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UN OBELISCO DAVANTI AL FORO


di Foro_Romano
10.02.2017    |    11.183    |    4 9.7
"La sua espressione cambiò rapidamente..."
(Racconto n. 78)

(Questo racconto è dedicato a due miei appassionati lettori che mi hanno dato degli spunti: Chegusto e Menestrello83)

Per la notte ci siamo accampati poco oltre la porta Appia. Il giorno dopo avremmo fatto l’ingresso a Roma. Il ritorno dalla guerra era stato piuttosto lungo perché avevamo dovuto aspettare la stagione migliore per poterci imbarcare senza il pericolo di una tempesta. La guerra era stata breve e l’avevamo vinta senza alcuna difficoltà, con poche perdite. La rivolta di quella provincia, in fondo, era stata fatta da gente male organizzata e peggio ancora armata. Però, se fosse andata male, sarebbe stato un brutto smacco per l’impero ed è per questo che l’imperatore ci aveva organizzato un’entrata trionfale in città ed aveva indetto una settimana di feste e spettacoli.
Io ero il capo delle truppe e sarei stato incoronato di alloro dallo stesso imperatore. La sera facemmo un gran falò, ci fornirono una ricca cena ma non permisi ai miei soldati di eccedere in libagioni perché il giorno dopo dovevamo mostrarci al popolo nel miglior modo possibile. Per i bagordi ci sarebbe stato tempo nei giorni successivi. Non permisi loro neanche di coricarsi con le prostitute (ed i prostituti) che avevamo portato con noi a nostro uso durante la spedizione, e neppure con gli schiavi, che avremmo potuto vendere al mercato intascandone il prezzo. Più sono “nuovi” e più hanno valore.
Il giorno dopo è stato memorabile. Feci l’ingresso su una grande biga da parata decorata da festoni di fiori e trainata da quattro cavalli bianchi. Ho indossato una preziosa armatura donatami dall’imperatore che dava ancora più imponenza alla mia figura, già di per sé alta e massiccia. Davanti a me i soldati con le insegne, dietro le truppe a cavallo e, a seguire, i fanti. Tutti con le armature tirate a nuovo che brillavano al sole, tanto erano lucide. Facemmo la strada verso il Circo Massimo affiancati dalla folla festosa che gridava “duce, duce, duce” al mio passaggio. Entrammo nell’arena osannati dalla folla che gremiva le gradinate poi io ed i miei fidi più stretti siamo stati accolti nel palco imperiale dove si è svolta la cerimonia dell’incoronazione. Il banditore ha annunciato che il sovrano concedeva a tutti i miei soldati il dono di un pezzo di terra demaniale.
A me ha donato una villa urbana fornita di una grande casa e di un vasto parco con grotte e fontane. Inoltre avrebbe accolto qualunque richiesta gli avessi fatto, lasciandomi il tempo di pensarci. Subito dopo sono cominciate le feste con vari giochi gladiatorii, a cui hanno voluto partecipare alcuni dei miei valenti uomini per mettersi in mostra con la loro donna o per conquistarne qualcuna per passarci la notte. Anche io mi sono esibito in una lotta contro lo schiavo più forte che c’era ed ho vinto io. Ammetto che forse, in realtà, ha voluto perdere per rispetto alla mia autorità ma si è battuto con tutte le sue forze. Stremato e coperto di sudore, al centro dell’arena, ho alzato il braccio in segno di vittoria verso il mio imperatore ed il popolo si è alzato in piedi regalandomi un’altra grande ovazione.
Tutti avevano bisogno di dare sfogo alle loro voglie giovanili ma anche io ne avevo e quella notte la mia sposa, orgogliosa di me, avrebbe cercato di saziarmi ed in un certo senso ci riuscì, ma io sentivo il bisogno di altro. Il nostro non era stato un matrimonio di amore ma lei era figlia di un senatore ed era pur sempre la madre dei miei due piccoli figli. La dura vita trascorsa nelle campagne militari mi avevano fatto vedere tutte le più ampie applicazioni della sessualità. Avevo visto miei soldati appartarsi per accoppiarsi tra loro. Non avevo alcun pregiudizio al riguardo ma io, personalmente, non avevo mai avuto un tale interesse ed ero sempre stato con le donne del seguito.
Alla sontuosa cena ero veramente stremato. Tolta l’armatura, stavo sdraiato sul triclinio d’onore. Gli schiavi e le schiave danzavano e servivano i numerosi commensali. Tra loro ce n’era uno che colpì particolarmente la mia attenzione. Era molto giovane, magro e piccolino, biondo e con i capelli lunghi raccolti in una coda. Forse proveniva dalla Britannia o dalla Gallia. L’ho osservato a lungo mentre svolazzava con mosse decisamente femminee da un ospite all’altro allietando tutti con battute divertenti e spesso spinte. Ho notato i suoi occhi azzurri bellissimi e furbetti. Li ho notati perché… già, perché anche lui mi ha guardato molto ma la sua evidente intimità con l’imperatore mi ha trattenuto dallo scambiarci più di qualche parola.
Quel ragazzo mi stava piacendo sempre di più. Che mi stava succedendo? Sarà stata la stanchezza, mi andavo dicendo. I suoi sguardi però mi accendevano un fuoco dentro che mi sembrava di non aver mai provato. Lui poi sembrava volermelo attizzare sempre più. Ogni volta che si avvicinava con fare disinvolto poggiava le sue piccole mani sul mio torace o sulle mie cosce, subito sotto la corta tunica, o giocava scherzando col folto pelo delle mie gambe o con quello che mi fuoriusciva dal collo.
E’ vero, quella notte, dopo mesi di lontananza, ho scopato con la mia donna, a lungo ma, se ho resistito tanto, è stato perché, mentre lo facevo, pensavo a lui, ad averlo sotto di me mentre lo sventravo col mio cazzo. Non sono riuscito a prendere sonno. Ho sonnecchiato piuttosto, a tratti, ma alla fine ho preso una decisone.
All’indomani, appena fui al cospetto dell’imperatore, gli espressi il mio desiderio per il regalo speciale che mi aveva promesso. Volevo in dono quello schiavo. Lo vidi rimanere un attimo perplesso ma poi “Ebbene, sia. E’ il mio preferito ma me lo sono goduto abbastanza. Te lo concedo”. Non so spiegarmi perché ma, in quel momento, nacque in me una gioia infinita, che certamente non riuscii a nascondere. Mi accomiatai con un inchino di ringraziamento e filai a cercarlo nelle infinite sale del palazzo.
Lo trovai finalmente in una sala riservata alla servitù mentre parlava con altri schiavi. Tutti si meravigliarono della mia presenza in quel luogo. Gli dissi che volevo parlargli da solo e, con evidente felicità, mi condusse in un’altra stanza dove fummo soli. Gli fui subito addosso e lo schiacciai contro il muro, abbassandomi a baciarlo profondamente. Era molto più basso di me: mi arrivava al torace. Le sue tenere labbra aderirono alle mie; la mia grossa lingua gli ravanò la bocca con impeto; le salive si unirono e le assaporammo l’un l’altro; ebbi un’immediata erezione che, benché trattenuta dalle braghe e dalla tunica non poté non sentire anche lui. Si sciolse tra le mie braccia ma, appena ci staccammo, tentò di allontanarmi.
“Oddio, che sto facendo! Non posso, non posso. Il mio padrone è l’imperatore e non posso. Mi farebbe uccidere. La prego, se ne vada”.
“Si, certo, me ne vado ma tu verrai con me… Ti ho chiesto in regalo e lui ha acconsentito… Tu adesso sei mio”.
La sua espressione cambiò rapidamente. “Davvero?! Lei davvero è il mio nuovo padrone?!” Annuii. Mi saltò al collo e fu lui, questa volta, a regalarmi un bacio passionale. Si staccò. Era confuso. “Mi scusi, mi scusi, non dovevo ma… ma… ma sono veramente felice che lei sia il mio nuovo padrone. D’ora in poi obbedirò a tutte le sue richieste”.
Non ho resistito. “Vuoi davvero dimostrarmi la tua felicità?” dissi. Gli misi una mano sulla testa e lo spinsi verso il basso. “Allora succhiamelo come deve uno schiavo devoto”. Scivolò lungo il muro sul quale lo avevo stretto fino ad arrivare all’altezza giusta, davanti alla mia tunica. La mia eccitazione era evidente. Alzò gli occhi a guardarmi. Vi si leggeva desiderio di sottomissione, di devozione, di darmi soddisfazione. Mi alzò il lembo del vestito e abbassò le braghe. Rimase in ammirazione del mio grosso pezzo di marmo bollente. Ne respirò l’afrore. Tornò a guardarmi come per chiedermi il permesso ma non c’era risposta da dargli.
Si aggrappò alle mie cosce, aprì il più possibile la bocca e fagocitò la cappella. Cominciò così il più favoloso pompino che avessi mai ricevuto. Il più desiderato da me come da lui. Si scatenò a succhiare, pompare, segare, agitare la lingua a vortice, leccarmi i coglioni, il tutto accompagnato, quando poteva, da gridolini di godimento puro. Lo stesso che provavo io, con le mani appoggiate al muro, che a tratti lo fottevo fino in gola, facendogli affondare il naso nel mio pelo, senza che avesse la possibilità di scansarsi. Fu un crescendo di piacere che finì con un torrente di sperma sparatogli dentro mentre gli tenevo saldamente la piccola testa tra le mani. Un orgasmo pazzesco. Ingoiò tutto e non lo lasciò se non dopo che si era afflosciato e ne aveva succhiato l’ultima goccia.
Rimase un attimo con gli occhi chiusi, assaporando il mio succo in evidentemente stato di estasi. Poi li rialzò verso di me con l’espressione di chi sperava di aver fatto un buon lavoro, timoroso di aver sbagliato qualcosa. Gli sorrisi per tranquillizzarlo e lo aiutai a sollevarsi.
“Sei proprio un bravo ragazzo. Veramente molto bravo. Questa notte giacerai con me. Sarai mio completamente”.
“Oh signore, grazie. Vedrà che non avrà a pentirsi di avermi preso con sé. Sarò per sempre fedele e disponibile”.
Prese le sue cose, salutò i suoi amici del palazzo imperiale e lo condussi nella mia nuova casa. Spiegai a mia moglie che era un dono del sovrano e che qualche notte l’avrei passata con lui e, prima che potesse replicare, la zittii dicendole che il dono lo avevo molto gradito. Le notti, in effetti, sono state molto più di qualcuna.
Più tardi, quando fummo soli in camera da letto, lo accarezzai tutto. Sciolse i bei capelli biondi. Mi eccitava in maniera pazzesca ma, contemporaneamente, volevo essere delicato con lui. Avevo paura di fargli male, piccolo com’era rispetto a me. Era un perfetto connubio tra maschio negli organi e femmina nell’atteggiamento. Lentamente, con le sue aggraziate movenze, si denudò completamente mettendo in mostra il suo sederino perfetto. Poi si prodigò a spogliare me, girandomi attorno come una libellula.
Ci sdraiammo e subito cominciò a giocare con la mia barba, col folto pelo del mio torace. La sua manina scese più giù, seguendo la striscia fino all’ombelico, per finire nel pube rigoglioso, alla base del cazzo già completamente eretto. Lo strinsi delicatamente a me. Ne approfittò per leccarmi l’ascella. Si abbassò quindi a lambire con la lingua protesa la rossa cappella, mettendosi in modo che io potessi raggiungere con la mano il suo morbido culetto. Così, mentre provvedeva ad insalivarmelo abbondantemente con un altro succulento pompino appoggiato alle mie forti cosce pelose, io mi bagnai le dita e gliele infilai con cautela nel buchino ahimé non più vergine ma ancora piuttosto stretto. Prima una, poi due, poi tre.
Gemeva di piacere ma sapeva che avrebbe dovuto sopportare ben altro quando lo avrei infilzato col mio grosso e lungo membro. Ma lo desiderava ardentemente e quando si sentì pronto, prima che io decidessi di muovermi, mi venne sopra a cavalcioni, lo indirizzò con la mano e ci si calò sopra lentamente. Soffrì sicuramente molto ma non ebbe esitazione, guardandomi fisso come per dirmi che quel sacrificio lo faceva per me ma lo desiderava anche lui. Chiuse gli occhi ed alzò la testa solo quando era tutto sprofondato in lui, rapito dall’estasi.
Lo afferrai per gli esili fianchi e cominciai a stantuffarlo dal basso dapprima piano e poi sempre più velocemente finché il suo buco non tentò più alcuna resistenza e si aprì come un fiore al mattino. Lo rivoltai rapidamente, lo misi a quattro zampe e glielo ficcai dentro con un solo colpo per poi fotterlo senza più alcuna pietà. Lo sfondavo furiosamente con potenti e rapidi colpi di bacino. Non ragionavo più. Lo svangavo in tutte le direzioni, lasciandomi trascinare solo da una ferocia animalesca, fregandomene del suo dolore. Invece mi accorsi che lui… godeva.
“Ti piace, eh! Schifosa baldracca da monta. Lurida puttana da lupanare. Sei una cagna. Sei la mia fottutissima cagna” gli gridavo sbattendomelo come un satiro scatenato. Sbavava, sbiascicava qualcosa, gli uscivano versi spezzati incomprensibili. Venne senza toccarsi ma io continuai a fotterlo imperterrito. Lo girai come un fuscello, lo presi per le sottili caviglie e ripresi a chiavarlo. Tutto il mio corpo, i miei muscoli, le mie cosce, il mio pelo erano scossi dalle feroci bordate che gli davo. Ero imperlato di sudore che gli colava addosso. Il suo dolce viso era stravolto.
“Siii padrone, tutto” riuscì finalmente a dire e, a quelle parole, capitolai e, con un enorme grugnito, gli diedi tutto me stesso: sborra, amore, anima, tutto gli scaricai dentro. Crollai rimanendo ben piantato in lui ma ebbi la lucidità di far cedere le mie braccia sui gomiti per evitare di schiacciarlo sotto il mio peso. Quando fui di nuovo in me stesso gli accarezzai la testa, gli coprii di piccoli baci tutto il viso. Eravamo chiaramente soddisfatti ma il mio cazzo no. Continuava ad essere duro e rigido e dovetti scoparlo e venirgli dentro altre tre volte quella notte prima di concederci il sonno ristoratore.
Non mi era mai successo prima. Nessuna donna mi aveva mai eccitato tanto come quel docile efebo. Sono tre anni ormai che sta con me e mi è stato sempre fedele. Dice che il suo foro anale non potrà mai trovare un obelisco più grande del mio e che nessun altro ci si troverebbe a suo agio dentro. L’ho portato anche con me in un’altra campagna militare e tutta la guarnigione poteva sentirlo gridare mentre me lo scopavo. Naturalmente mia moglie, intanto, si è trovata chi la soddisfa ma non me ne può importare di meno. Sarò sempre grato al mio imperatore per quel dono. Il più bello della mia vita.

(Le stesse cose si possono fare con le precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo. Non rovinatevi la vita, godetevela).

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