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Gay & Bisex

RICORDI LUSITANI


di Foro_Romano
15.03.2018    |    5.755    |    2 8.9
"Immaginate un piccolo ragazzo sottomesso per lungo tempo alla virilità di due bestioni arrapati, per dare loro modo di ricaricarsi dopo che erano già venuti..."
(Racconto n. 89)

La villa era costruita in una posizione isolata e stupenda: sulla cima di una roccia della costa portoghese con vista sull’oceano. Il costone sul quale era appollaiata non era molto alto, una decina di metri, e si poteva sentire il rumore delle onde che gli si rifrangevano contro diffondendo nell’aria il profumo dell’acqua marina. Le vetrate sul panorama erano spalancate, in quel pomeriggio di luglio avanzato. Le numerose piante grasse che arricchivano il parapetto della terrazza aggettante nel vuoto, diverse tra loro per forma e dimensioni, erano tutte ricche di fiori colorati. Quali rossi, quali gialli, quali celesti. Era quello splendido momento quando stava cominciando il tramonto e la luce andava sempre più arrossendo.
All’interno del salone, però, nessuno di noi presenti se ne curava. Eravamo impegnati in tutt’altro. Il padrone di casa (il mio padrone), ricco industriale italiano sulla cinquantina, alto, nero intenso ma brizzolato nei pochi capelli e sulla corta barba, aveva ancora un fisico più che invidiabile. In carne quanto basta e tonico nei muscoli come un bronzo di Riace ma, a differenza di quello, era coperto da un ricco vello, anch’esso brizzolato, sull’ampio torace e sulle gambe. Era seduto nella sua poltrona con un bicchiere del suo whiskey preferito, le gambe aperte e… completamente nudo.
Il suo cazzo, grosso, lungo e venoso, svettava invitante ed ogni tanto se lo accarezzava con la mano libera. Era eccitato ma non voleva venire. Si stava godendo la scena del suo giovanissimo amante, cioè io. Stavo facendo del mio meglio per appagare il piacere di due energumeni di pescatori trentenni, muscolosi ed abbronzati e forniti – manco a dirlo – di due mazze da Oscar. Peccato che non avevano molto pelo, solo quel tanto che basta perché venissero definiti maschi. Mi stavano usando senza scrupoli, ma sapevano che era proprio quello che desiderava il mio padrone e soprattutto io.
Allora ero un ventenne delizioso, minuto e perfetto ma di proporzioni minori. Avevo in testa una foresta di riccioli biondi, o meglio rosso chiaro essendo roscio di natura, come dimostrano la pelle chiara e delicata e le numerose efelidi pallide sul volto. La mia famiglia, della Bassa Padana, era povera e molto numerosa e mi avevano consegnato ben volentieri, sia per avere una bocca in meno da sfamare e sia perché avevano ricevuto in cambio un lavoro per mio padre. Gli ero stato praticamente venduto.
Però non stavo con lui controvoglia. Quell’uomo mi era piaciuto subito e, nella mia incoscienza ed ignoranza, non mi ero reso conto che l’attrazione che provavo verso di lui era una naturale omosessualità tanto che, subito dopo essere stato sverginato, mi ero trasformato subito in una vera ninfomane affamata di sesso o, meglio, di cazzo. Quel gioco che mi era stato insegnato era il più bello che avessi mai fatto, più di tutti quelli fatti con gli altri ragazzi del paese.
La prima volta era stata fantastica. Bruno (così si chiamava l’industriale) era stato molto delicato all’inizio, ben conscio delle dimensioni del suo attributo. Quando aveva visto che a questo ragazzino stava piacendo veramente, aveva aumentato sempre più la velocità fino a farmi sembrare di stare su un trattore in mezzo al campo da arare. Con l’unica differenza che avevo, infilato dentro di me, un palo come quelli della staccionata del campo stesso. Quando poi ci fu l’esplosione finale, lunga e interminabile, quando sentii il padrone vibrare e sciogliersi dentro di me in tanti violenti schizzi di calda crema, quando sentii distintamente allagarmi la pancia, anche io venni sul mio corpo. Mai avevo goduto tanto quando mi tiravo le seghette serali e capii che avrei giocato a quel gioco per tutto il resto della vita.
Un giorno mi chiese se trovavo brutto fare sesso con uno che, data l’età, sarebbe potuto essere mio padre. Io gli rivoltai la domanda, se cioè lui trovasse brutto farlo con uno che sarebbe potuto essere suo figlio. Ci fu un attimo di silenzio e poi cominciammo a ridere. Era bellissimo per tutti e due.
La vita con quell’uomo, poi, era veramente invidiabile. Passai dalle ristrettezze del mio paese a girare per il mondo con lui. Posti meravigliosi, paradisiaci, e poi tanti cibi mai conosciuti prima e diversi e mi piacevano tutti, compreso quel vino frizzante chiamato champagne e quelle palline nere o rosse che esplodevano in bocca chiamate caviale e di cui il padrone non poteva fare a meno. E poi sesso, tanto sesso, e più ne facevo più ne volevo.
Bruno era molto attivo e non me ne faceva mancare, più volte al giorno, anche se ero diventato capriccioso e ne volevo sempre di più. Così gli venne l’idea di farmi scopare da altri in sua presenza, come quella volta che vi stavo raccontando. Li aveva scelti tra i pescatori del luogo, famosi anche per la loro bravura in questa attività: rudi e feroci ma sempre entro i limiti del piacere, duri e focosi ma senza andare oltre i limiti desiderati.
Stava seduto in poltrona a gambe aperte, col cazzo in tiro che cercava di menare il meno possibile per non correre il rischio di venire prima della fine di quella mia performance. Era così eccitante vederlo in quelle condizioni che mi dava ancor più la carica. Stando sul divano, all’inizio ho alternato quelle due minchie nella mia bocca afferrandole per quanto potevo nella mia piccola mano e segandole un po’ per far loro accettare il fatto che non avrei mai potuto prenderle completamente in gola, tanto erano grosse. Ogni tanto passavo a leccare le grosse sacche pelose (quelle si) dei coglioni. Ho usato la lingua come un gattino affamato rendendo il loro attributi lucidi e grondanti saliva. Uno per volta sono venuti nella mia bocca e io ho ingoiato tutto, proprio tutto, senza sprecare niente.
Il mio uomo guardava arrapato. Ma non è finita lì. Anche dopo che si erano scaricati ho continuato a spompinarli e loro non hanno perso niente della loro durezza. Mi hanno coperto di insulti, dicendomi di essere una vera troia, e di complimenti per la mia bravura dovuta all’esperienza, incredibile per la mia età. Io li guardavo e sorridevo con le labbra umide del loro sperma. Al momento opportuno mi sono messo a pecorina offrendo il mio culetto alla loro vista e mi sono aperto le chiappe da solo per mostrare il mio buchino palpitante che voleva essere soddisfatto, stando ben attento che anche Bruno avesse una buona visuale. Ho avuto l’impressione che stesse per venire senza toccarsi ma che sia riuscito a trattenerla ancora.
Dopo un abbondante leccaggio del mio sfintere, che hanno anche coperto di sputi, tenendomi aperte le chiappette piccole e sode con le loro grandi mani, mi hanno infilato dentro le mazze venose e dure come il marmo. Non ci sono andati tanto leggeri, ben sapendo che ci ero abituato. Era proprio quello che volevo e li ho incitati con parole e gemiti a scoparmi forte. Si sono alternati per un bel po’ dentro di me tenendomi saldamente in vita. Hanno cambiato posizione più volte, anche alla missionaria, che io sapevo piacere molto al mio uomo. Immaginate un piccolo ragazzo sottomesso per lungo tempo alla virilità di due bestioni arrapati, per dare loro modo di ricaricarsi dopo che erano già venuti. La scena avrebbe fatto ricredere anche un santo.
Quando furono pronti, uno si è sdraiato sul divano inforcandomi da sotto e l’altro mi ha ingroppato poggiato sulla mia schiena e stringendomi saldamente a sé. Il mio buco era ormai completamente dilatato dalla lunga e feroce scopata e non ebbe difficoltà a prenderli insieme. Io godevo come una vacca, loro godevano come tori mentre il mio uomo, poverino, continuava a trattenersi. Tutti e quattro stavamo però sbavando dal piacere. Ancora poco e poi, prima quello di sopra e poi l’altro, sborrarono dentro di me un’altra quantità enorme di sperma bollente fino a svuotarsi completamente i coglioni.
Per loro deve essere stata una fortuna incredibile poter scopare senza limiti una giovane e fresca troia come me ed essere pure pagati per farlo. Ho sempre pensato che, almeno per quella sera, a due donne del paese era venuta a mancare la razione quotidiana, visto come avevo sfiancato completamente i loro mariti.
Non avevano ancora finito di riprendere fiato che Bruno li ha gentilmente, ma con decisione, invitati ad andar via, dicendo loro che ci sarebbero state altre occasioni. Rivestiti, sono usciti dalla porta di casa senza essere accompagnati. Le attenzioni del mio uomo erano finalmente solo per me.
“Vieni qui, ragazzino” mi ha detto, ben sapendo che quella frase, detta da mio padre, per tutta l’infanzia significava doverle prendere di brutto per qualcosa che avevo combinato. Ma così facendo l’aveva esorcizzata e l’aveva trasformata in una frase dai connotati positivi.
Mi sono avvicinato carponi fino ad arrivare all’altezza del suo pube, tra le sue gambe pelose e muscolose. Il cazzo aveva raggiunto dimensioni ancor più paurose del solito. Lo guardai con gli occhi languidi e pieni di gratitudine e di lussuria. Fece un segno di assenso con la testa, come se ce ne fosse stato bisogno. Mi aggrappai alle sue cosce ed ho aperto le labbra più che potevo per ricevere in bocca quel glorioso fungo paonazzo della sua cappella. Lui mi ha posato una mano sulla testa senza forzarla, solo per affermare il suo pieno possesso, e si è subito lasciato andare ad una micidiale sborrata tanto attesa. Ho ingoiato tutto. Trovavo il suo sapore ben più buono di quello di tutti gli altri uomini che avevo provato. Finalmente anche io mi sono scaricato sul pavimento senza toccarmi. Anche io mi ero trattenuto per tutto il tempo, per dimostrargli di essere partecipe della sua “sofferenza”, per mostrargli tutto il mio amore.
La stanza era diventata completamente rossa, invasa dalla luce del sole che tramontava. Sembrava preda del grande incendio delle passioni. Non si sentivano più i gridi degli uccelli, ormai andati a riposare. Potrei dire che l’unico rumore che sentivamo erano il battito dei nostri cuori.
“E’ stato fantastico” ho azzardato dire.
“Si, tesoro mio… Beh, adesso andiamo a cena. Andiamo in quel ristorante a lume di candela che ti piace tanto. Tutti devono sapere che sono io il tuo compagno... Al tuo culo ci penseremo dopo, a letto”. Mi avvicinò a sé e mi abbracciò forte. Bruno sapeva far convivere con facilità amore, rispetto e perversione, senza alcuna contraddizione. Benché il buco mi bruciasse per il trattamento subito da parte dei due estranei, pensai che erano quelli vissuti col mio uomo i momenti che avrei voluto vivere tutta la vita.
E così è stato finché morte non ci ha separati.


(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela tutta).

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