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IL FIGLIO DELLA MIA VICINA


di benves
31.08.2017    |    60.289    |    28 9.8
"Non passo molto che, lo sentii sussultare..."
Sono a letto, ripenso spesso a quanto accaduto quel giorno, sono in bilico tra i miei sensi di colpa ed il mio narcisismo.

All'epoca, io insegnante delle scuole superiori 45enne e lui, 19enne figlio della mia dirimpettaia.

Non riesco ancora a comprendere come realmente possa essere accaduto quel giorno.
Ancora non riesco a spiegarmi come, abbia potuto farmi coinvolgere in una situazione del genere senza controllarmi.

Tutta colpa di quel maledetto temporale !

Incontrai Francesco, il figlio della mia dirimpettaia, tornato da scuola bagnato come un pulcino ed infreddolito, sotto l’atrio del palazzo ove abitiamo.

Lo conoscevo da tempo, fin da quando ragazzino frequentava casa mia assieme a Marcello, il suo cuginetto, anche lui abitante nello stesso palazzo.
Nelle realtà piccole di paese è logico frequentarsi e sostenersi a vicenda, io da insegnante nel tempo libero mi prestavo anche ad aiutare i ragazzi, alleggerendo così le famiglie.
Allora ero ancora sposata ma mio marito usciva la mattina e rientrava la sera tardi, il mio lavoro mi consentiva spesso di avere pomeriggi liberi.

L'ho visto crescere, come suol dirsi.
Talvolta da piccoli, bussavano alla mia porta alla ricerca del fatidico biscottino, poi venivano anche per farsi spiegare qualche regola di aritmetica o di geometria.

Quel giorno, era lì tutto bagnato ed infreddolito, aveva scordato le chiavi di casa ed i suoi erano fuori per lavoro, come potevo ignorarlo.

Lo invitai in casa mia, offrendogli quanto meno qualcosa di caldo e di asciugarsi un po, sottraendosi all’azione incalzante di un vento gelido e tagliante che spirava a folate intermittenti ed improvvise.

Ricordo come se fosse ieri, il tremore del giovane, i suoi occhi vivi e lucidi, i capelli appiattiti dall’acqua e ripiegati sulla fronte, i jeans incollati alle cosce e la felpa che aderiva ad una camicia a sua volta interamente bagnata.

Lo invitai ad avvisare i suoi sul cellulare, affinché qualcuno gli portasse le chiavi ma, sia papà che mamma erano troppo impegnati al lavoro e non potevano svincolarsi quindi, mi proposi di ospitarlo fino al loro rientro.

Non avendo abiti maschili da offrirgli, lo invitai a recarsi nel bagno per liberarsi degli abiti bagnati ed asciugarsi, offrendogli di sostituirli con un accappatoio.

Francesco oppose un diniego di cortesia ma, resosi conto che non poteva ulteriormente sostenere quella condizione di disagio , sia pure con imbarazzo ed incertezza malcelati, accettò.

E tutto avvenne nel modo più banale e semplice possibile.

Eravamo sul divano, ben distanti l’una dall’altro ad attendere che qualcuno della famiglia tornasse, ed ingannavano il tempo parlando delle problematiche giovanili e delle attese spesso deluse vuoi dei genitori che degli stessi giovani, dell’evoluzione che aveva portato gli uomini e le donne ad essere molto più vicini ad una reale possibilità di vivere un rapporto solo amichevole e privo di equivoci quando….improvvisamente le luci si spensero e dopo un attimo un boato tremendo fece quasi tremare le cristalleria di casa mentre i lividi bagliori della luce di un fulmine illuminò l’ambiente e loro stessi trasformando tutto in immagini al negativo.

Serpeggiò una strana atmosfera di paura, sembrava di respirarla nell’aria, di toccarla ogni qualvolta allo squarcio improvviso di quella luce blu ghiaccio, degradante verso uno strano grigio acciaio, seguiva un fragore assordante che investiva le mura della casa, gli arredi ed i loro stessi corpi .

Non furono tante neanche le parole.

Nella penombra vidi Francesco irrigidirsi, “Hai paura?” chiesi.
Dopo qualche attimo di silenzio, con una voce che appena nascondeva lo sforzo per superare la vergogna, le rispose “Si, ho paura e ne ho avuta sempre fin da bambino durante i temporali, a tal punto che…..” e s’interruppe.
“Che …cosa? Dillo…” insistetti
“Che – riprese Francesco- se sono a casa mi rifugio tra le braccia… di mia madre”.
Mi parve di intravvedere il viso rosso di vergogna dopo avermi confessato una sua debolezza, visto che ormai 19enne era un uomo e non avrebbe dovuto avere paure del genere.
Mi fece una tenerezza incredibile, quel senso materno mai realizzato che era in me, venne fuori.
Non seppi resistere, ancora oggi non so spiegarlo; mi avvicinai a lui e, senza dire una parola, lo cinsi con un braccio e, vincendone una lieve riottosità, gli accostai il capo nell’incavo del suo collo, carezzandogli una guancia e parte dei capelli ancora umidi.

Non ebbi immediatamente la percezione del suo corpo se non dopo averne avvertito il calore.

Un nuovo bagliore mi fece istintivamente serrare ancora di più al giovane, il cui sospiro nervoso ed inquieto fu ricoperto dal rotolio di un boato lontano.

“Passerà presto – lo rassicurai - “non temere….si sta allontanando”

Gli occhi si erano abituati all’oscurità, la luce tenue che dall’esterno ancora penetrava disegnava per grandi linee i profili dei mobili e delle nostre figure. Mi consentiva d’individuare le cosce del ragazzo non ricoperte dall’accappatoio, scivolato di fianco ed il bianco dello slip, che mi apparve piuttosto rigonfio.

Sentì una profonda tenerezza pervadermi tutta, il corpo del giovane ,per quella parte che aderiva a me, trasmetteva un senso benefico di quiete e di tepore: mi venne istintivo di baciarlo sulla fronte e….senza pensarci, stupidamente lo feci.

Fu allora che sentì la coscia di lui spingere contro la mia ed una mano poggiarsi su di un ginocchio; le dita giocherellare con l’orlo della gonna e l’inizio del suo interno.
Lo ribaciai nuovamente, ma questa volta poggiai le labbra dietro l’orecchio e vi stetti a lungo mentre, la mano di lui iniziò a risalire lungo la coscia trasmettendomi un brivido di piacere che, quasi in risonanza, si trasferì al basso ventre come uno spasmo incontrollabile.

Strinsi le cosce, avvertì il dorso della mano del ragazzo, che l’inarcò irrigidendola, quasi a volerle impedire di serrarla e di fermarla.

Mille pensieri mi passavano per la mente, mio marito, Francesco, i miei vicini poi improvvisamente il mio corpo mi lanciò una vampata di calore...
Decisi di lasciarmi andare !
Con le labbra gli cercai la bocca ove insinuai la lingua che s’incrociò con quella di lui, che sembrava non aspettare altro.

Non una parola.
E , poi, per dire cosa?
Sembrava che nessuno di noi due fosse meravigliato, sembrava che per nessuno di noi due fosse il primo incontro.
Decisi di sentirlo e lasciai scivolare la mano sullo slip, ne avvertìi l’erezione e gli spasmi leggeri che seguivano alle carezze al di sopra dell’indumento.

La mano di lui, intanto, era tra le mie cosce, all’inguine, segnava il solco della mia intimità premendo sul collant che costituiva una barriera al tempo stesso stimolante.

Sentivo alcune dita del ragazzo premere per penetrarla e confessai a me stessa che mi piaceva terribilmente, che avrei voluto che mi strappasse le calze di dosso, che mi scostasse gli slip e mi penetrasse con forza.

Mentre seguivo quelle sensazioni, il mio corpo agiva autonomamente e spinsi il busto in avanti, tentando di aiutare i movimenti del giovane.
Avvertì che parte delle sue dita erano già nella fica e mi carezzavano, sia pure attraverso il velo del collant sempre più umido del mio crescente piacere.

Si fermò, si alzò ed a tentoni si portò all’interruttore della luce…ebbi paura che l’improvviso ritorno di essa avrebbe potuto rompere l’incantesimo.
Fu allora che, girandomi, vidi, nell’incerta luce riflessa proveniente dall’esterno, che Francesco sul divano aveva liberato il pene dalla stretta degli slip e dava la sensazione di carezzarlo con lenti movimenti della mano nella mia attesa.

Lo raggiunsi e m’inginocchiai innanzi a lui, poggiandogli il capo sulle cosce, a pochi centimetri da quel fallo turgido ed eretto, di cui avvertivo tutto l’odore dell’eccitazione, che mi trasmise un piacere sottile ma intenso e quasi antesignano di quello che pensai dovessi sentire quando lo avrei avuto dentro di me.
Intanto avvertii le mani di Francesco che dalla nuca, per quel che potevano, scesero lungo le spalle, insinuandosi al di sotto della mia camicetta, e si soffermarono in lente carezze, di tanto in tanto interrotte da una sorta di gioco, alla ricerca della abbottonatura del reggiseno, che chiaramente non riusciva ad aprire.

Sentii irrigidirsi i capezzoli, ne avvertii la crescita lenta sotto la spinta di quelle sensazioni molteplici e diverse che le venivano dal contatto con Francesco, dalla vista di quel pene, dagli odori del corpo del giovane, dalla pressione stessa delle ginocchia che avvertivo prepotenti e piacevoli sulle tette.

Presi il pene di Francesco con entrambe le mani, lo masturbavo e lo leccavo contemporaneamente, stringendolo all'altezza della cappella per far sì che il giovane, forse preso dall'euforia e dall'inesperienza, venisse subito.
Avvertivo le pulsazioni del membro e la tensione verso un maggiore indurimento.

Leccavo e baciavo il suo membro, ora seguendolo con la lingua lungo l’esterno, risalendo verso quel glande che da rosa tendeva al violaceo dello sforzo dell’erezione, ora seguendone la circonferenza.

I freni inibitori ormai erano spariti, di colpo mi alzai, leggevo la delusione sul volto di Francesco.
Nella penombra mi liberai di tutti gli abiti ormai superflui e dei fatidici collant, poi invitai Francesco a distendersi sul tappeto (in un attimo di lucidità pensai almeno a non violare il talamo nuziale).
Il suo membro ergeva dritto come un totem, mi disposi a cavalcioni sopra di lui, con la schiena rivolta verso il suo volto e, lentamente, mi chinai, invitandolo ad un 69.

Ora non aveva più barriere la mia intimità, era all'altezza del suo volto e poteva goderne a piacimento.

Sentivo che ad ogni mia carezza il movimento delle mani di Francesco, diveniva frenetico: s’inoltravano lungo il culo, lo palpavano, ne cercavano l’ingresso, tentando di divaricarle le natiche quanto più possibile, andavano ancor oltre per carezzarle con le dita il solco della fica, appena al di là della membrana che la divideva dall’ano.
Inarcai il culo il più possibile verso l’alto per facilitare il compito del giovane.

Io, cercavo di rendergli più piacere possibile, leccavo quell'asta di marmo come la più abile delle amanti e parve dare risultati.
Francesco che fino ad allora aveva usato le dita, si decise ad usare la lingua, prima timidamente e poi, facendo pratica, sempre più abilmente. Mi leccava fica ed ano, dandomi sensazioni indescrivibili.

Sentii ad un certo punto il giovane irrigidirsi, non volevo venisse così, usando una vecchia pratica per interrompere l'eiaculazione, strinsi il suo glande tra pollice ed indice, impedendogli di sborrare.
Lui si indispettii, voleva raggiungere il piacere ma, lo rassicurai che, da lì a poco, di piacere ne avrebbe avuto molto altro.

Mi alzai, voltandomi, lo guardai dritto negli occhi e, adagiandomi sopra di lui, afferrai il suo cazzo puntandolo all'ingresso della mia fica fradicia di umori.
Lentamente mi calai su di lui, accogliendolo nella mia calda intimità.

Le mani del ragazzo andarono immediatamente sui miei seni, assecondando il movimento della penetrazione. Mi abbassai su di lui, consentendogli di leccarmi i purpurei capezzoli amplificando così il piacere.
Evidentemente non gli bastava, spostò le mani dal seno andando a cercare la sua asta, estraendola sentii che la puntava al mio culetto.
Lo guardai teneramente: “per oggi accontentati di averlo toccato e leccato, un altra volta forse...” e lascia la frase in sospeso mentre, lo riportavo dentro la mia fica.

Non passo molto che, lo sentii sussultare.

All'epoca prendevo la pillola quindi, lasciai che esplodesse dentro di me.
Il suo orgasmo fu stimolante a tal punto che, il mio corpo rispose a sua volta con un orgasmo, venendo quindi contemporaneamente.
Non ho idea di quanto desiderio avesse scaricato in me, quando mi rialzai la mia fica grondava come una fontana.
Mi sedetti sul divano godendo di quelle sensazioni mentre lui rimase disteso.

Intervenne una strana quiete, si sentivano i rumori più lievi.
Tra tutti si distingueva il ronzio del motore del frigorifero.
La mia mente era in ebollizione, tentava disperatamente di respingere uno strano senso di colpa, misto anche a paura, quella del giorno dopo, tanto per capirsi.
Non sapevo se quanto accaduto si sarebbe saputo in giro o, se sarebbe rimasto il nostro segreto.

I mesi successivi Francesco frequentò ancora la mia casa, ogni promessa è un debito quindi, scoprì anche il mio culetto e non solo, coinvolgemmo anche qualche suo amichetto ma....questa è un'altra storia.

To be continued...(se il racconto raggiunge almeno 500 letture ed una media voto sopra ad 8 prometto che metterò anche il seguito)

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