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Perversioni naturali (le amiche della mia amica) - Quinta parte


di Honeymark
23.06.2012    |    15.166    |    1 9.6
"Poi andai dalla giovane e le presi i capelli dietro..."
Quinta Parte


12.



Andai a prendere le ragazze alla stazione di Verona poco prima delle sette di sabato. Erano felicissime e sembrava che fosse andato tutto bene. Io avrei telefonato lunedì al mio amico della Fenice per sapere com’era andato il provino. Portai Connie fuori a cena, dove parlò solo lei dell’esperienza di Venezia. L’ambiente culturale aveva coinvolto sia lei che le ragazze. Poi tornammo finalmente a casa.
- È stata una bomba! – disse togliendosi gli abiti in camera da letto. Mi abbracciò. – Tu non hai idea di quanto sia eccitante sapere che Lui è tra le braccia di un altra... E stando a quasi duecento chilometri di distanza. Chi non l'ha provato non può capire quanto lo sia…
- No. – Commentai. – Non ne ho proprio idea. Ma credo di cominciare a capirlo…
- Ti amo. – La baciai.
- Anch’io. – Disse alla fine del bacio. – Allora, ti ho lasciato in buone mani?
- Ottime, direi!
- Credo che lo faremo spesso così.
- Stando dietro alla telecamera?
- Anche, ma comunque con me dietro a guardarvi. Ma intendevo un’altra cosa. Claudia si è dimostrata una donna sensuale e affidabile. Credo che le dirò di scegliere le donne giuste per noi. Ora ci conosce e sa con che carte giocare.
- Ora tocca a te. – dissi.
- Sento. – Rispose, sfiorandomelo. Mi fece l’occhiolino. – Un vero peccato che non ci sia un’altra donna…
Si fece montare come Claudia, con la variante piacevole che lei si aiutò masturbandosi. Il modo più bello che aveva usato quella sera con me, era di stare seduta sul cazzo infilato mentre mi girava la schiena. Accarezzava con una mano le mie palle e con l’altra il clitoride, sobbalzando come una bambina che fa il bagnetto.
- A proposito, come aveva fatto a farti venire stando così avvinghiati senza muovervi?
- Te lo dirò un’altra volta. Anzi, forse è meglio che te lo fai spiegare da Claudia…

Quando Marika si presentò da noi il successivo venerdì sera, rimasi senza parole. Non so se tutte le amiche di Connie fossero così belle, ma finora ne avevo viste solo una migliore dell’altra. Mentre si abbracciavano, le osservai. Connie era l’unica donna che amavo, ma l’altra aveva un portamento da signora di classe superiore. Eleganza e fascino contenuti in una gonna a tubino nera e una maglietta di Hermès.
- Ti presento Alberto. Alberto, Marika è lei.
- Sei di una bellezza piuttosto rara… – Commentai.
- Ti avevo detto che è galante, no? – Fece Connie.
Marika era rimasta lusingata dalla mia battuta.
- Davvero? – mi chiese facendo un giro su se stessa.
Era come se avesse voluto mostrarmi il culo, la parte che avrei dovuto lavorare per un fine settimana, 24 ore su 24. Beh, più o meno, insomma…
- Sei uno schianto.
Guardò Connie. – Tu non sei cambiata, vero? Niente gelosia?
- Assolutamente no! Se però provi a portarmelo via… – disse finta brontolona, poi la riabbracciò. – E a te, piace sempre il bondage?
- Sssst… Parla piano, dai. Questi sono i nostri piccoli segreti…
- Alberto non ha segreti per me. Ed è la riservatezza in persona.
Marika mi guardò. – Non mi giudichi male, vero?
- Perché, solo perché ti piace qualcosa di diverso? Guarda poi che non è così inusuale…
Avevo parlato come se conoscessi il bondage da sempre. Ma era tutto merito del libro di Rizzi.
- Lo so, ma io mi sono costruita l’immagine della donna di classe, della dominare, della manager… Non vorrei che si sapesse che mi piace essere… schiavizzata, ecco.
Finse di arrossire come se avesse confessato di essere cleptomane.
- Oh, da qui non uscirà niente. E poi, una tantum piace a tutti essere sottoposti a bondage.
- Ecco, vedi? Le cose non stanno così. A me piacerebbe essere sempre legata, bloccata e schiavizzata… 24 ore su ventiquattro, 7 giorni su sette.

Cenammo a tavola, concordando il tipo di rapporto che avremmo avuto per il week-end, poi l’accompagnai in camera sua. Il mio attico era grande come quattro appartamenti e si estendeva praticamente in mezzo al top del condominio che aveva sei appartamenti per piano, per cui tutt’intorno c’era un terrazzo che in primavera avrei attrezzato a giardino. Ci avrei costruito anche una piccola piscina e magari predisponevo un giardino d’inverno. Nel salone più grande avevo cominciato ad attrezzare una palestra personale. L’insieme aveva anche quattro ingressi diversi, in modo che potessi dare nell’eventualità un appartamento a un ospite importante. Bastava chiudere a chiave le due porte di comunicazione.
Accompagnai Marika in una specie di mini appartamento comunicante sia col nostro che con la palestra.
- Questo è il tuo salotto, – le dissi, – quella è la camera da letto e lì c’è il bagno. Qui di fianco abbiamo la palestra. Lavoreremo un po’ dappertutto.
Andò alla porta della palestra e notò che oltre a cyclette, materassini e tapis roulant c’erano altre attrezzature, ma non fece commenti.
- Bene, – disse. – Da dove cominciamo?
- Dall’inizio. – Risposi. – Connie, per favore, le vuoi fare un clistere?
- Certo! – rispose colta di contropiede. – Con cosa?
- Con questa pera di gomma. – Le passai la scatola. Avevo portato un sacco di cose dalla mia farmacia, tra le quali il clistere era la meno profanante.
Marika era rimasta senza parole, come se si fosse svegliata.
- Ah, Marika, una cosa. – le dissi. – Nulla di personale, ma da questo momento tu non sarai più la bella signora elegante e volitiva che è entrata dalla porta di casa. Da questo momento tu sarai un oggetto nelle nostre mani. Una schiava assoluta fino a lunedì. Al massimo, se te ne daremo l’opportunità, una cagna. È chiaro questo?
Marika guardò prima me e poi Connie con una certa trepidazione.
- Non preoccuparti, cara… – le disse Connie affabile. – Andrà tutto bene. Al massimo, puoi sospendere tutto pronunciando la frase convenuta «Fermate il mondo, voglio scendere».
- E se non puoi parlare, – conclusi io, – aspetterai la fine della seduta.

Andai a versarmi un buon bicchiere di whisky rovinandolo col ghiaccio, lasciando che le due facessero quello che dovevano fare. Avrei adorato farle io il clistere, ma il manuale sconsigliava di mescolare piccole perversioni diverse. Poi passai in palestra e mettere in ordine quello che mi serviva. Dopo un quarto d’ora entrai dalle ragazze.
- Tutto fatto? – chiesi.
Non risposero. Fatto.
Connie, fiera come un gatto che si fosse mangiato un topo, mi mostrava Marika in piedi di schiena, con addosso solo un corpetto nero molto stretto che lasciava scoperto il culo senza mutandine, con i due polsi legati dietro al corpetto stesso, incrociati. Avevo portato anche un sacco di bardature e abbigliamento da bondage, approfittando di un acquisto che avevo voluto fare per il reparto Sex della farmacia. La prima cosa che avevo comperato era quella che più si avvicinava al libro che mi aveva dato l’amico medico. Guardai il capolavoro.
Marika era molto alta anche senza scarpe e il sedere risplendeva prepotente sotto i due polsi incrociati. Entrambe sapevano che cosa stavo provando e ne sembravano soddisfatte.
- Bene, bene, bene… – dissi guardando il culo di Marika e spostando di lato Connie. Poi girai intorno alla schiava per osservarla bene. Il sesso era perfettamente rasato come piace a me, le tette erano ignude, appoggiando sul corpetto che le lasciava scoperte. Ma la cosa più bella era un bavaglio di cuoio nero che la mia donna le aveva messo, come una specie di museruola.
- È il modello da cagna. – disse Connie quando si accorse che cosa guardavo. – Se dovesse ansimare, o se più semplicemente volessi chiuderle il naso con una molletta, la sentiresti latrare.
- Bene, bene, bene… – ripetei. Stavolta andai a palparle il culo e l’inguine, tanto per palesare la mia presenza assoluta. Lei dovette godere, perché sentii umidità lasciata dal sesso sul dorso della mano. Mi scostai.
- Mettila giù, per favore, devo visitarla.
Connie le mise un grosso collare con guinzaglio e la portò vicina al lettino da medico che avevo fatto portare appositamente. Lo abbassò elettricamente, quindi la fece prima sedere e poi sdraiare pancia sotto. Quindi fissò il guinzaglio sotto la parte anteriore del lettino e poi passò alle caviglie, che fissò ai due angoli esterni. Il tutto era stato fatto con delle praticissime cinghiette con velcro. Con le mani così legate dietro la schiena, era stupenda. Mi avvicinai col viso al buco del culo, con le mani allargai le natiche e lo osservai. Sembrava un puntino appena percettibile e l’idea di essere incaricato a sfondarlo, peraltro senza danno, mi caricava di senso maligno di potere. Annusai, avvertendo un forte profumo di pelle femminile. Connie mi passò dell’olio da massaggio per ungermi il dito. Poi passò al culo della sua amica. Si sedette di fianco e le mise le mani sulle natiche al posto delle mie. Le allargò e aspettò che la visitassi.
Io portai il dito medio al buco del culo, lo appoggiai e indugiai un po’ per abituarla alla sua presenza. Vidi che tendeva a muoversi e sentii qualche primo timido latrato. Quando mi accorsi che l’ano aveva accettato la prima falange senza difficoltà, spinsi il dito medio, che scivolò dentro con estrema facilità grazie all’olio. Lei provò a stringere le chiappe, ma non poté frenare la mia entrata. Ne uscì solo un piccolo latrato dal suo bavaglio, seguito da altri generati ad un aumento del ritmo respiratorio. Provai a concentrarmi sulla sensazione che provavo.
L’ano stringeva bene la base del mio medio, ma sentivo anche che era un suo riflesso condizionato. Tra un po’ si sarebbe rilassata e da quel momento sarebbe cominciata la strada per abituarla a ricevere un cazzo nel culo. Mossi il dito dentro di lei, provocandole altre reazioni sia di respiro che di glutei. Le pareti interne del retto erano perfettamente lisce, non avvertivo presenze di alcun genere, nessuna ragade o altro. Inoltre, il retto era abbastanza largo da accogliere anche un cazzo come il mio che, modestamente, è abbastanza sopra la media. L’ano non si era ancora rilassato e restai un po’ lì immobile, mentre Marika si dimenava con una certa insistenza. Solo dopo qualche minuto cominciò a rilassarsi e sentii la pressione anulare attorno al dito calare progressivamente. Quando mi parve di non sentirlo più, sfilai il dito. Lei emise qualche sbuffo, ma alla fine si rilassò. Guardai il buco del culo e lo vidi tornare piccolo, anche se non più invisibile come prima. Volendo, la prima «applicazione» era finita.
- Mi fai il favore di legarle le gambe strette strette? – chiesi a Connie. – Dopo la lasciamo un attimo da sola a riposarsi.
Connie mollò le cinte che le tenevano le gambe divaricate e le fissò in mezzo alla base del letto, tirandole quanto bastava a metterle in tensione collo e caviglie. Poi prese i legacci giusti e le strinse prima le cosce, poi le ginocchia, poi i polpacci e infine le caviglie.
Uscimmo.

- Volevi dirmi qualcosa?
- Sì, – risposi. – Il medico mi ha detto di chiavarla solo alla fine…
- E perché? Cazzo, sembra così vogliosa…
- Lo è di sicuro, era bagnata… No, mi ha detto che devo lasciarla soffrire. Deve desiderare di essere montata, ma non devo degnarla. Va umiliata come se non piacesse o non interessasse a nessuno. Cos’ si sentirà realizzata quando alla fine la chiaverò e la inculerò.
- E tu, invece, vorresti venire subito, vero? – mi chiese Connie che ormai aveva imparato a conoscermi. – È questo il problema? He he…
Mi abbracciò fisso, mettendo la testa sulla mia spalla
- Connie, io…
- Dopo le fai qualcosa? – chiese riferendosi all’amica legata di là.
- Sì, le metto un…
- Allora facciamo così. Adesso ti faccio un pompino, poi la sevizi quanto ti pare, infine andiamo a letto e mi diverto io…
- Tu?
- Beh, anche io avrò diritto alla mia parte di sesso, no?
- Sì cazzo, certo!
- E ti farò impazzire.
- Infatti, è per questo che abbiamo deciso di giocare con Marika…
- Bravo… – Si inginocchiò. – Ma intanto il pompino te lo faccio io…
- Beh, – disse alla fine, con la bocca ancora viva di sperma. – Vado bene anche io?
- Sei una donna splendida. – Le dissi, quasi commosso.
- Sei splendido anche tu.
Si staccò e mi guardò in viso.
- Adesso torna di là e vai avanti.
- Obbedisco. – risposi, facendo un saluto militare. E tornai da Marika.





13.



Marika era ancora immobile, perfettamente liscia e bianca. Mi avvicinai per osservarle da vicino il buco del culo e notai che le grandi labbra erano bagnate e tendevano a gonfiarsi sotto il mio sguardo. La eccitava l’idea di essere guardata così senza protezione alla vista. L’ano era tornato alle sue piccole dimensioni originali, quindi virtualmente pronto ad essere ripreso in mano.
Diedi un’occhiata anche ai legacci e alla museruola. Pareva impossibile che una si divertisse ad essere bloccata così. Io mi sarei sentito morire. Invece mi eccitava l’idea che le piacesse essere ridotta all’immobilità e alla sudditanza. Pensai a come procedere e andai a prendere un piccolo plug anale a pompetta. Non era molto più grande della punta di un clistere di medie dimensioni, ma era l’ideale per cominciare. Connie non c’era, ma avevo preparato uno strumento per osservarla a distanza. Si trattava di una telecamera di sicurezza, come quelle che si usano per tenere d’occhio i bambini lasciandoli in camera da soli, collegate a piccoli monitor con segnale d’allarme quando si muovono. Anche questa in vendita presso la mia farmacia.
Presi il plug, lo lubrificai con l’olio di prima e lo appoggiai all’ano. Nuovamente iniziò a respirare affannosamente con qualche erotica soffiata. Non l’ascoltai e, non appena l’ano aveva accettato la presenza, spinsi il piccolo attrezzo dentro il retto. Strinse anche stavolta i glutei e sbuffò latrando, ma entrò benissimo del tutto. Allora presi la pompetta e cominciai a gonfiare la piccola camera d’aria alloggiata nella punta del plug. Dopo un po’ sapevo che si era gonfiata al punto da rendere impossibile la sua espulsione.
La lasciai così sodomizzata, abbassai la luce e me andai a letto. Connie mi stava aspettando sotto le coperte guardando il monitor.
- L’hai preparata per la notte?
- Sì. La temperatura è sui 24 gradi, la luce è diffusa, il plug inserito. Eccola. – Le mostrai il piccolo monitor. – Se si muove troppo innesca un piccolo allarme che mi sveglia e allora vado a vedere.
- Pensi di lasciarla così tutta la notte?
- No, alle due vado a cambiarle la legatura.
- Le lasci lo stesso plug?
- Ci penserò. Ma per adesso ti monto!
- No. – disse Connie mettendo via il libro. – Adesso faccio io.
- Hai fatto tu anche prima…
- Non quello che faccio adesso.
Era nuda e si portò sopra di me con le ginocchia sotto le mie ascelle, quindi si sedette fino ad appoggiare il suo sesso sul mio naso. Lo strofinò a lungo, poi si raddrizzo di quel tanto cha bastava a tenermi il sesso a poche dita dal viso. Quindi cominciò a masturbarsi violentemente gemendo come una nutria, finché alla fine non mi venne in faccia schizzandomi qualche goccia di umore vaginale.
- Fantastico! – Dissi sfinito.
Si gettò stremata di fianco.
- Fantastico! – esclamò anche lei.
Poi spense un interruttore sul comodino che non avevo notato e chiuse la luce.
- Cos’è quello?
- Un microfono, in modo che anche lei senta che scopiamo mentre è costretta a stare di là, letteralmente impalata. Adesso è spento.
- Cazzo, questo non me lo sarei aspettato… Chapeau!
- Credi di essere l’unico ad avere idee geniali? Prova a pensare, grazie alla sua umiliazione io ho scopato meglio perché tu eri più eccitato del solito…

L’allarme non suonò per tutta la notte e la mattina dolo Annie andò a slegare Marika per «l’ora d’aria». In quindici minuti la portò in cucina libera e bella con l’accappatoio addosso. Io avevo preparato la colazione e mangiammo piacevolmente in tre. Marika non parlò, probabilmente temendo di rompere l’incantesimo della sottomissione. Alla fine mi alzai. Avevo letto che non dovevo negoziare con la sottoposta, quindi mi limitai a informarla.
- Adesso ti preparo per la mattinata. Ti lasceremo sola, ma io dalla farmacia al piano terra saprò sempre se hai bisogno di qualcosa. – Le mostrai la telecamera per controllare i bambini. – Ti ho tenuta sotto controllo anche stanotte, non ti ho mai lasciata sola. Puoi venire qui adesso che ti visito?
Venne da me e cercò di capire che cosa doveva fare. Non le dissi nulla, ma poi agì. Lasciò cadere l’accappatoio e si girò di schiena.
- Vieni qui. – Si avvicinò e la misi tra me e il tavolo. La piegati in modo che tenesse il busto sul tavolo. Le allargai le gambe quanto bastava per scoprirle la fessura e per farla stare comoda, aveva le gambe troppo lunghe. Le guardai il buco del culo da vicino e lei avvertì la mia vista indiscreta, perché la sua vulva presentava dei piccoli movimenti. Le labbra tendevano a distendersi impercettibilmente, cosa che non avevo mai notato perché non mi capitava spesso di studiare un sesso femminile da così vicino… Le presi dolcemente le natiche in mano e sentimmo entrambi che la cosa ci coinvolgeva più del necessario. Ma era troppo bella…
Le palpai le natiche allargandole e stringendole sensualmente. Poi mi alzai. Andai da lei le misi il dito medio in bocca. Lei lo prese senza esitazioni e lo succhiò a lungo, usando la lingua come se stesse lavorandosi il cazzo. Mi piacque da morire, ma poi lo sfilai e tornai al suo buco del culo, il motivo per cui era lì con me. Appoggiai il medio umido sull’ano. Lei ebbe una piccola esitazione, ma subito si rilassò. Attesi qualche secondo finché non sentii che l’ano si stava rilassando attorno alla punta del dito, quindi lo spinsi dentro piano ma con determinazione per tutta la sua lunghezza. Stavolta lei mi aveva facilitato il compito, muovendo il culo quel tanto che bastava per farmi scivolare bene. Una volta dentro lo mossi con esperienza. In verità, stavo facendo quello che mi piaceva, per questo la scrutavo all’interno godendomi le sue fattezze e la sua collaborazione. Sì, perché il fatto che stesse giocando con me dimostrava che c’era feeling, il classico che si forma tra padrone e schiava. Era mia, la prendevo per il culo e lei amava farsi prendere così.
- Allora? – mi chiese Connie che aveva finito di sparecchiare. – Fate progressi?
- Fate? – le chiesi, allentando la mia pressione fino a sfilarlo dolcemente. – Parli a tutti due?
- Beh, – disse. facendomi l’occhiolino. – Sembra che ve la stiate spassando…
- Provo la stessa sensazione che proverei a mettere un dito nel culo ad una cagna. – commentai, mentendo. – La porti di là e la prepari, per favore?
- D’accordo. Cosa devo fare?
- Un clistere, quindi le metti la cintura per fissarle i polsi dietro la schiena. Ah, nella scatola rossa c’è un paio di calze nere di latex. Gliele puoi infilare? Attenta però, hanno il velcro.
- Signorsì, signore! – rispose da militare.
- E scegli la museruola che preferisci,
- Il plug anale lo scegli tu?
- Sì, grazie.
Sparirono di là ed io andai a vestirmi.

Quando arrivai, Connie le stava infilando uno strano bavaglio.
- Questa museruola serve a tenerle la bocca sempre aperta. Gli effetti sono che sbava come un bovino e le si asciuga la saliva.
- Ottimo.
- La inculeresti, vero? – provocò Connie.
- Già… mormorai.
- Tempo al tempo. – strizzò l’occhiolino e mi lasciò solo con la paziente.
Studiai Marika e sussurrai qualche parola gentile.
- Bella la mia vacca…
A quelle parole, lei si sentì eccitare. Il sesso si inumidì di una goccia di rugiada. La raccolsi con un dito e la strofinai con i polpastrelli. Quell’oggetto era troppo femminile per lasciarmi indifferente. Lei invece attendeva fiduciosa la performance al culo, tenendo le gambe leggermente divaricate.
Andai a prendere il plug per la seconda giornata. Un po’ più grosso, ma non troppo lungo, a forma di goccia. Lo lubrificai con dell’olio e lo appoggiai al buco del culo. Il quale era ancora stretto, ma già abituato ad avere visite di corpi estranei. Attesi quanto bastava per vedere che si allargava, quindi spinsi dentro. Provai grande eccitazione a vedere che il buco del culo si allargava mentre le natiche, riflesso condizionato, stringevano. Ancora più piacevole fu vedere il buco del culo che si richiudeva dopo che era entrata la parte più grossa. Scivolò dentro del tutto, sospinto dalla propria stessa elasticità. Presi il pomolo nero che era rimasto fuori e lo scrollai un po’ per farglielo sentire vivo. Lei reagì soffiando con la bocca aperta, cercando di capire cosa facevo, ma poi si rilassò.
Le legai la museruola al fermo anteriore del lettino per tenerla ferma la testa, quindi passai alle calze. All’interno avevano due strisce di velcro, protette da una copertura. Strappai la copertura in modo che il velcro potesse fare presa, quindi unii le gambe fino a mettere a contatto le due parti, le quali fecero subito presa. Ora le gambe erano state unite e lei non sarebbe mai riuscita ad allargarle senza un aiuto esterno. Avrebbe provato la sensazione di essere ingessata, impazzendo e facendo impazzire me di piacere. Poi fissai anche le caviglie al lettino. Il plug anale ora era stretto dalle gambe che a loro volta spingevano le natiche sul pomolo rimasto fuori dal culo. Era così bella che decisi di fotografarla.
Poi presi a telecamera di controllo, le diedi una sculacciata sul pomolo del plug e me ne andai mentre sembrava voler inghiottire, o espellere, il senso di ingombro fastidioso che le avevo generato con la pacca.

Arrivai in camera da letto che Connie era già ignuda. Mi accorsi che avrei voluto Marika, ma apprezzai, e mi portai a letto. Iniziai a montarla, ma Connie mi fermò.
- Ssst… Non devi fare sforzi. Ti faccio venire io…
La lasciai fare soddisfatto e si mise sopra di me, infilandoselo. Mi scopò così, alternando la fica alla bocca. Quando stava seduta sopra, io le tenevo le mani sulle tette e lei le spingeva sulle mie mani come a farsele strizzare. Venni in maniera piuttosto vistosa e lei finalmente si placò. Ma poi, come quella notte, si portò col sesso sulla mia faccia fino ad appoggiarlo sulla bocca. La leccai, ma un secondo dopo lei si era allontanato quel tanto che bastava per potersi masturbare ad un paio di dita dalle mie labbra. La osservai affascinato, finché non venne sobbalzando e schizzandomi qualche goccia sul viso.

Era sabato e la mattina io dovevo lavorare, mentre lei aveva due ore di insegnamento a scuola dalle 11 all’una.
Mi ero portato il monitor sulla scrivania dell’ufficio privato, pronto a reagire se la mia schiava bondata ne avesse avuto bisogno, ma anche pronto a spegnere nel caso che fosse entrato qualcuno nel mio ufficio. Ormai al banco della farmacia potevo stare poco, solo se necessario. Avevo le mie attività da far funzionare e, a quanto pareva, la vendita riservata di oggettistica sex stava dando risultati. I clienti venivano accompagnati dal (o dalla) farmacista nel salottino attrezzato e lì potevano scegliere. A vedere i risultati, mi ero già ampiamente pagato quello che avevo portato di sopra per Marika.
Verso le 12 e mezza avevo chiuso la farmacia e avevo potuto salire a vedere la mia schiava. Non stava bene. La bocca aperta le aveva prosciugato le fauci e aveva sbavato dappertutto. Le tolsi subito la museruola e le misi un piattino d’acqua davanti al viso. Lei cominciò a leccare avidamente l’acqua come un cane che aveva fatto una corsa, ma ogni tanto faceva fatica a tenere sollevata la testa per bere, per cui dovetti tenerle sollevata la testa tirandola su per i capelli. Non la aiutai in altro modo, ma avevo osservato la scena con un grande senso di proprietà. Quella donna mi apparteneva, e lei sapeva di appartenermi. Era mia nel vero senso della parola. Era una cosa mia. Quello che provavo era cosa ben inferiore al sesso che stavo facendo da qualche mese grazie a quella splendida complice che era Connie. Ma in quel momento mi interessava solo Marika.
- Ti concedo di dire solo tre parole. – mi accorsi di averle detto.
Lei dovette raccogliere tutte le sue forze per decidere che cosa dire, se dirlo e come dirlo.
- Vai… bene… così… – rispose alla fine, con grande sofferenza. – Ti amo…
- Cagna bastarda! – la rimproverai. – Ti avevo detto tre parole solo e ne hai dette cinque. Adesso ti punirò!
In effetti mi aveva sconvolto e io dovevo… Volevo punirla davvero.
Però quelle due parole in più mi avevano lasciato il segno.
- Le hai fatto fare la pipì?
Era stata Connie a parlare. Non mi ero accorto che era entrata.
- Va tutto bene? – chiese.
- Sì sì… Cioè no, non ha fatto la pipì. Gliela faccio fare io? – Domandai.
- Perché no? – sorrise sorniona. – Io vado a preparare da mangiare.

Abbassai il lettino da ambulatorio in modo che fosse semplice scendere. Poi andai dalla giovane e le presi i capelli dietro.
- Forza, alzati, se vuoi fare la pipì.
Lei, a fatica, si sollevò sulle gambe strette dal velcro e si mostrò impacciata per mostrarmi che dovevo aiutarla.
- Aspetta. – Le dissi. Mi portai alle sue gambe e staccai il velcro passando una mano in mezzo e disponendo sulla parte adesiva la strisciolina di contro-velcro. – Adesso puoi muoverti.
Lei, muovendo i glutei con difficoltà perché si comprimevano sull’oggetto che teneva in culo, riuscì a portarsi in piedi con le mani legate dietro la schiena. Si era lamentata, ma aveva cercato di non darlo a vedere. La portai in bagno e le indicai il water.
- Siediti verso lo sciacquone. – Le ordinai.
Lei non voleva proprio, tanto che dovetti spingerla verso la tazza per farmi ubbidire. La situazione si stava facendo inaspettatamente bollente, perché non avevo mai assistito ad una donna che orinava. Quasi certamente anche lei non aveva mai fatto la pipì davanti a un uomo. La portai proprio sopra la tazza, obbligandola ad allargare le gambe. Quindi la feci sedere. Lei piegò le gambe con molta difficoltà, sempre per via dell’oggetto che portava nel culo. I muscoli si stringevano attorno a lui, ma questo era un bene perché in quella maniera si stavano forgiando.
Vedendola così impacciata di schiena, e con quel culo bene in mostra con tanto di «tappo» anale, decisi di aiutarla. Le infilai le braccia sotto le ascelle e la sorressi per far sì che abbassandosi non le cedessero le gambe. Andò tutto bene. Mi allontanai un attimo per guardarla.
Vedevo da dietro una donna nuda che portava solo un cinturino alla bocca, la cintura alla vita cui erano fissati i polsi incrociati, le calze di latex. Le gambe allargate attorno alla tazza del water e quelle mani dietro la schiena facevano di lei una figura erotica da esporre in una fiera specializzata in bondage. Decisi di farci un pensierino. Ma la cosa più bella era quel culo così allargato sulla tazza, in mezzo al quale, un po’ in basso, c’era quell’incredibile sporgenza del plug anale. Bella, unica, irripetibile, da fotografare per i suoi figli e i suoi nipoti. Presi la Nikon D70 e scattai la foto. Lei non reagì.
Ma non pisciava.
Allora mi portai a lei e mi chinai con il mento sulla sua spalla destra. Portai le mani avanti e le presi le tette stringendole completamente. Lei reagì di godimento. Piegò la testa indietro, strofinando la mia guancia. Le tette erano sode ma morbide. La palpai ripetutamente, continuando a sussurrarle «Psss… Psss… Piscia… Piscia»
Sembrava che fosse impossibile, quando invece d’un tratto sentii la prima serie di gocce, seguire subito da uno scroscio rapido e compatto. La lasciai finire tenendomi per le tette, come se quella fosse la garanzia per farle fare la pipì fino l’ultima goccia.
Poi presi della carta igienica e l’asciugai tra le gambe. Non si ritrasse.
Quindi l’aiutai ad alzarsi per portarsi al bidè, dove la feci sedere ancora verso il muro. Aprii il getto d’acqua e la lasciai lavare. Poi chiusi il rubinetto e presi una salvietta di lino. L’asciugai con delicatezza, senza strofinare. Era la prima volta che le prendevo, sia pure con della fiandra, il sesso nel palmo della mano. Stavolta lei assimilò, gemendo con la museruola al mio orecchio.
Eccitato, gettai la salvietta, le misi la mano sinistra al collare e la destra al plug anale. Prendendola per di là, la feci alzare.
- Vieni su. – le dissi. – Come ti avevo promesso, ti ho punito.
Lei aveva torto la testa indietro per la mano che le aveva fatto pressione al retto. Ma si era alzata, stringendo ancora quell’oggetto.
Era stata un’esperienza irripetibile.


Fine Quinta Parte
(Continua)
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