faccia. Mi ordinò di leccargli la grossa sacca pelosa dei coglioni. Lo feci con impegno e devozione, come si meritava, indifferente ai tanti peli che dovetti inghiottire. Lo sentivo sempre più eccitato fino a che, tiratosi un po’ indietro, mi puntò la cappella alla bocca. Per me era tutto nuovo ma d’istinto aprii le labbra e la feci entrare. Appena un piccolo tocco della mia lingua e, con un grido gutturale, mi scaricò dentro una gran quantità di crema che mandai giù senza pensarci troppo. Era buona, diversa dalla mia, era più salata e più densa, ma mi piacque anche la sua.
Rimasi a casa sua per una settimana, durante la quale mi fece sempre bere sborra in quantità (dopo la sambuca, naturalmente). Ma io ero scontento, volevo di più. Volevo che mi sverginasse il culo, ma non volle mai farlo. Gli piaceva così.
Intanto cercavo un qualche lavoretto che mi rendesse autonomo ma doveva essere assolutamente in nero perché non potevo mostrare la mia carta di identità. Molti non me la chiedevano nemmeno e, se lo facevano, io me ne andavo.
Dato che sono un bel ragazzo, pensai di rivolgermi a qualche fotografo per poter fare il modello. Ne trovai uno. Un bel uomo sulla quarantina, molto piacente, con due grandi basette che gli arrivavano al mento, peloso (mi piacciono da morire gli uomini pelosi). Aveva uno spirito e dei modi di fare artistici ed un po’ folli. Mi fece qualche foto e, ogni tanto, si toccava il pacco come per sistemarlo meglio. Gli piacevo, non solo come soggetto, lo avevo capito. Improvvisamente mi si avvicinò, come per sistemarmi la posizione. Invece mi strinse forte e mi baciò con impeto. Non mi tirai certo indietro. Così finii sul suo letto, dove mi prese con forza e, finalmente, mi sverginò, con immenso piacere sia suo che mio. Mi riempì il culetto di sborra. Era focoso ed irruento, degno della sua vena artistica.
Ero giovane e quell’uomo mi affascinava, oltre che scoparmi in maniera favolosa. Così lasciai Pasquale e mi trasferii da Angelo (così si chiamava il fotografo). Arrivai a dirgli la verità sulla mia età, ma non gliene importava niente. Diceva che erano limitazioni mentali dei benpensanti. Insomma, abbiamo scopato come ricci per tre anni, poi ha trovato un altro ragazzino e ci siamo lasciati, pur continuando a vivere da lui.
La mia carriera di modello non è decollata, o almeno non ha raggiunto compensi stratosferici, così ho dovuto continuare a fare anche altri lavoretti occasionali: come dog sitter portavo a spasso i cani o come factotum in una discoteca gay durante l’estate.
Fu proprio l’estate scorsa. Dando una mano al barista, ho imparato a fare i cocktail e avevo un certo successo con i clienti, facendomene anche qualcuno. Ma la mia attenzione si è rivolta subito ad un buttafuori. Roberto era un maschio eccezionalmente virile di 38 anni. Inutile descrivervi il fisico, degno del lavoro che faceva. Metteva paura sia per la stazza che per la durezza dello sguardo, che sembrava volerti sempre riempire di botte. Con me era stato sempre molto gentile. Un suo schiaffo mi avrebbe fatto sbalzare da una parete all’altra. Io morivo dalla voglia di averlo addosso (o meglio, dentro).
Un pomeriggio, i proprietari mi fecero andare al locale per aiutare a scaricare un camion di birre. Eravamo solo io e lui, ed il conducente del camion che si limitò a mettere giù le cassette davanti alla porta del magazzino e se ne andò via. Feci una fatica bestiale ma, nello stesso tempo che io ne portavo dentro una, lui ne portava sei, due per volta. Era un animale da fatica. Facemmo relativamente presto e, alla fine, eravamo completamente sudati. Standogli vicino, il suo odore, anziché disgustarmi, mi eccitava da impazzire.
Impazzii, infatti. Si era seduto per riposarsi e io, come se niente fosse, mi avvicinai e gli detti una leccata sulla fronte per assaporare il suo sudore.
“Che fai?” mi disse con uno scatto.
“Niente. Volevo solo asciugarti”.
“Beh, e mi lecchi?”.
“Mi è venuto d’istinto. Era per farti un piacere”. Mi guardò torvo, ma non avevo paura della sua reazione. Lo conoscevo bene. Non mi avrebbe fatto del male.
“Non è che l’hai fatto per il tuo di piacere?”. Ci aveva azzeccato.
“Si, forse, lo ammetto” dissi. Me ne vergognavo.
“Ciccio, guarda che non me la prendo. Lo so che sei frocio, ma tu sai che io sono etero e sposato”.
“Già. Perdonami” feci con tono di rimpianto.
“Sei perdonato. Vieni qui”. Mi sono avvicinato e mi ha abbrancato alla vita. Stando lui seduto, eravamo faccia a faccia. “Però, devo ammettere che sei un bel bocconcino. Quasi quasi…”
“Quasi quasi cosa?”.
Mi mise davanti a lui, tra le sue gambe aperte, e mi baciò con irruenza. La sua linguona ruvida ebbe subito il sopravvento sulla mia. Mi sciolsi come plastica al sole tra le sue braccia forti, che mi dovettero sostenere. Mi appoggiai (casualmente) con tutte e due le mani sul suo pacco. Quando si staccò, un filo di saliva collegava le nostre labbra. Ci guardammo negli occhi poi, tutti e due, abbassammo lo sguardo sulle mie mani, su dove erano posate. Sentivo, sotto la stoffa, la bestia che si stava svegliando.
“Cazzo. Mi stai facendo un certo effetto” ammise. “Come te la cavi coi bocchini?”.
Mi ha messo una mano sulla testa e mi ha costretto ad inginocchiarmi tra le sue grosse cosce. Si è slacciato la cintura, il bottone, la zip. Si è alzato quanto basta per abbassare jeans e boxer e mi ha parato davanti una minchia meravigliosa, quasi completamente rigida e tutta coperta di vene violacee.
L’ho presa subito in bocca ed ho cominciato a sbocchinarmela a dovere. Mi dava il ritmo con la mano in testa e soffiava dalle narici e dai denti. Gli piaceva.
“Acc… Cazzooo… Sei proprio bravo, ragazzino ciucciasborra… Aaahhh… siii… Vuoi ingoiarti la mia sborra eh, puttana? No, ho cambiato idea”. Me l’ha sfilato dalla bocca e mi ha detto: “Siediti qui sopra. Voglio proprio provare a scopare un rottinculo”.
Mi sono tolto la tuta che avevo e messo a cavallo delle sue gambe. Gliel’ho toccato per puntarmelo al buco e mi sono lasciato cadere su di lui, impalandomi da solo fino al pelo. Mi sono morso le labbra per non gridare, ma non ho potuto trattenere un guaito acuto. Il cazzo era grosso ed il dolore è stato forte, ma è durato solo un attimo. Poi, fu solo piacere puro. Mi ha afferrato per i fianchi e mi faceva andare su e giù a suo piacimento, come fossi una bambola di gomma. Grugniva ingrifato.
“Puttana di una troia. Che figa che c’hai!”.
Ha continuato così per almeno cinque minuti, poi si è alzato e, con una forza incredibile, mi faceva saltare sul suo cazzo duro come il marmo e grosso come una colonna. Io mi tenevo con le braccia attorno al suo collo taurino e le gambe avvinghiate ai suoi fianchi. Infine, ha appoggiato la mia schiena al muro e, sempre tenendomi sollevato, mi ha colpito con una gragnuola di spinte che mi sfondavano senza pietà, solo per il suo piacere. Mi stava inchiodando alla parete. Io guaivo come una cagna ferita e questo lo eccitava ancora di più. E ci dava dentro squartandomi il culo. Avevo il buco completamente spanato.
“Ecco, puttana, ti sborro dentro… Vengo, veng…oooo”.
Un ruggito alla prima bordata seguito da una serie di grugniti per tutto il tempo dell’orgasmo. E’ stato un clistere di sperma denso e vischioso. Si è lasciato andare schiacciandomi al muro e poggiandoci la fronte sudata. Il tempo di far tornare alla normalità il respiro ed il battito cardiaco. Con uno schiocco, il cazzo è sgusciato fuori da me e solo a quel punto mi ha lasciato rimettere i piedi a terra, mentre un rivolo biancastro mi scivolava lungo una gamba. Avevo il buco irritato e così aperto che sentivo l’aria entrarci dentro.
“Però! E’ la prima volta che mi scopo un ragazzo e, devo dire, niente male. E’ stata una delle sborrate più abbondanti della mia vita. Dobbiamo rifarlo, ma non ti fare illusioni. Amo mia moglie”.
“Non chiedo di meglio. Sarai il mio buttadentro per tutta l’estate, poi chi si è visto si è visto. Ok?”.
Ci siamo fatti una risata e così è stato. L’hanno capito tutti, dagli altri dipendenti ai clienti. Alla faccia delle checche invidiose. Ma l’estate è finita. Lui è andato a lavorare non so dove e io ho trovato un posto di commesso part-time in un centro commerciale.
Nello stesso centro lavora Demetrio, una guardia giurata napoletana di 50 anni. E’ un bono da paura. Non molto alto ma ben piazzato. Un fisico perfetto e molto peloso. Brizzolato alle tempie e con la barba a pizzo piuttosto folta. Spalle larghe e mani grandi. A dispetto della faccia da duro, che sa tirar fuori quando serve, è sempre sorridente e fa scompisciare dalle risate quando, col classico modo di fare partenopeo, tira giù dei commenti e delle frecciate colorite, spesso spinte. E’ amico di tutti e tutti gli sono amici. Come si fa a non essere amico di un tipo così?
A me piace un casino. In divisa è uno schianto di maschio, specie quando, per sua abitudine, ogni tanto si tocca il pacco, che appare molto ben fornito. Sin da subito, mi ha preso a benvolere in modo particolare, quasi come una mascotte. Mi prende in giro perché ho un fisico esile, adatto più a far ridere le donne che a farle godere (e non sapeva quanto lontano da me è questa idea). Poi, però, mi mette un braccio sulle spalle e mi stringe a sé dicendo che mi vuole bene come un figlio.
Capisco la moglie che, ad un tipo così, non può dare affidamento riguardo la fedeltà. Infatti, è sempre circondato di donne (dipendenti del centro e clienti) che si divertono alle sue battute e, più o meno apertamente, per scherzo o sul serio, gli fanno il filo. Io lo guardavo e rosicavo. Nel dubbio, quella ha voluto la separazione e lui si era da poco trasferito a vivere da solo in un piccolo appartamento di due stanze.
Un giorno, in un momento di poca affluenza di gente, mi ha avvicinato ed ha voluto che lo seguissi in magazzino. Mi voleva parlare. Ho pensato che si trattasse di un altro suo scherzo.
“Caro Walter – ha esordito – tu lo sai che io rido e scherzo con tutti e che le donne vorrebbero tutte la mia minchia (e se l’è strizzata, come al solito). Tu, però, mi sei testimone che non ho mai cornificato mia moglie, almeno da quando mi conosci”.
“Si, è vero. Almeno, per quanto ne so, non ti ho mai visto andare oltre con nessuna”.
“Appunto. Ma lei non si fida e così vuole il divorzio”.
“Mi stai chiedendo di testimoniare per te?”.
“No, no, non intendo coinvolgerti in questa faccenda. E’ che… che… ecco, come dire, sono tre mesi che mi sono separato e… devo ammetterlo… mi manca la topa. Non voglio però avere a che fare con un’altra donna, un po’ per non darle una prova in suo favore ed un po’ per non illudere un’altra che magari mi si attacca come una ventosa”.
“Va bene, ma io che posso fare per te?”
“Ecco… so che tu sei omosessuale”.
“E come lo sai? Chi lo dice?”, ho detto preoccupato.
“Infatti, ma sai come sono le donne. Hanno come un sesto senso e l’hanno capito. Ma non ti preoccupare, nessuna ti ha preso in giro. Sei così carino che ti vogliono tutte bene”.
“Pensavo che non si capisse”.
“Non ti devi demoralizzare. Se sei convinto della tua natura, l’importante è che la vivi serenamente”.
“Si, certo… Ma continuo a non capire. Io che c’entro con la tua situazione?”
“Ecco… Vivo da solo in una casa che non so se riuscirò mai a sistemarla… Non è che… che potresti venire per aiutarmi a… collaudare il letto?”.
Sono stato preso alla sprovvista. Non sapevo se ridere del suo modo di farmi la proposta o essere felice di quello sviluppo così inatteso. Di fatto ridemmo tutti e due.
“Cioè, mi stai chiedendo di farti scaricare tre mesi di astinenza? Mi dovrei offendere…”.
“No, no, per carità, non è mia intenzione. Te l’ho chiesto perché… ecco… in qualche modo… non so come dirtelo… tu mi piaci, mi sei sempre piaciuto e, anche se non sono mai stato con un uomo, penso che con te ci riuscirei”.
“Fammi finire. Mi dovrei offendere, ma ne sono più che contento. Anche tu mi sei sempre piaciuto e non sai quante seghe mi sono tirato pensando a te. Solo vorrei che per te non sia semplicemente uno sfogo. Forse chiedo troppo, ma vorrei che ci mettessi un po’ di sentimento. Anche se solo per una volta”.
“Certo. Non era mia intenzione usarti come un selvaggio. Almeno non la prima volta”.
“Cosa? Pensi che lo faremo anche altre volte?”. Avevo il cuore in gola.
“Beh, se tutto va bene, non vedo perché no. Ma se mi trovo bene con te, le altre volte mi piacerebbe essere un po’ più selvaggio. Io, a letto, di solito mi scateno. Sono piuttosto focoso”.
Mi sono avvicinato a lui e l’ho abbracciato. “Se è così, non vedo perché non lo fai sin dalla prima volta. Così mi piacciono gli uomini”, gli ho detto maliziosamente.
Mi ha sorriso e mi ha baciato. Così, senza problemi. Per uno che non lo aveva mai fatto con un maschietto! Ovvio che, questa volta, sono stato io a toccargli il pacco e, vi assicuro, che non sono stato deluso.
Siamo subito tornati al lavoro, altrimenti si sarebbe notata la nostra assenza, e nel pomeriggio sono andato da lui per il collaudo. Vi dico che non solo non sono stato deluso, ma ne sono rimasto entusiasta. Ha un cazzo di tutto rispetto e lo sa usare in modo sublime. Mi prende, mi bacia, mi sbatte, mi rivolta, mi spana, mi sfonda, mi sbatte ancora, mi riempie, riprende fiato e mi riprende, mi ribacia, mi fotte la bocca, mi fa bere il suo succo, riprende ancora fiato e mi risbatte, mi risfonda, mi riempie come prima. Tutto di seguito, quasi all’infinito. Mi piace. Dice che gli piaccio. E chi lo lascia più. Altro che solo una volta. Peccato che si sta un po’ stretti in questo mini-appartamento. Si, ragazzi, ho cambiato casa.


(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha il solo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).
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