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600 frustate


di Honeymark
03.06.2019    |    14.630    |    4 8.4
"Il caso aveva voluto che io e Federica alloggiassimo nello stesso albergo di lusso, d’altronde non ce ne erano molti..."
Come si può capire dal titolo e dal genere di appartenenza in cui è stato inserito, questo è un racconto sadomaso.
Secondo una ricerca del Censis, il15% della gente ama far sesso in chiave sadomaso.
Non c’è nulla da vergognarsi: ognuno ha diritto di essere quello che è.
L’importante è che venga praticato tra gente adulta consenziente e responsabile.
Questo racconto ovviamente è di pura fantasia, come ho promesso a tutte le persone coinvolte.
Ma il sesso ludico è importante perché scarica quello reale che potrebbe essere molto più violento.
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600 frustate
1

Il direttore mi aveva mandato a fare un servizio per il giornale in un certo emirato arabo, dove una donna europea era stata condannata a subire 600 frustate. Un numero fuori di testa, ovviamente. E, con il codice penale che vuole che non siano mai più di 50 le frustate somministrate per una singola volta - a meno che non svenga prima - una pena molto dolorosa e lunga da espiare.
Quindi, conti alla mano, avrebbe dovuto essere frustata almeno una dozzina di volte. Il che, secondo le note inviate dall’ambasciata di quel paese, corrispondeva ad altrettante settimane. La donna infatti sarebbe stata frustata tutti i giovedì sera, vigilia del venerdì. E la mia missione sarebbe durata 10 giorni, proprio per poter intervistare la condannata prima e dopo l’ennesima frustata e dopo la frustata successiva. Avrei dovuto fare in modo che il mondo si indignasse di tanta ferocia contro una donna.
In volo avevo incontrato una collega, Federica, inviata da un altro giornale con lo stesso fine di condannare le punizioni corporali e spezzare una lancia a favore della povera vittima.
Il caso aveva voluto che io e Federica alloggiassimo nello stesso albergo di lusso, d’altronde non ce ne erano molti.
Essendo arrivati di mercoledì e l’indomani andammo a trovarla nel carcere, dove ci avevamo preparato i permessi speciali.
Ci fecero accomodare in una stanza e dopo una mezzora ci portarono la donna condannata. Ci accomodammo a un tavolo, mentre due guardie restarono presenti.
- Siamo due giornalisti, – dissi alla signora presentandoci.
Era bella, bionda, alta, ben fatta, sui 35 anni. Cercai di essere il più gentile possibile.
- Vorremmo scambiare due chiacchiere con lei, – disse la mia collega.
- Siamo dalla sua parte, – le precisai. – Non si preoccupi.
- Come sta? – Domandò la mia collega, da donna a donna.
- Cosa volete sapere esattamente? – Domandò la signora con la voce incerta. – Non si è fatto vivo nessuno della nostra ambasciata.
- È comprensibile, – commentai.
- È comprensibile un cazzo! – Protestò la mia collega, meravigliando entrambi e mettendo a suo agio la signora.
- Cosa volete sapere? – Domandò di nuovo, con un tono più aperto. L’avevamo convinta.
- Tutto, a partire da quello che ha combinato.
- Dunque, – cominciò, raccogliendo le idee. – Eravamo in vacanza e una sera ho litigato con il mio compagno. Una cosa non da poco. Ho pianto, mi sono sbronzata, ho preso l’auto a noleggio del mio uomo e sono scappata in giro per la città.
- Alle donne qui è vietato guidare l’auto… – Intervenne la mia collega.
- Già, ma in quel momento non me importava niente. – Continuò. – Poi però ho perso il controllo dell’auto e sono finita dentro una moschea…
- Oddio… Danni?
- Solo materiali e… morali.
- Il suo moroso?
- È rimasto con me fino alla sentenza, poi è scappato a casa. Ma è comprensibile.
- Comprensibile un cazzo! – Protestò nuovamente la collega.
- A cosa è stata condannata? – Domandai, pur conoscendo la risposta.
- A 600 frustate. – Disse abbassando la testa. – Me ne daranno 50 alla settimana fino alla fine della condanna.
La lasciammo parlare.
-Mi frustano dalle 20 alle 21, poi mi riportano in cella.
- Ma come fa? – Chiese la mia collega. – Parla come se andasse a fare la spesa… Deve essere terribile!
- È terribile, mi creda. Ma non posso farci niente. Devo farmene una ragione.
- Ma è già stata… frustata molte volte? – Chiesi.
- Non so esattamente, ma ho passato la metà metà della pena scontata. – Rispose con pacatezza.
- Come funziona? – Domando la collega. – Ci può descrivere cosa le fanno?
La signora prese il fiato.
- Mi portano in una sala vicina a quella dell’esecuzione e mio fanno attendere. Poi arriva una specie di capo che mi legge per l’ennesima volta la sentenza e mi precisa il numero delle frustate ricevute e di quelle che mancano.
- Il suo stato d’animo?
- Le prime volte ero angosciata al punto di morire. Adesso non vedo l’ora che comincino e che finiscano in fretta.
- Poi, come procede?
- Mi spogliano. – Rispose abbassando la testa. – Del tutto. Rimango nuda.
- Dio mio… Mormorò la collega.
- Mi mettono un collare e mi legano le mani al collare. – Continuò. – Mi mettono un guinzaglio e mi portano in sala della punizione. Una volta sul posto, mi slegano le mani e me le fissano a una carrucola, che poi mettono in tensione per farmi tenere le braccia in alto. Mi mettono un piccolo distanziatore alle caviglie, che poi bloccano a terra. Infine mi mettono in testa una specie di paraocchi per evitare che un colpo maldestro possa colpirmi il viso. A quel punto sono pronta.
- Chi sono i carnefici? – Domandò ancora la collega. – Ce li può descrivere?
- Cambiano ogni volta, – disse. – Sono dei giovani sui 20 anni di buona famiglia. Stanno a torso nudo. Prima vengono da me e mi palpano…
- La palpano? – Domandò la collega, sempre più indignata. – Ma… possono farlo?
- Devono farlo. Mi è stato spiegato che i carnefici devono palpare i condannati per avere una sensazione diretta. Devono capire che si tratta di un essere umano.
- E… dove la palpano?
- Sono dei ragazzi, – rispose guardandola. – Dove crede che mi palpino?
- Mi scusi…
- Poi? – Domandai.
- Poi si portano alla giusta distanza e uno alla volta, su ordine del capo, mi danno una scudisciata testa. Il capo conta i colpi.
- Terribile.
- Usano la forza?
- La massima. Lo ricorda sempre il capo. Se uno allenta il colpo, deve rifarlo.
- E dove la colpiscono?
- Sono ragazzi, – ripeté. – Mi colpiscono il culo e le tette.
- Nooo!
- Ho un bel culo e la quinta misura di seno… – Aggiunse. – Mi comprende?
La collega era davvero indignata.
- È molto doloroso?
- Urlo ogni colpo a squarciagola…
- Ma dopo 50 colpi, non è devastata?
- No, hanno inventato fruste dolorosissime che però non lasciano segni che vanno oltre i due o tre giorni.
- Parla di loro con una certa ammirazione…
- Sono dei professionisti. Il capo lo è di sicuro.
- Possiamo fare qualcosa? – Domandai alla fine. – La stampa ha ancora un certo potere…
- Cosa volete fare… Il mio moroso avrebbe potuto fare molto!
- Cioè?
- Se fosse rimasto, avrebbe potuto farmi ridurre la pena.
- E come?
-In due modi. Se avesse accettato di presenziare alle mie frustate, le avrebbe fatte ridurre da 600 a 500. Se poi avesse accettato di frustarmi lui, le avrebbe ridotte a 400…! Avrei già scontato la pena.
- Sta dicendo che…
- Sì, funziona così. Per far coinvolgere i parenti più stretti, riducono la pena.
- Ma per quale ragione…
- Dicono che sia più performante l’intervento della famiglia… Ehi… Mi avete fatto venire un’idea!
- Dica.
- Vi presento alle autorità come miei parenti stretti. Così potete assistere alla prossima esecuzione. Voi avete ampio margine di manovra per i vostri articoli, a me vengono scontate 10 frustate a testa. In tutto 20 in meno.
Restammo senza parole.
- Se poi la volta successiva volete partecipare a una seduta, cioè se mi frustate voi, mi verrebbero scontate altre 60 frustate!
- Spiegati meglio, – Fu l’unica cosa che riuscii a dire.
- La prima volta, se vi ammettono, potete solo assistere alla mia fustigazione. Ma alla seconda potrete frustarmi voi personalmente. In tutto per me sarebbero 80 frustate in meno…!
- Ci stai chiedendo di frustarti? – Chiese la mia collega, dandole del tu. – Ma sei impazzita?
- No, anzi! È l’unica opportunità che ho di ridurre la pena! – Rispose animatamente. – Almeno venite domani sera ad assistere mentre mi frustano! Mi abbuonano 20 frustate e poi potete decidere cosa fare.
Era proprio agitata dall’idea di avere uno sconto.
- Capisco che le mie urla potrebbero farvi inorridire, ma per me purtroppo sarebbe una cosa normale, con o senza di voi.
- Sarebbe indegno da parte mia assistere mentre ti seviziano… – Mormorò la mia collega.
- Mi sentirei un guardone a vederti nuda mentre ti frustano.
- Non è nulla in confronto a quello che mi fate risparmiare.
- E davvero vorresti essere anche frustata da noi? – Chiese la mia collega. – Lo trovo immorale.
- E invece sarebbe un atto di generosità, – controbatté lei.
- Potremmo colpirti con una forza minore… – Azzardai.
- No, purtroppo, dovreste usare tutta la vostra forza, così come potete vedere assistendo domani alla mia fustigazione. Se non lo fate vi sostituiscono e casca tutto.
Restammo un po’ in silenzio, mentre lei era col fiato sospeso in attesa di una nostra risposta.
- Scusa, – disse la mia collega. – Aspettaci qua. Voglio scambiare due chiacchiere con lui.
- Fate con comodo. Io sto qua.

- È immorale che una donna come me che lotta per combattere la violenza sulle donne debba frustare un’altra donna.
- Direi che sarebbe immorale il contrario, – le dissi pacatamente. – Per motivi di principio non puoi condannarla a subire tutta la pena.

Tornammo da lei.
- Accettiamo. – Dissi, mentre la mia collega abbassava lo sguardo.
- Dio sia lodato! – Esclamò.
Una situazione assurda, dove la vittima era felice all’idea che avevamo accettato di assistere a una sua punizione e perfino a frustarla.
- Ma te lo confermeremo dopo aver assistito alla tua fustigazione domani sera.
- Sì, capisco. – Ammise. – Però devo chiedervi qualcosa in cambio.
- Sentiamo.
- Niente foto, ma questo è espressamente vietato dal regolamento carcerario. Se vi trovano con delle foto rischiare a vostra volta una sessantina di frustate.
- D’accordo, – dissi.
- E niente nomi e cognomi. Fate i servizi che volete, ma non scrivete neanche le iniziali.
- D’accordo, – ripetei.
- Come restiamo? – Domandò la collega.
- Domani mattina venite al carcere. Io ne parlo con il capo dei carnefici concordiamo il da farsi. Sperando in bene.

(Continua)
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