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Io, Bruno e Alessandra - Capitolo 1.


di Honeymark
18.12.2014    |    14.006    |    1 9.1
"Attrezzi indispensabili per fare il mio lavoro..."
Prima parte

Ero tornato a casa da uno dei miei soliti viaggi da giornalista in teatri di guerra, era venerdì sera e chiamai l’ascensore per salire l’ultimo piano, un insieme di piccoli attici dove c’erano solo quattro appartamenti invece che sei come nei piani inferiori. Delle terrazze avevano arricchito il senso dello spazio per quei quattro proprietari che avevano pagato gli spazi scoperti come quelli coperti. Uno dei quali ero io.
Era estate e già l’idea di salire lassù mi stava togliendo di dosso il sudore, la stanchezza del viaggio e gli orrori che avevo visto. Il tutto era documentato nella mia inseparabile macchina fotografica che tenevo nello zainetto insieme al portatile e al telefono satellitare. Attrezzi indispensabili per fare il mio lavoro. Potevo perdere il bagaglio al seguito, ma non il bagaglio a mano.
La mattina dopo sarei andato dal direttore del giornale a dirgli come era andato il viaggio, ma già gli avevo mandato tutto pronto e impaginato per testi e foto. Come sempre, avevo fatto tutto in volo e la mattina dopo dovevo solo dare dignità ai numeri.
Mentre si apriva la porta dell’ascensore, corsero per salire con me i due vicini di attico, una coppia più giovane di me di dieci anni. Per la cronaca, io sono sulla cinquantina.
Ci conoscevamo da buoni vicini, ma nulla più.
- Signor Torrisi, ci aspetti!
Sorrisi a vederla correre verso di me e fermai le porte dell’ascensore. Era carina, giusta per suo marito. Una coppia ben assortita, che non avevo mai avuto tempo di conoscere e frequentare. E, dato il mio lavoro, che non avrei frequentato mai.
- Tutto bene? – Mi chiese lei col fiatone. – E’ stato in viaggio di piacere?
- No, - risposi, sorridendo, - Un viaggio di lavoro.
- Beh, - commentò lui, - sarebbe piaciuto anche a me trovare un lavoro che mi facesse viaggiare molto… E invece siamo finiti entrambi in banca.
- Un lavoro sicuro e sereno, - osservai.
- Sì ma noioso.
L’ascensore si fermò all’ultimo piano. Uscimmo e ci dirigemmo alle nostre rispettive abitazioni.
- Ciao ragazzi, ci vediamo.
- Ciao.
- Senta, - disse lei. – Perché non viene a prendere il caffè da noi dopo?
- No grazie, - risposi. – Sono stanco e…
- Dai, - insisté lui. – E’ venerdì sera, domani possiamo dormire di più.
- A che ora? – Chiesi. Mai stare soli quando si è tristi.
- Quando vuole. Tra un’ora?
- Va bene, - sorrisi ancora. – A dopo.
Sì, due chiacchiere leggere potevano alleggerire lo stato d’animo.

Alle 9 suonai alla loro porta con una bottiglia di porto in mano, per non andare con le mani vuote. E perché mi piace il porto, più di un ammazzacaffè.
Aprì lui, che mi accompagnò in salotto. L’abitazione era più o meno come casa mia, ma speculare. Mi sedetti, lui prese la bottiglia e andò ad aprirla. Poi vennero entrambi in salotto. Il caffè era buono e il porto ancora meglio. Erano una coppia davvero simpatica e tutti due carini. Lei sul biondo, lui sul castano. Lei aveva un culetto niente male e una minigonna generosa. Cercai di non farmi vedere mentre le guardavo le gambe, ma non passai inosservato.
- E’ carina Alessandra, vero? – Disse lui.
- Ah già, - riuscii a dire per cambiare discorso. - Non ci siamo mai presentati. Io mi chiamo Marco.
- Lei si chiama Alessandra - disse lui, - Io sono Bruno.
- Io sono Marco.
- Senti, - continuò lui, sorseggiando il porto. – Prima a cena io e mia moglie ci siamo domandati se lei… se tu… Insomma, diamoci del tu. Abbiamo deciso di chiederti una cosa.
- Dimmi Bruno, - risposi.
- Tu sei un fotoreporter, vero?
- Un fotogiornalista. – Precisai. – Cioè sono un giornalista che fa anche il fotografo.
- Sei anche famoso, - aggiunse lei.
- Questo proprio non lo so.
- Ho navigato in rete continuò Alessandra - e ho visto un sacco di reportage fatti da te. Terribili. Come fai a fare questo lavoro? Non hai paura?
- No, - risposi. - Quando hai la macchina fotografica in mano ti senti attirato dal pericolo… Se vedi che tutti scappano, tu devi correre a fotografare la ragione per cui scappano.
- Ci vuole coraggio.
- O incoscienza…
- E poi riesci ad avere una vita normale? Voglio dire ad avere una donna, un amore, un momento felice per fare foto?
- No. – Risposi. – Prima ho fatto un giro di telefonate, ma le mie amiche erano tutte impegnate, giustamente.
- E far foto per rilassarti?
- No, non sono più un ragazzino alle prime armi.
Si guardarono e si fecero un cenno d’intesa.
- Senti, - disse lei. - Volevamo chiederti se fossi disposto a farci un servizio fotografico. Così, per divertirci.
- Come? – Risposi, con un certo imbarazzo. – No, io non lavoro mai per altri, faccio solo foto per i miei servizi giornalistici.
- Ha ha! – Intervenne Bruno. – Non avevamo intenzione di pagarti…
- E’ una cosa molto particolare quella che vogliamo chiederti, - precisò lei, sempre sorridendo.
- No, ragazzi, non faccio foto.
Guardai l’ora come per dire che il discorso doveva finire lì.
- E se ti chiedessimo di fotografarci mentre facciamo l’amore?
Subito non afferrai.
- Mentre scopate? – Chiesi, per avere una cruda conferma.
- Esatto, - disse lei.
- Ha ha, ragazzi…! No, io non sono la persona giusta. Non resterei indifferente e…
- No, tu sei la persona giusta, proprio perché sai controllare le tue emozioni, - rispose lui.
- Proprio così, - aggiunse lei.
- Cosa ve lo fa pensare? – Dissi curioso.
- Se riesci a fare le foto che abbiamo visto nei tuoi servizi, sei altro che capace di controllarti…!
- Spiegatevi meglio. Come funzionerebbe? Come, anzi cosa dovrei fotografare?
- Io e Alessandra ci spogliamo, ci mettiamo sul letto e facciamo sesso, mentre tu ci fotografi.
Provai un innegabile senso di desiderio. Con il mio lavoro non era facile trovarsi in situazioni come quella che mi stavano proponendo.
I due mi guardavano felici e contenti. Forse mi avevano letto nel pensiero.
- Perché avete pensato a me?
- Te l’abbiamo detto. Oggi ti abbiamo visto con la macchina fotografica ed è venuta a entrambi la stessa idea. E’ da tempo che vogliamo farlo. E’ per il nostro album di fotografie.
- Usate ancora l’album di foto?
- Virtuale, ovviamente. Cioè elettronico.
- Ah già. Fatemi capire. Voi vi spogliate, avete detto, e io vi fotografo mentre fate sesso. Ho capito bene?
- Sì.
- E non siete gelosi della vostra privacy? Tu, Bruno, mi lasceresti guardare tua moglie mentre…
- Esatto. Non credo che tu sappia fare foto con gli occhi chiusi… ha ha
- E io potrei ordinarvi di fare quello che voglio?
- Sì, esatto.
- Lo trovo molto intrigante. – Dissi ad alta voce, anche se tra me e me.
- Anche noi, - commentò Alessandra.
- Le luci come sono?
- In camera da letto? Puntiamo dei faretti sulle pareti, così hai la luce solo parzialmente diffusa. Le ombre ci sono, ma non troppo marcate.
- Mi fate vedere la camera?
I due si guardarono soddisfatti e mi accompagnarono di là. La stanza era spaziosa e il letto grande. Era come la mia, ma speculare.
- Ok, - dissi allora con un sorriso da complice navigato. – E quand’è che lo si potrebbe fare?
- Adesso, - disse Bruno.
- Subito. - Cconfermò Alessandra.
- Se ci dai qualche minuto per prepararci, - aggiunse Bruno, - saliamo sul set…
Fantastico, pensai. Guarda come la vita può rivelarsi una sorpresa…
- Beh, - dissi - Allora devo andare a prendere la macchina fotografica.
Andai a casa mia e presi la Nikon 300S, con l’obbiettivo 18-300. Era un po’ da fotocronaca, ma era l’attrezzatura che mi andava più a genio.
Tolsi le schedine piene di foto e ne misi due vuote. Poi tornai di là e suonai alla porta, mi venne ad aprire lui in accappatoio e mi fece i strada fino alla camera da letto.

Continua.
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