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Una botta di culo.


di Honeymark
31.01.2015    |    21.029    |    5 9.6
"Una volta l’avevo invitata a cena per passare una serata parlando con lei..."
Così come avverto quando il racconto è particolarmente hard, devo segnalare anche quando lo è poco.
Quello che segue, “Una botta di culo”, è sottilmente erotico.
Ma è accaduto veramente al sottoscritto e l’ho riportato, romanzandolo un po’ per renderlo credibile, e camuffando alcuni particolari per rendere irriconoscibile le circostanze in cui è accaduto.
Buona lettura.


UNA BOTTA DI CULO.


Mi trovavo in ospedale, dopo aver subìto un delicato intervento chirurgico di qualche genere di cui ricordavo poco o nulla.
Non ero più rintonato come quando mi avevamo svegliato dopo avermi rivoltato come un calzino, ma stavo ancora cercando di capire se e quando sarei tornato a casa. Ma finché avevo la flebo al polso sinistro, sarei rimasto lì.
Un chirurgo mi aveva detto che era andato tutto bene, nel senso che se morivo la colpa non era sua. Ma di cosa diavolo mi avevano operato?
Lo chiesi alla suora, che restò vaga.
- E’ stato a due passi dalla fine, - mi disse, tenendo le mani giunte. – E’ fortunato a non ricordare… Ha avuto un incidente stradale, l’hanno soccorsa e l’hanno portata qui. Ma adesso non deve pensarci.
- Cosa avevo di rotto?
- Tutto e niente, - rispose. – Niente ossa rotte, ma traumi estesi e importanti dappertutto. Hanno dovuto operarla per fermare qualche emorragia e ripristinare la funzione di alcuni organi sotto shock.
- Solo fasce e cerotti?
- Anche una trentina di punti, se è per quello… - Aggiunse pazientemente. – E un po’ di coma…
- Ostia…! Scusi madre, mi è sfuggita. Tornerò a casa presto?
- Dipende da lei. Al momento è ancora a rischio.
- A rischio di cosa?
- Di un tracollo generale.
- Wow, - che belle parole…
- Abbia fede.
Restai lì a riposare, grato quantomeno di non sentir male. Sicuramente mi avevano strafatto con qualche antidolorifico.

Quel pomeriggio me ne stavo rincoglionito nel letto, quando un’infermiera venne a dirmi che avevo visite.
- Posso ricevere visite, sì?
- Sì, certo.
- Oltre mia moglie, voglio dire.
Mia moglie veniva regolarmente a trovarmi prima e dopo il lavoro, povera.
- Sì.
- Avanti allora. – Dissi. – Al massimo faccio la figura del rincoglionito.
Erano Martina e Caterina, due amiche del cuore sui 30 anni, con le quali avevo uno stretto e profondo legame di amicizia. Carine a venirmi a trovare.
Scambiammo alcune parole di circostanza tra mille sorrisi, poi vennero al punto.
- Siamo venute a mantenere la promessa.
- Quale promessa?
Sorrisero guardandosi.
- Ora ti mostriamo il culo. – Disse Caterina.
- Però dobbiamo fare attenzione che non entri nessuno, - disse Martina.
Quest’ultima andò alla porta e fece cenno all’altra che poteva procedere.
Io non avevo capito bene, rintonato come ero, ma la parola “culo”, che avevo afferrato perfettamente, risuonava nella mia testa come qualcosa di superlativo. Una specie di luce. Un richiamo alla vita.
Caterina si avvicinò a me, si girò di schiena e iniziò a sollevare la gonna. Io continuavo a non capire, ma quando la tirò su del tutto e potei guardarle il culo così da vicino, ricordai più o meno tutto.
Tempo prima, non so quanto prima, in una serata tra amici - anzi tra amiche - avevamo fatto la solita chiacchierata iperrealistica. Se qui, se là, se mi succede… Sì, mi avevano promesso che se fossi stato in fin di vita, sarebbero venute a mostrarmi il culo…
- Ferme, ragazzi! – Esclamai. – Non sono in fin di vita! Cioè, non lo so… Ma non mi dovete niente! Sono promesse che si fanno così, nei momenti di allegria e…
- Beh, - rispose Caterina, continuando a mostrarmi il culo. – Io mantengo le promesse. Mantienile anche tu, accarezzandomi.
Non me lo feci dire due volte e passai prima il dorso delle dita alla base delle natiche, poi una carezza a mano aperta fino a sentire la fessura del culo e godermi la palpata classica. Caty cercò di assecondarmi, magari forzandosi un po’, chissà. Rubai un’ultima palpatina a mano piena e la ringraziai. Mi aveva fatto felice.
Si avvicendarono e si portò a me Martina. Anche lei sollevò le gonne e stavolta non persi tempo in convenevoli, passando a palpare l’amica con dovizia di particolari. Aveva un culo bello anche lei, rotondo, generoso. Mi parve di capire che le mie palpate non le dessero proprio fastidio, tanto vero che Caterina si trovò costretta a interromperci.
- Vieni Cate, dobbiamo andare e lasciarlo riposare.
Due baci di circostanza e via.
Poi chiamai un’infermiera libera. Venne Nastia, infermiera professionista di origini ucraine.
- Che c’è?
Le raccontai cosa mi era successo.
- Wow… - fece meravigliata. – Che fortunato che sei ad avere amiche così…
- Il punto non sono loro, - dissi. – Ma io.
- Tu? Perché, qual è il problema?
- Il problema è lui. – Dissi indicandolo. – Non si è mosso.
Nastia disse che ne avrebbe parlato col medico e uscì.

Verso le 9 di sera, Nastia venne in camera mia con una collega di nome Gemma.
Si misero una a destra e una a sinistra del letto, abbassarono le coperte, misero un raccoglitore di plastica sotto le mie natiche e poi cominciarono a lisciarmi il pene con delle spugnette intrise di acqua calda.
Sembrava che stessero masturbandomi.
Il massaggio mi faceva piacere, ma non sortiva risultati.
- Si è mosso un po’, - osservò Nastia. – Proseguiamo domani. Se nel frattempo vuoi accarezzarlo un po’ tu, fammi sapere se ha reazioni.
Trovai la situazione imbarazzante e intrigante nel contempo. Ma anche decisamente allarmante e cominciai ad accarezzarlo. Perdere l’uso dell’uccello a sessant’anni era una prospettiva che non mi andava proprio, anche se l’età non deponeva a mio favore.

L’indomani alle 12, dopo che avevo consumato il pasto d’ospedale, vennero a trovarmi Clara e Franca.
- Anche voi? – Chiesi sornione.
- Ogni promessa è debito.
Stessa fantastica scena, con una sceneggiatura tutta loro. Franca andò a togliersi le mutandine nel bagno della stanza e poi tornò da me. Sollevò le gonne lentamente mostrandomi un culo come non avevo mai visto. Natiche ovali, fessura marcata, liscio come quello di un bambino… Me lo lasciò accarezzare finché l’amica non le disse di far presto.
Clara fu ancora più emozionante, perché ricordavo che avrei dato l’anima per poterglielo guardare, non dico toccare. Avrei continuato così all’infinito, se non avessero dovuto andar via. Andavano pranzo anche loro, a orari non ospedalieri.
- Come è andata? – Mi chiese poi Nastia, l’infermiera.
- Fantastiche, - dissi. – Ma lui…
- Capito. Verso le quattro veniamo a metterci mano. – Rispose. – Intanto riposati in tutto relax. Tornerà tutto a posto, vedrai.
Alle 16 vennero con lo stesso armamentario. Raccoglitore d’acqua e spugnette con acqua calda. Fantastico. La sensibilità era perfetta, ma lui anziché mettersi in posizione di lavoro se la godeva in tutto relax.
- Non preoccuparti, - ripeté Nastia. – Tornerà tutto a posto molto presto.

L’indomani mi portarono a togliermi la prima fila di punti.
- Sentirò male? – Chiesi.
- Tu mettimi una mano sul sedere e vedrai che il dolore ti sembrerà lontano lontano.
Aveva ragione. Il fatto che si fosse lasciata toccare lo gradii moltissimo. E’ una sorta di femminilità fantastica, che per un’infermiera era davvero una dote in più.
- Lui se ne è accorto? – Mi domandò indicandomelo, mentre mi rivestiva.
- Tempo di no… Però è stato piacevolissimo.
- Vedrai che ce la faremo. Le carte cliniche dicono che è tutto posto.
- E allora cos’è?
- Lo shock. Alla tua età può accadere questo e altro.
- Meglio altro che questo… - Osservai.
- No, credimi. Meglio questo che altro. Qui ce la faremo…
- Se lo dici tu…

L’indomani vennero a trovarmi altre due amiche, una la mattina e una nel tardo pomeriggio. Erano bellissime, due top model mie carissime amiche, ma che non ricordavo affatto di aver convinto di venirmi a porgere il culo in ospedale nel caso di una disgrazia. Compresi cosa voleva dire Nastia: se invece che l’uccello aversi peso la memoria sarebbe stato mille volte peggio.
La prima top model, Barbara, non fece fatica a mostrarmi il culo, sia perché era abituata a farlo (anche se non con me), sia perché indossava una minigonna che aveva suscitato l’interesse dell’intero reparto e la gelosia delle infermiere di turno. Fantastica, bellissima. Un culo da trofeo. Se lo lasciò accarezzare e baciare.
Nel pomeriggio la seconda top-model, Sara, mi fece sollevare con calma, mi mise a portata si lasciò abbracciare il culo col braccio destro mentre le appoggiavo l’orecchio al basso ventre. Una cosa da raccontare i nipoti.
Dopocena Dissi a Nastia che, se si era mosso, “il cazzo restava una testa di cazzo”.
Sorrise.
Lei e la collega lavorarono ancora al mio pene e in effetti avvertii qualche movimento.
- Dai, che stai per farcela. E visto che tra qualche giorno ti rimandano a casa, sarà meglio che ti impegni. Veniamo a trovarti ancora stanotte, ma tu datti da fare.
Era così bello lasciarle fare senza impegnarmi, che trovai il tutto decisamente delizioso. Un delitto tornare a casa…

La cosa continuò e per un paio di giorni vennero a trovarmi tutte le mie amiche.
Infine, il lunedì, ebbi una visita inattesa. Piacevole, ma del tutto inaspettata.
Era Marzia, la mia fisioterapista. Sì, ogni sabato andavo da lei a farmi curare un ginocchio che soffriva di un sacco di problemi. E, essendo lunedì, stavolta è venuta a trovarmi lei.
Per qualche inspiegabile ragione, mi sentii fortemente in imbarazzo.
- Sei venuta a trovare l’infermo?
- No, il resuscitato… he he
- Come stai?
- Io? Ha ha! Sei tu in ospedale…
Marzia è per me una donna decisamente sopra la media. Sì, non aveva il culo di Barbara, né il viso di Sara. E neanche i 30 anni delle amiche che mi stanno intorno in questo periodo, ma ha qualcosa di speciale. Di molto speciale.
Difficile dire cosa, ma il dialogo con lei mi ha attirato sempre più. Non mi capitava spesso di arricchirmi culturalmente parlando con gli amici, ma con lei ci riuscivo. E con il suo atteggiamento, con la sua disponibilità dialettica e… la tolleranza alle mie battute, mi aveva fatto capire quanto fosse importante avere un’amica come lei.
Una volta l’avevo invitata a cena per passare una serata parlando con lei. Sarebbe stata nel contempo la più rilassante ed esaltante serata della mia vita. Non mi interessava possederla, anche se a me quello che attizza di più di una donna è proprio il cervello. Cioè, sì, mi sarebbe anche piaciuto possederla, ma sapevo anche che non aveva senso. Io ero fuori di ogni tentazione e lei era felicemente sposata. E potevo permettermi neppure di provarci. Non mi mancano le donne, mentre se lei se ne fosse andata, a me sarebbe mancata da morire.
Beh, aveva accettato l’invito a cena, poi lo aveva disdetto.
Come dire che la risposta emotiva era stata superata da quella motivazionale.
Aveva dimostrato buonsenso. Sapeva che non sarei andato oltre certi limiti, ma proprio per questo non aveva senso. Cioè, che senso aveva passare una serata a due solo per piacere dialettico? A noi enorme, ma a chi avremmo potuto spiegarlo oltre a noi stessi?
- Tra un paio di giorni mi mandano a casa. – Le risposi. – Ho ancora qualche piccolo problemino da risolvere e…
- Lo sai perché sono venuta?
- Sì. Cioè no, scusa.
- Sono venuta a mostrarti il culo…
- Marzia, non dire cazzate. Tu proprio non mi devi niente. Ti avevo parlato di un accordo goliardico con le mie amichette, ma non riguardava te.
Dovevo essere arrossito e agitato come un bambino.
Andò a chiudere la porta, poi venne da me.
- Non farlo Marzia…
Si girò di schiena e sollevò piano la gonna. Molto piano. La tirò su fino a mostrarmi la base rotonda delle natiche e poi su, su, fino a farmi vedere il suo sedere in tutta la sua femminilità.
Rimase così una lunghissima manciata di secondi, poi abbassò la gonna. Abbassandola, mi accorsi che portava le mutandine. Delle coulotte che lasciavano scoperta la parte bassa del sedere. Forse voleva farmi credere di non portare le mutandine e non dissi nulla. Né provai ad accarezzarla.
Rimasi senza parole a guardarla mentre si girava dalla mia.
Le baciai la mano, lei baciò la mia. Se ne andò.

- Come è andata? – Mi chiese l’infermiera, entrata nella stanza dopo aver visto Marzia andar via.
- Mi si è rizzato.
- Wow…! Evviva! Stasera facciamo il prelievo!
- Nastia, - dissi.
- Sì?
- Sono stato grave?
- Sì. – rispose dopo aver pensato un po’ se dirmelo o no.
- Tanto?
- Sei stato in coma una settimana. Prima in coma naturale, poi artificiale.
- O diomio… Ma cosa mi era successo?
- Un autobus ti è venuto addosso mentre eri in bicicletta.
- Sono finito sotto un autobus???
- Ha ha! No, però ti ha preso in pieno di lato e ti sbattuto a terra malamente.
- Ho battuto la testa?
- Non solo quella. Il lato destro te l’ha sbattuto il bus, quello sinistro il selciato. Tutti ti vedono andare in giro in bicicletta in città, meno l’autista di quel bus…
- Sono venuti a trovarmi mentre ero in coma?
- La società dei trasporti ha continuato a interessarsi e ti ha regalato una bicicletta nuova, di carbonio…
- Ah, però… No, parlavo di amici.
- Sì, oltre ai tuoi, soprattutto le tue amiche. Le avevo sentite parlare di un impegno che si erano prese con te… E ne ho approfittato.
- Cioè?
- Prometti di tenere per te quello che ti dico?
- Contaci.
- Le sentii mormorare che si erano impegnate a mostrarti il culo in caso di pericolo di vita… Mi sono intromessa e gli ho detto che se avessero mantenuto… la promessa, ti avrebbero riportato alla vita normale al più presto.
- Dimmi che scherzi…
- No. Quando hanno accettato, ho detto loro di venire a turno a trovarti quando eri in coma, ma fuori dalla rianimazione, a sussurrarti nelle orecchie parole dolci legate al culo.
- Non dirmi che lo hanno fatto…
- Come no! – Rispose ferma. – Si sono organizzate e si sono date i turni. E ne hanno parlato anche con altre amiche. La maggior parte ha accettato.
- Ossignore…
- Quello che mi ha meravigliato è stato l’effetto dell’ultima amica. Non era la più bella, né la più giovane. Cos’è che aveva più delle altre?
- Tutti i tre lati della donna, - risposi. – I lati A, B e C. Soprattutto il C
- Immagino che il “C”sia il culo…
- No, il cervello.
- Il cervello? - Esclamò meravigliata. - Esiste un uomo che nelle donne cerca il cervello?
- Beh, io per esempio.

La sera mi fecero il prelievo.
Le due infermiere vennero con le spugnette e il raccoglitore d’acqua. Poco dopo l’inizio delle loro carezze, l’uccello si mise in posizione di lavoro. Risentiva ancora dell’improvvisata.
- Bravo! – Disse entusiasta una delle due. – Dai che ce la fai!
E continuarono a sollecitare il pene. Non so dove volessero arrivare, ma se continuavano così, sarei venuto.
Dopo un po’, Nastia si girò di schiena e si abbassò i pantaloni bianchi della tuta da infermiera.
- Accarezzami. – disse. – Ti aiuta.
Aveva un tanga nero, non lo si vedeva risaltare attraverso i pantaloni perché era sottile. Guardai il suo culo a bocca aperta. Non so se fosse il migliore che vidi in quei giorni, ma certamente le circostanze me lo facevano sembrare così importante da rendermi difficile accarezzarlo. Vinsi la paura che mi… mordesse e lo accarezzai con l’esterno delle dita. Poi con l’interno della mano, quindi con la mano piena e finalmente lo palpai alla congiunzione delle natiche.
A quel punto sentii la prostata tossire come se si stesse avviando un vecchio motore diesel. Perse il primo colpo, ma recuperò il secondo. Con il terzo capii che il meccanismo si stava avviando.
- Infilalo nel bicchiere, che sta per venire, - disse Nastia a Gemma.
Le pulsazioni passarono dalla prostata al pene e poi al glande, che tossì e cominciò a espellere qualcosa. Dapprima niente, ma poi sentii uscire lo sperma a fiotti sempre più ravvicinati e convulsi. Cinque, sei colpi pieni, poi si placò. Era come se avessi scalato l’Everest.
Dopo un po’ le due si spostarono. Nastia si tirò su i pantaloni e guardò nel bicchierino di carta.
- Due belle notizie. – Mi disse. – La prima è che sei venuto e la seconda che non hai avuto l’eiaculazione retrograda.
- Retrograda? E cos’è?
- A una certa età, un trauma così forte può indebolire la valvola che chiude la base dell’uretra per far sì che lo sperma pompato dalla prostata esca dal glande. Se cede, lo sperma va nella vescica. E’ uscito, come puoi vedere.
Mi mostrò il bicchierino.
Mi pulirono, tolsero tutto e mi rabboccarono le coperte.
Mi addormentai con il sonno sereno di un bambino.

L’indomani Nastia venne a prendermi per portarmi nello studio del chirurgo.
- Le analisi dello sperma danno ancora una buona percentuale di spermatozoi nel liquido seminale. – Disse l’infermiera sul corridoio.
Non dissi nulla.
Mi sdraiò nel lettino e, in attesa del chirurgo, mi disse qualcosa.
- Hai un sacco di amiche, - mi disse. – Cosa ci fai alle donne?
- Io? Niente, assolutamente niente. Ho 60 anni e mi sembra corretto non provarci più.
- Ha ha! Alla tua età ci provano tutti con una spudoratezza che quando erano giovani non se la sognavano neanche!
- Io so di essere fuori di ogni tentazione…
- Non è vero. E la qualità del tuo sperma lo dimostra.
- Beh, se una ci prova, io ci sto. – Risposi. – La distanza che mi separa dalle donne è la stessa che separa le donne da me.
- Ieri, quando mi sono fatta accarezzare, hai pensato a Marzia?
- No, lei è lei, tu sei tu. E a te qualche pensiero cattivo lo farei…
- Come puoi immaginare - aggiunse piano, mentre entrava il medico, - il rapporto che hai avuto con noi infermiere finisce con la tua dimessa dall’ospedale…
- Messaggio ricevuto. – Dissi. – Ma non vi dimenticherò mai.
- Mi fa piacere. Ma se la strada che ci divide è la stessa…
Il chirurgo mi guardò le ferite e mi disse che potevo tornare a casa.
Mia moglie venne a prendermi a metà pomeriggio.
- Mi hanno detto che sei guarito. – Disse mia moglie sorridendo alle infermiere per gratitudine. – Te la senti di tornare a casa?
- Non vedo l’ora!
- Vi ringrazio ancora per quello che avete fatto, - disse ancora mia moglie alle infermiere. – Avete fatto un miracolo.
- Beh, - disse Nastia sorridendo. – In effetti possiamo dire che è stata… una botta di culo.


Fine


Nota: E' una storia vera.
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