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Lui & Lei

L'epopea delle candele - Terza e ultima parte.


di Honeymark
06.05.2018    |    3.711    |    2 9.9
"Valentina, terrorizzata e profondamente umiliata, si slacciò il reggiseno e lo sfilò..."
L’epopea delle candele.

7.


La sera prima del martedì grasso chiamai le mie quattro matricole schiave e i due fagioli scaduti per dire loro come avrei organizzato la serata dell’indomani per la festa della siderea laureanda, spiegando cosa dovevano fare per me.
Ordinai a Lucia di offrirsi da cavia, dato che lei non avrebbe potuto aiutarmi in quanto costretta a subire la pena della gabbia, e lei non poté fare altro che prestarsi da volontaria.
La portai in bagno, la preparai con cura e la portai fuori con uno dei vestiti che mi aveva dato il sarto. Ovviamente aveva le mani legate dietro la schiena e l’adesivo sulla bocca.
- Attenzione, – dissi loro. – Vi mostro cosa dovrà fare ognuno di voi domani sera. Andrà tutto così, salvo il fatto che le matricole, maschi e femmine, staranno su dei cubi che ho fatto preparare apposta.
- Scusa – disse un ragazzo, – anche i maschietti saranno vestiti così, da donna?
- Certo! – Risposi. – E con calze e reggicalze.
Mostrò un insano interesse all’idea.
- In tutto si tratta di 20 matricole – precisai, – di cui 15 femminucce e 5 maschietti.
Sentii un sommesso mormorio.
- Ora fate attenzione – proseguii, – perché dovete imparare a fare il tutto in brevissimo tempo, in modo che in quattro mosse possiate preparare tutte le matricole condannate al carciofo aggravato lampante.
Feci notare un particolare asola in filo, fatta col nailon da pesca, che non si vedeva, e in un attimo compii l’opera.
Tutti restarono a bocca aperta.
Poi lo feci fare a loro e quindi aggiornai l’incontro alla sera successiva.
- Fantastico! – Esclamò Valentina quando fummo soli. – Che meraviglia!
- Grazie.

Ci ritrovammo tutti alle 19 in palestra, cove il catering aveva già portato il necessario. Avrebbero fatto da cameriere le matricole libere non condannate, guidate da un altro anziano come me che era stato incaricato al servizio in sala, assicurandosi però che le cameriere lavorassero senza mutandine. In una festa di laurea sarebbe stato un affronto che le matricole indossassero biancheria.
Nelle sale a fianco erano state raggruppate le condannate e i condannati.
- Bene, – dissi loro. – Volete spogliarvi e indossare questi vestiti?
Dopo un attimo di titubanza si spogliarono. Tutte, prudentemente, portavano calze e reggicalze.
- Tu, – dissi al mio unico maschietto schiavo. – Spoglia i maschi e fai indossare loro le calze e i vestiti da donna.
- Sì capo. – Rispose soddisfatto. – Ma le calze dove le prendiamo?
- Eccole, – gli consegnai una scatola. – Sono appena state inventate. Si chiamano autoreggenti perché stanno su senza reggicalze.
Aprirono e guardarono curiosi le nuove calze.
- Queste non scompariranno mai! – Esclamò Valentina.
- Non montarti la testa, – le dissi. – Il collant è troppo comodo.
Mi guardarono perplessi.
- Forza ragazzi, – dissi. – Al lavoro!
- Possiamo mettere le autoreggenti anche alle femminucce?
- Perché no? – Risposi pensandoci. – Se ce ne sono abbastanza… Il culo sembrerà più nudo…
Nel giro di poco tempo avevo 15 ragazze e 5 ragazzi nudi ma con le autoreggenti da sodomizzare con un cero.
- Ecco i ceri, capo. – Mi disse Valentina mostrandomeli ancora incartati nelle veline nella scatola di cartone.
- Qui c’è l’acqua, – Aggiunse Laura. – Scivolano dentro meglio e quando l’acqua è assorbita non escono più da soli.
- Laura… Non ti credevo così sopraffina.
Arrossì.
- Bene, – commentai. – Cominciamo. Mettete la prima in posa.
Si diedero da fare come in catena di montaggio. Mi portarono una alla volta prima le ragazze e poi i ragazzi. Li facevano mettere in ginocchio, li piegavano in avanti, gli scoprivano il culo e gli allargavano le gambe.
Quindi toccava a me, mentre loro guardavano allupati.
Infilavo cero per cero nei culi delle matricole, facendo sempre attenzione a non far male ma solo a umiliare il più possibile. Vedere tanti buchi del culo che si allargavano per ricevere i miei ceri mi inebriava.
Venti però sono tanti e gli ultimi non mi fecero eccitare. Era come un lavoro…
- Abbassate i vestiti e legate loro le mani dietro la schiena, – disposi. – Tappategli la bocca con un adesivo da pacchi, mettetegli un collare col guinzaglio e portateli di là col guinzaglio. Troverete i cubi che vi ho detto, fateli salire prestando attenzione che non scivolino, ricordate che hanno un cero nel culo. Usate la scaletta piccola.
Uscirono tutti trascinandosi col guinzaglio due o tre matricole a testa, mentre io davo le ultime istruzioni a Valentina.
- Al mio via! dovrete fare in fretta perché avete da prepararne tre a testa. – Le dissi. – Tu devi fare anche da sovrintendente e stare attenta che non vadano oltre certi limiti.
- Sì capo. – Rispose, indicandomi poi Lucia, che era tenuta in disparte. – Tu quand’è che porti di là Lucia e la metti nella gabbia?
- Tra un po’, col tuo aiuto. Gli invitati arriveranno non prima di mezzora e abbiano tutto il tempo.
- La gabbia l’ho fatta mettere in centro come hai detto tu.
- Bene. – conclusi. – Hai il telo verde per coprirla?
- Ah giusto! Sì, è nel borsone.
- Andiamo allora.
Presi Lucia e l’accompagnai alla gabbia in centro alla palestra, mentre i ragazzi stavano sistemando le venti matricole sui cubi. Era bello vedere tante matricole - maschi e femmine - vestite da donna con la gonna lunga, con le mani legate e il cerotto sulla bocca. Davano in senso della sottomissione agli anziani. Fra l’altro i cubi, alti una cinquantina di centimetri in modo che il culo fosse alla giusta altezza per guardarlo, avevano una piccola divisoria in modo che chi vi saliva sopra dovesse tenere le gambe leggermente aperte.
Io, Valentina e Lucia raggiungemmo il centro della sala, dove era stata messa la gabbia. Una volta sul posto, ordinai a Lucia di spogliarsi e lei obbedì pacificamente. Aprii il coperchio e la feci salire con l’aiuto di una scaletta. Poi la feci inginocchiare entro la gabbia e piegare in avanti in posizione fetale. Le misi un cerotto sulla bocca, le infilai degli elasticini fino in cima alle cosce, Le legai i polsi dietro la schiena e chiusi il coperchio. A quel punto la fissai in modo che dovesse restare immobile con le cosce aperte il più possibile. Doveva essere scomodissima, ma era lì per divertire e non per divertirsi. Era la contropartita per l’esenzione dai pompini.
Infine Valentina mi diede il lungo e grosso cero che le avevo fatto prendere apposta. Lubrificai la base, che era arrotondata di fabbrica, la infilai nel foro della gabbia che si trovava all’altezza giusta, quindi raggiunsi in buco del culo di Lucia. A sentirsi toccare lì, per quanto bloccata, ebbe un piccolo sussulto. Ottimo.
Valentina mi guardava allupata.
Spinsi piano il cero spostando in avanti Lucia finché non vidi allargarsi l’ano per far posto all’intruso. A quel punto Lucia scivolava da sola attorno al cero, mentre le natiche si stringevano come se in quella maniera avessero potuto impedire l’introduzione, Ma quando raggiunsi il fondo, al contrario, le natiche si allargarono sbracate, sconfitte e violate dal mio cero.
Valentina diede un’ultima manata al cero che fece sobbalzare la vittima.
Infine la coprì la gabbia con il telo verde. Si vedeva la sporgenza del cero che usciva dalla gabbia, ma non si poteva capire cosa fosse.
Lucia sarebbe rimasta lì in quelle condizioni il tempo necessario perché la sala si riempisse e prendesse vita, grazie alle matricole condannate al carciofo lampante. Anche loto dovettero restare ferme sui cubi con il cero nel culo, con intorno i miei aiutanti pronti a far scattare le mie disposizioni.
Quando arrivò, verso le 19.30, andai incontro alla neolaureata e le porsi i saluti miei e dei miei collaboratori, assicurandole che matricole e ingabbiata erano a posto e pronte per allietare la serata agli anziani fuoricorso e a lei, appena diventata «dottoressa dal buco del culo», come si dice cantando. Termine appropriato per quel tipo di feste di laurea.
Verso le 20, quando la sala era piena di invitati, la laureata richiamò l’attenzione dei presenti e li invitò ad assistere all’accensione delle candele.
Il sala scoppiò il silenzio e tutti si guardarono intorno per capire cosa sarebbe successo.
- Guardate le matricole sui cubi, – disse al microfono. – Sono legate e imbavagliate, in quanto minus quam merdam, ma tra un po’ illumineranno la scena come le lucciole. Le lucciole, come si sa, hanno la luce sul culo.
I presenti scelsero la matricola sul cubo più vicino.
- Dopo la performance di questa sera – aggiunse, – le matricole prenderanno il papiro firmato personalmente da me e di diritto diventeranno fagioli. Sarà il mio ultimo atto di clemenza per i minus habentes post captandam fellationem.
Dopo i pompini al sottoscritto, intendeva dire.
- Inoltre – concluse, – potrete assistere alla performance della Gabbia, inventata direttamente dal nostro illustre anziano che ha realizzato la serata e che è qui al mio fianco.
- Signore e signori – concluse, – ecco a voi l’umiliazione-illuminazione della serata.
Mi fece cenno di proseguire e iniziarono a rullare i tamburi del complesso musicale in sala. I miei ragazzi stavano solo attendendo disposizioni da me. E, quando vidi che tutti avevano rivolto l’attenzione alle varie matricole collocate sui cubi, alzai la mano e l’abbassai velocemente per dare il via all’ordalìa.
Ognuno dei miei sette ragazzi (adesso c’era anche Valentina con loro) fece quello che avevo insegnato loro. Tutti i vestiti avevano un sistema con fili di nailon fatto apposta dal sarto su mio progetto, che terminava con un’asola quasi invisibile dietro al colletto. Prendendo quell’asola e tirandola verso il basso, il vestito si alzava verso l’alto e si stringeva attorno al collo, mettendo in mostra le nudità delle matricole, ognuna delle quali aveva già il cero che io avevo conficcato loro nel culo.
Poi, e questo era il tocco geniale, infilarono l’asola del filo di nailon nel cero, in modo che il vestito restasse su, tenuto dalla candela stessa.
Tutti riuscirono a concludere l’operazione senza intoppi e la ripeterono con tutti gli schiavi di loro competenza.
Nella sala esplose un urlo di stupore e meraviglia che mi riempì di soddisfazione. Le matricole invece stavano vivendo il loro momento più vergognoso della loro storia universitaria, probabilmente il più umiliante di tutta la vita. Ma nessuno si lamentò, un giorno sarebbe toccato a loro stare da questa parte della barricata.
- Prego, abbassate le luci! – Esclamò solennemente la laureata.
Quindi feci nuovamente segno ai miei e in breve accesero tutti i ceri alloggiati nei culi con degli zolfanelli da cucina. L’odore di zolfo degli zolfanelli rendeva più realistica la scena.
Infatti a quel punto la gioia dei presenti fu incontenibile e scoppiarono in un applauso liberatorio, con fischi di piacere che risuonarono nelle orecchie dei minus quam merdam come un inno alla loro totale sottomissione.
- Signore e signori – disse al microfono un altro anziano, – ricordiamo che le matricole possono essere toccate e palpate, ma non masturbate. Quello che consigliamo è di accendersi sigarette, sigari, pipe e quant’altro con la fiammella dei ceri messi in funzione apporta per voi.
- Ora – continuò la laureata, – vi invito a brindare con me, alla mia laurea e ai candelabri umani accesi in mio onore.
Stapparono le bottiglie di spumante e cominciammo a brindare, anche se i più - maschietti e femminucce – preferivano andare ad accendersi le sigarette. Allora, contrariamente da oggi, fumavano quasi tutti. E, accendendosele, ne approfittavano per palparle e godersi quel sesso gratuito e il senso di potere che ti veniva dato dalla sottomissione delle matricole esposte.
Ovviamente avevo disposto che i miei ragazzi facessero attenzione alle matricole che avevamo candelizzato, perché non c’è nulla di più pericoloso di un branco di bastardi che si senta autorizzato a fare di tutto. Per questo avevo dato loro un frustino da cavallo. Ufficialmente serviva per colpire le natiche di quegli infelici inculati, in realtà venivano usati per colpire la mani di chi esagerava o faceva di peggio.
In tutti i casi, la scena era fantastica, meravigliosa. Venti matricole, 15 femminucce e 5 maschietti, stavano lì esposti con il cero acceso nel culo per sollazzare i presenti invitati alla festa di laurea.
I maschietti candelati, è bene precisarlo, avevano un’erezione vergognosa. Non piena magari, ma quanto bastava per far sapere che avere qualcosa nel culo gli faceva provare un innegabile piacere.
Le femminucce ebbero presto delle goccioline di rugiada sulla vulva. Avevo pregato Valentina di asciugare quelle che presentassero secrezioni vaginali vistose.
Dopo un’ora venne il momento della gabbia. Era il momento di Lucia.



Nome in codice Valentina 8.



Lucia era nella gabbia da quasi due ore, doveva essere stato un inferno. Poi sentiva che tutti si divertivano per qualcosa che non vedeva, ma che certamente era meno spettacolare di quello che avrebbe subito lei.
Io avvertivo tutto questo perché non ho mai perso il contatto con i miei sottoposti. In quanto Padrone, ho delle responsabilità nei loro confronti.
La laureata mi diede il via e io feci cenno a Valentina, che venne da me, e al batterista, che avviò il rullo dei tamburi.
Una volta al mio fianco, mentre tutti guardavano l’oggetto misterioso, diedi il via a Valentina. La quale prese il bordo del telo e lo sfilò fino a lasciare la gabbia alla vista di tutti.
Gli invitati subito non capirono, ma poco dopo un mormorio di stupore e meraviglie esplose sommesso in sala.
Lucia era immobilizzata, legata in posizione fetale come sappiamo, imbavagliata e sodomizzata con un cero che fuorusciva dalla gabbia dalla parte posteriore.
Tutti volevano avvicinarsi e studiare bene la scena, ma la festeggiata li fermò dicendo che un po’ alla volta tutti l’avrebbero potuta vedere da vicino.
- Calma ragazzi! – Gridò. – Una volta acceso il cero potrete venire ad accendervi le sigarette. Comincio io.
Valentina accese uno zolfanello e accese lo stoppino del cero, che usciva dalla gabbia, quindi provò lei stessa ad accendersi da fumare. Espirata un’ampia voluta di fumo, fece l’inchino alla laureata.
- Esimia dottoressa – disse, – il cero nel culo candelabro è acceso apposta per lei!
La laureata andò ad accendersi la sigaretta facendo una sceneggiata teatrale. Inspirò il fumo a pieni polmoni e lo espirò allargando le braccia.
- Signore e signori – disse ai presenti inchinandosi, – potete fumare, con i complimenti del Monopolio di Stato.
Tutti si misero in fila per accendersi l’ennesima sigaretta, dopo aver fatto più volte la stessa cosa con le matricole sui cubi. Ma stavolta la vista era davvero unica e spettacolare.
- Cosa servono quegli elasticini in cima alle cosce? – Domandò la festeggiata, alla quale avevo già detto tutto.
- Serve per infastidire la minus quam merdam ingabbiata. – Risposi in modo che tutti sentissero. – Sta troppo comoda così ferma ed è meglio stimolarla un po’.
- Si proceda dunque!
Valentina si mise da una parte e la stessa laureata dall’altra. Entrambe presero gli elasticini e cominciarono a tirarli per mollarli, lasciando così dei sottili segni rossi sulle cosce di Lucia, che ogni volta – per quanto bloccata – sobbalzava come se prendesse delle scosse. Ogni volta il buco del culo si stringeva attorno al cero, come se volesse strozzarlo, ma il cero era più forte di lei e la scena si trasformava in un altro spettacolo meraviglioso, con la fiammella che segnava simpatiche volute appena fuori dalla gabbia.
- Posso procedere, mentre la molestate? – Chiesi alla festeggiata.
- Certo! – Rispose. – La smetteremo quando lei ce lo dirà.
Allora infilai lamano dalla fessura collocata sotto il cero e andai ad avvolgere con la mano la vulva di Lucia. La quale sobbalzò ancora ma poi si lasciò andare nella mia mano.
- Forza! – Dissi alle due che si erano distratte per guardarmi. – Tirate quegli lasticini!
E così la povera Lucia continuò a stringere il cero con l’ano e a strofinare la figa sulla mia mano.
- È vietato masturbare le matricole – spiegai, – ma le matricole possono masturbarsi. E difatti è la minus quam merdam che si sta masturbando sulla mia mano, eccitata dal cero nel culo e dalla grande esposizione.
Un sofisma, forse, ma ineccepibile. In pratica erano le due donne, Valentina e la laureata, a masturbarla sulla mia mano. Io mi limitavo a tenere in mano la vulva.
D’un tratto la povera infelice iniziò a venire e cominciò a dare qualche botta di bacino. Le tenni ancora la figa in mano perché sarebbe stata un’assurda sofferenza per lei se l’avessi abbandonata subito. Poi però, quando sentii che i movimenti erano incontrollati, capii che ormai l’orgasmo andava avanti da solo e sfilai la mano.
Il cero nel culo iniziò a sbattere in su e in giù, scrivendo con la fiammella dei ghirigori psichedelici. La scena era bellissima e guardavamo Lucia quasi ipnotizzati dalla sua reazione orgasmica.
- Forza ragazzi! – Gridò la festeggiata. – È adesso che dovete provare ad accendervi la sigaretta!
Sapendo che l’orgasmo sarebbe finito presto, tutti si fecero sotto per accendersi la sigaretta e poter raccontare per tutta la vita l’incredibile serata di quella festa della matricola. Non era facile star dietro alla fiammella,ma il gioco era bello proprio per quello.
Si fecero sotto a frotte, ridendo e scherzando, a volte scommettendo sui tempi. Si accese la sigaretta anche Valentina, che notoriamente non fumava. Era talmente eccitata che se solo la toccavo veniva anche lei come la rana di Pascal.
Quando mi accesi io la sigaretta, dava solo dei colpi i bacino poco pronunciati e dopo lunghi secondi di pausa. In pratica era venuta, ma il cero continuava a stimolare i suoi movimenti condizionati.
La festa riprese e continuò finché non fu necessario spegnere i ceri. Valentina spense il cero nel culo di Lucia in gabbia dandole delle manate come se volesse spingerglielo dentro di più.
Alla fine dovemmo liberare le matricole, sfilare loro i mozziconi di candela, togliere i bavagli e lasciarli ricomporre.
Poi Valentina diede gli appuntamenti affinché le matricole castigate venissero a fare i pompini a me e ai miei aiutanti, quindi tornammo a casa.
Scopammo come ricci.
9.


- Come ti è sembrata la serata di ieri? – Le domandai la mattina dopo a letto.
- Sublime, – rispose. – Per fortuna io sono dalla tua parte… he he
- E della laureata, cosa ne pensi?
- Una troia, – disse. – Non vorrei mai finire nelle sua mani.
Squillò il telefono.
- Pronto? – Aveva preso la linea Valentina.
Mise la mano sulla cornetta.
- Nominando il diavolo… – disse sorpresa, passandomela. – È lei, la laureata…
La presi domandandomi cosa volesse.
- Buongiorno. – Disse presentandosi, – Come va stamattina?
- Bene, – risposi, continuando a domandarmi cosa volesse.
- Vedo che sei con il tuo braccio destro, – osservò. – Si chiama Valentina, vero?
- Si infatti. A cosa devo l’onore della telefonata da parte di una neo-dottoressa?
- Dottoressa del buco del culo – aggiunse Valentina bisbigliando con un ghigno.
Me lo spiegò e mi chiese se ero d’accordo. Ci pensai, guardai Valentina e poi e dissi di sì e chiusi la telefonata.
- Cosa voleva? – Mi domandò curiosa Vale.
- Vuole seviziare te e venire a letto con me. – Risposi candidamente.
- E tu le hai detto di sì???
- Lo hai sentito.
- Ma sei impazzito? – Sbraitò. – Io, il tuo braccio destro, la donna che si è fatta in quattro per farti divertire nel sadomaso. Io, la donna che dicevi di amare…
- È appunto perché ti amo che voglio vederti umiliata da lei.

Quella sera la laureata si presentò regolarmente alle 21. Salutò me con enfasi ma non cagò neanche di striscio Valentina, alla quale mise in mano la giacca che si era tolta. Poi mi abbracciò e baciò, come se la mia amica non ci fosse. Iniziò a spogliarmi.
- Mi hai fatto trovare il necessario? – Chiese.
- Certo, Valentina ha messo tutto lì sul tavolo.
Si girò a guardare e vide soddisfatta la presenza di ceri, legacci, fruste, clisteri e quant’altro. Avevo ordinato a Vale di tirar fuori tutto quello che le dava fastidio e lei aveva obbedito.
Poi si girò a guardare Valentina che, come d’accordo, ci mostrava la schiena stando in piedi. Un vestito a tubino metteva il risalto la parte più bella di lei, il culo.
- Fantastica… – Commentò. – Ma è ancora vestita.
- Valentina, per favore, spogliati del tutto. – Le ordinai con gentilezza.
E Valentina con enorme imbarazzo cominciò, abbassandosi la cerniera del vestito e lasciandolo cadere in terra. Portava mutandine bianche e, ovviamente, autoreggenti scure. Era bellissima e avvertii il senso del desiderio della laureata che la guardava allupata.
- Via tutto! – Ordinò. – Meno le calze.
Valentina, terrorizzata e profondamente umiliata, si slacciò il reggiseno e lo sfilò. Poi, con titubanza, mise la mani alle mutandine e, con grande sforzo, le abbassò fino a togliersele del tutto. Ora era di una bellezza scultorea senza pari. La guardammo allupati e soddisfatti.
La Laureata si avvicinò, le palpò prima le tette da dietro e poi infilò le dita nella fessura del culo fino a toccarle l’ano. Valentina dovette allargare un attimo le gambe per lasciarla lavorare.
Quando lo ritenne opportuno, la Padrona andò a prendere un collare e due cinghiette. Mise il collare e le cinghiette ai polsi di Valentina, che poi fissò al collare.
- Giù. – Ordinò, prendendola per il collare. – In ginocchio.
E Vale si inginocchiò e si mise a quattro zampe. Visto che aveva le mani legate al collare, la testa doveva stare quasi in terra.
- Allaga bene le gambe, troia!
Obbedì.
Poi la Laureata mi porse la mano per farsi dare quello che le serviva. Io presi il cero da quasi 4 centimetri di diametro, lo lubrificai per bene e glielo porsi. Lei appoggiò la base al buco del culo di Valentina e, dopo qualche movimento, lo spinse dentro di brutto sino a fine corsa. Vidi le chiappe prima stringersi per impedire l’accesso e poi allargarsi sbracate dalla presenza indebita.
Valentina gemette, sbatté i piedi, ma sopportò stoicamente.
La Padrona, rossa in faccia dall’eccitazione, prese i fiammiferi che le porgevo e accese il cero. Poi mi fece segno di venire da lei a guardare la mia Valentina.
- Il candelabro più bello del mondo, – Commentò. – Lo sognavo da quando hai eseguito la sentenza.
- Sì, è bellissima. – Convenni.
Il suo culo era tondo e sodo, in mezzo il cero fuorusciva come un obelisco nella Roma imperiale.
La Padrona le prese in mano la figa e la strinse come una spugna.
- È bagnata, – commentò girandosi verso di me. – Te l’ho detto, è una troia!
Le presi anche io la figa in mano. Era calda e bagnata. Me lo fece rizzare come una sartia.
- Scodinzola! – Ordinò a Valentina, dandole una scudisciata alla natica destra. – Scodinzola per tutto il periodo della nostra monta.
Si spogliò in un baleno, io ero già nudo e ci mettemmo a scopare come ricci, gridando e godendocela in modo da farci sentire da Valentina. Mi godetti il contatto pieno e interessato della laureata. Con la figa sapeva come ottenere il massimo godimento dal mio cazzo.
Venimmo in fretta, tanto eravamo eccitati.
Non appena finito si alzò e potei vederla nuda in piedi. Prese i vestiti piegandosi in avanti e potei vederle la figa. Andò in bagno.
Valentina continuava a scodinzolare ubbidiente con la cera che colava ormai sulla fessura del culo e sulla figa. Restai a godermi così il post coitum guardandola.
Quando uscì dal bagno, la laureata prese la cinghia e cominciò a frustare il culo di Valentina per spegnere il cero. Per quattro volte sbagliò la mira - credo di proposito - e Valentina sobbalzò gemendo e stringendo le chiappe aottorno al cero. Allora gettò la cinghia e prese un tubo di cartone. Stavolta prese in pieno la fiammella con un colpo secco e la spense. Con quel colpo, stavolta Valentina ebbe una vibrazione causata dallo scossone che dal retto si era ripercosso all’intero intestino e allargò al massimo le chiappe.
Allora la laureata gettò il tubo, mi diede un bacio sulla guancia e fece per andarsene.
- Non te la fai leccare? – Le chiesi, dato che era quella la prassi.
- Ho fretta, – rispose. – Sostituiscimi tu. So che sei bravo… he he.
Se ne andò e scomparve della mia vita.
- Puoi smettere di scodinzolare, – dissi a Valentina. – E vieni qui.
Si portò a me piano, camminando su gomiti e ginocchia, impalata.
- Succhiamelo con calma. Voglio che lo pulisci dalle gocce della Laureata e che me lo fai rizzare come si deve per fornire un «esimente» ai Padroni.
Le slegai le cinghiette che le univano i polsi al collare e lei, ubbidiente, cominciò a lavorarmelo con la bocca. Impiegò un po’, per via della grande eccitazione che aveva segnato la mia scopata precedente. Ma pian piano, come se un telecomando mal funzionante fosse finalmente riuscito a sollevare la stanga del parcheggio, il pene prese corpo. Il mio relax era finito.
La lasciai andare avanti così finché, d’un tratto, «la bocca sollevò dal fiero pasto, forbendola a capelli», e si raddrizzò. Andò a cercare il cazzo con la figa e la trovò subito. Se lo infilò e io sentii la presenza del cero nel suo culo, che andava a sbattere sul letto sfiorando i coglioni. La sensazione fu sorprendente e l’uccello si indurì come il cemento. Cominciò a saltare sul cazzo e sul cero, come se fosse l’unica cosa che le importasse fare in quel momento.
Continuò così, aumentando sempre più le grida con gli occhi chiusi e le labbra aperte. Lasciai che facesse tutto lei e difatti venne proco prima di me, smettendo però molto dopo.
Una volta sopita, si gettò sul mio corpo, tra le mie braccia. Aveva le pulsazioni alle stelle. La tenni stretta così finché, prima di addormentarsi col cero in culo, non sussurrò «ti amo!»
Le risposi «anch’io!», ma credo che si sia addormentata prima di sentirmelo dire.


10.


Finimmo l’università e ci sposammo. Abbiamo fatto due figli, un maschio e una femmina.
Sono passati quasi 40 anni da allora. Oggi non c’è più la servitù della Matricola. Da quasi 30 anni viene considerata un atto di bullismo a tutti gli effetti. Ma non è così. I bulli di oggi sono dei volgari teppistelli da strada e basta.
Nella vita non incontrammo nessuno di coloro che avevamo «dominato» ai tempi dell’ateneo, però il vizietto lo conservammo. Il sadomaso era nelle nostre vene e una o due volte all’anno coglievamo le occasioni che si presentavano. Con la collaborazione della moglie è molto più semplice intuire chi è tagliato per queste cose e convincerlo a sottomettersi a entrambi. Maschi e femmine, ma soprattutto femmine.
Invece non sono più riuscito a trovare il dominante, o la dominante giusta che la sottomettesse come quella volta con la laureata. Chissà quanti o quante le avrebbero infilato con gusto un cero nel culo e quanti o quante le avrebbero dato il colpo finale col tubo sul cero… Lo feci più volte io, ma non era la stessa cosa che farlo fare a una terza persona… magari odiata da lei, come qualche amica mia di cui era gelosa.
D’altronde, sappiamo che certe cose non si ripresentano più. Per questo quella volta con la neolaureata non volli perdere l’occasione e lei mi fu sempre grata per questo.

Fine.

Già che ci sono, la butto lì.
Se c’è qualcuno o qualcuna che ha voglia di sodomizzare mia moglie con un cero, accendere lo stoppino, lasciar colare la cera in sulla figa e infine spegnere la fiammella a colpi di cinghia (col tubo di cartone, se non ci riesce), ci faccia una proposta qua, tra i commenti.
Vanno bene sia maschi che le femmine che le coppie.
Mia moglie non è più giovane, è vero, ma il suo culo è rimasto il più bel culo del mondo.


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