orge

Usura


di benves
06.02.2013    |    52.771    |    0 9.1
"Michela si sedette sul bordo del pesante tavolo di legno, quindi si sdraiò, facendovi aderire la schiena..."
Michela era avvolta nel suo lungo cappotto di lana, i lunghi capelli neri raccolti sotto una pesante berretta, il pallidissimo volto appena truccato.
Sostava davanti alla pesante porta fissando il campanello, seriamente indecisa sul da farsi. Dopo un attimo di esitazione suonò.
L'uomo le aprì e l'accolse gentilmente, con un sorriso di circostanza.
Si fece consegnare cappotto e berretto e le preparò un caffè, mentre la donna prendeva posto sopra un'alta sedia al bordo del tavolo.
Altri due uomini erano seduti al medesimo tavolo e la fissavano, rivolgendole timidi sorrisi e senza proferire parola.
Erano entrambi sulla cinquantina, fisici non troppo curati ma vestiti elegantemente.
L'uomo che le aprì la porta era leggermente più in carne, capelli rasati ed uno sguardo severo, nascosto in parte da uno spesso paio di baffi.
Michela aveva 36 anni ed un fisico molto curato.
Era alta un metro e settantacinque, snella, una quarta misura, un sedere impeccabile e lunghe gambe affusolate.
Portava una camicetta viola ed una gonna a metà coscia, dalla quale proseguivano un paio di calze nere e scarpette nere lucide.
"Allora, signora…" l'uomo baffuto ruppe il silenzio. "
Lei conosce perfettamente la situazione e non devo aggiungere altro…" disse l'uomo in tono severo.
Parlava lasciando lunghe pause tra una frase e l'altra per imprimere maggiore drammaticità ai suoi discorsi.
"Lei e suo marito ci dovete la bellezza di trentaduemila euro…".
Mentre parlava faceva girare per le mani gli incartamenti relativi ad un prestito che la donna ed il marito, attualmente lontano dalla città per lavoro, avevano ottenuto dall'usuraio.
"Sono tre mesi, dico, tre mesi che non pagate… cosa devo fare ?… su… me lo dica lei…", il tono dell'uomo si faceva sempre più deciso.
"Io ed i miei soci…" proseguì indicando i due seduti al loro tavolo, "Siamo fuori di più di diecimila euro a testa… ma lei crede che i soldi le banche a noi ce li regalano ? …non siamo mica la banca d'Italia, noi siamo dei poveracci, come lei…".
L'intento dell'uomo era di incutere imbarazzo nell'interlocutrice e ci riusciva perfettamente. D'altronde erano anni che era nel mestiere.
Michela abbassò lo sguardo e fece un lungo respiro, accendendosi una sigaretta.
Il marito era stato pesantemente minacciato, non avevano idea di come recuperare il denaro che era stato loro prestato e sapeva di avere a che fare con gente disposta a tutto.
"Signora, mi sta ascoltando? Le voglio dare una possibilità… ma badi… non è una cosa che io ed i miei soci concediamo a tutti… mi ascolti bene…
" L'uomo la fissava negli occhi con lo sguardo di un pugile che sa di avere di fronte un avversario di nessun valore.
"Le dico brevemente… in poche parole… poi decida lei se accettare o no la mia proposta…" proseguì l'uomo scambiandosi una rapida occhiata con i soci, o meglio, i complici.
"Noi siamo disposti a cancellarle tutto, ma dico proprio tutto, il debito… ma lei dovrà fare una cosa per noi… stanotte dovrà soddisfare tutte, e ripeto tutte, le nostre voglie…".
Michela raggelò e guardò l'uomo con gli occhi sbarrati… non aveva la forza per replicare, pensava solo di alzarsi ed uscire di lì il più rapidamente possibile.
Constatando la reazione della donna, l'uomo si fece ancora più severo.
"Questa è l'ultima possibilità che le diamo… altrimenti suo marito passerà dei guai seri… se accetterà la nostra proposta, le garantisco che suo marito non saprà mai nulla, aggiusteremo tutto noi…".
Michela era alle corde… il suo ragionamento fu breve ed affrettato.
La cosa la inorridiva e sapeva che non sarebbe stata facile da dimenticare, ma era l'unica che le dava la possibilità di riuscire a dormire la notte senza avere il pensiero incessante di quel cappio stretto intorno al collo.
Spense la sigaretta con un gesto rabbioso, fissò l'uomo negli occhi e disse: "Porci, maiali, sapete che non posso fare diversamente! Va bene… accetto !".
Un sorriso di soddisfazione attraversò lo sguardo del baffuto aguzzino.
"Lei sa che per tutte intendo dire tutte… fica e culo…".. il linguaggio dell'uomo si faceva ora meno raffinato.
"Se ha detto tutte, vuol dire tutte…" rispose lei scrollando leggermente le spalle.
"Ma chi mi garantisce che una volta che mi avrete scopata davanti e dietro, manterrete la parola ?" domandò Michela in tono severo.
"Signora… noi siamo uomini di parola… voi ci avete chiesto i soldi e noi ve li abbiamo dati, come promesso… noi abbiamo una parola sola !" ribatté l'uomo alzando leggermente la voce. "Ok… ok… va bene…" la donna si fece più mansueta e l'uomo le rispose con un falsissimo sorriso.
"Ma bando alle chiacchiere, Michela… posso chiamarti così?”. Ll baffo era divenuto ora più confidenziale. "Ma certo…", rispose lei con un timido sorriso, mentre nella sua mente pensava… "Capirai, me lo stai per mettere nel culo e ti fai dei problemi su come chiamarmi…".
Michela rimase seduta a bordo tavola, con gli sguardi degli aguzzini, accesi di desiderio, fissi su di lei mentre il baffuto omaccione stappava una bottiglia di spumante da quattro soldi e ne versava il contenuto a tutti i presenti.
"Ma adesso divertiamoci un po’; Michela… dai… togliti quelle scomode scarpe e sali sul tavolo…".
Lei avrebbe voluto bere almeno venti bicchieri di vino per ridursi a non capire più nulla, ma i due che aveva frettolosamente tracannato non sortirono in lei alcun effetto.
Così si tolse le scarpe e salì sul tavolo, in piedi, sotto gli occhi sempre più eccitati dei tre lestofanti.
"Qui ci vuole un po’ di musica per creare l'ambiente giusto…" gridacchiò l'omaccione, e si portò verso lo stereo, nel quale inserì prontamente una cassetta di Carmelo Zappulla, rigorosamente illegale, che aveva comprato al mercato.
"Balliamo, balliamo…" invitò tutti i presenti a cimentarsi in qualche improbabile ballo, mentre il fastidiosissimo insieme di suoni, chitarre elettriche, batteria, mandolini vari, scaturiva dalle casse dello stereo e deturpava il silenzio.
I due ominidi si alzarono dalle sedie e cominciarono a muoversi in un ballo a dire il vero non troppo sfrenato… sembravano due persi per strada a cui scappa da cagare.
"Balla anche tu Michela…" il porcellone invitava la donna al ballo con il savoir faire di un vero cafone, dimenando le braccia e piegando ripetutamente le ginocchia.
La donna iniziò timidamente a muovere braccia e gambe, come uno sciatore di fondo che non ce la fa più.
"Adesso facci uno bello strippotiss !" urlava baffo con accento oxfordiano, mentre gli ominidi battevano le mani divertiti.
"Facci vedere la fica !" gridò uno dei due, sicuramente quello con più classe.
Michela non sapeva se provava più vergogna o più imbarazzo.
Lentamente, fece uscire la camicetta dalla gonna ed iniziò a sbottonarla.
E così, mentre Zappulla urlava le sue idiozie in una lingua a lei incomprensibile, si sfilò la camicetta, mostrando ai tre cafoni i suoi bei meloni, costretti a forza dentro un reggipetto di pizzo nero.
Un troglodita fischiò peggio che allo stadio, l'altro saltellava e batteva le mani, mentre il baffo sgranava gli occhi sorseggiando rumorosamente la sua dose di zibibbo.
Con il fare di una perfetta strip-teuse, Michela distese il braccio e fece cadere la camicetta che teneva serrata tra il pollice e l'indice della mano destra.
Nemmeno lei riusciva a capire come facesse a non provare imbarazzo.
Forse perché era costretta, o forse perché la situazione era divenuta così grottesca da perdere tutta la sua drammaticità.
Continuando a dimenarsi timidamente, la donna fece scorrere lo zip della gonna e muovendo sinuosamente le mani lo fece scivolare sul legno del tavolo.
La luce del neon illuminava ora i suoi slip di pizzo nero e gli autoreggenti, che fasciavano un paio di gambe veramente da concorso.
Con non chalance, il baffo si portò una mano sulla patta e si strofinò il cetriolo mentre i due scimpanzé commentavano a gran voce il grosso culo da diecimila e più euro.
Michela si sfilò gli autoreggenti con la lentezza di chi è arrivato con mezz'ora di anticipo… ne gettò uno in faccia all'omaccione, ormai bello in tiro, mentre l'altro lo lanciò alle sue spalle, in direzione dei due barboncini, che lo afferrarono al volo e lo annusarono come un tartufo.
Il porcellone sbavava osservando i piedini nudi (un trentotto veramente ben fatto) della donna mentre i suoi complici avevano lo sguardo inchiodato sulle dita che sganciavano il reggipetto. Come aveva fatto con la camicia, Michela lo lasciò cadere sul tavolo allungando il braccio ed alla vista di due seni da competizione, la marmaglia si abbandonò in urla fragorose.
"Nu-da ! Nu-da !" urlava il più scemo dei due (ma la differenza era minima…) mentre l'altro si limitò a un "Sei bbbbona !" il cui il numero di "b" non è stato contato con precisione.
La donna si fece scivolare gli slip alle caviglie, finendo il lavoro con i piedi e lanciandoli, con una pedata degna di Maradona, sul petto dell'orco, che li annusò profondamente sbottando in un "Mmmm… che profumo di fica !" da vero signore.
E così la bella Michela rimase completamente ignuda, con la fichetta ben rasata ed un culo da far invidia a Tinto Brass esposti alla vista dei tre arrapatissimi energumeni.
"Io questa me la scopo… Me la scopo !" urlava uno dei due babbuini, mentre l'altro, che ormai aveva perso l'uso della parola, aveva già liberato il serpente dalla teca ed era intento a srotolarlo per bene.
Il grosso cazzo del baffuto (che durante lo spettacolino della donna si era ingollato una pastiglia e mezza di quella cosa blu) spuntava eretto dalle brache, catturato dallo sguardo, ora un tantino preoccupato, della bella Michela.
Su invito del maitre de maison la donna venne fatta scendere dal tavolo e palpata con la delicatezza di chi sceglie i polipi in pescheria.
I due meschini avevano le mani abbondantemente sudate e lasciavano ampie chiazze d'acqua sul culo e sulla schiena, mentre King-Kong spalmava le grosse manacce su entrambe le tette, fissando con bramosia i grossi bottoni rosa che spuntavano al centro dei due coperchi.
"Sul tavolo, sul tavolo…" biascicava freneticamente il baffo, che come padrone di casa aveva il diritto a servirsi per primo.
Michela si sedette sul bordo del pesante tavolo di legno, quindi si sdraiò, facendovi aderire la schiena.
"Lecca la fica !" suggeriva Einstein con il tono di chi ci sa fare, ma all'uomo l'idea non passò neanche per l'anticamera del cervello.
Lo ficcò dentro di brutto e una volta dentro iniziò a pompare, come se dovesse gonfiare le gomme della bici e fosse già in ritardo.
"Godi, puttana… godi !" urlava il bruto afferrandole violentemente le tette e sbattendolo sin dove la natura gli consentiva di arrivare.
I tempi della "Signora" e della "Michela" ormai erano lontani.
Michela esitò per un attimo, poi si rese conto di essere consenziente, che l'accordo era di soddisfarli e che suo marito non lo sarebbe mai venuto a sapere perciò si abbandonò in gemiti fragorosi, ai quali fecero seguito altrettanto fragorose urla quando l'orco le rovesciò nella pancia un'abbondante dose di sperma fresco.
La donna teneva le gambe a compasso, poggiate sulle spalle di lui, mentre l'uomo affondava pesantemente gli ultimi colpi appoggiandosi al corpo di lei, strizzandole le sofficissime natiche. Sembrava quasi un esercizio di ginnastica.
Il baffo uscì ed emise un lungo sospiro, come quello di uno che non cagava da tre giorni, mentre Michela respirava profondamente.
La donna si era spinta in mezzo al grande tavolo, le gambe erano piegate ed un copioso flusso di sperma le colava dalla fica, imbrattando il legno.
"Ragazzi, che scopata… era il paradiso !" (dubito che ci andrai… nota dell'autore) commentò il gorilla pulendosi l'arnese con un tovagliolo.
"Vieni a farmi un bel pompino !" cinguettò una delle due tigri alla spossatissima Michela, che si stava nel frattempo asciugando la fica con un fazzolettino di carta (i tovaglioli di stoffa erano di esclusivo riguardo per gli uomini).
La donna scese dal tavolo e si inginocchiò davanti all'asta dell'ometto, i cui occhi non perdevano di vista alcun movimento delle grosse poppe sotto di lui.
E così, mentre Sandokan ammirava il panorama dall'alto, la bella Michela gli ciucciava lentamente l'arnese, regalando lunghi ed energici colpi di lingua.
In un gemere che pareva più che altro un rantolare, l'ominide si lasciava ciucciare il biscottino, abbassandosi continuamente per afferrare con le piccole manine sudate le grosse poppe della signora.
Quando Michela si rese conto che l'ebete era giunto al limite, rallentò la foga e, premendo le labbra attorno alla cappella, proseguì il lavoro con un breve e lento movimento, facendo scivolare man mano lo sperma caldo in fondo alla gola.
"Che bocchinaraaaa !" urlò a squarciagola la tigre, spingendo con un movimento del ventre per far uscire il poco che era rimasto in canna.
Con calma, Michela prese un fazzoletto di carta e si pulì la bocca dallo sperma residuo, mentre il mandrillo numero due, che durante la fellatio s'era ingollato ben due pasticche blu, ordinò alla donna la posizione del cane.
Michela obbedì mestamente e si mise a quattro zampe, offrendo alla vista del genio il grosso culo, facendolo così eccitare fino alle lacrime.
Il mandrillone non passò neanche attraverso la fica.
Dopo aver lubrificato la porta con una dose, forse anche eccessiva, di vasellina entrò direttamente nel culo.
L'uomo continuava a ripetere urlando la parola "si" come se stesse parlando al telefono con un superiore, mentre spingeva l'attrezzo con tutta la forza che aveva, fino a far aderire i due corpi in un tutt'uno.
Serrava il culo della donna tra le mani come un portiere che tiene la palla dopo una parata.
La vista delle soffici chiappe che rimbalzavano sul suo complice e dell'asta di questi che entrava e usciva dalla porta secondaria eccitarono l'orco a tal punto che prese a menarselo di brutto.
Così la povera Michela, dopo aver ricevuto un'abbondante dose di sperma nell'intestino, ne ricevette un'altra, altrettanto abbondante, in pieno volto.
La scena che si presentò agli occhi dello spompinato, che stava in un angolo ad ammirare le gesta dei compagni, lo fece nuovamente eccitare.
Vide la donna in terra, a quattro zampe, con la sborra che le colava dal buco del culo ed altrettanto liquido sparso sul volto e non resistette più.
Dopo una ventina di colpi assestati in fica, passò direttamente al piano superiore.
"Ti sborrooo nel culooooo…!!!" urlava a squarciagola il troglodita, spruzzando tutto ciò che poteva tra le grosse natiche della donna, sulle quali poggiava le mani come in una seduta spiritica.
Nel giro di pochi minuti, l'intestino della bella Michela ricevette un'ulteriore dose di sborra fresca.
Gli uomini giacevano in terra stremati, come i soldati dopo una lunga marcia, con i cazzi belli arrossati mentre la donna era sdraiata in terra, ansimante e dolorante per i numerosi colpi ricevuti dove non era abituata a prenderli.
Per cinque lunghi minuti nessuno disse né fece niente, finché una delle due bertucce non si alzò per andare al cesso.
Poi fu il turno dell'altra.
Poi il baffo, infine Michela, che si diede una ripulita come si deve.
Tornata dal cesso, la donna si sedette nuovamente al tavolo con gli altri.
Lei era la sola ad essere completamente nuda.
Il boss stava a torso nudo, mentre gli altri due rispettivamente in canottiera l'uno, con la camicia totalmente sbottonata l'altro.
Sotto portavano solo le mutande.
Il padrone di casa stappò un'altra bottiglia di Moscato da due euro e rotti, mentre gli altri commentavano con Michela le loro prestazioni, sempre con molta educazione e gentilezza.
"Sei proprio una troia… Fai dei pompini da favola… Tuo marito si che è un uomo fortunato… quando ti sborravo nel culo mi sentivo in paradiso… mi piace come godi…" ecc... ecc… la donna si chiedeva se doveva sentirsi onorata di tanti complimenti.
Unitamente al vino il generosissimo baffo offrì anche un po’ di salame e del formaggio.
I quattro si dissetarono e fecero uno spuntino, poi l'orco fece la proposta di buttarsi tutti e quattro sul letto.
Ovviamente Michela inorridì, ma non poteva rifiutare.
Si spostarono dunque nella suite residenziale del baffo, un'ampia sala con un enorme letto con tanto di coperta bianca e specchio dietro la testata e l'immancabile Papa Giovanni XXIII sul muro.
Nella loro processione si portarono dietro anche il necessario… due bottiglie di vino (moscato e zibibbo), i bicchieri, i fazzolettini di carta, tovaglioli di stoffa (è curioso come l'orco si pulì la bocca dopo aver mangiato il salame con lo stesso tovagliolo con il quale si pulì il cazzo dopo aver scopato), il salame, il formaggio e la vasellina.
A differenza di prima, quando si distesero sul letto erano tutti completamente nudi.
Toma (il mandrillo) si sdraiò sulla sinistra, Toni (lo spompinato) sulla destra, Michela in mezzo ai due ed il baffo ai piedi del letto.
Così mentre l'orco massaggiava i piedi della donna, Toma le ficcava la lingua in bocca palpeggiandole le tettone e Toni le solleticava la fica, strusciando l'arnese in mezzo alle chiappe e sbaciucchiandola sul collo.
Naturalmente, ogni tanto i due si davano il cambio… la donna girava la testa per ricevere la lingua di Toni, mentre Toma le ciucciava avidamente i capezzoloni.
Le mani dei due si distribuivano a piacere su tette, culo, fica, schiena, pancia e cosce, come se le stessero spalmando lungo tutto il corpo una crema invisibile.
Lentamente la donna si abbandonava in quel turbine di mani e lingue, lasciando altrove i suoi foschi pensieri.
Timidamente, l'uccello del Toma fece il suo ingresso tra le cosce della prosperosa signora, mentre il Toni era intento a farcire di vasellina l'entrata posteriore.
Il baffo per ora stava a guardare, continuando a lavorarsi i bellissimi piedi della donna.
Michela cominciava ad eccitarsi… non aveva mai preso due cazzi in una botta sola e la cosa in fondo in fondo la intrigava.
Si arrivò in breve a questa situazione: il Toma si scopava la Michela, strusciandosi sul lato A e scambiando slinguettate con la medesima, mentre sul lato B il Toni faceva scorrere il lungo pistone nel culo, palpeggiando cosce, natiche e tette in un continuo mulinare di manate.
I piedi di Michela si erano ormai abbandonati nelle mani del baffo, che li aveva addirittura cosparsi di crema (Nivea, ma non facciamo pubblicità…) per massaggiarli al meglio, i capezzoloni turgidi al massimo premuti contro il petto del Toma, la lingua che passava continuamente dalla bocca del Toma a quella del Toni, due cazzoni (resi ben turgidi da ulteriori razioni di quella roba blu) infilati in fica e in culo che stantuffavano infaticabili e mani a volontà, praticamente dovunque.
In quella bagarre di mani, lingue e cazzi Michela si lasciò completamente andare, cominciando a gemere sonoramente e dondolando il bacino per accogliere meglio tutta l'abbondanza che le riempiva culo e fica.
Nel frattempo il baffo, sdraiato su un lato, faceva scorrere il lungo bastone tra i piedi della donna, continuando nel suo infaticabile massaggio.
Il ritmo era divenuto forsennato… la bella Michela non aveva più un attimo di tregua e tra un "Godo… godo…" e un "Vengo… vengo…" si beccò una generosissima razione di sborra nella pancia, una nell'intestino ed altrettanta sui piedi.
La donna era ormai invasata dall'eccitazione, si strusciava freneticamente sul corpo del Toma, ormai stremato, mentre cercava le lingue dei due in continuazione spalmando la sborra sull'asta del baffo usando le piante dei piedi.
Il Toni fece lo schizzo della staffa afferrandole saldamente entrambe le natiche e schiacciandola letteralmente contro il Toma che le ficcava in bocca quanta più lingua poteva, continuando a dimenare il cazzo ormai floscio nell'umida fessura.
"Mi avete scopata tutta…" sussurrò Michela gemendo e respirando profondamente, mentre i due si pulivano gli arnesi dai residui di sperma, depositandoli su ventre, cosce e natiche.
Un minuto dopo la donna era seduta con la schiena poggiata alla testata del letto, gustando una sigaretta e sorseggiando del buon barbera che nel frattempo il baffo era andato a recuperare.
Commentava divertita il menage à trois che si era appena concluso ed ironizzava sulle chiazze di sperma che macchiavano vistosamente la coperta bianca all'altezza dei suoi piedi.
Bevvero vino e mangiarono salame e formaggio, alternandosi in brevi tappe alla toilette, poi la misero di nuovo sotto.
Questa volta il baffo la impalò da sotto, dritta nel culo, mentre il Toni stava sopra di lei a scoparsi la fica ed il Toma, da un lato, si faceva spompinare.
Michela era goduta a mille, succhiava con foga il cazzo del Toma mentre il baffo la inculava fino alle palle tenendola per le chiappe e il Toni affondava la verga nell'apertura principale.
Si bevve il succo del Toma tutto d'un fiato prima di esplodere in un urlo che faceva arrossire il povero Tarzan, quando il baffo ed il Toni, quasi contemporaneamente, la riempirono fino all'orlo.
Si sdraiò a corpo morto sul baffo, che nel frattempo era intento a palparla un po’ dovunque, principalmente tette e fica, sussurrando con la vocina di Jessica Rabbit "Mi hai inculata tutta…". Diede una lunga slinguata al Toni, il quale ebbe un iniziale moto di schifo, subito stroncato, quando si accorse che aveva la bocca impiastricciata dello sperma dell'amico.
Poi ricevette la lingua del baffo (uno che non aveva schifo di niente) e la ospitò a lungo, massaggiandogli i grossi testicoli ormai flosci.
Si rifocillarono e restarono così sdraiati per quasi un'ora, con la donna completamente abbandonata alle loro lingue e alle loro mani quando al baffo venne un'idea geniale, che fece rabbrividire la povera Michela.
"Facciamo l'ultimo giro… tentiamo il doppio in culo…".
L'idea fece letteralmente saltare di gioia il Toma, che lo aveva visto fare solo su una delle videocassette didattiche che era solito collezionare.
Quindi il baffo mise la sventurata sopra di sé e dopo averla lubrificata per bene, inserì l'asta nello scarico.
La donna stava praticamente seduta sull'uomo, come se stesse sopra una bicicletta senza sellino.
Quando il serpente del Toma (ormai in overdose di quella cosa là) divenne ben turgido nella bocca di Michela, questi si spostò dietro di lei.
Il baffo uscì e i due complici provarono l'ingresso simultaneo.
Entrò prima il baffo, spingendo dentro solo la cappella, poi il Toma lo appoggiò sulla cappella del baffo ed entrò anche lui.
Una volta entrati entrambi, ebbe inizio lo sconquasso.
Michela urlava come un'ossessa mentre i due grossi bastoni le allargavano il buco a dismisura. Quasi a farlo apposta, i due sborrarono nello stesso tempo, producendo un vero e proprio lago nell'intestino della donna, le cui urla avevano svegliato mezzo quartiere.
Un denso flusso di sperma (e altro…) zampillò dal buco di Michela quando i due uscirono ed altrettanto liquido le schizzò in faccia, grazie al Toni che se l'era menato per tutto il tempo. Caddero tutti e quattro pesantemente sul letto, sfiniti, e si svegliarono verso le dieci di domenica mattina.
Nel congedarsi, i tre la ricoprirono ulteriormente di affettuosi complimenti (sei proprio una troia… Ti abbiamo sfondata… Non li vedrai mai più dei cazzi così… Quando te la vuoi spassare chiamaci… La nostra sborra ti ha reso ancora più bella, ecc. ecc..).
Lei rispose con un sensualissimo "Siete stati fantastici…".
Due giorni dopo il marito tornò dal viaggio di lavoro con una grande notizia: "Sai amore… Ho incontrato un mio cugino che non speravo più di rivedere… sai… uno pieno di grano… mi ha prestato quarantamila euro che potremo rendergli quando vogliamo, senza fretta… capisci amore ?… non avremo più problemi con quegli strozzini !".
"Si… certo…" rispose lei con un filo di voce, fissando il vuoto.
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