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Gay & Bisex

L’AMORE IMPOSSIBILE


di Foro_Romano
26.01.2024    |    12.056    |    18 9.8
"Come i nostri corpi, anche i miei sospiri e gemiti erano sopraffatti dai suoi rantoli gutturali sempre più forti..."
Questa è una delle storie più belle (e più amare) della mia vita. Ero giovane, bello. Molti mi facevano il filo ma io non mi davo tanto facilmente. Mi potevo permettere di scegliere e, per dirla tutta, non sempre la scelta cadeva sul più affascinante. La verità è che quelli non particolarmente attraenti sono più focosi. Danno il meglio di sé stessi, forse proprio per compensare quella mancanza di perfezione. Questo invece era perfetto, o almeno così sembrava, ma anche lui nascondeva qualcosa.
Era una bella notte d’estate. Alcuni amici gay mi invitarono ad andare con loro ad una fiera all’insegna dell’omosessualità o, comunque, della libertà sessuale. Oggi si direbbe “arcobaleno”. L’aria era fresca e compensava la pesante calura del giorno. Così, accettai ben volentieri. Mi misi in ghingheri: pulito, profumato, con dei pantaloncini corti al ginocchio, aderenti (a mostrare bene il mio culetto), la camicia hawaiana molto aperta, con le maniche lunghe rimboccate. La mia discreta collanina girocollo ed il mio bel bracciale rigido d’oro lavorato ricordo della Grecia. Insomma, facevo la mia porca figura. O meglio, la porca l’avrei fatta ben volentieri al momento opportuno.
Mi passarono a prendere e andammo in questo spiazzo battuto in mezzo ad una grande area verde, dove avevano sistemato gli stand. C’era aria di festa, di libertà. C’era di tutto: chi vendeva magliette con scritte e disegni colorati, chi stuzzicava con dolci e cibi vari, chi faceva ritratti, chi vendeva riviste porno, collezionisti che le scambiavano, chi vendeva articoli erotici, chi presentava iniziative di propaganda, chi leggeva le carte o la mano. C’era anche una troupe televisiva che riprendeva l’evento e faceva interviste agli organizzatori ed ai fruitori. C’era musica, suoni, luci colorate, come ad una grande festa di paese.
Mi sentivo allegro in quell’ambiente che alcuni definiscono circolo esclusivo ed altri ghetto. Punti di vista che non cambiano la sostanza ma piuttosto caratterizzano la mentalità di chi ne dà un giudizio.
“Ehi, anche voi qui? Che piacere vedervi!”. Era uno del mio gruppo che conosceva una coppia gay veneta che teneva uno stand. Così ci fermammo, ma francamente non ricordo di cosa si occupassero. Erano due ragazzi molto belli. Veramente da copertina. Uno meglio dell’altro, sicché fu piacevole fermarci a parlare. Non pensai assolutamente di abbordare uno di loro, non sono uno sfasciafamiglie.
Ad un certo punto, mentre eravamo lì a conversare, si avvicinò uno che conosceva sia loro che un altro del mio gruppo (il mondo è piccolo). Fu lui a catturare il mio interesse. Era un uomo maturo, sui 40-45 anni. Alto, dal fisico perfetto, dai muscoli naturali, dal corpo completamente coperto di pelo, ma corto, senza eccessi. Braccia e torace erano un tappeto di pelo. Pantaloni lunghi di lino e camicia aperta quanto basta a mettere in mostra tanta bellezza. Solo il viso era completamente rasato ma era un viso così decisamente virile che non aveva bisogno di barba o baffi. Nessuno avrebbe mai pensato che fosse gay, eppure era lì, amico di altri gay. Se la gente sapesse quante persone sembrano omologate alla normalità, ma che, in realtà, non lo sono affatto, finirebbero con questa storia su quello che è normale e quello non lo è. Tutto ciò che è naturale è normale, quindi anche l’omosessualità. I gay non sono una razza a parte, sono figli di un uomo ed una donna, come tutti. Ma a cercare di far ragionare i piccioni si perde solo tempo.
Per tornare a quell’uomo, ne fui subito affascinato. Andrea si chiamava. La voce profonda, il modo di muoversi, di esprimersi, la luce nei suoi occhi. Era tutto estremamente virile. Già, gli occhi. Quegli occhi che mi trovai addosso, in cui lessi la voglia di conoscermi, pienamente contraccambiata. Si rivolse a me chiedendomi il parere su non so che sciocchezza. La sua voce ed il suo interesse mi fecero sciogliere. Capivo che gli piacevo e lo capirono tutti, tanto che non dissero niente quando, dopo un po’, noi due ci allontanammo insieme. Era molto cortese e gentile. Mi invitò a bere qualcosa, mi fece una corte stringente tanto piacevole quanto inutile. Non avevo alcun dubbio: la mia risposta sarebbe stata solo che “si”.
Facemmo una lunga passeggiata nella notte, allontanandoci pian piano dal trambusto della festa. La sua vicinanza mi dava serenità, mi sentivo protetto ed apprezzato. Scambiammo opinioni, gli raccontai di me ma mai il discorso cadde sul sesso. Non ce n’era bisogno. Sapevamo tutti e due quale sarebbe stato il nostro ruolo. Passarono così un paio d’ore, forse più. Stavo così bene! Mentre camminavamo mi mise un braccio sulle spalle, come ad un amico di lunga data.
Arrivammo in un angolo solitario della campagna. Ci fermammo, col braccio mi avvicinò a lui e mi dette un bacio tanto dolce quanto profondo facendomi sciogliere come una verginella alle prime esperienze. Non usò prepotenza, ne avevamo voglia tutti e due. Mi accarezzò poi una guancia guardandomi con tenerezza.
“Mi piaci”, mi disse.
“Anche tu” ed aggiunsi, forse troppo sfrontato, “Vuoi venire a casa mia?”.
Mi guardò per un attimo. Ero stato troppo sfacciato? Sembrava che ci stesse pensando.
“Va bene, vengo da te” e mi dette un altro bacio, più breve. Non potevamo perdere altro tempo. Andammo a prendere la sua macchina e andammo da me.

A letto, nudi, rimasi affascinato ancora di più dal suo fisico, che vidi con la lucina soffusa dell’abat-jour. Fu molto dolce. Mi carezzava con le sue grandi mani. Mi copriva di piccoli baci sulle braccia, sul petto, sul collo, sulla fronte, mi leccava le orecchie. Si attaccò alle mie areole come per succhiarne un latte immaginario. Ero immerso nel profumo virile della sua pelle e del suo pelo. Glielo presi in mano. Era durissimo, maestoso, avvolto da una ragnatela di vene pulsanti. Avrei voluto baciarglielo, succhiarglielo. Volevo ricambiare il piacere che mi stava dando. Invece me lo tolse di mano scendendo a baciarmi sempre più giù, sulla pancia, l’ombelico, sui fianchi. Evitò il mio sesso. Io stesso non avrei voluto perché sono cose che gli uomini veri non fanno e lui lo era. Per istinto, piegai le gambe, aperte verso il suo viso. Mi guardò dal basso come per chiedermi un favore. Tirai allora le ginocchia verso di me e gli offrii la vista del mio buco palpitante. Affondò la faccia tra le cosce per leccarmi con avidità la mia parte più intima che ero pronto a donargli.
Cominciai a godere, a dimenarmi emettendo una serie di gemiti come di una femmina a cui stanno leccando la vulva, ma ero io, un giovane ragazzo desideroso di essere posseduto. Furono minuti interminabili, non resistevo più e riuscii a dirgli “Prendimi”.
“Lo vuoi davvero?”. “Si, prendimi”. “Ti farò male”. “Ti voglio”.
Si sollevò col busto, si bagnò la verga che vedevo enorme, mi afferrò per le caviglie e, tenendomi le gambe distese ed aperte, puntò la cappella alla mia entrata. Era sopra di me, mi dominava in tutta la sua possanza, era una divinità, era Giove col suo Ganimede, era Ercole pronto alla battaglia.
Invece fu molto delicato. Con una piccola spinta la cappella entrò in me, tanto desiderata. Chiudemmo gli occhi per il piacere. Li riaprimmo. Lo vidi dare piccole spinte in avanti, esitanti. I miei sospiri lo invitavano a proseguire e, poco per volta, per dei lunghissimi minuti, tutta la sua verga si installò dentro. Non potevo crederci. Tutta la sua grossa verga era in me e non avevo provato alcun dolore. Stavo uscendo di testa.
“Scopami, scopami, ti prego. Fottimi forte. Prendimi tutta. Possiedimi. Sono tua, la tua troia. Godi di me e fammi godere”.
Cominciò a uscire ed entrare. “Ah si? Sei la mia troia? Ti piace il mio cazzo?”
“Siiiii, mi piace tutto di te. Fammi sentire di che sei capace, maschio”.
La velocità con cui si muoveva andò sempre più aumentando e io lo incitavo a darmene sempre di più, fino a sfondarmi. Come i nostri corpi, anche i miei sospiri e gemiti erano sopraffatti dai suoi rantoli gutturali sempre più forti. Alla fine, l’animale feroce si scatenò. Dava colpi su colpi in tutte le direzioni, che mi slabbrarono lo sfintere come mai prima di allora. Senza mai fermare la sua monta belluina, si attaccò ancora alle mie areole, passò quindi a ficcarmi prepotentemente la lingua in bocca, mi afferrò poi la testa costringendola al suo petto, affondandola nel suo pelo sudato, immergendomi nell’afrore delle sue ascelle cariche di feromoni. Infine, con un lungo grugnito, si lasciò andare ad una sborrata pazzesca, intensa, tutta dentro di me. Fu come un caldo clistere appagante e godetti anch’io.
Mi liberò la testa e ripresi fiato, ma rimanemmo così, fermi, a goderci quegli istanti di puro piacere. I nostri cuori impazziti andarono pian piano a riprendere il ritmo normale. Il suo viso contro il mio, le sue carezze alla mia guancia.
“Scusami. Sono stato troppo violento?”
“Sei stato come sempre ho desiderato che un uomo mi scopasse”.
“Potresti essermi figlio”.
“Ti piacerebbe che lo fossi, papà?”
Sorridendo ci staccammo. Lui sdraiato sulla schiena, io al suo fianco, abbracciato al suo torace.
“Sai una cosa?” mi disse. “Credo di non aver mai goduto tanto in vita mia. Con te è stata la prima volta con un uomo”.
“Davvero? Ma come, eri amico di quei gay!”
“Si, mi piace frequentarli, molti ci hanno provato ma io non ho mai voluto. Tu sei il primo che mi ha convinto”.
“Vuoi dire che è colpa mia?”
“Ehh, esagerato, colpa. Sei così bello ed i tuoi occhi così espressivi che sei riuscito a sedurmi. E poi, sei un amante fantastico”.
“Anche tu”.

Tornò il giorno dopo e vidi ancora le stelle, il cielo, tutto il firmamento. Lo facemmo in tutte le posizioni, particolarmente alla pecorina, quando si sdraiò sopra e mi strinse a sé. Potevo sentire il pelo del suo torace che mi solleticava la schiena, mentre continuava a montarmi sempre più crescendo in velocità. Poi si sollevò di poco, afferrandomi per le tettine e mano piena. Toccando quella parte del mio corpo, con quello che stavo ricevendo ritmicamente nel buco aperto, mi sentivo ancora più femmina. Durante quell’incontro, godette scaricandosi dentro di me per due volte, appagando vicendevolmente le nostre rispettive voglie complementari.
“Sento che mi sto innamorando di te”.
Ero con la testa sul suo petto. Non rispose ma sentivo che anche lui stava provando lo stesso sentimento. Mi dette appuntamento il giorno dopo. Ero entusiasta. Mi preparai al meglio per ricevere quello che ormai consideravo il mio uomo. Sistemai per bene la casa spargendo profumi avvolgenti.
Non venne. Non si fece sentire. Allora non c’erano i cellulari ma solo telefoni fissi. Lui aveva il mio ma non io il suo. Mi si stringeva il cuore. Perché? Le giustificazioni a cui pensai non miglioravano i fatti. Gli era successo qualcosa? Ci aveva ripensato e non voleva più saperne di me? Ero disperato.
Mi telefonò la mattina del giorno successivo. Come sentii la sua voce la mia anima risorse ed ancor più quando mi disse che sarebbe venuto all’ora di pranzo, ma non disse che cosa era successo. Mi sono rasserenato, era stato di certo un imprevisto, mi avrebbe spiegato e tutto sarebbe tornato normale.
Quando ho aperto la porta e lo vidi ero raggiante. Mi aveva persino portato un rosa rossa per farsi perdonare. Mai nessuno mi aveva regalato un fiore. Dicono che non si usano per gli uomini, ma non potete immaginare la mia felicità nel riceverla. Oltre che un vero uomo, era un vero gentleman. Gli stavo per saltare al collo per baciarlo quando mi fermò. Era in evidente imbarazzo.
“Ti prego di perdonarmi. Dobbiamo finirla qui”. Quelle parole furono come un colpo allo stomaco. “Non sai quando sia dispiaciuto, ma per il bene di tutti e due, dobbiamo finirla qui. Non posso spiegarti, scusa”.
Le lacrime mi inumidirono gli occhi. “Ma perché? Perché mi hai preso in giro? Perché mi hai fatto innamorare di te? Sono stato solo un’avventura?”.
“No, non è così. Ti assicuro che non è così. Anche per me è doloroso, ma non posso spiegarti”. Mi accarezzò la guancia. Col pollice mi cancellò la lacrima che stava scendendo. Con dolcezza mi disse “Addio”. Si allontanò e non si fece più sentire.
Passai dei giorni pieni di disperazione e di pianto. Cercavo di darmi una spiegazione, ma non riuscivo a trovarla perché, fino all’ultimo, mi aveva dimostrato che anche io significavo qualcosa per lui. La rosa, che andava appassendosi, lo provava.
Allora mi decisi. Volevo una risposta. Mi aveva detto il cognome. Era piuttosto raro. Così sfogliai l’elenco del telefono (cosa oggi scomparsa) e trovai il suo nome. C’era solo lui, non potevo sbagliare. Composi il numero, anche se non avevo ben chiaro che cosa dirgli, come cominciare per fargli capire tutto il dolore che stavo provando. Mi rispose una bambina. Non me lo aspettavo. Cercai di avere una voce normale che non rivelasse quello che provavo dentro.
“Buongiorno. Potrei parlare per favore col signor Andrea?”
“Si, certo”. Si voltò “Papà, ti vogliono al telefono” gridò.
Compresi tutto in un attimo. Non sono uno sfasciafamiglie. Ebbi solo la forza di riattaccare.
La rosa la misi a seccare tra le pagine di un libro e lui scomparve dalla mia vita lasciando una grossa ferita che durò a lungo prima di cicatrizzarsi. Mi è rimasto il segno sul cuore e la rosa, dopo tanti anni, ho preferito buttarla.
Scusate se vi ho reso partecipi di questo mio ricordo, ma nella vita bisogna saper passare oltre. Pensate più ai bei momenti di felicità ed appagamento erotico che ho vissuto con lui e non al crudo finale. “Morto un papa, se ne fa un altro”, anche col cuore coperto di cicatrici.

(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha il solo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma non mancate di godervela il più possibile. Buona sega a tutti).
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