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Il poker è anche un gioco - La rivincita


di Honeymark
21.04.2016    |    20.305    |    4 9.5
"Lui rimase senza parole anche stavolta e per una lunghissima manciata di secondi restò a bocca aperta..."
I lettori ricorderanno il racconto che ho pubblicato col titolo «Il poker è anche un gioco» (è sempre online), riportando l’incredibile storia accaduta in seguito a una partita a carte finita bene per me.
Insomma, mi sono scopato la signora al cospetto del marito che aveva perso. Un classico.
Temevo che il rapporto di amicizia tra noi si fosse rotto per sempre, ma invece un giorno la signora si era presentata nel mio ufficio per farmi una proposta indecente.
- Vorremmo giocare ancora, – mi aveva detto, con fare di complicità. – Però vogliamo che tu giochi a soldi e noi a sesso.
- Spiegati. – Dissi, provando già un insano senso di intrigo sessuale misto a potere.
- Tu giochi a soldi, – ripeté. – Mio marito si gioca me. Uno strip poker contro soldi, per semplificare il concetto.
- Elena, – dissi. – Se avete bisogno di soldi, non farti problemi. Posso aiutarvi…
- Ha ha! Grazie tesoro! – Rise convincente. Poi si fece seria. – No. A Franco piace vincere soldi e… perdere me.
Cuck, pensai. È venuto fuori il cuck che c’è in ciascuno di noi. Fantastico.
- E come funzionerebbe?
- Le perdite non si restituiscono. I soldi persi e i vestiti tolti non possono essere restituiti.
- E la posta quanto sarebbe?
In un gioco di poker si deve porre sempre un limite a serata, altrimenti si rischiano brutte sorprese.
- Mille euro. Persi quelli, finisce lì.
- E tu, fin dove ti spingi?
- Fin quando vieni. – Rispose, passandosi la lingua sulle labbra. – Poi, finito lì.
Mille euro era la posta che mettevamo in gioco ogni mese tra anici, tra i quali lo stesso Franco. Ovviamente alla fine della serata, tra vincite e perdite – salvo il solito sfigato e il solito fortunato – si tornava a casa quasi con la stessa cifra.
In questo caso era diverso e valutai le cose, perché le perdite non venivano recuperate. Io potevo perdere al massimo mille euro. Non mi era mai capitato di perdere tanto, ma tutto sommato potevo anche permettermelo. E loro, avrebbero potuto permettersi che io facessi scorribande nel loro letto?
- Allora, che ne dici? – Incalzò.
- Tu preferisci che Franco vinca o che Franco Perda?
- Entrambe le cose. – Rispose maliziosa. – E questo vale anche per Franco.
- Ci sto! – Esclamai allora.
- Bene, – disse alzandosi. – Se ti va bene una volta al mese, venerdì sera ti aspettiamo a casa nostra alle 21.
- Un particolare. – Aggiunsi. – Quando tocca a me fare le carte, devo mettere il chip. Quando tocca a tuo marito, cosa mette sul piatto?
- Ci abbiamo pensato. – Rispose, sempre più maliziosa. – Mi tocchi. Mi dai una palpatina.
Si girò a mostrarmi il culo e se ne andò.
Restai da solo a farmi un sacco di domande, ma il mio uccello non aveva dubbi. La cosa gli piaceva da matti.

Mi presentai da loro puntuale alle 21, con dei fiori per la signora. Potrà sembrare assurdo, dato il tipo di serata, ma sono della vecchia scuola. E mi presentai in giacca e cravatta, trovando anche lui elegante. Ci eravamo impegnati a giocare bene fino in fondo. La moglie vestiva un tailleur che metteva in risalto il suo culo perfetto, ma senza mostrare più del necessario. Insomma, lei era la più bella posta che mi potesse mai capitare.
Mi accolsero cordialmente e mi spiegarono di aver preparato tutto nel grande salotto di casa loro. In effetti aveva la superficie di un appartamentino. Da una parte d’era il salotto, dall’altra un grande tavolo rotondo, che avevano coperto con una apposita tovaglia verde. Le tre pareti erano coperte da una biblioteca, interrotta dallo spazio per il televisore e HiFI in zona salotto e da un mobile bar all’altezza del tavolo dove verosimilmente avremmo giocato. Avevano disposto una musica di sottofondo che dava importanza all’atmosfera.
- Cosa gradisci bere? – Mi chiese Franco, mentre sua moglie sistemava i fiori in un vaso.
- Del jack Daniels con ghiaccio, se ce l’hai. – Risposi.
- Certo.
Andò a prenderlo, portando dei bicchieri anche per sé e sua moglie, ma altri alcolici.
- Giocheremo in due col morto, se a te sta bene. – Disse poi.
Il «morto» è la terza persona virtuale che prende le carte quando le distribuisci, che ovviamente non gioca perché non c’è. Si usa quando si gioca in due o in tre per rendere meno prevedibile il gioco.
- Perfetto. – Dissi.
- Elena starà qui con noi, seduta tra me e te, ovviamente senza giocare.
Presi i contanti e li misi sul tavolo. Erano mille euro in otto banconote da 100 e venti da dieci. Aggiunsi una manciata di euro per i chip.
Franco sollevò il bicchiere e ci augurò di passare una buona serata. Toccammo i bicchieri e poi un lungo sorso. Poi ci sedemmo. Fin lì tutto bene.
Alzammo il mazzo e toccò a me dare le carte per primo. Misi il chip di un euro e le distribuii. Come d’uso, passammo entrambi il primo giro senza guardare le carte e la mano passò a Franco.
A quel punto Elena si alzò e venne da me. Era il «chip» di suo marito. Potevo palparla velocemente ed era un po’ la chiave di lettura per tutta la serata. Dovevamo vincere l’imbarazzo e proseguire. Mi domandai se potevo infilarle la mano sotto la gonna, ma trovai più volgare proprio la manata sul culo, tipo quella che lo sconosciuto molestatore darebbe in autobus a una donna dotata di un bel culo. Non sono cose che faccio senza autorizzazione.
Aveva un culo tondo e sodo. Provai un certo senso di piacere che mi rilassò la zona inguinale. Franco aveva fatto finta di non vedere, ma sapevo che la cosa piaceva a tutti tre. Elena tornò a sedersi e Franco diede le carte.
Le guardai, avevo un tris. Ma non mi montai la testa, perché quando si gioca in due i giochi sono sempre buoni. Probabilmente aveva anche lui un tris.
- Apro. – Dissi
Non misi quattrini perché ci eravamo accordati che le puntate le avremmo fatte solo al momento di vedere le carte.
- Una carta. – Dissi, come se avessi avuto una doppia coppia.
- Due, – disse lui, dopo averle cambiate a me.
Probabilmente aveva il tris.
Guardai le nuove carte. Mi era entrato nientemeno che il poker di otto, il minimo in tre. Una fortuna sfacciata, ma che all’inizio di partita poteva servire pochissimo. Se lui non avesse avuto un bel gioco, lo buttavo via. Magari, con un poker non sfilavo neanche la gonna…
- Punto 10 euro, – Dissi.
- Rilancio con la gonna.
- Scusa, ma se non rilanciavi, cosa le toglievo?
- Una scarpa. Adesso se vuoi vedere, carte e gambe, – sorrise – devi mettere altri 50 euro.
Stavamo cominciando a dare dei contorni alla partita. Evidentemente loro ne avevano parlato a lungo.
- Forse fai bene a darmi i valori prima, – dissi. – Devo sapere cosa giocare. Per toglierle anche la maglietta – rilanciai, – quanto devo mettere?
- Altri 50. Per vederla in mutandine, reggiseno e calze, sono in tutto 100 euro.
- È congruo, – commentai. – E se ne mettessi altri 50, cosa le tolgo?
Lui si fece più interessato. Dunque gli era entrato un bel gioco.
- Le calze. – Rispose, con la voce rotta dall’emozione. – Che si toglierebbe con voluttà, da spogliarellista incallita.
Mi stava lusingando per invitarmi a vedere il suo gioco.
Sua moglie ci stava seguendo con attenzione, cercando di capire cosa succedeva. Alla fin dei conti era solo la prima mano, cristo…
- Scusa, ma per toglierle anche mutandine e reggiseno, quanto devo puntare?
- Cento per il reggiseno, duecento per le mutandine.
- Per un totale di… – Feci i conti. – Di 450 euro?
- Cinquecento, – precisò. – Le ho fatto mettere anche il reggicalze. Un capo in più, ma che vale 50 euro, non ti pare?
- Fuori dubbio. – Risposi cortesemente.
Contai i soldi e misi metà della mia posta sul tavolo, 500 euro.
Lui restò allibito. Non credeva ai suoi occhi dalla felicità.
- Vedo! – Esclamò.
Misi il poker sul tavolo.

Lui rimase senza parole anche stavolta e per una lunghissima manciata di secondi restò a bocca aperta. Aveva «solo» un full d’assi.
Poi balzò in piedi per vedere di nuovo e gli sfuggì una battuta stupida.
- Hai barato…!
Mi strinsi le tempie con la mano.
- Franco, – dissi senza guardarlo. – Hai fatto le carte tu…
Si accorse di aver sparato una cazzata e tornò a sedersi.
- Marco, scusami. Mi è sfuggita così… Ma capisci anche tu che un poker di prima mano…
- Di seconda mano.
- Quello che è. Un poker così… E ce l’avevi servito, perché hai cambiato solo una carta…! Sei stato bravo. Hai bluffato bene, come se ti fosse entrato un full. E io ce l’avevo d’assi per cui ero più che sicuro.
Non era andata così, come abbiamo visto, ma mi piace quando sbagliano a leggere i miei ragionamenti.
- Mi spiace, – dissi. – È stata proprio una questione di culo.
- A proposito di culo… – Gli scivolò di dire guardando sua moglie.
- Già, – ammisi io. – Questo proprio non me l’aspettavo. Uno spogliarello completo fin da subito
Elena era ancora frastornata dalla stramba giocata.
- Mi state dicendo che devo…?
- Devi spogliarti. – Le disse il marito. – Devi toglierti tutto.
- E restare nuda. – Aggiunsi.
- Ma voi siete pazzi! – Esclamò. – Vi siete messi d’accordo?
- Non dire stronzate! – La bloccò il marito. – È stato tutto regolare. Purtroppo ho perso e devi spogliarti completamente.
- Ma… Non sono pronta! Io…
- Elena, – le dissi con calma. – Se avessi perso 500 euro, Franco li avrebbe già intascati… Naturalmente puoi tirarti indietro.
- Come? Non ci penso neanche. – Disse il marito. – Io ho sempre pagato i debiti di gioco.
- Franco ha ragione, – aggiunse Elena. – Sono pronta a spogliarmi. È solo che avevo pensato di spogliarmi nell’arco della serata… Beh, mettetevi comodi che faccio lo spogliarello. Spero che mi riesca bene. Proprio non ci avevo neanche pensato…
Girai la poltroncina verso di lei. Franco andò a prendere dell’altro da bere, Elena abbassò le luci lasciando vive solo quelle che illuminavano lei. Mi sentivo eccitato come la prima volta che da ragazzino ero andato al cinema per vedere una donna nuda.
Prima di tornare a sedersi, Franco accese lo stereo e lasciò la musica che aveva studiato nell’evenienza che la moglie che si dovesse togliere qualche indumento.
Elena si mise in posa e poi fece qualche giro su se stessa al ritmo della musica. Si accarezzò le curve e poi sollevò un po’ la gonna. Lo fece più volte, scoprendo sempre più le gambe, mostrandomi la fine delle calze. L’uccello approvò.
Per togliersi la sottana si girò di schiena. Portò le mani alla zip laterale, la abbassò e la slacciò. Quindi la lasciò cadere, mostrandosi in calze, reggicalze e mutandine. Una visione fantastica. Le mutandine non erano un tanga ma un triangolino che metteva in risalto le piegoline alla base delle natiche. L’uccello, se avesse potuto, avrebbe battuto le mani.
Si girò più volte,mettendo in mostra una femminilità ben evidenziata dalla sua biancheria e dalle curve del culo. D’altronde, il culo di Elena era proverbiale per la sua bellezza. Mi sentii un privilegiato a poterglielo vedere così da vicino e con calma e mi augurai di poterlo violare nuovamente al cospetto di suo marito. La sua complicità, concessa o strappata, mi eccitava all’ennesima potenza.
Elena portò il piede destro sulla sedia, accarezzandosi la coscia. Poi, giunta al gancetto, slacciò il reggicalze. Era una cosa che non vedevo dai tempi di mia madre, quando si vestiva o svestiva davanti a me, turbandomi.
Sfilò la calza con voluttà, sapendo cosa mi provocava, e me la gettò. Stava entrando nella parte. La raccolsi e l’annusai, facendo in modo che Franco mi vedesse.
Poi si girò e ripeté la stessa cosa con l’altra calza. Stavolta la mise in tensione e la lascò volare da me. Suo marito non esisteva nel nostro gioco, era solo uno spettatore passivo. Come piace a me.
Si girò di schiena e tolse il reggicalze, mostrandosi in mutandine con la sola camicia addosso che le copriva il culo per metà. Alzò più volte le braccia, per scoprirlo di più e infine si girò per mostrarsi mentre sbottonava la camicetta. Pian piano emerse il suo reggiseno nero con le tette che lo riempivano. Non mi ricordavo le sue tette. Quando l’avevo chiavata l’altra volta avevo cercato solo di venire più volte. Adesso però era giunto il momento di gustarsi boccone per boccone.
Si tolse la camicia mostrando il reggiseno che conteneva a fatica le sue tette. La tenne con una mano, per poi lasciarla cadere in terra ai suoi piedi. Vidi che portava ancora le scarpe con i tacchi.
Dopo alcune mosse delicate e imponenti con mutandine e reggiseno, si girò di schiena e divaricò leggermente le gambe. Portò le braccia dietro e mise mano al gancetto del reggiseno. Il mio uccello stava seguendo tutto a bocca aperta, ma anche io e Franco eravamo ammutoliti di fronte a tanta grazia. Non avremmo mai pensato a uno spogliarello vero e proprio fatto per intero quasi all’inizio della partita.
Slacciò il reggiseno, mise un braccio sotto le tette, poi lo lasciò cadere, prendendole in mano. Piano si girò. Le mani facevano fatica a contenerle. Si mosse voluttuosamente così, come se volesse o non volesse mostrarle, ma poi le liberò e alzò le braccia al cielo. Voilà! Due tette della quinta che rimangono su da sole sono uno spettacolo che andrebbe protetto dall’Unesco.
La guardavamo come due adolescenti e lei ci trattò come tali. Si avvicinò a me, si piegò in avanti e mi sfiorò il viso con le tette. A sentire quelle morbide fattezze, mi venne voglia di saltarle addosso. Ma non diedi ascolto al mio uccello.
Poi andò da suo marito e sfiorò il viso anche a lui. Una donna democratica, generosa.
Per alcune indimenticabili volte si accarezzò le tette flettendo le ginocchia, per poi girarsi nuovamente di schiena. Alzò nuovamente le braccia, per poi abbassarle fino a raggiungere le mutandine. Indugiò un po’, quindi le abbassò un po’ a destra, quindi un po’ a sinistra. Infine, in un attimo si piegò e le sfilò del tutto. Me le gettò e le presi al volo. Le annusai.
Il suo culo si stagliava al cielo nelle sue splendide rotondità. Mi ricordava la Ferilli quando aveva posato per Playboy. Un culo a natiche ovali, sostenuto, pieno e solido. Elastico e vibrante, un invito a qualsiasi gioco immorale.
Si fletté nuovamente sulle ginocchia per farci sognare di vederle le intimità, poi si girò a noi, allargando un po’ sia le braccia che le gambe.
Come ipnotizzati, le guardavamo la figa. Un sottile filo di pelo stava a indicare che non era una bambola, ma una donna in carne e ossa, che ci dominava con la sua avvenenza.
Non so quanto rimase così. Ma poi qualcuno alzò le luci e abbassò la musica.
- Riprendiamo a giocare? – Disse Franco con voce incerta, visibilmente scosso e rosso in faccia.
Elena era rimasta in posa, secondo le regole non si sarebbe dovuta vestire più fino a fine partita.
- Ho un’idea migliore. – Dissi, sconvolto anch’io da uno spogliarello come se avessi avuto 16 anni.
- Dimmi.
- Sospendiamo la gara, la riprendiamo venerdì prossimo.
- Non puoi ritirarti mentre stai vincendo! – Rispose, ma era molto incerto.
- Senti, – gli dissi, anch’io piuttosto alterato nella voce dall’eccitazione. – Ti propongo di fare sesso con me e tua moglie. Subito.
- Cosa?
- Siamo eccitati… Siamo allupati tutti tre. Non capita spesso una situazione così esplosiva. Se non ne approfittiamo siamo stupidi.
- Cosa vorresti fare esattamente?
- Andiamo a letto a scopare in tre. Subito.
Si girò a guardare Elena e ogni dubbio scomparve.
- Spogliamoci qui. – Dissi, per non perdere la spinta erotica.
Ci spogliammo in un baleno, con le ombre che riflettevano i due peni eretti sulla figura di Elena, un’icona della vita da vivere.
Ci portammo da lei che ci aspettava con ansia. Io mi misi dietro e appoggiai il cazzo al suo formidabile culo, prendendole le tette in mano. La mia eccitazione era alle stelle. Franco la abbracciò da davanti e la moglie lo strinse con le braccia.
Ci agitammo un po’ così, poi la moglie si liberò e si inginocchiò. Ci avvicinò mettendoci le mani sul culo e prese in bocca i nostri cazzi. Non fu una cosa facile, ma ci riuscì. Poi si alzò.
- In camera da letto, ragazzi!
Elena ci fece strada, mostrandoci le terga maestose. Io dovevo inchiappettarla, lo volevo io prima ancora del mio uccello.
Si buttò sul letto e la seguimmo, uno per lato. Cominciammo a baciarla, mentre lei si schiudeva ai nostri assalti. Presi in mano la situazione, facendo sdraiare lui pancia in su e portando lei a quattro zampe su di lui. La invitai a prendere in bocca il cazzo del marito e lei non se lo fece dire due volte. Cominciò a lavorarselo di bocca e lui si lasciò andare nelle sue fauci come un papa.
Io mi misi dietro a carponi, le allargai le gambe per metterla all’altezza giusta, quindi presi in mano l’uccello in tensione e glielo poggiai alla figa. Poi un colpo, ed era dentro del tutto. Lei cominciò a godere come un facocero, a tutto detrimento del cazzo di Franco, che invece aveva bisogno delle sue attenzioni orali. Le presi la nuca e la spinsi a continuare. Si impegnò di più, ma poi decisi di spingerla avanti in modo che si sedesse sul marito infilandoselo a smorzacandela. Il gioco piacque a tutti due e io cominciai a lavorare per incularla così.
La piegai avanti, in modo che le natiche si aprissero a me, gustando la visione delle palle di Franco, giustamente rimaste fuori. Anzi, le accarezzai senza per questo ingelosire il mio uccello. Presi l’olio lubrificante che avevo visto sul comodino, lo spalmai sul cazzo e portai il glande al buco del culo di Elena.
Lei, sentendo il contatto, dapprima si irrigidì e poi si rilassò portandosi avanti per lasciare a me l’iniziativa della scopata a tre. Il sandwich lo guida chi incula.
Spinsi piano in attesa che lo sfintere si dilatasse. E quando sentii il suo ano cingere la base della mia cappella, spinsi dentro il cazzo con determinazione, piano ma fino in fondo.
Poiché aveva già un cazzo nella figa, dovevo muovermi con cautela. Lei si sentiva spaventosamente impalata a doppia mandata e io dovevo garantirle l’incolumità. Ho un uccello piuttosto notevole e vorace. Se da solo produce un grande piacere, quando è in compagnia di un altro potrebbe essere devastante. Ma non ci sono problemi, basta aumentare per gradi, i muscoli si adeguano. Quindi attesi che il retto calzasse bene il mio cazzo prima di pomparla.
Lui, che lo teneva fermo dentro la vagina, doveva sentire il mio scivolare invadente nel retto di lei. I tessuti che separano i due canali sono solidi ma sottili. E sensibili. Sapevo di eccitare anche lui da morire a sentire il cazzo che inculava sua moglie. E quando capii che potevo sbatterla senza problemi, mi mossi per far godere tutti due.
Entravo e uscivo quasi del tutto, come uno stantuffo. Ma poiché il cazzo di Franco era nella vagina - che è lubrificata di natura – inculando lei masturbavo lui. Lei continuava a gemere, al limite della sopportazione, lui stava zitto in attesa passiva dell’orgasmo prodotto da me.
Quando mi accorsi che ormai stava per avere i due orgasmi, anale e vaginale, cominciai a sbatterla aiutandomi addirittura con la flessione del ginocchio destro che avevo raccolto.
D’un tratto venni a lungo e copiosamente con conati veri e propri di sperma che riversavo nel retto di Elena. Franco venne di conseguenza, mentre lei ebbe un orgasmo che continuò anche quando i due uccelli, sgonfiati ed esausti, vennero fatti scivolare fuori.
Mi girai pancia in su a riposare, Elena si girò dall’altra. In mezzo franco, quello che aveva lavorato meno. Restammo così per cinque o dieci minuti.

- Sabato prossimo vi do la rivincita. - Dissi.
Non commentarono, spossati.
- Però desidero aumentare la posta. – Aggiunsi.
Al che Franco si fece più attento.
- Cioè? – Domandò.
- Non voglio limiti.
- Cioè? – Ripeté.
- Voglio giocare tutto e di più.
- Basta che metti più soldi.
- Non hai capito. I soldi li ho, ma voglio poter avere di più da voi.
- Di più? – Domandò Franco, non comprendendo cosa volevo dire.
- Sono un dominante. – Precisai. – Voglio giungere ad avervi come schiavi e farvi quello che mi va di farvi.
- Basta che vinci. – Rispose Franco soddisfatto. – E puoi farci quello che ci siamo giocati.

(Continua)
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