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LA VITA IN UN PICCOLO PAESE - 5


di gioviaf
18.08.2018    |    18.800    |    1 9.4
"Ormai tutto ciò apparteneva sia a lei che a Gertrude..."

La signora Protin spinse la porta e rinculò come se fosse stata colpita da un pugno in pieno viso. Vide sua figlia, seduta su una sedia e la lunga figura nera del prete inginocchiato davanti a Gertrude di cui vedeva le ginocchia nude e la sottana rialzata fino al ventre. Al suo apparire i due si erano messi in piedi. Gertrude si era abbassata la gonna mentre il Vicario, poiché era lui, volgeva altrove lo sguardo. La signora Protin li guardò attonita, non potendo credere ai propri occhi. Gertrude aveva assunto un aspetto contrito con un sorriso sottile mentre il prete si torceva le mani dondolandosi ora su un piede, ora sull’altro, più preso dalla tentazione di fuggire che di restare. “Siete due schifosi. Al solo pensarci, dovrei uccidervi. Che orrore vedervi così. Che disgusto. Avete abusato della mia assenza, signor Vicario, e credo che sia meglio che ve ne andiate”.

Il prete si diresse verso la porta a testa bassa. Gertrude voleva seguirlo ma sua madre le intimò di non muoversi. Quando la porta fu chiusa le due donne rimasero in silenzio gettandosi di tanto in tanto uno sguardo pieno di odio. “Non dovevi tornare così presto”, “Luridume, e con un prete per giunta”, “Lo amo e nessuno m’impedirà…”. la signora Protin balzò su sua figlia, le appioppò uno schiaffo. Senza perdere il sangue freddo Gertrude rispose. Per alcuni istanti madre e figlia si schiaffeggiarono a vicenda. “Ti farò uscire il luridume che hai nel corpo. Carogna maledetta, prostituta, andrai in prigione. Tu non sei più mia figlia. Maledico il giorno in cui sei nata”.

“Taci. Qualcuno potrebbe sentire”. “E che m’importa? Non saprò più guardarti con gli occhi onesti dopo quello che ho visto. Ed io che credevo che fossi una ragazza onesta, credente e che non pensassi alle porcherie. Vorrei ucciderti”. “Provaci. Se credi che ti lascerei fare”. La donna si lanciò, prese sua figlia per la vita. Entrambe si picchiarono, caddero a terra, si diedero dei ugni, si colpirono al viso, al petto con una furia crescente. Approfittando dell’istante in cui la donna sollevò le ginocchia, Gertrude si buttò sopra di lei con tutto il proprio peso, inchiodandola al suolo. Poi si rotolarono ancora, si lacerarono gli indumenti senza preoccuparsi del disordine che le denudava.

La madre colpì, Gertrude rispose, roteò su se stessa poi si lasciò cadere di nuovo sul corpo della madre rimanendo immobile, con la testa sollevata, guardandola negli occhi. “Vedi, non hai forza”. “Hai picchiato tua madre”: “Sì, e ricomincerò se sarà necessario”. “Non restarmi addosso”: “Me ne andrò quando vorrò”. Gertrude non si riconosceva più. Una specie di follia la dominava. Era entrata nel mondo del male e si compiaceva. E quella donna sotto di lei, di cui sentiva il ventre ed i seni, non era più sua madre ma la nemica da colpire.

“Hai visto? Hai visto cosa mi faceva?”. “Taci sporcacciona”. “Tu non sai cos’è quel bacio, egli mi ama ed è per questo che me lo fa, anch’io lo amo e gli renderò la pariglia se me lo chiederà”. “Taci. Levati, mi schiacci”. Quello che le stava addosso inebriava la donna. Ne sentiva troppo i dettagli, il seno sodo sul suo, il ventre duro che si immergeva in quello di lei. “Mi toglierò quando ne avrò voglia. Tutto è accaduto per colpa tua. Avresti dovuto farmi sposare, ogni donna ha delle esigenze, tu non ne hai mai avute?”. “Taci, ti prego”.

La donna sentiva muoversi quel corpo sopra il suo, così vivente, così malvagio. Aveva quasi la malvagità di un corpo maschile. Quel corpo si immergeva sempre di più, agiva come quello d’un uomo. Ad un tratto ebbe uno spasimo, il suo ventre si ritirò, ritornò, riprese il suo posto. Gertrude la guardò negli occhi. Le due donne avevano uno sguardo languido. La fanciulla pesò di più sulla madre, ebbe un sorriso strano. Il suo ventre ondulò. L’altro ventre rispose. Il loro turbamento comune divenne più vivace.

“Ti turba il contatto del mio ventre sul tuo; ti inebria il contatto del mio sesso. Sei una sgualdrina, sei una peccatrice. Dovresti pregare per farti passare certe idee”. Dolcemente Gertrude la colpì col ventre. Sua madre si irrigidiva, il suo seno si tendeva e si mordeva le labbra per non urlare. Tentò di respingere Gertrude ma era senza forze e non potè impedire a sua figlia di morderla crudelmente nel collo. Nel medesimo istante il dolore si trasformò in una sensazione che non aveva mai sentito. Era strano, dolce e crudele insieme.

Con la testa sollevata Gertrude la fissò intensamente e sorrise. Presa dalla follia non vedeva più che quella donna che teneva sotto il proprio dominio. “Ebbene, se vuoi sapere egli non mi ha fatto godere. Cominciavamo solamente a divertirci”: “Taci, ti supplico”. “Ma no, ti piace ascoltarmi. Ora tu sei come me. Io voglio l’amore. Voglio provare delle sensazioni. Voglio vivere intensamente e non come te, senza gioia, senza piacere”. Così dicendo la morse ancora, poi leccò dove l’aveva ferita, leccò la goccia di sangue che era apparsa sulla pelle. Bruscamente la donna la strinse a se, il ventre si incollò a quello di Gertrude. “Tu mi odi e mi ami. Mordimi ancora se vuoi, mi hai battuta e non te ne voglio. Io ti amo, vorrei che mi mordessi dappertutto, che mi lacerassi la pelle”. I loro ventri ondulavano l’uno contro l’altro, si cercavano, si urtavano. Il loro respiro diventava ansante mentre si guardavano negli occhi, con odio ed amore insieme.

“Perché non ti piace l’amore? Sarebbe così bello intenderci quando saremmo sole potremmo… so che ci sono delle donne che,,,”. La signora Protin capiva perfettamente quello che sua figlia voleva dire. Affondava nell’orrore del peccato e nel desiderio del peccato. Un abisso l’attirava, rosso scuro, pieno di fiamme che la consumavano. Bruscamente Gertrude la baciò sulla bocca facendovi penetrare la lingua. Entrambe gemettero mantenendo con languore i loro ventri a contatto, urtandosi, compenetrandosi. Gertrude emise un sospiro, baciò la gola di sua madre i cui seni erano quasi nudi a causa della sfrenata battaglia. Fuori faceva buio ma non se ne accorgevano inchiodate l’una sull’altra.

“Fai come un uomo”. “Vorrei esser un uomo, mamma. Ti avrei già preso, ti avrei già fatto gridare del piacere, ma ci sono altri giochi, più viziosi. Credo che potremmo provarli”. “Potremmo finire quello che il Vicario aveva iniziato a farti. Tu mi hai reso folle, ma cosa dico, sarò dannata”. “Vorrei ben di più. Non sarebbe una carezza da finire ma un amore vergognose che nascerebbe fra noi, di cui non potremmo mai più privarci. Una passione terribile fra due demoni femminili”.

Le due donne erano a terra, abbracciate, i loro corpi si cercavano avidamente. Non smettevano di baciarsi, di succhiarsi la lingua. “Io non avrei mai pensato che… potrebbe essere così bello avere il tuo corpo sul mio, amami, ora ho fretta di abbandonarmi, di essere come te. Non ci sarà più madre e figlia ma soltanto due donne il cui sangue è eccitato”.

Poste una sull’altra con le bocche gonfie, gli occhi fuori dalle orbite, si misero entrambe in piedi vacillando. Gertrude sì diresse verso la porta. “Cosa fai?”. “Do un giro di chiave. E’ ora. Se qualcuno avesse fatto come te, se avesse spinto brutalmente la porta, avrebbe visto un bello spettacolo”. Poi andò alla finestra e chiamò sua madre. “Vieni a vedere”. Attraverso la tenda videro il Vicario, la sua alta figura nera piantata in mezzo alla strada, immobile. Le due donne si guardarono negli occhi. Dolcemente si posero una mano fra le cosce e fremettero.

“Se sapesse. Non hai voglia di raggiungerlo? E’ te che aspetta per finire di rendere omaggio al tuo ventre”. “No, non ne ho alcuna voglia, sto bene così, con la mia mano fra le tue gambe e la tua fra le mie. Oh no, non desidero raggiungerlo, vieni mamma, vieni”. Le due donne andarono in fondo alla stanza. Gertrude aprì una porta, entrò nella camera di sua madre. Poi si volse e l’abbracciò. “Staremo bene qui, mamma”. Si spogliarono rapidamente, aiutandosi a vicenda. Gertrude spinse sua madre verso il letto, l’obbligò a stendersi. Guardò con ammirazione il suo corpo di donna. Quella donna era bella, d’una bellezza classica, di quella che richiama le carezze e il libertinaggio. Aveva delle grosse mammelle dai capezzoli grossi che si drizzavano. Una pelle dolce e bruciante, lo sguardo pieno di desiderio. Le sue spalle erano rotonde, piene, le ascelle pelose che emanavano il buono odore del sudore femminile. E più in basso, quel ventre rotondo, dal grazioso ombelico, e poi il sesso molto peloso, gonfio, con una piega orizzontale che segnava l’inguine.

Gertrude salì sul letto, si mise a quattro zampe sopra sua madre. “Ora non puoi più scapparmi”. “Non vorrei. E’ la prima volta che mi metto interamente nuda davanti a qualcuno e che guardo la nudità di qualche altro. Tu sei bella, mi piace vederti i seni e il ventre, non vorrei più perderti. Voglio tutto quello che vuoi tu”. “Tu sei la mia bella preda. Voglio pascermi di te, farti godere, farti conoscere la felicità… fra donne”. “E tu la conosci già?”. “Non ancora ma so che esiste. Quello che mi faceva il Vicario posso farlo anche a te”.

Le due donne si posero fianco a fianco. Con gli occhi negli occhi, ben avviluppate nel calore del letto, si presero fra le cosce allargandole. “Com’è bella la tua mano, Gertrude. E dire che io ero così ignorante. Oh cosa fai, tu entri”. “Lasciati fare, mi piace metterti il dito nella fica che è tutta scivolosa ed umida. Fammi lo stesso, io ti amo, fallo…”. Perdute, inebriate, si accarezzarono i ventri umidi, le cui labbra erano già sfiorate dal piacere. Sospiravano, rallentavano la carezza per poi riprenderla più viva, più gradevole ancora. “Tu mi fai tanto bene, mia piccola cara, è meraviglioso quello che sento, questa divina carezza, ed io che ero tanto idiota, tu mi… ancora!”

“Non godere troppo presto, mamma, gioca con la mia fica, toccala dappertutto, alla superficie e dentro. Tieni, succhiami il seno, prendi il capezzolo in bocca, fra i denti, oh sì, così, mordi. E’ delizioso il nostro vizio, mamma, questa lubricità, tutto ci è permesso, dimmi che ti piace fare tutto questo con me”. Gertrude si liberò bruscamente e sua madre lanciò in grido di delusione. Ma Gertrude si gettò fra le sue cosce, la donna sentì la bocca calda di sua figlia sul sesso, sentì la lingua che l’accarezzava e cadde infine nel piacere, con le gambe distese e la carne soddisfatta.

Il Vicario sapeva che Gertrude la sera doveva assentarsi per andare alla riunione delle fanciulle della parrocchia. Per questa ragione aveva deciso di andare a far visita alla signora Protin. Non si sentiva molto tranquillo quando bussò alla porta ed ebbe quasi un tremito quando la donna, con lo sguardo glaciale, lo fece entrare. Per un po’ lo lascio in piedi dandosi ai lavori di cucina. Infine si volse verso di lui “Cosa siete venuto a fare qui? Come osate ancora comparirmi davanti agli occhi? Un prete maledetto, perverso, svergognato, debosciato, che corrompe le fanciulle”. “Non si tenta vanamente un uomo. Malgrado la sottana che porto, sono un uomo e Gertrude era amabile e mi girava attorno”. “Non vorrete dirmi che è stata mia figlia a…”: “Siamo tutti e due colpevoli e vi chiedo umilmente perdono. Una sorpresa dei sensi, mi sono smarrito, ho dimenticato il mio sacerdozio e il mio voto di castità. Tutto davanti alla bellezza della vostra figliola”.

Rimasero entrambi in silenzio. Poi la donna si alzò, prese una bottiglia e due piccoli bicchieri posandoli sulla tavola. “Non potrò più venire a vedervi in chiesa. Mi sembrerebbe di vedervi inginocchiato come vi ho visto davanti a mia figlia. Andiamo, bevete”: Bevvero e la donna riempì subito i bicchieri. “Per un istante ho creduto che foste venuto per me”. Il prete arrossì. Il bicchiere tremò tra le sue dita. “Vedevo più spesso vostra figlia di voi. Lei era sovente nella sala di riunione mentre voi.. E poi, voi siete inaccessibile, quando vi vedo in chiesa, non posso credere che siate una donna come le altre”.

“Sono ridiventata donna quando vi ho visto vicino a Gertrude. Il sangue si è mosso. Ho visto verso dove andavo: una vita senza senso, senza alcun piacere, senza soddisfazioni. Gertrude, così giovane, si dava già, lei era donna, si lasciava adorare. Vedo sempre davanti a me quella scena ma non ve ne voglio più. Mi attira come una fiamma attira le farfalle di notte e brucia le loro ali. Non sono più così inaccessibile, andiamo, bevete ancora, vi permette di liberarvi. La testa mi gira un poco e io parlo più liberamente”. Il Vicario vuotò il bicchiere “Mi perdonate?: La donna lo guardò a lungo negli occhi ed il prete sentì il fremito delle sue dita nelle sue. “Oh, sì, vi perdono se.. Inginocchiatevi. Anch’io voglio commettere dei peccati ora, affondare, lasciarmi andare e godere della vita, delle carezze”.

Il vicario fece il giro della tavola, senza esitare s’inginocchiò. Con le ma ne palpeggiò le forti cosce sopra la gonna. “Aspettate, mi tolgo le mutandine”, così dicendo si alzò, fece scivolare il fragile indumento lungo le sue cosce. L’aroma della sua carne sollecitò il naso del Vicario il quale prendendo le mutandine in mano le portò alle narici. “Com’è buono. Mi piace il vostro odore. Me le regalereste così come sono? Quando la sera andrò a letto le bacerò, le annuserò”. “Come siete vizioso. Ve le siete fatte dare anche da Gertrude?”. “No, l’idea mi è venuta ora”. I peli gli sfioravano il naso, la bocca. La donna si sedette e lui riprese le sue carezza sotto la gonna, ponendole le mani sulle grosse cosce. “Fatemelo. Muoio dalla voglia. Voglio essere come mia figlia. Ricevere quel bacio. Voi mi chiedere perdono così, in ginocchio davanti al mio ventre nudo”.

La donna scivolò sulla sedia, verso la bocca e sospirò quando la sentì posarsi sulla sua vulva infuocata. Il prete leccava con ardore, ancora stupefatto del miracolo accaduto. Gli piaceva tanto accarezzare la fica con la bocca. Palpeggiò le grosse natiche tenere, fece scivolare le mani lungo le cosce. Lei gli disse che lo faceva bene, e strofinava la sua vulva aperta sul suo viso, gemeva, pronunciava della parole sconnesse.

Il corpo le si irrigidì, ondulò. Febbrilmente la donna strinse la testa del prete contro il proprio ventre. La bocca del religioso presto venne inondata da un potente getto di godimento femminile. Poi il prete si alzò. La donna lo prese per la vita e gli sorrise col viso alzato, “Che piacere. E’ la prima volta che godo così”. Con un gesto improvviso andò con una mano sotto la sottana del prete, sentì la sua verga dura, la tirò fuori e chiese “Cosa devo fare?”. “La vostra mano, fatela andare lungo la mia verga, mi piace tanto. Questo si chiama masturbare ed a me piace tanto essere masturbato”.

La donna rimase molto meravigliata dalla quantità dello sperma che le colò sulle dita, sulla sottana. Con sorpresa la donna rimarcò che era già pronta a ricominciare e a rifare i medesimi gesti salaci. In quel momento pensò a Gertrude con la quale quella sera si sarebbe coricata. Insieme avevano spostato i mobili e nella camera vi erano due grandi specchi posti in modo che potessero seguire ogni loro minimo gesto.

La donna si chinò, attirò la verga molle verso la propria bocca. Con le labbra sensuali ne aspirò la cappella, la inghiottì, ne gustò il sapore acre. Con il palmo d’una mano toccò poi i coglioni, li soppesò. Ormai tutto ciò apparteneva sia a lei che a Gertrude.


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