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LA VITA IN UN PICCOLO PAESE - 7


di gioviaf
22.08.2018    |    12.209    |    2 9.2
"“Gli uomini talvolta si toccano il cazzo, oh! È bello avere un bel membro in mano, mi piacerebbe essere un uomo per conoscere questa sensazione”..."

Quel giorno fu Olimpia a fare visita a Rosalia. Bertrand aveva molto lavoro e non poteva lasciare la piccola fattoria. Olimpia non domandava di meglio perché il Vicario le aveva proposto di condurla in città sulla sua moto di color nero, potente e dal forte rombo, che andava quasi più veloce dell’auto di suo padre. Quando furono in città il Vicario la fece scendere alla clinica. Sarebbe tornato dopo un’ora a riprenderla e ne avrebbe approfittato per portare il conforto religioso alla madre malata. Olimpia aveva sorriso ascontandolo. Per lei due cose dominavano il mondo, il sesso e i soldi. Il resto non era che una commedia ipocrita.

Durante il periodo in cui fu sola con sua madre si annoiò e di tanto in tanto la guardava mentre si lamentava raccontando come si era svolta l’operazione cui era stata sottoposta. Passò così un’ora tristemente e la ragazza non ne poteva più quando infine giunse il Vicario e la giovane dovette ascoltare ancora le parole di conforto dette a sua madre dal Vicario. Dopo un po’ che ascoltava i soliti discorsi, per lei inutili, chiese di essere riportata a casa con la scusa di avere ancora tante cose da sbrigare. Il prete, allora, salutò Rosalia e i due uscirono dalla clinica.

Olimpia si sedette dietro l’uomo che avviò il motore della moto e partì veloce come il vento. La fanciulla si attaccò alla vita del Vicario. Le sue mani lentamente scivolarono con una sorta di perfidia. Appena fuori dalla città, all’ingresso di un piccolo bosco la moto si fermò. “Vuoi che ci fermiamo alcuni istanti? So bene che hai molto lavoro che ti attende a casa ma una piccola sosta potremmo permettercela”. “Non ho poi tanta fretta. Ero stufa di quella clinica, di quella camera. E poi speravo di stare un po’ sola con voi”, “E’ vero?” “Certo”. Si inoltrarono nel bosco, misero la moto al riparo dagli sguardi indiscreti e si sedettero sull’erba.

“Come vanno gli amori signor Vicario?”, ”Vanno bene, meglio di quanto si potrebbe credere”. “Gertrude ha ceduto? E’ diventata la vostra vittima consenziente?”. “Sì, all’inizio ho temuto che tutto potesse degenerare in dramma ma fortunatamente non è accaduto nulla”. “Ebbene, si può dire che siete irresistibile, la madre e la figlia, che prospettive felici. Mi piacerebbe essere al vostro posto e godere dei medesimi piaceri, passare dalla madre alla figlia, dalla figlia alla madre”.

Per alcuni minuti rimasero entrambi in silenzio, agitati da tante idee. Poi Olimpia disse “Che posto deserto, si potrebbe assassinare benissimo qualcuno qui, non c’è nessuno e questo silenzio fa venire dei pensieri colpevoli”. “E’ vero, Olimpia, il silenzio fa venire certe idee peccaminose. Ti ricordi di quel giorno in cui…”, la fanciulla si avvicinò al prete e proseguì con un sussurro “Ah, quando mi sono inginocchiata per farvi,,,, vi era piaciuto?”. “Sì, mi piace tutto, ora sono totalmente corrotto”, “Anch’io sono corrotta e mi piace. Più faccio delle cose sporche e più ne vorrei fare”.

Il Vicario prese la giovane fra le braccia e la baciò. La solitudine faceva battere loro i cuori, i loro sessi erano gonfi di sangue, davanti ai loro occhi passavano le immagini di stupro. “Tu hai desiderio, Olimpia?”, “Sì, desidero una verga, ben rigida, mi piace baciarla, mettermela in bocca mentre voi mi fate la stessa cosa fra le cosce; non porto le mutandine, mi accovaccerò davanti a voi e potrete guardarmi così erigerete”. “Non è necessario, erigo già”. Nondimeno Olimpia si accovacciò offrendo agli sguardi lubrichi del prete la sua vulva aperta. La giovane aveva un sorriso estatico e sensuale. “Mostratemi il vostro cazzo”. Il religioso si sbottonò, uscì il membro duro che oscillò dal desiderio. Olimpia si avvicinò e il cazzo si trovò all’attaccatura delle sue cosce, i loro visi vicini, i loro sguardi smarriti.

“Gli uomini talvolta si toccano il cazzo, oh! È bello avere un bel membro in mano, mi piacerebbe essere un uomo per conoscere questa sensazione”. “Al seminario quando non c’è nessun mezzo per soddisfarsi…, del resto non ero il solo, credo che tutti i seminaristi lo facciano”. “Avrei voluto essere una mosca e poter vedere tutte quelle verghe erette piene di voglia. Fatelo, vi prego, è una cosa che voglio conoscere e per non rimanere indietro mi toccherò anch’io accovacciata vicina a voi. Guardate, lo faccio già. Oh!, è bello quello che fate, mi fa un certo effetto vedere questo enorme verga che voi agitate sotto i miei occhi. Guardate come sono eccita e piena di voglia”. “Vorrei baciarti”. Olimpia si pose sopra la bocca del prete dalla lingua già fuori per leccarla, si piegò in avanti afferrando e prendendo in bocca il glande bagnato. Entrambi si succhiarono a lungo eccitandosi sempre di più, poi la giovane abbandonò la verga e si stese supina a fianco del vicario.

“Venite, chiavatemi, ne ho una voglia da impazzire”. Il prete si mise in mezzo alle cosce, puntò la cappella e spinse facendola penetrare lentamente nella fica della lussuriosa ragazza la quale, quando lui iniziò a muoversi dentro di lei mormorò “Oh! Come lo sento bene! Come è caldo e come mi riempie. Che godimento! E’ fantastico. Così, muovetevi di più! Come mi entra bene, come mi fa bagnare, come godo. Sto per venire”. Pochi minuti ancora ed entrambi sborrarono con reciproca soddisfazione, poi si pulirono, si rivestirono e ripresero il viaggio di ritorno. “Mi piace andare in moto perchè mi produce un solletichio nella fica che mi fa bagnare”.

Quando, più tardi, entrò in casa Bertrand l’attendeva. “Ce ne hai messo del tempo per ritornare. Per caso non sei andata nel bosco con il Vicario?”: “Tu sei pazzo papà, che idea”. Bruscamente il padre l’attrasse a sé, le passò una mano sotto la gonna ed essendo la ragazza sempre senza mutandine le tastò la fica nuda. “Sei tutta bagnata, piccola sgualdrina”. “E’ la moto che mi fa questo effetto”, “Non dire sciocchezze”. Poi l’uomo le respinse, si tolse la cinghia dei pantaloni. Olimpia cercò di fuggire, corse verso la porta. Bertrand riuscì però a prenderla per i capelli e le affibbiò un paio di schiaffi. “Ti insegnerò io, piccola sgualdrina”.

La prese per la vita e la portò in camera. Senza fretta la mise sul letto supina, le legò le braccia e le gambe ai sostegni. L’avrebbe fatto fare le mosse dei caprioli. Le sue natiche, le sue piccole e belle natiche erano alla vista e percorse da fremiti involontari. Le fustigò ascoltando i suoi gemiti mentre le guardava le belle chiappe nude. Colpì. Colpì con forza come se volesse distruggerle. Olimpia balzò sul letto, si divincolò, cercò di liberarsi ma le corde la trattenevano. Le sembrava che il sedere le scoppiasse ma non gridò. Si morse le labbra ma non voleva confessare, esternare quello che sentiva, la sofferenza che provava. Una linea violetta le attraversò le natiche e lei si dimenò a destra e a sinistra per tentare di lenire il dolore che provava ma Bertrand non le lasciò alcuna possibilità colpendo finchè il sedere di sua figlia non divenne rosso e gonfio segnato dalle tracce della fustigazione che le aveva inflitto.

Bertrand era l’uomo più pacifico del monto ma in quella occasione una rabbia fredda lo animava, e provava anche gelosia. Sì era geloso di tutto ciò che riguardava Olimpia. Per un uomo della sua età, la relazione con una fanciulla così giovane era insperata. Era un ritorno alla giovinezza. E poi in lei trovava tutto quello che non aveva avuto con Rosalia. Olimpia era viziosa. Per lei l’amore non si limitava solo ad un unico rapido e appena tollerato possesso. Amava abbandonarsi a possessi strani, perversi, s’ingegnava, aveva della immaginazione, godeva a comportarsi come una sfrontata e trascinava il padre sulla sua strada.

Bertrand guardò ancora le natiche, le tracce della fustigazione e si disse che per quella volta ne aveva avuto abbastanza. La prossima volta Olimpia avrebbe riflettuto bene prima di fare sesso con altri. Anche la fanciulla, con la testa volta verso di lui, lo fissava. Con un sospiro di sollievo vide suo padre lasciare cadere la cinghia mentre i pantaloni erano scivolati a terra. Vide il cazzo ritto, il glande scappucciato, la grossa cappella rossa che le parve giù grossa del solito, più oscena. Sentiva un forte calore alle natiche che le bruciavano ancora male ma già accettava, anzi, desiderava ciò che doveva seguire.

Dopo avere liberato le caviglie di Olimpia, Bertrand salì sul letto, le si stese sulla schiena e le natiche della figlia si incunearono nell’incavo del suo ventre tanto che ne potè sentire il calore. Le morse la nuca. La fanciulla volse la testa, lo guardò con tono di rimprovero “Mi hai fatto molto male”, “Ti guarirò di questo male”, “Sì, con la tua grossa verga che sento fremere nel solco delle natiche”. “Come se non ti piacesse. Sapevi bene quello che sarebbe accaduto, che in casi del genere è il meno che possa capitare ad una ragazza”. “Intanto sento il buono calore del tuo pene, come sei stato cattivo a trattarsi così, ma non sono offesa, un vero maschio di tanto in tanto deve farlo. Volevo chiederti a darmi una buona sculacciata tanto più che porta all’amore”.

Dolcemente lui faceva passare la sua verga nel solco facendola arrivare fino all’ano che era un buchino di fuoco contro la sua cappella. Poi fece scivolare le mani sotto il corpo di Olimpia, le prese le mammelle di cui titillò i capezzoli. La fanciulla gemette. Chinandosi le cercò la bocca, le insinuò la lingua fra le labbra purpuree. Entrambi grugnirono di soddisfazione guardandosi negli occhi.

“Io ti amerò, soltanto con te godo bene, tu mi prendi rudemente, il tuo cazzo è grosso, i coglioni pieni. E poi io rimpiazzo la mamma, la cornifico quando apro le cosce per riceverti nella mia fica. Senti ora come sono bagnata a causa dei tuoi maneggi, c’è dell’altro, vieni, mettimelo, per di dietro come a una cagna calda. Oh! Sì. Il tuo cazzone mi dilata la fica, il glande è enorme, lo sento, è bello; com’è bello fare l’amore così, divertiti con i miei seni, tirami i capezzoli, io amo tutto, sii forte. Dacci dentro, fammi morire dal piacere; rallenta ora, lima bene, sento l’odore dei nostri sessi uniti, godo già a metà. Sento ancora il dolore dei colpi che si mescola alla voluttà che mi doni. Oh caro, ficcami bene il cazzo ora, sborrami dentro, godo anch’io. Com’è bello, muoio di piacere, dopo tu mi batterai ancora ma adesso fammi godere. Oh! Come brucia il tuo sperma…”.

Bertrand slegò anche i polsi di Olimpia che si rannicchiò nelle sue braccia, tenendo il ventre caldo contro la verga ancora rigida. Appassionatamente gli diede la bocca facendo andare il pube contro il suo sesso. “Ho un malloppo nella fica. Tu mi hai riempito. Com’è bello. Mi domando cosa sarà di noi quando la mamma ritornerà. Sono preoccupata perché non intendo perdere il tuo bell’uccello. Tu mi chiavi così bene che sarei infelice senza di te. E tu?”. “Anche io sarei molto infelice, non saprei più a che santo votarmi, penso che non saprei più interessarmi a tua madre”. “Non voglio che tu chiavi ancora la mamma. Sarei gelosa, molto gelosa e non sopporterò di sapere che tu farai l’amore con lei mentre io sarò sola nella mia camera”.

“Quando tua madre ritornerà io mi metterò nel granaio. Mi sceglierò un angolo per dormire e mi sistemerò in modo che tu possa venire a raggiungermi e nasconderti se arrivasse qualcuno”. “Sarà piccante, ma chissà cosa succederebbe se la mamma ci sorprendesse nudi, l’uno sopra l’altra mentre facciamo l’amore; non credo che smetterei se entrasse nel momento in cui fossimo intenti a chiavare. Te la immagini la scena? Il tuo bel cazzo duro dentro di me, le mie gambe incrociate sulla tua schiena, i nostri sospiri di piacere, le parole che pronunciamo e lei lì che ci guarda. Ciò che ti dico ti fa effetto, il tuo uccello si raddrizza, è delizioso, io lo faccio erigere, irrigidirsi, lo scappello. Accarezzami, baciami, sono sempre in calore, vedo già la scena, tutti e tre in casa e io nell’atto di mostrarti di nascosto la mia nudità inebriandoti con i miei gesti e le mie pose. Adesso sento lo sperma che scende, mettimi una mano fra le gambe, ti cadrà nel palmo della mano e me lo strofinerai sulle tette. Sta uscendo, tieni”.

Bertrand portò il palmo della mano sotto i loro occhi. Conteneva un bel po’ di sperma. Olimpia tese il suo piccolo seno ed egli si mise a massaggiarlo con lo sperma. “E’ eccitante, che cosa piccante. Inventeremo ancora delle altre cose, non sono mai a corto d’invenzioni lubriche. Quando non sei con me penso sempre a delle cose, per far passare il tempo mi metto a rivivere i nostri bei momenti ed ho fretta di essere di ritorno a casa per ritrovare i nostro piaceri. Vorrei avere un figlio da te ma non possiamo. Magari un giorno, quando sarò sposata ti darò la possibilità di venire a trovarmi per chiavarmi e darti un figlio. Sarà bello”. “Non hai bisogno di sposarti, stiamo così bene così noi due da soli”. “Tu sei geloso, mio caro dal grosso cazzo, sei nuovamente eccitato, il membro eretto, tu mi desideri, ora me lo metterò dentro”.

Olimpia si accovacciò sul ventre del padre con le ginocchia aperte per fargli vedere bene la fica. Si passò la mano aperta sulla vagina con un sorriso vizioso negli occhi. “Erigi sempre di più. Guarda la cappella del tuo membro, è terribilmente gonfia. Ho voglia di prenderlo in bocca e poi in fica. A solo tenerlo in mano mi bagno e la mia vagina geme piccole gocce di voluttà. Vedi il solco delle mie natiche, la mia fessura tutta rossa? Guarda, metti l’uccello fra le labbra, è caldo, mi piace, il mio clitoride si trova proprio sulla fessurina della tua cappella”.

Bertrand aveva sollevato le braccia. Le sue mani si posarono sul seno di Olimpia. Sentì lo sperma secco, poi guardò il suo cazzo che scompariva gradualmente nel ventre di sua figlia.


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