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Perversioni naturali (le amiche della mia amica) - Ultima parte


di Honeymark
23.06.2012    |    24.679    |    4 9.8
"- Ci prepari dei gintonic? - Volentieri..."
Sesta e ultima parte


13.


Quel pomeriggio andammo a fare shopping. Io tenevo in mano un cicalino che sarebbe entrato in funzione se si fosse agitata troppo. Ma non diede mai segnali, e la cosa mi infastidì. Avevo voglia di tornare a casa, ma lo feci solo verso le sette.
Andai in camera mia, mi spogliai e andai a farmi una doccia. Ne avevo bisogno. Il mio incredibile rapporto con Marika mi stava turbando. Io amavo Connie e comunque non l’avrei tradita mai... Cioè, cazzo, non sapevo neanche io cosa dire. Sì, la linea sottile tra la fedeltà e il tradimento nel nostro rapporto era difficile da tracciare. Io potevo chiavare un’altra, purché anche Connie fosse d’accordo. Era accaduto questo anche con Marika, ma quello che stavo provando era un sentimento che Connie non avrebbe mai approvato. Sì, se mi stavo innamorando di Marika, la stavo proprio tradendo. Assurdo. E io non volevo tradirla. Ma stavo provando per Marika una sensazione che non avevo mai provato prima. Il batticuore generato dall’adrenalina pura era il tipico segno dell’innamoramento. Mi asciugai e decisi di proseguire lasciando che gli eventi prendessero il loro corso naturale. Sì, perché si trattava comunque di perversioni naturali.

Quando tornai da lei, si stava riposando. La osservai, provando un forte desiderio di lei. Sia di chiavarla che di penetrarla con qualcosa di mio, che di lasciarla così per tutta la vita. Decisi che sarebbe stato l’ultimo plug anale. L’indomani mattina avrei provato chiavarla con il plug inserito, nel pomeriggio avrei provato ad incularla.
Quindi adesso decisi di inserirle la collana più grossa e più lunga. Lessi le istruzioni e mi portai a lei. Le poggiai una mano sulla natica per trasmetterle il mio calore. Lei si mosse e io provai piacere a sentire che il mio contatto l’aveva svegliata con amore. Le labbra si atteggiarono a sorriso. Andai ai piedi e le slacciai le caviglie, quindi allargai le gambe. Compresi che quella semplice divaricazione doveva farla sentire del tutto impotente e nelle mie mani. Le andai a sfilare il plug precedente, quindi guardai il buco del culo da vicino e notai che non era irritato, ma certamente era più marcato del giorno prima. Non volevo certo rovinarlo e sapevo che sarebbe tornato quasi invisibile come prima, anche se più capace di dilatarsi. Lei sentì il mio sguardo, perché contrasse impercettibilmente i glutei, mentre le grandi labbra stavano assumendo una posizione leggermente più sporgente. Stava desiderando sesso, ma era ancora presto.

Presi la collana, quella lunga una cinquantina di centimetri, formata da una fila crescente di sfere, l’ultima delle quali grande e pesante come una delle mie palle da biliardo. Era utile perché il peso della biglia le avrebbe forgiato l’accesso del culo. La unsi e con la solita delicatezza le appoggiai la prima pallina sull’ano. Quando questo l’accettò, rilassato, spinsi dentro le prime tre palline. Lei si mosse ma non gemette. La lasciai un po’ così, poi spinsi dentro le altre tre, più grosse. Stavolta fu più faticoso per via delle dimensioni. Cercava di aiutarmi tenendo le natiche e le gambe più aperte, con i talloni in fuori. Ma il senso dell’impalamento doveva farsi sentire quando spinsi la terza serie di palline, abbastanza grosse. Decisi di metterle un bavaglio, in modo che potesse lamentarsi senza suscitare la mia pietà. Poi tornai a prenderle in mano la parte esterna della collana. La stavo tenendo per il culo e, a vederle che cosa era entrato, il cuore mi stava battendo all’impazzata. Lei capì che avrei spinto di più e strinse le natiche, ma per me fu come l’ordine a procedere. Spinsi le tre palline, sapendo che le prime sarebbero andate oltre il retto. Lei sollevò il culo, come per facilitare la penetrazione e limitare il dolore o la sensazione. Adesso mancavano le palle più grosse, con un diametro sui quattro centimetri. Decisi di spingerla dentro tutta fino ad appoggiarle la grossa biglia all’ano. Poiché le caviglie erano fissate, potei spingere senza problemi, anche se era faticoso farsi strada. L’ano non voleva cedere ma, seguendo le istruzioni, Ce la feci.
Presi un’altra museruola e gliela feci indossare. Aveva le lacrime agli occhi, ma il viso era rilassato. Che cara, pensai. Ripresi in mano la biglia grossa e la mossi un po’, sentendo che era ben salda all’interno. Senza preavviso diedi un colpetto col dito. Lei muggì, quella museruola le faceva emettere il suono simile al muggito di una vacca. Forse era il più adatto. La colpii ancora apposta e muggì proprio come una vacca,
La lasciai così e la osservai. Ero fiero del mio lavoro che sentivo di amarla profondamente. Quella palla da biliardo attaccata al buco del culo era un capolavoro che non avrei mai pensato di poter fare nella mia vita. Sotto la palla si vedeva il sesso, fortemente alterato. Lei era impalata nel vero senso della parola. Ferma, immobile. Cercava di tenere le gambe il più lontane possibile per accogliere l’ingombro più facilmente e allora mi portai ai piedi per rimediare.
Lei capì che cosa significava e cercò di muggire un po’, ma non mi impietosì. Slacciai le caviglie e, piano ma decisamente, le unii. La palla da biliardo, adesso, si sollevò un poco, spinta non dalle cosce unite, ma dai glutei che spingevano il retto. La biglia sembrava proteggere pudicamente nella più bella nicchia della donna, quella che offre quando sta sdraiata nuda a pancia sotto.
- Adesso ti lego le mani dietro la schiena – le dissi, – poi me ne vado. Tornerò dopocena. Ma non preoccuparti che ti tengo sempre d’occhio con la mia telecamera da bambini. OK?
Presi il monitor e andai nel mio appartamento.

Vi trovai Connie con una giovane donna.
- Ciao amore. – mi disse. – Conosci Laura?
- Laura? – un’altra bellissima donna. – No… Piacere, mi chiamo Alberto.
- Io sono Laura.
Aveva uno sguardo deciso ma bello e con i lineamenti che, pur essendo certamente italiana, ricordavano la determinazione di una nordica.
- Sei rimasto senza parole? – mi chiese Connie.
- No, dovete scusarmi, ma tu Connie hai solo amiche mozzafiato…
- Grazie del complimento… – disse l’amica.
Da come l’aveva detto era evidente che era abituata ai complimenti.
- Anche tu non sei male. – aggiunse poi. – Connie ha ragione a dire che sei l’uomo giusto… Sei anche ricco e potente?
- Ha ha! – rise Connie. – Beh, di sicuro non è impotente… Resterà a cena con noi, sai?
- Stupendo…!
- Non disturbo?
- Ma neanche per idea. Volete bere qualcosa? – domandai.
- Ci prepari dei gintonic?
- Volentieri.
Andammo in sala da biliardo e aprii il mobile bar. Versai nei bicchieri gin e acqua tonica, tagliai il lime e misi il ghiaccio.
- Posso ritirarmi in cucina? – chiese Connie dopo il primo sorso.
- Certo, le farò compagnia io.
- Ottimo, socializzate. Le mostri il monitor di Marika?
- Eh? Come?
Ma Connie era già sparita in cucina.
- Connie mi ha detto che hai «in cura» una nostra amica…
- Non so se poteva dirtelo…
- Lei non lo saprà mai. – disse con sicurezza. – Dov’è?
Non sapevo cosa fare, ma ormai il gioco era scoperto. Andai a prendere il monitor di sicurezza, poi le mostrai la ripresa che inquadrava a rotazione il culo sodomizzato e il viso imbavagliato. Lei la osservò e alla vista le si alterarono i lineamenti.
- Fantastico… – sussurrò. – Fantastico…
Restammo così a guardarla, come ipnotizzati.
- Come funziona quella biglia?
Non sapevo se rispondere o no, ma sapevo che mi avrebbe eccitato parlarne.
- È la parte finale di un lungo plug anale. Ha una collana flessibile da mezzo metro infilata nel culo, del diametro massimo di 4 centimetri.
- Fantastico… E la biglia che appoggia al culo?
- Quella è fatta in modo da impedire all’ingombro di entrare del tutto e nel contempo di fare pressione verso il basso. Pesa proprio come una pallina da biliardo.
Lei si girò e ne prese una dal tavolo.
- Una pallina come questa?
- Sì, sì, sembra uguale, sia di peso che di colore.
Entrò Connie.
- Ragazzi è pronto. Venite a tavola?
- Certo, grazie…– dissi come distogliendomi dal trance.
- Ehilà, ragazzi? Siete così allupati?
- Beh, – fece Laura. – Guarda un po’ tu…
Connie guardò ed esclamò anche lei la sua meraviglia.
- Waho! – Poi si riprese. – Perché non andate a guardarla da vicino, intanto butto giù gli spaghetti?
Non era una buona trovata, tuttavia…
- Vieni, che te la mostro.
- Mi è venuta un’idea. – disse Laura. Aveva avuto come un lampo agli occhi.
Aveva preso in mano una stecca da biliardo e una pallina.
- Vuoi fare una partita con me? – le chiesi.
- No, voglio andare di là.
- Di là?
- Da Marika. Prendo una stecca e due biglie. Fammi strada.
Come ipnotizzato la portai di là.
- Fantastico… – sussurrò nuovamente Laura guardandola dal vivo e da vicino. – Hai fatto un capolavoro.
- No, il merito è suo che mi lascia fare.
Marika era immobile, impalata. Per fortuna non sembrava riconoscibile.
Laura appoggiò la stecca sulle gambe della schiava e si portò ai suoi piedi. Le sfiorò le piante, facendola agitare. Vidi la pelle d’oca percorrere le nudità della ragazza, generata dal brivido e dalle reazioni a ciò che teneva in corpo. Spinta da quella reazione, la biglia collegata al culo si sollevò un po’.
Poi Laura slacciò le caviglie e lentamente allargò le gambe della bondata. Marika avrebbe dovuto sentirsi meglio adesso che le gambe tornavano a lasciare abbassare la biglia infilata nel culo, ma invece era fortemente contrariata. Capii che entrambe le mosse, allargare e chiudere le gambe, dovevano generare apprensione e fastidio alla poverina. Adesso, se da una parte stava meglio a gambe larghe, si sentiva del tutto alla nostra mercé. Mostrava tutto a noi. Potevamo farle quello che volevamo. La biglia all’ano si abbassò lentamente, fermandosi prima di toccare il panno. Era come se una forza interna le avesse mosso retto e colon.
Laura prese una pallina da biliardo e la appoggiò tra le caviglie.
- Adesso dobbiamo provare a colpirla di rimbalzo. – disse decisa. – Ci scommettiamo qualcosa?
- Certo. – rispose Connie, che ci aveva raggiunto. – Se vinci è tuo.
- Io sono sadomaso dominante…
- Tanto meglio.
- Bene allora. Comincio io. Ci fermiamo quando uno sbaglia colpo.
- OK.
Mise giù due biglie in fila. Appoggiò la mano sinistra sulla brandina, appoggiò la stecca da biliardo sull’incavo della mano, prese la mira e… Stock! La colpì.
La biglia andò a sbattere sull’altra biglia, la quale andò a colpire la pallina nel culo della poverina.
Stock!
Mmmu!
- Colpita!
Marika aveva avuto un sussulto che sembrava voler forzare i legacci che la immobilizzavano. Un muggito le uscì nuovamente dal bavaglio e la cosa eccitò vergognosamente tutti.
- Waho! – esclamò Connie.
- Tocca a te. – disse Laura mettendomi in mano la stecca.
Mi misi in posa, presi la mira e diedi un colpo molto forte.
Stoock!
Mmmuu!
- Colpita!
Laura riprese la stecca, mentre Marika muggiva come una vacca e tirava i legacci.
Si rimise in posa, prese la mira e scattò.
Stooock!
Eravamo tutti impazziti dalle reazioni di quel bellissimo gioco, incuranti ed esaltati dalle reazioni della vittima.
- Posso io? – Domandai.
- Vai!
Rimisi le biglie in fila e feci uno dei miei colpi migliori. Feci saltare la biglia colpita che andò a sbattere di forza sulla biglia nel culo, per poi tornare indietro a colpire la palla che avevo saltato.
- Ecco. – dissi. – Fallo tu., se ci riesci.
Avevo fatto inarcare la povera Marika, che ora muggiva in un modo inebriante per tutti.
- A me, a me! – esclamò Laura, sfrenata. – tocca a me.
Provò a fare come me, ma la biglia colpì la prima palla. Colpo sbagliato.
Restammo in silenzio per qualche secondo, mentre l’altra ansimava tra un muggito e l’altro.
- Cosa vuoi farle?. – Mi domandò Connie.
- Niente trippa per gatti.

Quando Connie venne nel lettone, restammo un po’ così in relax, poi ruppe il silenzio.
- Quand’è che la chiavi?
Parlava di Marika.
- Domattina.
- Quand’è che la inculi?
- Domani pomeriggio, prima che se ne vada.
Restò in silenzio.
- Vieni a vederci? – domandai.
- No. Voglio che ti diverti…
- Cosa vuoi dire?
- Niente, ne parliamo lunedì.
- Va bene.

14.



La mattina presto ero andato in camera di Marika. Stava dormendo con quell’incredibile ingombro nel culo e le mani ancora legate dietro. Avvicinai la bocca all’orecchio.
- Buongiorno… – sussurrai. Lei sollevò una palpebra. – Tra un po’ ti chiavo.
Senza slegarla, le sfilai la lunga e grossa collana, provocandole sensazioni incontrollate. La lasciai legata stretta e abbassai il lettino. Poi la misi sul letto e la penetrai da dietro, legata com’era, provando una sensazione unica di potere.
Lei venne per una decina di volte in quei soli cinque minuti che impiegai per sborrarle dentro.

- Tutto bene? – mi domandò Connie quando tornai a letto. Aveva visto e sentito tutto con la telecamera di sicurezza.
- Mancavi solo tu. – mentii.
Non rispose.

Nel pomeriggio mi portai nella camera di Marika, che era ancora immobilizzata.
- Ora t’inculo. – le dissi.
Lei annuì con le palpebre.
Mi unsi il cazzo con l’olio da massaggio e glielo portai al culo. Si dimenò un po’. Spinsi piano, molto piano, ma il cazzo riuscì a scivolare dentro e penetrare fino in fondo. Avevo vinto. L’ano si era allargato per accogliere un cazzo come il mio e adesso il suo moroso non avrebbe trovato difficoltà. Provai un serto senso di orgoglio, ma anche una certa gelosia. L’amavo e la stavo preparando per il suo uomo…
Con questo pensiero cominciai a sbatterla, sollevandola presa così, e lo feci con tanta crescente energia che lei cominciò ad urlare con la testa tirata indietro.
- Non smettere! Vai, vai, vai!
- Vado, vado, vado!... Vengooo…!
Ero venuto entro il culo.
L’uccello si sgonfiò rapidamente e rapidamente venne espulso dal retto. L’ano si richiuse a me per l’ultima volta.

Un quarto d’ora dopo se ne era andata via in auto dal mio garage.
A me era rimasto il vuoto. E Connie, grazie a dio.
- Bene. – disse Connie quando fummo soli. – Nulla da dire?
- Te lo dirò domani. Le risposi.
La portai a cena fuori e poi passammo la notte riposando serenamente.

La mattina dopo lei andò a scuola, mentre io restai nel mio home-office perché la farmacia apriva solo nel pomeriggio.
Marika mi mancava.
Verso le 10 la chiamai al cellulare. Rispose subito.
- Ti amo. – dissi.
- Anch’io.
- Non riesco a vivere senza di te. – aggiunsi.
- Neanche io.
- Cosa facciamo? – chiesi.
- Tu ti sposi con Connie. – rispose. – Io mi il mio moroso.
Non commentai.
- Lo abbiamo deciso poco fa io e lui.
Rimasi ad ascoltare.
- È lui l’uomo della mia vita. – aggiunse. – Così come Connie lo è della tua.
Aspettai le sue conclusioni.
- Sposati, perché io mi sposo. Però ho ottenuto una cosa da Mario.
- Ah… – dissi finalmente. – e cosa?
- Una volta all’anno mi lascia venire con te a Tokio, alla «Bondage international Exposition».
- E cos’è? – domandai.
- L’esposizione artistica del bondage. Gli uomini portano le proprie modelle e le «bondano» in loco. Una commissione internazionale poi premia i migliori…
- Cazzo! – Esclamai, sentendo l’approvazione del mio uccello che già si agitava all’idea. – E lui te lo ha permesso?
- Non ha capito bene. Ma mi lascia solo andare in Giappone una volta all’anno.
- Cazzo che idea… – dissi felice. – E come ti è venuto in mente?
- Voglio partecipare con te presentando la performance del biliardo…
- Con cosa?
- Quello che mi avete fatto l’altro ieri. Me lo farai in fiera. Farai tirare un colpo di stecca ai visitatori e alla giuria. Che ne dici?
- Che ti amooo!
- Anch’io. Però ci ameremo solo una settimana all’anno. Prometti?
- Lo giuro.

Lavorai di telefono per il resto della mattinata e, quando Arrivò a casa Connie, la feci sedere.
- Devo parlarti. – le dissi seriamente.
- Capisco… mormorò.
- Ho parlato con Montgomery, sai quello della James Vocal Session.
- Ah sì, ma non ci avrai cavato un ragno dal buco. È troppo grande per noi.
- No, ha preparato un contratto per il tuo coro per tutto il mese di luglio. Tu sei in vacanza dalla scuola, no?
- Ma cosa dici? Ha preparato cosa?
- Ti manda in tournée in zone turistiche per un mese. Dovrete lavorare quattro sere la settimana per trentamila euro più vitto e alloggio.
- Ma checcazzo stai cercando di dirmi? È vero o mi prendi in giro?
Era scattata in piedi.
- Mi ha mandato il contratto via fax. È qui… Poi dovrai andarlo a firmare.
Glielo passai. Lei lo lesse a bocca aperta. Poi lo gettò a terra e corse ad abbracciarmi.
- Ma come hai fatto? Cosa… – Poi si fece diffidente. Mi allontanò, angosciata.
- Stai per lasciarmi, vero? Questa è… una sorta di liquidazione?
- Hai capito che mi piace molto, vero?
- Hai… Hai scoperto la tua perversione naturale, vero?
- Sì, è stata un’esperienza unica.
Mi guardò con gli occhietti sottili.
- Mi lasci per Marika?
- Beh, questa è la mia risposta. – Le passai una scatoletta.
- Cos’è?
- Apri.
Conteneva un anello.
- Ti sposo. – Le dissi. – Voglio fare il viaggio di nozze con te in tournée.
Quello che accadde a quel punto, non lo racconto. Dico solo che l’avvisai che però una settimana all’anno sarei andato in Giappone con Marika.

15.



Dieci giorni prima delle nozze tutto era pronto, dai dettagli della tournée al repertorio che doveva eseguire il coro, dalla cerimonia nuziale agli inviti al pranzo di nozze. Connie mi aveva invitato ad assistere all’ultima prova prima della partenza, perché con l’occasione le ragazze mi avrebbero fatto un regalo tutto loro. L’avevo avvisata che dalle ragazze non volevo proprio nulla, ma non ci fu niente da fare, così verso le 22 entrai in sala prove e mi sedetti sulla solita poltroncina senza disturbare. Le ragazze indossavano anche stavolta la divisa perché era la prova generale. Tutte portavano la gonna nera lunga e la camicia bianca sciallata e legata con eleganza attorno alla vita sul davanti. La solita signora stava al pianoforte a mezza coda tutta seria a dare quel supporto musicale che in tournée sarebbe stato dato da un’orchestra. Le ragazze stavano sulle tre file a scalare. Erano bravissime, superlative. Connie fece l’ultimo pezzo per intero dall’inizio alla fine.
Battei le mani.
- Così va benone, ragazze. – Disse a quel punto. Poi si rivolse a me.
- Che te ne pare?
- Sono bravissime! – mi rivolsi a loro chinando il capo con eleganza. – Signore e signorine… Chapeau!
- Pronto per il regalo? – chiese.
- Sì… – Ammisi imbarazzato.
Si portò in mezzo alla sala e si rivolse alle ragazze mettendosi lei stessa sull’attenti.
- Signorine… At-tenti!
Il pianoforte fece le quattro note dell’attenti. Ta-ti-ti-ti…
Le ragazze si misero sull’attenti. Mi sentii anche stavolta in dovere di alzarmi e mettermi in mezzo alla sala. Improvvisamente sperai che me le volesse mostrare anche stavolta in mutandine. Infatti…
- Allinearsi a sinistra!
Lo fecero.
- Fissi!
Riportarono il viso in avanti. Lasciai Connie a dare una serie di ordini, col pianoforte che la seguiva negli ordini. E con il mio uccello all’erta.
- Signorine… Ri-poso!
- Signorine… At-tenti!
- Signorine… Dietro-Front!
Si girarono di schiena all’unisono.
- Signorine… Presentat… Arm!
Con una mossa perfetta, al «presentat» le ragazze avevano portato la mano alla vita e avevano slacciato la lunga sottana di seta. All’«Arm!» l’avevano fatta cadere a terra, con uno stupendo fruscio di seta. Davanti a me c’erano adesso trenta culi assolutamente ignudi, esposti al mio sguardo. Portavano solo calze autoreggenti color carne. Quattro di loro avevano calze con la riga. Due avevano anche il reggicalze. Connie si girò verso di me e mi fece il saluto militare.
- Signor Presidente… Le presento il coro Santa Cecilia… Federici!
Federici? pensai, restituendo automaticamente il saluto militare. Non si chiamava Inn? Ma la vista era bellissima. Proprio deliziosa. Fantastica. L’avevo sempre sognato, ma non sapevo quanto sarebbe stato inebriante dal vero. Ero rimasto a bocca aperta.
- Il signor presidente vuole passare in rassegna la truppa?
- Sì, comandante. – dissi riuscendo a chiudere la bocca e parlare. – Ben volentieri.
Prese la bacchettina da direttore d’orchestra e mi portò a guardare una per una le ragazze. Si soffermò a parlare di tutte loro, per farmi godere delle loro chiappe che erano davvero superbe. Le toccava di tanto in tanto con la bacchetta, sfiorando la base delle natiche. Sapeva che cosa mi piaceva, la mia Connie…
- Guardare e non toccare, vero? – chiesi per conferma…
- Questo è il loro regalo. Chiedi a loro.
Si riportò in mezzo alla stanza e la seguii interrogativo.
- Signorine… – Ordinò. – Dietro-front!
Con mossa perfetta, si girarono di nuovo. Intravidi molte fighe, tutte depilate.
- Rompete le righe… Masch!
Le ragazze si mossero felici e batterono le mani portandosi a me. Connie si fece da parte per lasciarmele avvicinare. Felici mi abbracciarono, mi baciarono e applaudirono, urlando come un plotone di cadetti appena passati di grado. Erano così erotiche, con quello scialle di seta che le copriva davanti ma le lasciava ignude didietro, che mi sembrò di essere dietro le quinte del Crazy Horse a Parigi.
- Per il nostro presidente… – Scandì la bella Claudia in reggicalze – Hip… Hip…
- Hurrà!... Hurrà!... Hurrà!
Connie se ne era andata sorniona, ed ora il coro mi stava travolgendo. Io mi lasciai travolgere. Misi le mani un po’ su tutte ne natiche, provando un’erezione continua e un senso di piacere indicibile. Anche loro erano liete della mia felicità, e mi parve di sentire perfino che più di una si era leggermente bagnata. Dopo un quarto d’ora decisero di abbassarmi la zip. Non ricordo né come, né cosa, né chi, né quando, né dove… Ma ad un certo punto venni, e si diedero da fare affinché potessi farlo in tutta comodità e devozione.
- Ragazze, – urlai prima di andarmene, mentre si rivestivano nello spogliatoio. – Vi voglio bene…!
- Semper fidelis! – urlarono in coro.
Amen.

Una settimana prima delle nozze, Connie mi disse che mi era rimasta un’ultima incombenza.
- Che cosa devo fare? – Chiesi stancamente.
- Mantova. Stasera dobbiamo andare a trovare i tuoi amici.
- Dio, no! Non me la sento proprio.
- Ho parlato con Monica. Non devi sodomizzarlo. Le è venuta in mente un’altra cosettina, che io ho approvato.
- E cos’è? – domandai sollevato.
- Le ho promesso di non dirtelo.
- Dai…
- Niente affatto. Fidati di me.
Ci andammo.

- Ma cosa cazzo vi è venuto in mente? – Le gridai appena saliti in macchina per tornare a casa dopo essere stati a Mantova.
- Ma se era l’unica cosa che non avevi ancora fatto! – se la rideva di gusto.
- È vero che volevo fare il clistere, ma non di certo a un uomo, cazzo!
- Dai, smettila. – disse sorridendo. – Ho visto quanto eri eccitato…
Non potevo negarlo, anche perché lei non perde mai d’occhio lo stato del mio pene.
- La dominazione è trasversale… – Ammisi. – Ma lui era come impazzito dal piacere!
- Infatti! È per questo che ti avevano inviato. Adesso saranno ancora lì che scopano…

Il giorno delle nozze arrivò prima di quanto non si poteva immaginare. Per quanto avessimo casa già pronta, sembrava impossibile preparare tutto per tempo, ma alla fine ci trovammo davanti alla chiesa. Io venni portato all’altare da mia zia Marta da Cavarzere, elegantissima e pronta a fare strage di ragazzini. Connie mi raggiunse poco dopo, accompagnata da suo padre Alvise. Era bellissima, vestita di bianco, con un velo che le copriva il viso. Le ragazze del coro erano già dietro all’altare per cantare la messa. Vidi che erano arrivate tutte le sue amiche che mi ero già fatto, più un’altra mezza dozzina dello stesso livello di avvenenza.
- Te le presento dopo. – mi sussurrò, prevedendo la mia domanda.
- Tutte?
- Tutte.
- Hai visto che belle le mie coriste? – chiese poi.
- Bellissime. Stavolta hanno tutte un garofano rosso all’occhiello della camicia…
- Quelle che lo hanno messo, sono quelle che puoi chiavare con me in viaggio di nozze.
- Che cosa?
- Sì, quello dell’altro giorno era un regalo loro. Questo è il regalo mio.
- Ma dico, sei fuori di testa?
- Se non vuoi non ci sono problemi…
- No no, cazzo, ma io…
- Sì?
- Tutte? – domandai poi osservandole. – Proprio tutte?
- No, solo quelle con il garofano rosso.
- Ah sì, ce ne sono alcune col garofano bianco, non l’avevo notato perché si confonde con la camicia. Quelle non ci stanno?
- Quelle si limiteranno a farti un pompino… Claudia preferisce così.
Mi mise furtivamente una mano sul cazzo per sentire la reazione. Ed ebbe conferma.
Cercai di ricompormi.
- Non vedo se la pianista, che oggi suona l’organo, porta un fiore… he he.
- No, lei no.
- Non l’ho neanche mai vista in mutandine. Anche l’altra sera era rimasta in disparte…
- A lei piace il clistere… – disse celando la soddisfazione per ciò che aveva detto.
- Stai scherzando?
- Affatto. Sia farlo che subirlo.
Mi agitai.
- Ti si sta muovendo, dottor Federici?
Non risposi. Mi girai a guardare la gente, mentre il prete faceva i suoi riti.
- Sai, dopo l’esperienza che ti sei fatto con Gianni a Mantova… he he.
- Sii seria.
- A proposito, non te l’ho detto, ma adesso dovrai montare Monica, sua moglie, tutte le volte che vorrai finché non l’avrai messa incinta.
- Checcazzo dici?
- Lui non può avere figli, è ufficiale da ieri.
Connie era proprio come il cuculo. Il cucù, il nido e tutto il resto…
- Cazzo, ma non avete paura che poi io riconosca il figlio?
- Per riconoscerlo, prima lui deve disconoscerlo. E ho idea che proprio non lo farà mai…
- Sei una troia… La mia troia.
Mi sfiorò per sentire la mia reazione.
- E tu, un maiale. Il mio maiale. Vedo che siamo fatti l’uno per l’altro Ed è così che ti amo.
- Anch’io.
Il prete mi mise in mano una formula da leggere.
- Cosa devo fare? – chiesi stupidamente.
- Se vuoi sposarla, – mi disse il prete sorridendo, devi leggere questa frase.
Cominciai a leggere la frase di rito, sottolineando che l’avrei amata nel bene e nel male e rispettata don fedeltà per tutta la vita. La stessa cosa poi la lesse lei.
- I testimoni hanno sentito?
- Sì.
- Sì.
- E allora, vi dichiaro marito e moglie!
Il pubblico esplose in un primo applauso. Ci girammo a sorridere agli invitati.
- Ah, – dissi senza muovere le labbra. – Vedo che c’è anche Laura, la sadomaso.
- Sì, l’ho invitata. Vuole a tutti i costi essere coinvolta…
- Mi fai venire un’idea. Quando monterò Monica, vorrei che tu e Gianni foste presenti.
- Ovvio.
- Mentre la monto, voglio che Laura vi metta in posizione acconcia, anzi sconcia, culo nudo, all’aria.
- Senti senti… E poi?
- Quando si accorgerà che sto venendo, dovrà frustarvi in sulle natiche. Dovrete sentire un breve acutissimo dolore, passeggero ben s’intende, in sincronia con ognuno dei miei fiotti di sperma che andranno a ingravidare Monica… Le vostre grida di dolore sigilleranno la mia augusta eiaculazione.
- Oh, mio dio… – Sussurrò, mettendosi una mano al petto. – Ma cos’è, una punizione?
- No. – risposi soddisfatto. – Una perversione. Una perversione naturale.
- Fantastico…
- Se posso interrompere il dialogo, – si intromise il prete, – mi permetto di ripetere che lo sposo può baciare la sposa.
- Finalmente! – esclamai. E la baciai sulle labbra con educazione.
Un lungo applauso accolse la nostra felicissima storia d’amore.



FINE




Nota: E' una storia vera in parte.
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