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Gay & Bisex

RUSPANTE È MEGLIO - 3


di Foro_Romano
07.02.2019    |    3.300    |    2 9.9
"Nei giorni seguenti ero euforico..."
(Racconto n. 99)

Non so perché ma anche questa volta un mio racconto non è stato pubblicato, eppure non andava contro nessuna regola. Boh. Si tratta di “Ruspante è meglio 2” e questo è il seguito.


L’avventura nel cinema se, da una parte, aveva più che soddisfatto la mia voglia di cazzo dall’altro mi aveva lasciato una certa amarezza dentro. Mi sentivo in colpa nei confronti di Bruno e non riuscivo a convincermi diversamente. Non sono più uscito alla ricerca di maschi e sono andato avanti a seghe. Stranamente, benché mi sforzassi di immaginare uomini e situazioni diverse ed eccitanti, finivo sempre ad immaginarmi sotto i colpi di Bruno e solo allora arrivavo a sborrarmi addosso. Ma lui non era qui con me e l’amarezza cresceva.
Glielo dicevo sempre, tutte le sere che ci vedevamo con WhatsApp, e lui
“Tu, oltre alle pippe ti fai anche le seghe mentali. Devi prenderla solamente come un’esperienza piacevole. Sono stato io il primo a dirti di uscire e cercare di soddisfare la tua voglia di cazzo. Non devi pensare di avermi fatto le corna”.
Io mi sentivo ancora più male a queste sue parole. Era come se lui non mi volesse bene, o almeno non come gliene volevo io. Chissà quante corna stava facendo lui a me! Ma erano poi corna? Avevamo scopato come ricci ma non ci eravamo mai dichiarati innamorati l’uno dell’altro.
“Dimmi la verità. Sei stato con quello spocchioso di ragazzo che si dà tanto da fare in parrocchia e che mi hai detto che ti piaceva, vero?”
“No non ci sono stato, ma se continui a fare il geloso ci vado e me lo sbatto alla grande, tanto ho capito che gli piacerebbe non poco”.
“No, no, scusa. Si forse sono un po’ geloso. Mi faccio troppe fantasie in testa. La verità è che mi manchi. Non sai che voglia ho di farmi scopare da te”.
“Ma di cazzi ne hai avuti fin troppi lì al cinema”.
“Ma sei tu, tu quello che mi manca. Lo capisci?” e sono scoppiato a piangere.
“No cucciolo, non fare così. Non abbiamo colpa né io e né te del fatto che viviamo distanti. Non ho fatto niente con nessun’altro perché ho solo te in testa e, dopo le nostre chiacchierate serali, mi tiro una sega pensando a te, piccolo mio”.
“Davvero? Dici davvero?”
“Si è la verità. Tu mi piaci tantissimo e sarei ben felice di sbatterti dalla mattina alla sera, di sborrarti in bocca e in culo in continuazione fino a che le mie palle si siano svuotate completamente e non ce la fanno a produrre altra sborra e… e continuerei a sbatterti anche dopo che ho finito la sborra”. Mi fece sorridere e mi rasserenai.
“Grazie Bruno, sai sempre come farmela passare”.
“Che? La gelosia o la voglia di cazzo?”
“Ih, ih, stupido”.
“Sai che ti farei adesso se stessi lì con te?”
E io, con falsa ingenuità: “No, cosa mi faresti?”
“Ti farei spogliare completamente, anzi ti spoglierei io piano piano. Poi mi spoglierei io guardandoti lì nudo e indifeso davanti a me”.
“Il tuo cazzo crescerebbe a vista d’occhio. Ih, ih”.
“Appunto! Poi…”
“Poi… cosa?” e dentro di me cresceva la voglia.
“Poi ti prenderei e ti lancerei sul letto di schiena…”
“Io aprirei ed alzerei le gambe in attesa del tuo assalto”.
“Si, bene. Ti salterei addosso e, mentre ti ficco la lingua in bocca, ti sfondo in un colpo col mio ariete”.
“Vorresti farmi male?”
“Si e vorrei sentirti urlare dentro la mia bocca, e più urli più ti fotto forte fino a sentirti godere e solo a quel punto esploderei dentro di te, stringendoti forte”.
“Sfondarmi il culo va bene ma attento però a non stritolarmi. Tu sei troppo forte per me”.
“Ah, ah, che troia che sei… Ecco, non posso dirti certe cose che me l’hai fatto diventare duro. Guarda” ed ha abbassato l’immagine verso la mano che teneva la grossa minchia.
“Oddio quanto è bello! Anch’io ce l’ho duro”. Ho abbassato anche io l’immagine e gli ho fatto vedere mentre mi sborravo in mano.
“Cazzo, tesoro, guarda” e sullo schermo del tablet ho potuto assistere in diretta ad una poderosa sborrata che nemmeno i pornoattori si sono mai sognati. Ed era per me, solo per me!
“Oh Bruno, come mi piacerebbe sentire il profumo della tua sborra e leccartela via tutta!”
“Ed a me piacerebbe sentire la tua linguetta mentre mi ripulisci il cazzo mentre ancora vibra di piacere. Claudio, anche tu mi manchi molto”.

Tutte le sere era quasi sempre la stessa storia: finivamo con lo sborrare insieme. Ma non finiva lì perché le sensazioni che ci trasmettevamo continuavano anche dopo che finivamo la conversazione. A letto c’era sempre un’altra sega ad aspettarci, e sempre ad onore l’uno dell’altro. Cosa ci attirava non so bene spiegarlo. Da parte sua non era pedofilia perché sono maggiorenne: ho 19 anni. Da parte mia non era incesto perché non avevo impressione di fare certe cose con mio padre, peraltro più giovane di lui di dieci anni. Tra noi c’era un’attrazione non solamente sessuale, seppure molto forte. Conoscevamo perfettamente i pensieri ed i desideri dell’altro prima ancora di esprimerli.
Una sera, poco tempo dopo, se n’è uscito con una novità.
“Ascolta, cucciolo. Ho una sorpresa per te”.
“Per me? Che sorpresa?”
“Termino coi lavori agricoli, ormai è quasi inverno e mi sono messo d’accordo col mio vicino. La prossima settimana penserà lui ai miei animali e io potrò prendermela di vacanza e venire da te. Che ne dici?”
Ero fuori di me dalla gioia. “Davvero!!! Waw. Oddio come sono felice, felice, feliceee. Ma, ma come faremo… dove faremo l’amore. Io non posso ospitarti a casa coi miei…”
“Non ti preoccupare. Ho un amico che mi ha ospita a casa sua: ha una camera vuota. Così potremo fare tutto ciò che vogliamo”.
“Ohhh, veramente fantastico!”
“Se poi qualche notte potrai stare con me… Potremo dormire insieme”.
“Non credo che riusciremo a dormire. Almeno io. Tu potrai farlo ma solo se mi permetti, mentre dormi, di poter avere il tuo uccello in bocca. Ih, ih, ih”.
“Sei un maialino incorreggibile! Vedremo. Ti farò sapere se sarà possibile”.
Ridemmo. Ero felice come una Pasqua e quella sera la sega fu più intensa. I miei genitori non capivano che cosa avessi. Nei giorni seguenti ero euforico. Chissà, forse si saranno preoccupati pensando che mi drogassi. Chissà se per loro era meglio quello che sapere che il loro figlio era una troia gay senza pudore.

Il fatidico giorno arrivò e andai a riceverlo alla stazione. Ci abbracciammo e baciammo (sulle guance) con una foga che ci avranno presi per parenti che non si vedevano da una vita. Arrivati a casa dell’amico, questo ci ha accolto con calore. Loro veramente non si vedevano da molto tempo. Si erano conosciuti durante il servizio militare, più di 30 anni prima, e si erano incontrati poche volte da allora. Era veramente un bell’uomo. Naturalmente coetaneo di Bruno, sui 50, anche lui alto e ben piazzato, spalle larghe, completamente rasato in testa e con un pizzetto nero con un po’ di peli bianchi.
Si chiama Franco e ci siamo baciati sulle guance. Devo dire che ho provato una certa eccitazione quando mi ha stretto tra le braccia.
“Ma che bel ragazzino che ti sei trovato! Ricordi quanti ce ne siamo fatti allora quando eravamo in libera uscita? Eravamo dei bei ragazzi sai? (Rivolto a me) Si attaccavano come ventose ai nostri bigoli e ci svuotavano ogni giorno”.
“Perché, gli altri commilitoni te li sei scordati? E il giovane tenente? Che tempi!”
“Quello poi! Si faceva trombare da tutti e due insieme, e se dico insieme… insieme, anche nello stesso buco, non so se mi capisci”.
“Beh adesso lasciamo perdere i ricordi”, ha detto Bruno un po’ imbarazzato con me. “Lui è Claudio e ci siamo conosciuti quest’estate, quando è venuto in vacanza nel mio paese”.
“Immagino che è stata una vacanza piacevole”.
“Si, certo”, ho risposto arrossendo.
“Venite… Ecco, questa è la stanza. Il letto è pronto e le lenzuola pulite. Non ti aspettare che te le cambio tutti i giorni. Questa casa non è un albergo” e risero. “Il bagno è in comune, ma su questo ci metteremo d’accordo. Adesso io vado di la, divertitevi e se vi serve qualcosa… (e fece una lunga pausa, quasi a voler sottolineare le parole) non avete che da chiamarmi”. Si sono dati una pacca sulla spalla a vicenda e quello è uscito richiudendosi la porta dietro.
Gli sono saltato subito al collo alzandomi da terra, data la differente altezza, e gli ho stampato un bacio sulle labbra. Tornato a terra, gli ho messo una mano sull’ampio torace.
“Bruno, Bruno, finalmente insieme”.
“Avremo una settimana tutta per noi. Salvi i tuoi impegni, naturalmente”.
“Non ho impegni. Ho fatto in modo di non avere altro da fare se non con te”.
“Che racconterai ai tuoi?”
“Che andrò a giocare alla playstation con un mio amico”.
“E se ti cercano da lui?”
“Con lui sono d’accordo. Se mi chiamano, trova una scusa e mi avvisa subito”.
“Ma gli hai detto di noi?”
“No. Gli ho fatto intendere che avevo una smorfiosa tra le mani”.
“Ah, ok”.
“Non vendevo l’ora di rivederti”, ho detto con entusiasmo.
“Perché sei un porcellino. Sai che sarai mio per l’intera settimana e ti userò in continuazione. Ho evitato di farmi seghe da tre giorni per te, e tu sai la voglia che ho sempre”.
“Benissimo. Ho tanta voglia anche io di farmi usare”.
“Già, mi correggo. Non sei un porcellino ma proprio una troia”.
“Perché? Ti dispiace?”, ho detto con malizia.
“Non ti rispondo nemmeno” ed ha cominciato a spogliarmi, ed io a lui. Un capo alla volta. Una volta io a lui ed una volta lui a me fino a rimanere in mutande. Mi sono inginocchiato davanti a lui. Sotto lo slip bianco c’era ormai una prominenza spropositata verso la sua anca destra e ‘qualcosa’ che cercava di fare capolino dall’elastico. Ci ho messo le labbra sopra. L’ho mordicchiato per tutta la lunghezza (ed era tanta). Ci ho riversato sopra tanta di quella saliva che il tessuto si era fatto trasparente, così da far vedere chiaramente cosa cercava di nascondere senza riuscirci.
Gli ho calato le mutande lungo le forti cosce pelose fin sotto le ginocchia e quelle sono precipitate alle caviglie. Con due movimenti se n’è sbarazzato. Ecco là il mio idolo, duro e possente. L’ho visto tante volte ma ogni volta rimango imbambolato ad ammirarlo. Grosso, lungo, leggermente curvo all’insù, pieno di grosse vene violacee, il condotto uretrale ben evidente, la cappella grossa ma proporzionata, già pronta allo sfondamento.
Ho cominciato col passare la lingua lentamente lungo l’asta, dalla base alla cima. Ho slinguazzato il glande senza però imboccarlo. Ho ripercorso la strada all’indietro fino alle palle. Vi ho affondato il muso ed ho respirato profondamente il suo profumo di maschio. Ho inzuppato per bene di saliva la grossa sacca pelosa per poi riassorbirne i sapori virili di cui era impregnata. Ancora una volta sono risalito alla cappella. Tutto sempre con molta lentezza perché si eccitasse ancora di più. Lo sentivo vibrare. Ho alzato lo sguardo per vedere la sua reazione mentre gliela prendevo in bocca e gli roteavo attorno la lingua. Stava con gli occhi chiusi a godersi il trattamento. Gemeva.
Ho iniziato a pomparlo muovendo le labbra in modo che gli roteassero un po’ attorno. Mi sono infilato in bocca tutto il suo cazzone fino ad immergere il naso nei suoi odorosi peli del pube e poi sono tornato indietro succhiandolo come un ghiacciolo… e di nuovo giù, fino alla base. Sono passato a leccargli la voluminosa sacca dei coglioni ma lui mi ha indirizzato di nuovo alla cappella, facendomi riprendere la pompa. Non avrebbe resistito molto, lo sentivo. Per questo mi ha fermato, mi ha afferrato per i capelli e mi ha strattonato via.
“Mi dispiace, piccola troia, per assaggiarla ci sarà tempo. Sono venuto qui prima di tutto per sfondarti il culetto. Alzati e girati” mi ha ordinato. Ho obbedito immediatamente. Questa volta si è inginocchiato lui, dietro di me. Ha afferrato il tessuto delle mie mutande al centro del solco e me le ha stracciate lasciandomi a nudo il sedere. Che motivo c’era? Bastava sfilarmele. Peccato, erano nuove e firmate e le avevo messe per l’occasione, ma in quel momento il rimpianto non mi è nemmeno passato per la testa. Ha afferrato a due mani le mie natiche.
“Cavolo. Che meraviglia! Tenere e sode come piacciono a me” e me le ha pastrugnate. “Poi, questa leggera peluria che le ricopre! Chiappe da femmina ricoperte di pelo! Splendide! Così mi ricordano che mi scopo un bellissimo ricchioncello”. Il mio uomo mi riempie sempre di complimenti. Ne ero orgoglioso. “E che c’è qui dentro? Che nascondi?”. Senza togliere le mani, coi pollici me le ha allargate. “Favoloso! Qui c’è un bel buchino profondo pronto ad allargarsi per accogliere la mia minchia. Non ne vede l’ora. Guarda come boccheggia!”
Era vero. Stavo morendo dalla voglia di essere posseduto da lui. Ho mugolato per confermargli quello che aveva capito. Si è alzato e mi ha preso letteralmente in braccio come una piuma. Mi ha stampato un tenero bacio sulla guancia e mi ha deposto sul letto, come un fiore nell’acqua. Un fiore da deflorare. Mi è venuto sopra, togliendomi per un po’ il fiato per colpa del suo peso. Ma non lo sentivo. Il contatto col suo corpo massiccio, col suo folto pelo che gli ricopre il petto, il leggero odore di sudore nelle sue ascelle, mi facevano sentire desiderato.
Ha fermato la mia testa tra le sue grandi mani e mi ha dato ancora un bacio sulle labbra, un altro ancora, ed ancora, ancora, fino a che non le ho socchiuse. Lui ne ha approfittato per scardinarle e invadermi con la sua potente lingua guizzante. L’ho fermata succhiandola per poi rotearci attorno la mia. Siamo andati avanti per un po’ così, mentre sentivo la sua mazza contro la mia gamba, all’altezza del ginocchio, dura come un pezzo di marmo e calda come un tizzone ardente.
Quindi ha staccato la testa dalla mia e mi ha guardato intensamente, con amore e tenerezza ma anche passione e lussuria. Ci siamo capiti e mi ha dato l’ascella da leccare. Ho fatto indigestione di feromoni. “Ti basta?”. Ho detto di no con la testa e mi ha offerto l’altra. Quando ho finito, si è tirato su e mi ha afferrato le gambe da sotto le ginocchia, alzandomele ed è ridisceso su di me lasciandomi in quella posizione, pronto e aperto alle sue voglie (e anche mie). Si è fatto bagnare due dita infilandomele in bocca e me le ha infilate con decisione nel mio buco. Ho fatto uno scatto per la fitta che ho provato ma non ho detto niente, mentre con gli occhi gli dicevo di andare avanti. Credo che a quel punto non avesse bisogno del mio consenso: mi avrebbe preso comunque, tanta era la voglia.
Ha puntato la grossa cappella ed ha dato un leggera spinta. L’ano ha resistito. Altra spinta, ma un po’ più forte. Ancora niente. Altra spinta ma stavolta decisa e forte e l’ano ha ceduto aprendosi al massimo e forse anche oltre. Ho gridato ma mi ha zittito con la sua bocca. Un attimo di pausa e poi una spinta che mi ha squarciato e scardinato il culetto in un sol colpo. Ho urlato con tutto il fiato che avevo ma la sua bocca incollata alla mia ne ha attenuato il suono.
Ancora una pausa. Breve. Mi ha abbrancato fortemente ed è partito a fottermi con tutta la forza e la potenza che aveva. Non ho sentito altro che un calore ed un piacere che mi salivano dentro. Ho allungato le mani a toccare le cosce poderose e dai muscoli guizzanti ad ogni spinta. Mi ha lasciato libero di muovere la testa come un pazzo. Guaivo, gemevo, mi si bloccava il respiro, mi si giravano gli occhi. Lui mi osservava con un’espressione tra la soddisfazione e la ferocia selvaggia, continuando a spaccarmi l’anima, ma io non riuscivo a guardarlo, perso com’ero nel piacere assoluto di sentirmi totalmente suo, di essere completamente sottomesso a lui, di essere un’unica carne con lui.
“Ti piace, puttanella? È questo che volevi?”, ma io non riuscivo a parlare. “Dillo, lurida troia. Dillo!”
“Si, mi piace. Ancora, ancora. Sono tuo, sarò sempre tuo amore mio”.
“Pensi che ti possa bastare il mio cazzo senza dover andare a farti sbattere al cinema? Che hai provato quando ti hanno scopato tutti quegli uomini? E’ stata la stessa cosa? Dillo!”
“No, non è uguale. Il tuo cazzo, voglio solo il tuo cazzooo… Ahhh…”, sono riuscito a dire con la voce strozzata.
“Allora prendi il mio cazzo, puttana. Prendi, prendi, prendi… Cazzo, cazzo, cazzoooo” e, tremando e grugnendo, si è scaricato tutto dentro di me. Il mio uomo aveva preso completo possesso di me, mi ha inseminato del suo caldo succo virile. Si è lasciato andare su di me respirando affannosamente, il cuore a mille, per poi alzarsi sulle braccia per non pesare troppo su di me. Finito lui, sono venuto anche io, tra le nostre pance, godendo come forse non avevo mai goduto, certo mai come con lui.
Rimanemmo così per un po’, lui dentro di me, ancora barzotto. Due corpi fusi in uno, fusi anche di cervello. Si è poi sfilato da me e mi si è sdraiato accanto, ancora respirando affannosamente. Ne ho approfittato per chinarmi sul suo cazzo, ancora turgido e lucido di umori e sborra. Non ci ho pensato due volte e l’ho abboccato per ripulirlo tutto con la mia linguetta guizzante. Ha avuto ancora altri scatti, vibrando di piacere e di fastidio assieme ed emettendo ancora qualche goccia di sborra, da me avidamente lappata.
Mi sono accoccolato sulla sua spalla, nell’incavo dell’ascella odorosa e gli ho posato una mano sull’ampio petto a giocare col suo pelo. Quando siamo riusciti a riprendere l’uso della parola
“Però il povero Franco ci avrà sentiti e si starà tirando una sega. Dobbiamo pure ricambiare in qualche modo l’ospitalità”. Ho avuto un tonfo al cuore. Come! Dopo quel nostro favoloso amplesso mi voleva consegnare al suo amico?”. Prima che potessi rispondergli “Franco, vieni pure” gridò. Un secondo e quello entrò in camera. Completamente nudo e con un cazzo in tiro veramente grosso.
“Finalmente! Non ce la facevo più. Adesso lascia fare a me” ed è salito sul letto, in ginocchio, avvicinandosi al mio culetto distrutto, da cui sgorgava un continuo e filiforme flusso di latte biancastro, il pisello saldamente in mano.
Un “No” deciso del mio uomo lo ha fermato. “Mi spiace Franco ma quello è mio e solo mio”. A quelle parole la mia delusione è sfumata di colpo e si è trasformata in gioia. “Se vuoi, puoi venirgli in bocca, ma senza scopargliela”.
“Ok, come vuoi” accondiscese subito quello e si è avvicinato alla mia bocca. “Spalancala, bella zoccoletta… tira fuori la lingua… ecco così, brava. Cerca di berla tutta”. Una breve pugnetta è bastata, tanta era la voglia, e sono partite una serie di schizzi che sembrava interminabile, e tutti hanno centrato facilmente il bersaglio. Con la bocca piena di sperma, avevo la tentazione di chiudere la bocca e deglutire ma altri schizzi arrivavano senza sosta e non volevo perderne nessuno (che volete, è la mia natura di troia). Ho resistito fino alla fine e solo allora ho ingoiato tutto, poi mi sono avvicinato ed ho leccato via le ultime gocce dal buchino. Molto buona, devo dire. Anche lui si vedeva molto soddisfatto.
“Come va, adesso? Questo e solo questo potrai fare in questi giorni, se vuoi”.
“A me sta bene. Grazie. Ti sei trovato proprio un bel ragazzino voglioso”. Poi, rivolto a me “Ti è piaciuta la mia sborra?”.
“Lui non deve dirti niente. Lui fa quello che voglio io. Che gli piaccia o no”, intervenne Bruno. A quelle parole, ero al settimo cielo.
Franco mi ha dato un buffetto sulla guancia, sorridendo, ed è uscito richiudendo la porta.
Rimasti di nuovo soli, “Ah, è così? Io faccio solo quello che vuoi tu?” gli rimproverai scherzosamente.
“Stupido. E’ perché so che piace anche a te, ma non glielo dire, sennò quello va oltre”.
“E se pure lo facesse? Pensi che non mi piacerebbe?”
“Purtroppo so che ti piacerebbe eccome, ma in questo non transigo. Tu sei mio e basta!” sentenziò. Come mi piacevaaa quando faceva il duro! Ci siamo sdraiati sul letto, io appoggiato alla sua spalla, lui col braccio attorno al mio collo. Ero rilassato, mi sono sentito protetto.
“Sai una cosa?” ho azzardato timidamente.
“Cosa?”.
“Quello che ti dico è a titolo personale, deve essere senza alcun impegno da parte tua”.
“Di che parli?”, ha detto sempre più interessato e forse agitato.
“Io… Io… Ecco… Volevo dirti che mi sono innamorato di te e vorrei stare con te… ma non ti devi sentire obbligato…”
“Che stupido che sei! Mi ero preoccupato. Chissà che pensavo che fosse”.
“Tutto qui? Non dici niente?”.
“Non hai capito che ti amo anche io? E poi non sono sicuro che tu mi ami”.
Mi sono sollevato e ho detto, un po’ stizzito: “Come, non sei sicuro. Se te l’ho detto!”.
“Visto quanto sei troia, non sono sicuro se tu ami me o il mio cazzo”, indicandomelo. Era bello, flaccido ma corposo, disteso sulla sua coscia. L’ho ammirato per un po’.
“Beh, forse hai ragione” e siamo scoppiati a ridere. Gliel’ho preso in mano, l’ho soppesato, strizzato leggermente. Non ho resistito e mi sono abbassato a prenderlo in bocca. Era moscio ma subito ha reagito e si è andato via via più gonfiando. Le mie succhiate hanno fatto effetto molto presto.
“Non ti è bastato bere la sborra di Franco? Adesso vuoi anche la mia, lurida succhiacazzi?”. Le sue offese sono miele per me, e lui lo sa.
“Mmf… si… mmm… perché no?... Suck, suck…”
“Non ti voglio dare questa soddisfazione” e mi ha sottratto il lecca-lecca dalle labbra tirandosi su. Mi ha rivoltato con facilità a pancia sotto e mi ha afferrato il culetto con le due mani. “Voglio ancora questo”.
“No… daiii… porco… Lasciami”. Lungi da me l’idea di impedirglielo.
“Stai zitta, puttana. Sei mia e ti prendo e ti uso quando e come mi pare”.
Poco potevo fare contro la sua forza. Mi ha tirato su il sedere verso di sé, in ginocchio, e mi ha spinto sul collo per tenermi la bocca contro il cuscino. Ha puntato il suo enorme pisello contro il mio buco, ancora incremato dalla sua precedente sborrata e mi ha impalato con un solo potente colpo di reni. Talmente è stata forte la spinta che mi è sembrato che anche le palle pelose si erano fatte largo nel mio forno e che mi stava riuscendo dalla bocca. Ho urlato ma il cuscino ha attutito il suono ed ho continuato ad urlare mentre mi fotteva con forza, stracciandomi il culo.
Poi… il piacere più puro! Il mio uomo stava prendendo quello che gli spettava con tutta la forza di cui era capace. Ero stretto tra le sue braccia, avvolto dai suoi muscoli, dal suo pelo, dal suo sudore, dal suo odore selvaggio. Non ci è voluto molto per sentirmi i brividi dappertutto, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, ed il mio corpo mi ha lasciato. Il culo mi si è aperto di colpo, completamente spaccato, ed ho schizzato il mio piacere chissà dove. Ho goduto davanti e dietro contemporaneamente. Ero sfatto, ero un pupazzo di pezza tra le sue mani, ero un buco nel quale sfogarsi. Ha continuato ed ha grugnito per tutto l’amplesso come un animale infuriato, non so per quanto tempo ancora, il mio cervello era una massa informe e inattiva.
Le sue spinte si sono fatte più secche, più rapide, più profonde finché, fumando dalle narici come un toro, con un urlo stozzato si è inarcato all’indietro per ficcarmelo più in fondo possibile ed è venuto. Un’infinità di schizzi, una quantità enorme di caldo sperma mi ha invaso, ha lavato le mie budella e riempito la pancia.
Si è lasciato andare su di me e siamo caduti lunghi sul letto, con il cuore al massimo del pompaggio e il respiro affannato, tra l’odore del sudore e quello del sesso, quello dello sperma, mio e suo. I suoi baffi mi pungevano sul collo, che mi ha riempito di piccoli baci. Da fuori della stanza abbiamo sentito un “Aaaahhh” di Franco che si liberava ancora una volta del carico, certamente eccitato dai nostri rumori. Ci è venuto da ridere ma non ci siamo mossi dalla nostra posizione. Ho allungato la mano dietro di me per accarezzargli la testa pelata in segno di gratitudine.
“Dovrai stare sempre con me, non posso perderti. Mi dai più soddisfazioni tu di loro”.
“Cosaaa? Loro chi?”
“Ma loro, le mie pecore. Quando sono in fregola come pensi che mi sfoghi? Loro strillano perché non vogliono, invece tu perché lo vuoi. C’è più soddisfazione, ti pare?”.
Sono sgusciato rapido da sotto di lui sfilandomi dal perno ormai debole che ci univa e l’ho colpito con una gragnuola di pugni sul petto, duro come una parete. “Lurido villano. Mi vuoi paragonare a una pecora? Vuoi dire che gli hai messo dentro lo stesso cazzo che mi sono succhiato e che hai messo in culo a me?”.
“Beh, che c’è di male? L’ho lavato prima di dartelo, sai?” e rideva, sicché anche io sono sbottato a ridere.
“D'altronde non avrai più bisogno di farlo”.
“Perché? Che vuoi dire?”.
“Ci ho pensato e…”, ho sospeso apposta la frase.
“E…?”
“…E credo proprio che verrò a studiare nell’università di Siena, vicino a te, così tu mi ospiterai e vivremo insieme e… non dovrai più ricorrere alle vacche”.
“Pecore” mi ha corretto. “Davvero? Questo vuol dire che sarai tu la mia vacca?”.
“Lurido maiale” e ho ripreso a colpirlo di pugni a salve.
“No, toro. La vacca c’ha il toro” ha corretto ancora.
“Ah, già. Ma io so poco della vita in campagna. Dovrai insegnarmi tante cose”.
“Già ti ho dimostrato come è bello scopare vicino ai maiali, passeremo ad altro…”
“No, no, non hai ancora capito bene, dovremo rifarlo ancora, e ancora, e ancora…”.
“Ma, si, si, puttanella mia, si, ok, lo rifaremo, almeno fino a che il tuo sederino reggerà”.
“Tu non ti preoccupare per questo. Reggerà”. E giù a ridere, ad abbracciarsi ed a baciarsi.

Adesso vivo con lui, in campagna. Mi segue e mi obbliga a studiare, come un buon papà, pena a letto senza cazzo di maschio e io senza quello non sopravvivo. Che volete? Ruspante è mooolto meglio.
Che dite? Sarà vera la storia delle pecore?


(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).

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