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VIAGGIO A ROMA - 5 (non tutte le ciambelle escono col buco)


di gioviaf
16.08.2019    |    3.041    |    1 8.6
"Fatta con cura la mia toeletta me cercai di ritrovare le forze spese con una bella cenetta in un ristorantino vicino..."
VIAGGIO A ROMA - 5 (non tutte le ciambelle escono col buco)


Mi svegliai che era già quasi sera. Avevo dormito un’intera giornata e mentre ancora indugiavo sotto le lenzuola pensando e ripensando alle mie fortunate conquiste romane, di colpo mi ricordai che mio padre prima che io partissi si era raccomandato che portassi i suoi saluti a un suo vecchio amico, il signor Bianchi.

Fatta con cura la mia toeletta me cercai di ritrovare le forze spese con una bella cenetta in un ristorantino vicino. Dopo aver cenato telefonati a questo signor Bianchi : una delle persone più noiose che mai mi fosse capitato di conoscere. L’unico interesse della sua grigia vita era collezionare soldatini di piombo.

Dopo neanche due minuti di formali domande sulla salute dei miei, si offrì di accompagnarmi a visitare una mostra di miniature militari. Ce n’era per tutti i gusti e di tutte le epoche dai soldati romani ai piloti dell’era spaziale. Quando capii dove sarebbe andata a finire la mia serata, addussi la solita scusa dell’appuntamento preso in precedenza. “Oh, quanto mi dispiace, caro amico, che lei debba andare. Finalmente avevo trovato una persona interessata al mio hobby; non è certo con mia moglie che riesco ad avere questo genere di conversazione. Da lei non c’è verso di farsi ascoltare. Lei vuole parlare solo di vestiti e di tutte quelle stupidaggini che le donne si mettono addosso…”. Come la capivo questa donna!

Essendo riuscito a liberarmi, non senza fatica da questo tipo davvero stancante, stavo per uscire dallo stabile quando mi sentii trattenere per un braccio. “Lei è Gio, non è vero?”. Dei jeans incollati alle anche, sul ventre e sulle cosce, un maglione girocollo a coste larghe che sembrava non riuscire a contenere l’arrogante spinta di due seni di marmo; una sconosciuta era davanti a me.

Alla mia espressione attonita aggiunse “Ero nella stanza da bagno quando lei ha suonato a casa mia. Sarei ben presto venuta a raggiungervi ma quando ho sentito mio marito che attaccava ancora una volta a raccontare la solita storia dei soldatini, ho preferito guadagnare la porta e andarmene a fare un giro”. Scuoteva la testa, qualche ricciolo biondo ondeggiava sulla sua fronte che, alta e bombata, chiudeva un viso da divinità nordica.

I suoi occhi diventavano fiammeggianti di collera “Signore, lo sa che mio marito è capace di passare intere giornate e intere notti a risistemare per la centesima volta la sua collezione di soldatini? Lo sa che a volte ho l’impressione che non si ricordi neanche della mia esistenza?”. Fremeva di rabbia “Mi dica in tutta sincerità, le sembro meritare, alla mia età, un simile continuo oltraggio?”.

Preso alla sprovvista io ancora non ero riuscito ad aprire bocca. Riuscii a malapena a rassicurarla sul vero effetto del suo fascino. “Tanto peggio per quell’idiota”, continuò, “in fondo l’avrà voluto lui…”. Mi spinse di nuovo nel portone “La mia cameriera è partita oggi, saliremo nella sua stanza e lei avrà modo di sincerarsi che se uno preferisce i soldatini di piombo questa non è colpa mia”.

Una piccola stanzetta col letto di ferro, l’armadio bianco e un tavolinetto con la sedia, alle pareti c’erano incollate copertine di settimanali e le immancabili foto di attori. Era la stanzetta di una giovane cameriera. Non ebbi, tuttavia molto tempo per guardare il romantico alloggio infatti la moglie di Bianchi, Edvige, come ebbe tirato il chiavistello in men che non si dica si era liberata dei pantaloni e del golf.

Io rimasi di sasso, veramente ammutolito. Né le mutandine né il reggiseno riuscivano a nascondere la pallida nudità di un corpo insieme angelico e provocante la cui pelle chiara aveva la trasparenza di un lago scandinavo. Appena la donna, inarcate le reni spinse avanti le sue tette, vere colline di neve, io sentii rinascere al completo tutti i desideri che credevi di avere calmato almeno per un po’ nella notte folle con Lolita.

Il suo petto trionfante, le sue anche rotonde, le sue cosce, tutto mi eccitava. Mi sentivo girare la testa rapito. “E allora amico? La sua risposta. Ho diritto di affermare che mio marito è un emerito imbecille?”.

Non potei trattenermi e per tutta risposta, con grazia ma deciso, attirai la donna contro di me. “No, questo no”, Edvige tentò di svincolarsi dal mio abbraccio. “La prego, sia gentile, eviti questo gesto sconsiderato, so di essere stata leggera ma non ne approfitti”. Senza lasciarmi commuovere dalle sue sconcertanti proteste, lasciai che la mia bocca si perdesse lungo la curva del suo collo delicato e lungo come quello di un cigno. “No” gemette Edvige “ mi creda, se l’ho condotto qui è stato per vanità ma non per puttaneria. Volevo avere una conferma che mio marito è uno stupido. Tutto qui”.

Invece di smontarmi le sue spiegazioni mi eccitavano ulteriormente e la mia bocca sempre più insaziabile si impossessò della fragola del suo seno, un morbido capezzolo. Incominciai a mordicchiarlo finchè una vera vertigine di desiderio non mi fece cadere in ginocchio davanti al sesso della giovane.

“Oh no!” gridò lei “questo no…” Ma appena che il mio indice, scansate le mutandine, ebbe trovato le labbra già umide della sua vulva e cominciò a titillare un piccolo e segreto clitoride, le sue grida di protesta si mutarono in gemiti di piacere. “Ah… com’è bello. Come ne ho bisogno… amo masturbarmi ma così è più bello… sì è molto meglio”. Doveva ugualmente piacere farsela leccare perché appena la mia lingua riuscì a infilarsi proprio dentro la sua fica, i suoi gemiti di piacere divennero il lamento della tigre in amore. “Caro senti come sono bagnata, lo senti che colo amore?”. Ne avevo la bocca piena.

Il suo corpo si piegava su di me come un salice sotto la tempesta. Era percorsa da veri brividi, ora si offriva e ora si ritraeva. Mi attendevo in ogni istante che raggiungesse il letto e si offrisse, le cosce aperte, per l’atto definitivo.

Ohimè, quando mi pareva che il desiderio e il piacere l’avessero completamente travolta e vinta, la giovane donna doveva miracolosamente ritrovare tutto il controllo dei propri sensi. “No, è impossibile, cosa sto facendo” e di colpo chiudendosi in un angolo si rifugiò dall’altra parte della stanza.

Il desiderio era talmente montato in me che per un attimo pensai che non sarei riuscito a controllarmi e che avrei usato la violenza pur di possederla; fortunatamente riuscii a dominarmi e provai vergogna per essermi così lasciato andare. Mi rimisi in piedi e con mano tremante mi accesi una sigaretta mentre lei, che aveva ricoperto il suo stupendo corpo di alabastro con jeans e golf, comprendendo che non aveva più nulla da temere, si avvicinò a me.

“Sono comunque felice di essermi, una volta per tutte, provata che la colpa della freddezza di mio marito non è mia“. Mi ringraziò per non aver approfittato della situazione e mi assicurò che neanche pensava che esistessero dei gentiluomini come me. Questa fu per me una ben magra consolazione.

Quando fummo sul punto di lasciarci Edvige mi confessò che le avrebbe fatto molto piacere incontrarsi nuovamente con un giovane come me, così a modo, così gentile… “Domani io vado a trovare la mia migliore amica che abita in un paese vicino a Roma. Ci vado con l’auto e mi farebbe veramente piacere se mi vorrai accompagnare”. Speranzoso di potermi prendere una completa rivincita durante il viaggio, accettai immediatamente.

Ci accordammo per l’appuntamento l’indomani a mezzogiorno e poi mi lasciò con i nervi ancora scossi per le mezze concessioni che mi aveva accordato ma che mi lasciavano insoddisfatto e carico di voglie. Gironzolai ancora un poco e poi mi diressi verso la pensione dove alloggiavo per sbattermi sul letto.

Il giorno dopo, puntualmente a mezzogiorno ero sul posto e lei era già ad attendermi al volante della sua auto. Subito prendemmo la direzione del paese dove la sua mica abitava in una graziosa villetta. Sincera ed aperta Edvige prese subito a parlarmi della sua amica, Tina, vantandone la bellezza, i gusti e la generosità; lasciandomi indovinare che la loro amicizia fosse, forse, anche un po’ particolare.

“Mio marito, come ti ho detto, tutto preso con i suoi soldatini, non ha mai tempo di occuparsi di me e del resto, quelle poche volte che fa dei tentativi di fare l’amore, si rivela un vero iceberg. Se per caso scivola nel mio letto non è certo di passione che io tremo, ma di freddo”. Parlava tenendo gli occhi fissi sulla strada. “Capirai, i miei genitori mi hanno impartito un’educazione molto severa e adesso mi ritrovo veramente inibita, ancora con dei dubbi se tradire o no questo cretino che si è infilato nella mia vita. Come tutte le donne ho bisogno di affetto, di tenerezza e Tina non ne è avara con me”.

Temendo a questo punto che io confondessi la sua amica per una depravata, una lesbica, aggiunse “Non pensare che lei non si interessi agli uomini. Mi racconta tutte le sue avventure e, anzi, mi sta spingendo, da un po’, a trovarmi un amante. I miei principi me lo hanno proibito finora, ed è forse per questo che lei cerca di darmi quei piaceri che a lungo negati ad una donna della mia età possono comprometterle perfino la salute”.

Incoraggiato ed eccitato da queste rivelazioni decisi di tentare subito una nuova offensiva e chiesi se non le sarebbe spiaciuta una breve sosta tanto per fare due passi nel bosco che stavamo attraversando. Con mia grande sorpresa accettò senza fare alcuna obiezione.

Mano nella mano ci inoltrammo attraverso sentieri ombreggiati tra gli alberi. Aveva piovuto nella notte e il terreno emanava un buon odore e l’aria era fresca, mi slacciai la camicia e presi a respirare a pieni polmoni. “Come mi piace” disse lei “sentirmi a contatto della natura. Siamo abbastanza lontani dalla strada per spogliarci senza rischio. E’ una sensazione sempre travolgente, per me, sentirmi nuda in mezzo al verde del bosco”.

In un attimo si liberò dei pantaloni e del golf, questa volta non indossava né reggiseno né mutandine e io me la trovai davanti nuda come Venere che esce dalle acque. Mi prese un desiderio così violento di toccarla e sentivo insieme un piacere così intenso a starla a guardare che non mi ero ancora deciso a liberarmi anch’io dei vestiti. Me ne stavo lì impalato come uno stupido.

“Spogliati anche tu Gio, vuoi?”. Mi sorrise e allora, senza toglierle gli occhi di dosso e con movimenti impacciati e quasi maldestri da bambino mi spogliai. Le chiesi “E’ cambiato qualcosa da ieri sera?”. “Sì Gio. Ci ho pensato tutta la notte nel mio letto solitario. Ciò di cui ho ancora paura è di una relazione fissa con tutto l’impegno che comporta. Ma tu non sei di Roma e forse dopo oggi non ci rivedremo più. Mi sei piaciuto molto ieri sera, sei stato comprensivo e allora ho deciso di essere tua per un giorno”.

Mentre mi diceva queste cose si era sdraiata nell’erba, le braccia distese e le gambe leggermente aperte, quanto bastava perché potessi vedere la sua fica… mi sentii girare tutto il mondo sulla testa. Mi chinai e posai una mano sul suo ventre giocando con il leggero cuscino di peli biondi del suo pube.

“Gio, cosa sto facendo. Non avrei mai pensato di essere così puttana. Ti prego sii molto paziente, preparami a lungo prima di prendermi”. Non riuscivo neanche più ad ascoltarla, il mio dito aveva cominciato un lavoro sulla sua fica. “Ah” gemeva “voglio diventare folle, non capire più nulla, sciogliermi tutta nel piacere liquido che cola tra le mie cosce…”

Le menavo la fica con un ritmo sempre più rapido. Era ormai tutta così zuppa che le mie dita affondavano, affondavano nella sua carne, nel suo piacere. “Caro, prendimi, lo voglio. Adesso lo voglio. Ho bisogno di un cazzo dentro il mio ventre. Oh, tu non puoi immaginare cosa è un marito come il mio! Basta con le mani, mi stai facendo venire. Se continui così vengo. Ho voglio di godere ma voglio godere con il cazzo dentro”. Me lo prese in mano. “Ah il tuo cazzo, com’è grosso e duro. Fra un po’ affonderà nel mio ventre”. Prese a masturbarmi. Io con le mani cercai di aprirle le gambe il più possibile, poi le intimai “Mettilo dentro Edvige; se continui così mi fai venire. Mi stai facendo una sega, lo capisci che mi stai facendo godere con una sega?”.

“No” gridò lei “Non ancora”. e continuava a masturbarmi; per quante spinte io dessi con i fianchi non riuscivo a metterglielo dentro. Lei lo tratteneva con le mani giusto sulla porta senza farmi entrare. A un certo punto proprio non potei più trattenermi e incominciai a spandere sperma nelle sue mani. Mi aveva imbrogliato un’altra volta.

Mentre io, in ginocchio e senza fiato, cercavo di rendermi conto di quanto succedeva, Edvige velocissima si rivestì e passatimi i miei vestiti che avevo sparso sull’erba, m’invitò a seguirla. Questa piccola farabutta sembrava davvero prendersi gioco di me.

Per tutto il resto del viaggio non scambiammo una parola. Io rimuginavo con rabbia i miei propositi di vendetta “La prossima volta, se ci sarà, le paghi tutte, piccola carogna. Vedrai cosa ti succederà. Altro che implorare compassione. Lascia che ci troviamo soli un attimo e ti faccio sentire io cos’è un cazzo tra le gambe. Ti spaccherò tutto il culo. E ti verso tanto sperma in bocca, nel culo e nella fica che ti faccio passare la voglia di fare la titubante. Prima a implorare un cazzo e poi a farmi questa sega, quando avrei rischiato l’inferno pur d’affondarlo dentro a quel gioiellino che hai tra le gambe”. Continuavo a rimuginare la mia rabbia nell’immaginare quello che le avrei fatto. “Aspetta che ci troviamo soli e vedrai come te la limo quella fica ardente tra le cosce. Vedrai come scaricherò i coglioni nel buco rosa del tuo culo”.



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