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Un fantastico orgasmo rettale: il bastone e la carota.


di Honeymark
16.10.2018    |    14.727    |    5 9.5
"È così che le nasce il desiderio di essere profanata..."
Il bastone e la carota.

Non vedevo Marzia da quasi un anno e decisi di mandarle un messaggio.
- Sei viva? Come stai? Hai voglia di una seduta… creativa?
Sapeva cosa intendevo dire. Io e lei abbiamo un rapporto di intimità estremamente particolare, dove posso articolare il sadomaso entro binari precisi. Voglio dire che so cosa posso farle e cosa devo evitare.
Ovviamente si tratta di sedute piuttosto invasive, per cui tra una e l’altra passa necessariamente un bel po’ di tempo. Era il nostro segreto assoluto, ma solo così avrebbe potuto durare nel tempo.
- Cos’hai per la testa? – Mi chiese in un messaggio di risposta il giorno dopo.
Il fatto che avesse atteso un giorno era positivo perché voleva dire che ci aveva pensato, ponderando i pro e i contro. Spesso, quando la donna scopre la propria indole masochista, cerca di evitarla. Non ne vuole proprio parlare neanche con il suo analista, ammesso che ne abbia uno. Ho più di un’amica che si è scoperta questa particolare attenzione e che vuole evitare in toto l’argomento.
Con Marzia invece sono riuscito a farla parlare, sia perché sono riuscito a nutrire fiducia nei suoi confronti, sia perché entrambi pensavano che il tutto sarebbe stato un rapporto esclusivamente a parole. E invece è stato proprio quel lungo dialogo via email delle nostre piccole perversioni naturali che siamo arrivati a definire i campi.
Poi – come i lettori che hanno letto alcuni miei racconti sanno – abbiamo avuto l’occasione di provare e ce l’abbiamo fatta. Io devo avere sempre la testa sulle spalle e lei deve avere… il culo a posto.
- Ho per la testa «Il bastone e la carota», – le risposi alla fine.
- Mi vuoi trattare come un asino? – Mi aveva scritto in tono canzonatorio.
- Molto meglio, – le dissi. – Come una donna.

Passò altro tempo, perché non le era facile trovare una serata libera per entrambi da passare in tutta serenità. Finché una sera, alle 21.30 come d’accordo, suonò al mio appartamentino.
Aprii, la feci entrare e la baciai sulla guancia. Notai che non portava i pantaloni.
- Porti le mutandine? – Le chiesi.
- Controlla, – rispose.
Era il nostro modo di cominciare. Se le portava, niente serata sadomaso, solo una serata per così dire normale. Se non le portava, potevo andare avanti. Era il suo modo di dire Sì.
Mi inginocchiai e risalii con la mano sotto la gonna, gustandomi la situazione come se fosse la prima volta. Arrivai alla fine della coscia e salii ancora fino ad accarezzare il culo, mentre lei portava il peso del corpo all’altra gamba per lasciarmi controllare. Come avevo immaginato, non le portava. Altrimenti non sarebbe venuta con le gonne. L’uccello gradì sia la carezza che l’autorizzazione a procedere.
Come sempre non dissi nulla e cominciai a preparare la serata. Andai nella stanza vicina e lei mi seguì.
In centro non c’era più la brandina massaggi, tipica del nostro sadomaso soft, ma una cavallina da palestra. Non mi era stato facile trovarla e ancora meno portarla in casa. Ma adesso c’era e lei provò un certo stupore.
- Spogliati, – le dissi. – E mettiti in posa.
Andai in cucina e presi la cesta con la roba che avevo preparato. Si trattava di un mazzo di carote di varie misure con tanto di gambi verdi ancora attaccati. Le avevo lavate tutte, le avevo disinfettate e risciacquate. C’erano altre cose, tra le quali alcuni limoni, pure lavati. L’igiene deve essere sempre al di sopra di tutto.
Accesi la musica di sottofondo e tornai in sala, dove Marzia si era già denudata. Stava come sempre in piedi con le gambe leggermente divaricate e le mani sopra la testa. Questo mi consentiva di palparla in maniera volgare e invadente, il modo migliore per introdurla alla fase successiva. Quindi appoggiai la cesta e mi misi davanti a lei. Come sempre le palpai le tette platealmente, facendola arrossire. Poi mi misi di fianco e portai le mani al culo e alla figa. Con la mano destra insinuai il medio a cercare il buco del culo e la sinistra ad avvolgerle la figa. La feci bagnare e ritenni che fosse pronta per la sessione del bastone e la carota.
Le misi la scaletta per aiutarla a sedersi sulla cavallina e lei lo fece senza attendere disposizioni. Io le guardai le intimità che mostrava per cavalcare l’attrezzo ginnico, provando un certo piacere profano.
Poi la piegai in avanti e le legai i polsi sotto la pancia della cavallina. Adesso era a 90 gradi, costretta a mostrarmi il buco del culo e la figa da dietro, impossibilitata a coprirsi con le gambe che doveva tenere per forza allargate e meno ancora con le mani che erano fissate sotto. Mi portai dietro e cominciai a studiare le sue intimità.
Non è una cosa da poco studiare le intimità. È l’approccio fondamentale, altrimenti perché non fare una sveltina e via? È come un rito che deve appagare entrambi. Un prologo che va gustato lentamente, quasi a freddo come la vendetta.
Mi avvicinai col viso in modo che sentisse la presenza impalpabile del mio sguardo. Le natiche erano tonde e tese per via della posizione divaricata, il buco del culo non era più protetto dalle natiche. L’ano aveva il bordo zigrinato, a dimostrazione che a volte viene allargato molto, ma perfettamente elastico e quasi invisibile. Sotto ci stava la figa. Neanche un pelo fuori posto: pelosa solo davanti e un perineo intonso.
Marzia si sapeva tenere e mantenere, per questo la gratificai palesando la mia presenza. Anzitutto con il fiato. È la carezza ritmata dell’alito nella fessura del culo che rappresenta il vero legame tra il mio sguardo e il suo essere guardata. Qualche sfioramento deve essere dato con la massima cautela. Deve sentire quasi per sbaglio che le mie guance sono maschie, cioè tradite dalla barba appena nata. E quella carezza della sera deve diventare quella voglia di avventura così come cantata dai New Trolls. Il tocco delle dita deve essere morbido e timido, che si ritrae non appena ascoltato il piacere delle pieghe, della fessura, delle grandi labbra. Deve essere un movimento progressivo, dall’accarezzare al palpare. Marzia non deve accorgersi che aumento le attenzioni, deve capire che sta giungendo il momento del sacrificio. È così che le nasce il desiderio di essere profanata.
Le ultime estensioni consistono nello scorrere il dito nella fessura del culo, nella calibrata pressione sull’ano e, dulcis in fundo, la presa della vulva a mano piena. Non è una spugna ma, se come una spugna lascia i suoi umori sulla mano, significa che è pronta.

Una buona regola suggerisce di non mollare mai il contatto con la pelle vicina alle intimità, se si vuole mantenere un feeling crescente. Quindi le tenni amichevolmente la mano destra sulla natica, mentre con l’altra cercai l’ortaggio giusto nella cassetta. Presi il limone, mi portai davanti e, sempre con una mano sul culo, le feci mordere un grosso limone. Adesso era come imbavagliata, nell’impostazione a tema della serata. Ora, legata come un maialino sullo spiedo, non poteva urlare.
Sapevo cosa provava. Sentiva realizzare il suo terrore di essere legata ed esposta alla vista di un uomo che poteva fare di lei quello che voleva. Va da sé che questa paura era diventata nel tempo un sacro desiderio di subire quello che la spaventava. Una cosa irrealizzabile, dato che non lo avrebbe mai voluto. Ma io ero riuscito a carpirle la sua volontà e solo io ero autorizzato a schiavizzarla e farle subire quello che più temeva. Essere autorizzato a farle «qualcosa che non voleva»: è questa la sottile linea rossa che separa la violenza dal sadomaso. Riuscire a passare quella linea impunemente significava possederla e farla godere all’infinito.
Tremava all’idea che quello che stavo per farle le piacesse o non le piacesse affatto. Ma io ero sicuro di me. Nelle nostre infinite disquisizioni sul sadomaso avevo capito cosa voleva e cosa no.

Mi riportai dietro. Feci sentire ancora il mio sguardo sul buco del culo e sulla figa. Quindi presi il secondo ortaggio. Una splendida carota con tanto di ciuffo ancora attaccato. L’avevo misurata. Sarà stata lunga una trentina di centimetri, più il ciuffo. Sottile sulla punta e crescente fino a un diametro di 4 centimetri.
La carota era perfettamente pulita e liscia. Passai dell’olio da cucina sulla carota e unsi tutta la parte rossa. La poggiai e mi pulii con una salvietta le mani dall’olio. Poi ripresi la carota e l’avvicinai ai buco del culo. Strofinai la punta sulla fessura del culo in modo che capisse cosa stavo per farle. Irrigidì le natiche, ma in quella posizione divaricata non riuscì a proteggersi l’ano, che rimaneva offerto a me. Con delicatezza inserii i primi millimetri della punta dell’ortaggio, in modo che il buco del culo potesse solo prendere atto che stava per essere violato. Lei lo aveva capito e provò a impedirmelo. Il gioco delle parti.
Spinsi lentamente ma con determinazione la carota nel buco del culo, il quale si allargò poco, lasciando entrare l’estraneo senza opporre resistenza. Dopo qualche centimetro la sfilai leggermente per poi riprendere l’introduzione. Lei sentiva il fresco della carota entrarle nel culo piano, quasi con discrezione, senza che l’ano potesse proteggerla. Si sentiva libera di godere e da quel momento non oppose più resistenza e si lasciò andare nelle mani del piacere che stavo per generarle. Avevo superato la soglia del terrore ed ero entrato in quella del piacere malvagio. Voleva essere inculata. Voleva essere presa per il culo. Voleva essere impalata e godere senza vergogna.

Con delicatezza le spinsi dentro la carota per una decina di centimetri. Se a me piaceva vedere il suo buco del culo che si allargava per ricevere la mia carota, lei godeva a sentirselo allargare così gradualmente e con crescente dimensione. Smise di opporre resistenza e si dispose a ricevere il piacere.
So che se avesse avuto le mani libere si sarebbe tenuta le chiappe larghe per invitarmi ad andare avanti, perché ormai desiderava che spingessi fino in fondo. Ma io sapevo che dovevo andare per gradi. Il piacere doveva crescere con le sensazioni e quindi dovevo darle il tempo di assimilarle. E la forma conica della grossa carota era perfetta per somministrarle in progressione.
In breve arrivai a infilarle la carota per una ventina di centimetri, con l’allargamento dell’ano a un diametro di tre centimetri. Ero quasi arrivato in fondo al retto e sapevo che la carezza interna della carota le avrebbe generato una sensazione onirica che non conosceva. Le solleticavo il sigma. Andai avanti e indietro piano con la carota, sia per masturbarle il buco del culo che per stuzzicare il suo colon.
Non perdevo d’occhio la parte che rimaneva fuori della carota, così sapevo cosa le stavo facendo provare. Spingendo e ritraendola ero arrivato a infilarla quasi del tutto. La trentina di centimetri di lunghezza era perfetta, dato che il retto è solo di 20, 22 centimetri. Ma adesso era l’allargamento che polarizzava il suo godimento e decisi di occuparmi a farle entrare la parte che rimaneva fuori.
Spinsi e ritrassi ancora, finché con una mossa finale allargai del tutto l’ano e andai oltre. Lei ebbe un sussulto e la carota scomparve dentro il suo culo. Dal buco avanzava fuori solo il folto ciuffo verde della carota, attorno al quale l’ano si stava richiudendo. Ora sentiva la presenza dell’ingombro nel retto. Sentiva la carota contenuta nel retto, la punta che seguiva la curva del sigma fino a far capolino al colon e il buco del culo che non poteva chiudersi del tutto stringendosi attorno al ciuffo. Sistemai meglio la carota tenendola per il ciuffo, facendole venire la pelle d’oca, quindi la lasciai riposare un attimo a somatizzare le nuove sensazioni. Guardai la mia opera d’arte. Il ciuffo verde usciva ritto dal buco del culo come una spudorata coda vegana.
Attesi che la pelle di Marzia tornasse rilassata, osservando che con il relax il ciuffo tendeva ad abbassarsi. Allora mi venne un’idea. Cosa sarebbe la vita senza qualche spunto creativo?
Le pizzicai la natica sinistra e lei, per reazione, contrasse il retto tanto che il ciuffo si alzò. Magnifico. Pizzicai anche l’altra, ottenendo lo stesso effetto. I pizzicotti le facevano stringere le chiappe che, non potendosi muovere, contraevano il retto. Allora presi un elastichino e colpii la natica sinistra prima e quella destra poi, ottenendo un affetto ancora più evidente. La scena mi invitò ad accarezzarle le natiche sotto la coda eretta. Stupendo perché la coda sembrava viva, vera.
A quel punto forzai la mano e passai a un livello superiore. Presi il ciuffo con due mani e spinsi più in dentro la carota. Il risultato fu arrapante perché Marzia allargò le gambe dalla cavallina più che poté. Era come se volesse farsi inculare di più. La carota era morbida e decisi di ciurlargliela nel culo. La tirai un po’ indietro fino a forzare un po’ l’ano dall’interno. Lei allora chiuse le gambe come per impedirmi di sfilargliela. Ovviamente non sarebbe stato facile sfilarla, ma si trattava di un riflesso condizionato. Quindi la spinsi dentro il più possibile tenendola sempre per il ciuffo e poi, con calma, la ritrassi. L’effetto era quello di farla muovere come se rispondesse a una masturbazione anale senza precedenti. Proseguii così, aumentando progressivamente la forza e la penetrazione, godendomi la vista della donna che sobbalzava sulla pancia mugugnando fuori controllo alle mie sollecitazioni. Una visione stupenda. Era come se le facessi un ditalino anale col ciuffo della carota e una masturbazione interna al retto e al sigma. Non avevo mai masturbato una donna sollecitandole retto e colon. Il ciuffo della carota si rizzava come se lei lo guidasse e la sintonia divenne perfetta.
Quando mi parve che stesse per venire, le presi in mano la figa fradicia e proseguii l’azione con l’altra. Venne mugugnando facendo cadere il limone che le avevo ficcato in bocca e sbattendo il ventre sulla cavallina, sospinta dalle mie mani. Quando non riuscii più a tenerla ferma la lasciai proseguire da sola e io rimasi a guardarla affascinato. Il ciuffo della carota che fuoriusciva dal culo aveva degli scatti verso l’alto come se fosse un cazzo che aveva le polluzioni. Era invece il suo orgasmo a dirigere le contrazioni.
Quando si placò, le presi in mano ancora una volta la figa e lei diede altri scatti al ciuffo. Era giunto il momento dei colpi di grazia.
Presi la mia cintura dei pantaloni e mi misi di fianco a lei che ancora aveva dei piccoli sussulti. Tirai su il ciuffo della carota per scoprirle bene il culo, presi la mira e le sferrai un gran colpo sulle natiche con la cinta.
Sciaaack!
Non urlò, ma la sorpresa la fece sobbalzare. Il piacere vero, conclusivo, stava arrivando. Le natiche si strinsero, il ciuffo si rizzò, la tornò la pelle d’oca.
Sciaaaaack!
Le avevo sferrato un secondo fendente. Sobbalzò e tirò indietro la nuca, dal piacere. Era il suo momento.
Sciaaaaaaack!
Il terzo fendente le aveva colpito con violenza la sola natica destra e lei cominciò a scodinzolare.
Sciaaaaaaaaack!
Il quarto fendente si era scaricato a due mani sulla natica sinistra e lei finalmente cominciò a lamentarsi. Si avvicinava il piacere assoluto ma ormai potevo darle solo un altro paio di scudisciate.
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaaack!
Ahhhhhhh!
Sciaaaaaaaaaaaaaaaaaack!
Ahhhhhhhhhh!
Ormai si stringeva con la mani alla pancia della cavallina, godendosi quegli ultimi spasmi fremendo nel suo parossismo di sano dolore e insano piacere.
Non mi restò che dare i due colpi di sistema. Presi il piede destro e diedi un colpo col taglio della mano alla pianta del piede. Ebbe un sobbalzo che la placò. Passai all’altro piede e ripetei il colpo alla pianta del piede sinistro. Ebbe l’ultimo fremito e l’ultimo scossone, poi si rilassò sazia.
Le presi la figa e la lasciai riposare nella mia mano accogliente.
E quando vidi che il suo respiro stava normalizzandosi, le slegai le mani e la aiutai a scendere dalla cavallina. Barcollava e la accompagnai al letto. Si rilassò stendendosi in varie posizioni, lasciandomi ammirare il ciuffo che usciva dal culo.
- Ora ti chiavo. – Le dissi. – Dopo la carota, ecco il bastone.
Lei annuì sorridendo.
Io avrei preferito che mi facesse un pompino, ma sapevo che non le piaceva. Quindi mi limitai a montarla. Prima vis-à-vis, andando a cercare il ciuffo con la mano, poi da dietro. Le alzai il ciuffo,ormai spento, e la chiavai così. Dimostrò piacere, ma lasciò che fossi io a venire in tutta serenità.
Una volta accontentato anch’io, mi sdraiai al suo fianco.
- È stato fantastico, – sussurrò. –
La abbracciai.
- Vai a liberarti, – le sussurrai alla fine.
Lei, con pigrizia si alzò e andò al bagno. Io le guardai il fantastico ciuffo che scodinzolava mentre camminava. Poi scomparve.
Chissà cosa mi sarei inventato la prossima volta…

Fine.
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