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Maledetta guerra


di benves
13.05.2016    |    41.470    |    16 6.3
"Un secondo colpo la fece letteralmente scoppiare in una fontana di schegge e subito dopo loro si riversarono dentro..."
18 Novembre 1943
Vivevo con i miei in un piccolo paesino della Garfagnana, avevo 18 anni, c'era la guerra, i Tedeschi erano tra noi.
alle 5 del mattino sentimmo bussare alla porta...
“Aprite la porta, per Dio!”
Nessuno si mosse.
I miei genitori ed io eravamo semplicemente pietrificati, ammutoliti dalla paura.
L'istinto ci spingeva a comportarci come quegli animali selvatici che quando avvertono la presenza del predatore si fermano, si rannicchiano, si fanno piccini piccini e chiudono gli occhi, sperando contro ogni probabilità di essere risparmiati.

” Aprite, luridi bastardi! “
Un calcio o una spallata incrinarono pericolosamente l'assicella di legno che sbarrava la porta.
Un secondo colpo la fece letteralmente scoppiare in una fontana di schegge e subito dopo loro si riversarono dentro.
Erano in cinque o sei, non ricordo bene. Sporchi, con la barba lunga e quell'odore selvatico di chi vive nei campi.

“ Perché non volevi aprire, eh, vecchio coglione? “ un manrovescio centrò il viso del babbo e il colpo fu talmente inatteso e violento da farlo ruzzolare per terra.

“ E alzati, su, non fare la commedia che tanto con noi non attacca! “
tuonò all'indirizzo del babbo l'uomo che l'aveva colpito, un giovane robusto che dimostrava la metà degli anni del babbo e che, a differenza di lui, non aveva certo i polmoni rovinati da una vita di lavoro in acciaieria.

Contemporaneamente un altro, un ragazzino che avrà avuto si e no sedici anni, scovò me e mia madre impaurite, rannicchiate vicino alla vecchia stufa a legna
“ Eccone altri! “ grido' eccitato, e subito ci puntò contro il suo schmeisser, il suo fucile mitragliatore tedesco.
Sorrideva.
“ Hop! “ uno scatto in avanti col busto e con le braccia, poi ancora un sorriso.
“ Hop! “...
Dio... ad ogni scatto mia madre gemeva ed io mi stringevo istintivamente a lei, come se avesse il potere miracoloso di proteggermi.
Ogni volta mi sembrava quasi di sentire gli spari e le pallottole che entravano nel petto, invece erano solo i rintocchi del mio cuore.

“ Ma guarda cosa abbiamo qui “ esclamo' uno degli altri uomini.
Spostò in malo modo il ragazzino col mitra, si avvicino a noi sorridendo come una faina e mi accarezzò piano la guancia. Poi scese, Scese lungo il collo, la gola, le spalle... quando arrivò al seno la sua mano si chiuse ad artiglio. Non lo strinse forte, ma di certo ne saggiò la consistenza e lo esplorò con gusto.
Scattai indietro e cercai di sottrarmi alla sua presa.
Ero troppo spaventata per riuscire ad organizzare una difesa più efficace: non ero nemmeno in grado di sillabare un semplice "no".

Fu un suo compagno a salvarmi: “Lascia perdere, non abbiamo tempo per queste boiate... Magari dopo, eh? “ a quel “dopo” io e mia madre ci guardammo terrorizzate.

Lo stesso individuo si rivolse a mio padre “Allora, vecchio, vediamo di fare in fretta. Dimmi dove hai nascosto la farina e noi ce ne andiamo, capito? Farina, patate, rape... tutto il cibo che hai “

“ Ciò che abbiamo non basta nemmeno per noi “ cercò disperatamente di spiegare il babbo
“ Non ho un lavoro perché la fabbrica e' stata bombardata. Non ho nemmeno campi. Ho solo un orto e... “

Il babbo venne interrotto da un violento ceffone che gli investì la bocca e il viso, facendolo sanguinare
“ Allora non hai capito, stronzo! Dacci tutto ciò che hai, capisci? “ urlò il capobranco, “ Quindi hai due possibilità: o collabori, o potrei prendermi altro” e dicendolo guardò me e mia madre.
“Ci metto un attimo a dar fuoco a questa catapecchia... con te dentro, magari. Vuoi scommettere
che questo chiarirà le idee anche tuoi ai vicini? “

Il babbo è sempre stato un buono e un duro al tempo stesso. Gran lavoratore, serio e testardo, ma mai troppo rapido di intelletto: “ Non abbiamo niente “ rispose dunque con ostinazione.

Il Tedesco lo guardò un attimo negli occhi, poi, velocissimo, quasi invisibile, un pugno si schiantò sul viso del babbo. Lui scivolo' a terra con un gemito e li ne arrivarono altri, insieme ai calci, alle scarpate, ai colpi dati col fucile mescolati con bestemmie e minacce, una fracassata di botte che sembrava non finire mai.

Mamma scattò subito in avanti per aiutarlo, ma il ragazzino armato di mitra la fece crollare bocconi con uno sgambetto.
Prima che mamma riuscisse a capire cos'era accaduto il giovane si era già seduto cavalcioni su di lei, bloccandola e ridacchiando fiero della sua bravata.
A quel punto mamma cedette e, tra le lacrime, indicò loro il nascondiglio della nostra piccola riserva di cibo: in una vecchia botte mezza marcia e coperta da un velo di legna da ardere.
“Tutto qui quello che hai, vecchio bastardo ? ”

Dio, almeno fossi stata un ragazzo robusto avrei potuto ribellarmi pensai; se solo Luigi fosse stato con noi... oh, non ci voglio pensare.
Mio fratello Luigi, più vecchio di me di tre anni, era stato richiamato alle armi nel '42 insieme a tutti quelli della sua classe, poi era stato inviato come rincalzo sul fronte Jugoslavo ed infine, dopo l'otto settembre del '43, era stato catturato dai tedeschi.
A quel tempo nessuno ci capiva più nulla. Non si sapeva se i tedeschi erano alleati o nemici e perciò, nel caos, per loro fu cosa facile disarmare i nostri soldati e deportarli in massa nei campi di
concentramento.
Luigi finì in Polonia, in un posto chiamato Biala Podlaska, e da li riuscì perfino a scrivere a casa un paio volte. Poche notizie frammentarie, ma almeno sapevamo che era ancora vivo.
Mentre seguivo quel pensiero non mi accorsi che uno dei balordi aveva afferrato mia madre.
Mio padre era in un angolo dolorante, sanguinante e con gli occhi sgranati, tenuto da un biondo energumeno di quasi 2 metri.
Il capo del branco le si pose davanti e con ferocia inaudita in un attimo la lasciò nuda davanti a tutti.
“ma che bella mogliettina che hai, almeno qualcosa di buono c'è, ora pensiamo a lei e poi, ci divertiamo con tua figlia, e vediamo se qualcos'altro scappa fuori”
A quelle parole il terrore prese il sopravvento, non avevo mai avuto l'opportunità di baciare un ragazzo ed ora, minacciano di togliermi i sogni; avrei voluto morire pur di non subire quello scempio ma non potevo. Anche io ero tenuta, dal più giovane del branco, che al minimo movimento mi mostrava con orgoglio il suo mitra. Ero terrorizzata, impietrita.
Il capo branco fece un cenno al più grasso dei suoi uomini che la stavano tenendo, il quale iniziò a toccare mia madre.
Senza rispetto le strizzò le aureole fino a farla urlare, poi senza ritegno le caccio un dito nella fica senza inumidirlo; capiì che le stava violando anche l'ano dall'agghiacciante urlo che cacciò mentre aveva quella manona sulla sua fica. Vidi la manona la stava penetrando con quelle dita sporche, contemporaneamente in entrambi gli orifizi.
Iniziò una masturbazione che andò avanti un tempo infinito, mia madre piangeva non so se più per l'umiliazione od il dolore.
Mio padre assisteva immobile ed io ero sempre più paralizzata.
La fecero inginocchiare, il capobranco tirò fuori il suo uccello e lo avvicinò alla bocca di mia madre, la quale si rifiutava di farlo entrare. Le fu tappato il naso ed a quel punto, non riuscendo a respirare fu gioco facile farle aprire la bocca ed ottenere il risultato voluto.
Mentre spompinava quella bestia, da dietro l'energumeno lardoso, tirò fuori il suo lurido uccello e, senza rispetto, lo cacciò in fica a mia madre provocandole nuovamente un urlo, che a breve si trasformò in pianto.
La stavano violentando !
Le mani dei due martoriavano i seni della povera mamma, quella scena di violenza selvaggia ed inaudita neppure nei miei peggiori incubi l'avevo immaginata.
Passò del tempo, i due aguzzini ancor di più a spregio soddisfarono le loro voglie venendo dentro mia madre, con grugniti di apprezzamento e soddisfazione, lasciandola a terra gocciolante di sperma.
Il capobranco a quel punto mi guardò e rivolgendosi al più giovane dei suoi che mi stava tenendo fece cenno di portarmi verso di lui.

Ero impietrita e terrorizzata, riuscii appena a dire “Ma... io sono ancora vergine! “ balbettando.

Lui scoppiò in una grassa risata degna delle migliori barzellette.
“Ahahah, come il nostro soldatino” ed indicò nuovamente colui che mi stava tenendo dietro e che evidentemente era anch'esso vergine.
“La tua prima conquista e per di più inesplorata, contento?” disse sogghignando all'imberbe soldato.
“va bene, giocherete alla pari, anche lui è vergine, sarà lui ad essere il primo”
Avrà avuto forse 18 anni ma quella divisa lo rendeva più grande.
Fui afferrata da un altro uomo e posta davanti al soldatino imberbe.

Le sue mani inesperte iniziarono a spogliarmi. Notavo dai suoi pantaloni crescere il suo desiderio e rabbrividivo a ciò che da lì a poco mi sarebbe accaduto. Immaginavo nei miei sogni la prima volta col mio principe azzurro, romantico e dolce ed invece stavo per essere brutalmente violata,
I suoi compagni lo sfottevano ridendo, invitandolo ad essere più maschio. Lui non li ascoltava e mi parve di essere trattata con dolcezza malgrado ciò che stavo subendo. I suoi occhi mi parve volessero chiedermi scusa ma, anche lui forse, non poteva ribellarsi al suo destino o forse gioiva di ciò che stava facendo?
Chiusi gli occhi e mi morsi il labbro per la vergogna.
In breve tempo mi trovai nuda, al centro della stanza con gli occhi di tutti a dosso; guardai mia madre e mio padre, piangevano, da lì a poco avrei perso la mia innocenza davanti a loro.

Il ragazzino iniziò a toccare i miei piccoli seni, con dolcezza, poi avvicinò le labbra iniziando a succhiare. Provai piacere.
La sua mano andò a cercare la mia intimità, mi carezzò la folta peluria, fino a quando, trovandone l'ingresso appoggiò una falange cercando di entrare. Provai dolore.
Mi sentivo morire, mi passò davanti agli occhi tutta la mia vita.
A quel punto però intervennero i compagni “non si fa così dissero”.
Gli sbottonarono le braghe, lasciando cadere i suoi pantaloni; il suo sesso acerbo ergeva dritto colmo di desiderio.
Lo sdraiarono a terra, a quel punto mi afferrarono gridandomi di spalancare le cosce. Il loro intento era quello di calarmi su di lui facendomi impalare.

Io chiusi gli occhi attendendo di essere penetrata, ma invece il capo mi dirottò verso di se; chinandosi verso il mio sesso iniziò leccarmi la fica ed a bere il mio sapore. Con le manone luride allargò le mie grandi labbra andando a verificare la veridicità della mia purezza.
Tutti erano su di giri, lo fecero capire con gesti e vocalizzi, che la cosa gli eccitava e, mentre il branco grufolava come suini, uno di loro iniziò anche a masturbarsi davanti alla faccia di mia madre.

Quando il capo si fu soddisfatto a leccarmi, fece un cenno ai due che mi tenevano, i quali mi calarono sull'asta del ragazzetto, lasciandomi andare a peso morto. Fui sverginata con la stessa facilita' con la quale si apre la pancia di un pollo.

Io, per orgoglio, non volli dar loro la soddisfazione di gridare, limitai a restare ferma, mordendomi le labbra.
Guardai in altro il soffitto, immaginando il cielo che mi sembro stranamente umido e opaco al tempo stesso.

Il ragazzetto sotto di me invece si beava dell'accaduto, lo sentivo pulsare nel mio ventre.

Mi ordinarono di muovere il bacino, permettendo così al ragazzetto di scoparmi.
Poi, ordinarono di cambiare posizione, mi fecero stendere a terra a pancia in su e lui sopra di me.
Le mie gambe spalancate lo eccitavano invitanti, questa volta fu lui ad imboccare l'asta alla mia intimità appena violata. Fu facile ritrovare la strada che lo conduceva dentro di me. Questa volta non provai dolore, anzi, devo ammettere che quell'ingresso mi provocò addirittura piacere.
Mi scopava ritmicamente, ed io riuscivo anche a godere ma non volevo darlo a vedere quindi tacevo. Come si può godere di una situazione simile pensavo dentro di me, stupendomi di me stessa, poi mi detti una risposta – spirito di sopravvivenza -.
Ebbe un sussulto, sgranai gli occhi terrorizzata, il ragazzino si irrigidì, non ebbe rispetto, scaricandomi fiotti di sperma dentro.
Piansi, la mia dignità era ormai definitivamente persa.
Finalmente era finita pensai, sbagliandomi.
Il capobranco ordinò agli altri di mettermi a pecorina.
Voleva ancor di più umiliarmi, come se fosse possibile, immaginavo già il mio destino.
Avvertii di colpo il peso e il calore della sue mani sulle natiche, poi iniziai a sentire la sua lingua. Enorme anch'essa, come quella di un bue. La passava su e giù, su e giù, aspettavo che violasse il mio sfintere. Continuò a leccare finché non fui così bagnata di saliva da gocciolare letteralmente, poi fece uno strano rumore.
Allargai le gambe e abbassai la testa tra i gomiti nel tentativo di sbirciare cosa stesse combinando. Lui riprodusse il rumore e cosi' mi accorsi che si stava sputando sul membro.
Appoggiò la sua asta già in tiro per lo spettacolo del mio sverginamento cui aveva assistito e, un dolore lancinante mi pervase.
A quel punto sì che urlai, urlai come un maiale squartato. Gli altri risero.
Mi scopò nel culo per un tempo infinito fino a quando, anche lui, volle lasciarmi il ricordo di se, inondandomi l'intestino.
Tirai un sospiro di sollievo, questa volta sì che era finita !
Mi sbagliavo ancora una volta.
L'energumeno che fino ad ora aveva tenuto mio padre, voleva la sua parte, non poteva lasciarsi sfuggire di scopare una giovincella appena sverginata davanti e dietro.
Tirò fuori la sua asta, facendomi rabbrividire. Anche mia madre a terra dolorante riuscì a malapena a gridare “no”. Quasi 30 centimetri con un diametro inaudito.
“Questo mi squarta” pensai, mentre il capobranco e gli altri ridevano.
Mi rassegnai ; mi fece nuovamente stendere a terra, allargandomi le cosce. Cercai di allargarle il più possibile, come se ciò agevolasse la penetrazione.
Strinsi i denti mentre lui conscio delle dimensioni del suo strumento, ebbe perlomeno riguardo di entrare piano piano. Sentivo la mia fica dilatarsi all'inverosimile, le mie carni squartasi al passaggio di quello strumento mastodontico. Penso che non riusci neppure ad entrare tutto dentro di me.
Sentivo come quel tronco nodoso che si era impossessato di me, mi fosse arrivato fino alle tonsille.
Mi lasciò un attimo di tempo per adattarmi all'intruso e poi iniziò a scoparmi.
Mi squartò, ma almeno lo fece nel modo meno doloroso possibile e dopo un po, forse per spirito di sopravvivenza, riuscì nuovamente perfino provare piacere, e venni, venni anche io. Gli altri se ne accorsero e scoppiarono in un applauso. Io piangevo dall'umiliazione di aver provato piacere.
Volle completare l'opera la bestia, prendendomi con forza la testa, appoggiando le sue labbra alle mie, mi baciò con la lingua.
Il mio primo bacio, pensai tristemente tra le lacrime.
Staccò le sue labbra dalle mie con uno schiocco.
A quel suono lo strinsi ancora più forte e stavo talmente male che avrei preferito morire. (Lo so che sembra sciocco, che sembra eccessivo, ma bisogna provarle di persona certe cose per poterle
comprendere).
Probabilmente scambiò il mio gesto per uno slancio passionale e i miei singhiozzi per spasmi di piacere. Non so cosa provò, so solo che si emozionò e venne. Per l'ennesima volta in quella maledetta giornata un uomo venne dentro di me. Ero divenuta uno sborratoio.

Poi si alzò sulle ginocchia, mi sorrise, mi baciò un seno e disse tutta una serie di parole che non capivo. Infine fece spallucce e si rivestì.

Il branco a questo punto esausto e soddisfatto se ne andò, lasciando me e la mia famiglia accasciati a terra doloranti, chi per un motivo chi per un altro.

Con i miei genitori non parlammo mai di quella giornata, ci avevano preso tutto, nonostante le nostre suppliche e le preghiere, Senza pietà; presero tutto di noi, compresa la nostra dignità !
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