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VIAGGIO A ROMA - 6 (il gran finale)


di gioviaf
24.08.2019    |    5.324    |    1 8.3
"“Ne prenderai altri dopo il mio?” le chiesi, “Oh sì, ogni volta che un uomo mi piacerà gli lascerò infilare il suo cazzo nella mia fica”..."
VIAGGIO A ROMA - 6


Ero ancora sprofondato nei miei propositi di rivincita dopo la delusione provata nel boschetto quando non ero riuscito ad altro che a venire nelle sue mani invece di infilarlo nella sua succosa tana, quando l’auto si fermò nel cortile della villa di Tina.

Questa venne ad accoglierci con un vestito così leggero e trasparente che quando si profilava in controluce il disegno del suo corpo si stagliava come se fosse stata nuda o quasi, infatti indossava slip ridottissimi e niente reggiseno.

Dopo le presentazioni Tina ci fece accomodare in sala da pranzo dove aveva preparato una merenda deliziosa e generosamente annaffiata da un vinello leggero ma ingannatore. I numerosi bicchieri di vino che stavo bevendo non contribuivano certo a spegnere il braciere che Edvige aveva acceso in me e, oltretutto, la velata puttaneria di Tina mi incuriosiva.

Aveva una faccia provocante e l’espressione concupiscente faceva venire in mente incontri lussuriosi, gli occhi neri frangiati da ciglia pesanti di rimmel, narici frementi, bocca golosa che doveva ugualmente amare, sia leccare giovani fiche che pompare grossi cazzi.

Come finimmo la nostra merenda, Tina disse che doveva recarsi in paese all’agenzia assicurativa per sistemare la pratica di un incidente automobilistico. “Non starò via molto tempo” disse rivolta alla sua amica, poi aggiunge con uno sguardo chiaramente allusivo “Ci penserà Gio a non farti annoiare”. Poteva contare su di me. Questo era certo.

Una volta solo con Edvige, ci trovammo in un piccolo salotto il cui arredamento faceva ricordavano i boudoir delle cortigiane dell’800, decisi di passare subito all’attacco. Questa volta non mi sarei lasciato commuovere da lamenti e invocazioni, volevo una cosa ed ero determinato ad ottenerla, fosse anche con la forza. Ero disposto a tutto.

Senza porre indugi attirai con la forza la donna contro di me, poi con rabbia affondai i denti nella tenera pelle del suo collo. “Cosa fai?” mi chiese e la sua domanda era insieme un lamento ed un invito. “Ma caro, mi stai facendo male!” esclamò.

Le sollevai il golf e denudai un seno. “Non adesso” implorò ma la sua respirazione si faceva sempre più affannosa. Ah no - pensa - questa volta non ti ascolto, non ho più la forza di aspettare. Hai tirato troppo la corda per chiedermi di essere saggio.

Tenendo sempre il suo seno a piene mani cominciai a succhiarle un capezzolo come un bambino affamato il biberon; aspirai in estasi questo bocciolo di rosa insieme tenero ed eretto. “Caro” sussurrava lei con un filo di voce “Mi stai dando un dolce piacere. Oh Gio… mi riempi di desiderio. Desidero fare l’amore…”

Tutta un sospiro, tutta un contorcimento e senza che me ne accorgessi, aveva fatto scivolare a terra i suoi jeans. Caro, ti voglio, vieni, vieni dentro di me…” Questa volta non le avrei lasciato il tempo di cambiare idea. Al posto di spogliarmi, più sbrigativamente, feci scendere la cerniera dei miei pantaloni, liberai il cazzo e senza che lei potesse realizzare quello che le stava succedendo, la sollevai letteralmente da terra ed avvicinandomi al divano con lei in braccio ve la scaraventai sopra. Poi, fatta scivolare una mano sotto ciascuna delle sue cosce gliele divaricai prepotentemente.

“No” gridava “cosa fai?. Non le diedi il tempo di dire altro, già il mio cazzo dritto come una spada, duro come un bastone, premeva contro lo spacco della sua fica. Spingevo con una tale rabbia e con un tale impeto che lei si lasciò scappare un grido di dolore “Ah, non così… sei un bruto. Basta… smettila…” Non mi passava neanche per la mente la possibilità di smetterla: era come fermare un autotreno senza freni in discesa. La infilai come se volessi annientarmi completamente in lei.

“Prendi sporcacciona. Tienilo. Io ti fotto, ti chiavo, ti scopo ed è inutile supplicare. Sì è tardi. Ce l’hai dentro e quindi goditelo” le gridai.

“Ah… ah…” continuava lei a gemere “Non avrei mai voluto…”, quest’ipocrita, ma se a parole così si lamentava con il corpo era tutt’altra cosa. Dimenava il culo come un’indemoniata e dava colpi di reni come un’ossessa. “Ah, che vergogna! Ho vergogna di me stessa” diceva. A sentirla lamentarsi mi eccitavo sempre più. “Prendilo puttana. Dicevi di averne bisogno e quindi prendilo!” le gridavo. Le stavo letteralmente devastando l’utero.

“Gio” gemeva la libidinosa “perché hai approfittato della mia debolezza? Il mio povero marito… quale torto… Oh è terribile quello che sto facendo… Ma è bello, è bello. Non lo vorrei fare ma è troppo bello”. Un’ondata di piacere definitivamente più forte delle altre stava sommergendo tutte le sue ritrosie e tutti i suoi rimorsi.

“Caro continua, ancora, ancora, non smettere più. Tanto peggio per lui, è lui che lo ha voluto”. Infine, in pace con la sua coscienza, si abbandonava al cazzo che la stava penetrando. “Ah, com’è bello, come mi piace il tuo cazzo di pietra…” mi sospirò. “E quello di tuo marito non ti piace?” le domandai. “Non ha mai saputo farmi godere con il suo uccellino da passerotto. Ah, se avessi saputo prima cos’è prendersi in corpo un vero cazzo… E’ stupendo farsi chiavare…”. “Hai dei rimpianti adesso?” insistetti. “Rimpiango di non aver ascoltato Tina” mi rispose. “Allora hai cambiato idea…”

Glielo spingevo sempre più a fondo, come se avessi voluto arrivarle fino in gola e soffocarla di piacere ma lei sembrava non arrivare mai all’orgasmo. “Caro, se continui così mi fai impazzire per sempre. Ah d’ora in poi vivrò solo per fare l’amore. Per prendere cazzi”.

“Ne prenderai altri dopo il mio?” le chiesi, “Oh sì, ogni volta che un uomo mi piacerà gli lascerò infilare il suo cazzo nella mia fica”. “E ti piacerà, porca?” “Oh sì”, “E allora goditi il mio; prendi questi colpi e goditeli”. “Ah Gio, sì. Ancora. Fai forte…”. “ Sei vicina a godere?”, “Sì, già godo. Sto godendo. Godo tutta. Sì… sì…”. “Vuoi che venga anch’io?” le chiesi. “Vieni… sì vieni. Ma non sborrarmi in fica, non è prudente. Ti raccomando, fai attenzione, sborrami sul ventre, caro”.

Le chiesi “Perché sul ventre e non nel tuo piccolo culo? Sarà più bello per te e per me e non c’è pericolo…”. Mostrò di essere in preda al panico, “No, non nel mio culo”, c’era davvero sorpresa nel suo sguardo. “Non farmi questo Gio” implorò. “Nessuno te lo ha mai infilato nel culetto?” chiesi; “No, mai” mi rispose decisa. Poi, supplicante aggiunse “Tu non vorrai provare con me, vero Gio? Non voglio… deve fare molto male. No, Gio…” ma avevo troppa voglia di farle il culo per rinunciare.

Forse volevo vendicarmi di tutto quello che mi aveva fatto, ma sentii un impulso irrefrenabile. Dovevo aprirle le chiappe con mani violente, brutali e poi infilarle a forza il cazzo dentro, a fondo, fino all’intestino. Volevo sentirla gemere di dolore; però i miei coglioni erano ormai troppo pieni perché potessi impegnarmi in un gioco così lungo e così impegnativo.

“Rassicurati, mettiti tranquilla. E’ nella bocca che ti farò sentire lo sperma”. “Nella bocca. Oh no, questo è impossibile” disse serrando con forza le labbra. “Ti verrò in bocca” continuai. “Ma Gio, non è possibile che tu voglia farmi questo…”. “Edvige, ma veramente tu ancora non hai sentito lo sperma in bocca?”. “Oh no, anche se me lo avesse chiesto mio marito avrei rifiutato”, mi rispose decisa. “Edvige, tutte le donne amano raccogliere in bocca, qualche volta, l’elisir d’amore”.

Le parole non servivano a niente, bisognava agire. Emise un lamento quando glielo sfilai dalle cosce, poi mi misi in ginocchio giusto sopra il suo viso, le presi la testa tra le mani e gliela immobilizzai. “No”, gridava, “Non puoi costringermi a questo”. Scelsi l’istante preciso in cui la sua bocca era aperta e lasciai partire una vera raffica di sperma. Lei cercò di richiudere la bocca ma era ormai tardi, alcuni schizzi le erano finiti in bocca. Tossì un po’ e credetti, dalle smorfie che faceva, che stesse per vomitare per cui fui veramente sorpreso quando la sentii mormorare “Avevi ragione tu: è eccitante, è bello farsi venire in bocca”.

Eravamo là distesi sul divano, l’uno vicino all’altra, incapaci di fare il minimo movimento o di pronunciare una sola parola e non facevamo nulla per uscire da quella dolce prostrazione che segue gli amori goduti fino in fondo. Eravamo in questo stato quando improvvisamente la porta del salotto si aprì.

Con una luce raggiante negli occhi, Tina se ne stava immobile sulla soglia, “Finalmente” disse con aria soddisfatta “Ti sei decisa a farti una sana scopata. Ce n’è voluto ma finalmente mi hai dato retta”. Io mi sentivo imbarazzato ma, con un sorriso ironico, Tina aggiunse “Giuro, mi sono assentata sicura che questo ragazzo ce l’avrebbe fatta a vincere i tuoi ridicoli scrupoli. Ho inventato una scusa per andare via ma sapevo che al ritorno vi avrei trovati così…”.

Accortomi che i miei pantaloni erano ancora aperti, mi affrettai a ricompormi ma Tina mi bloccò “Oh, mio caro, non stare a sentirti imbarazzato, non nascondere il tuo uccellino. E’ bello anche in riposo. Certo avrei preferito contemplarlo sull’attenti in tutta la sua maschia arroganza ma penso che adesso io ed Edvige lo rimetteremo di buon umore e gli rifaremo sollevare la testa”.

Detto questo, si avvicinò al divano e con la massima gentilezza, presa Edvige per la mano, l’aiutò a sollevarsi e poi la sospinse fino al centro della stanza. Edvige, come se eseguisse il cerimoniale conosciuto, incominciò a spogliare Tina. Le slacciò il vestito e glielo sfilò, quindi accarezzandole la schiena le tolse le mutandine, indugiando con le dita nella fica.

Mi sentivo un pascià, sdraiato com’ero sul divano avendo davanti queste due bellezze pronte ad eccitarmi. Le due donne, infatti, presero subito ad accarezzarsi, all’inizio quasi con affetto ma in capo ad un attimo apparvero come pervase dalle stesso calore, dallo stresso fuoco, ed avvinghiate si sdraiarono sul pavimento. I seni turgidi di Edvige si confusero con quelli di Tina. I ventri compressi l’uno contro l’altro presero a ruotare con una lentezza snervante. I peli s’intrecciavano e le loro fiche diventarono una sola fica.

Gemendo presero a contorcersi come se il corpo di una volesse scomparire nel corpo dell’altra. Cominciarono a baciarsi in bocca mentre con le dita iniziarono a masturbarsi l’un l’altra. Dita agili ed esperte che trovata la strada sotto l’umida massa di peli, s’infilavano nelle profondità brucianti mentre dai loro corpi prese a salire l’odore dell’amore e del godimento.

“Ho cara” gemeva Tina “come me la tocchi bene”. “Anche tu mi stai facendo impazzire il clitoride” rispondeva Edvige. Una gridava “Ah, com’è bello” e l’altra rispondeva “E’ meraviglioso, fammelo finchè godo”. “Anche tu fammi godere. Toccamela tutta”. Si rotolavano per terra, avvinghiate, come possedute. In ciascuna delle fiche si agitava un dito impazziti. Vedevo le loro fiche aprirsi sempre più: come ostriche.

Poi, come si trattasse di una pratica ormai consolidata, senza parlare, cambiarono posizione e i misero a forbice con le fiche aperte che si toccavano mentre loro davano colpi come se stessero chiavandosi e si strusciavano le fiche aperte. Vedevo il miele del loro eccitamento scendere sempre più copioso mentre udivo il rumore liquido delle fiche che sbattevano una contro l’altra.

Avevo il cazzo dritto come un’alabarda. Era di nuovo pronto a fare di ogni fica una carneficina. Non potevo più rimanere fuori dal gioco, la funzione di spettatore l’avevo fatta abbastanza e sollevatomi dal divano, col cazzo in resta mi rovesciai sulle baccanti che nel frattempo avevano assunto la posizione di sessantanove.

Tina era sopra e vedevo il viso di Edvige che leccava golosamente il sughino che la sua fica gemeva in continuazione. Mi inginocchiai e, presa Tina per le anche, glielo ficcai tutto dentro.

Mandò un grido “Gio, ma tu mi uccidi, oh che cazzo enorme, lo sento fino in gola. Oh come chiavi, sei formidabile…”. Edvige, che mi aveva lasciato il posto in fica ma aveva mantenuto il possesso del grilletto che andava sollecitando con la punta della lingua, disse “Lo senti, Tina, che razza di cazzo che ha? Te la sta sfondando tutta. Dimmi quello che provi”. “Ho una bestia in corpo, non è un cazzo quello che mi scava in corpo, è un serpente. Oh, Edvige, che bello!”.

Sempre offrendo la sua fica al cazzo e il suo culo al mio sguardo voglioso, Tina non smetteva di mettere a parte Edvige di quello che le stavo facendo provare “Resisti ancora un po’ Edvige, tra poco godo e ti fai chiavare tu. Lascia che me lo prenda ancora un po’. E’ troppo bello. Oh, mi sento tutta una gran fica. Che bello farsi chiavare da un cazzo così grosso…”

Quando cominciò a godere, gridando come una pazza se lo tenne dentro con tutte e due le mani. Non la finiva più di contorcersi. Poi, da sola, se lo sfilò e lo appoggiò alla fica di Edgive. Io mi sentivo dentro un’energia inesauribile. Chiavai a lungo anche Edvige e poi tornai a chiavare ancora Tina. Ogni volta che, esausto, pensavo di avere finito le mie fatiche amatorie, sempre le donne riuscivano a eccitarmi nuovamente o prendendomelo in bocca a turno o leccandosi tra di loro con tale parossismo di libidine che io mi ritrovavo con un gran cazzo tra le gambe.

Alla sera eravamo tutti assolutamente distrutti.

Edvige con la sua auto mi accompagnò alla stazione: era già notte. Io mi reggevo in piedi a fatica e come trovai uno scompartimento vuoto mi abbattei come un masso sul sedile e piombai nel più pesante dei sonni.

Presto cominciai a sognare e davanti a me sfilarono tutte le amanti che in quel breve soggiorno a Roma erano riuscite a trasformare l’ingenuo ragazzo nel più completo e attrezzato degli scopatori. Tutte le rividi nel sogno.

C’era Anna, la mia prima generosa istruttrice.

C’era Rita, la perversa.

C‘era Lolita, l’insaziabile, la regina dello spogliarello.

C’era Edvige, la masturbatrice.

C’era Tina la bisessuale calda e affamata di sesso.



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