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Gay & Bisex

Capodanno 2008 3


di SERSEX
03.06.2025    |    1.174    |    5 9.1
"E lo fece senza supplicare, senza scuse..."
Giò è sveglio. Guarda Mauro dormire. Ha una mano posata sul suo fianco, la pelle ancora calda dell’amore fatto. Vorrebbe restare lì, così, per ore. Ma il cervello non smette di girare.
Si alza piano, nudo. Va in cucina, prende un bicchiere d’acqua. Si appoggia al lavandino e si guarda riflesso nel vetro della finestra. È stanco, ma più vivo che mai.
Dopo pochi minuti, Mauro arriva dietro di lui. Indossa solo i boxer. Lo abbraccia da dietro, poggiando la fronte sulla sua spalla.
«Non ho dormito quasi niente,» sussurra.
Giò accenna un sorriso. «Nemmeno io. Ma non mi succedeva da un pezzo di svegliarmi e voler restare.»
Mauro lo stringe di più. «Lo so.»
Un silenzio strano. Caldo, denso. Non più imbarazzato, ma sospeso.
«La diciamo la verità, adesso?» chiede Giò, senza voltarsi.
Mauro sospira. «Quale? Che non ho mai smesso di volerti? Che avrei voluto bussare cento volte alla tua porta ma non trovavo il coraggio? Che ho tremato ieri sera quando ti ho visto al pub, perché sapevo che, se mi avvicinavi, non avrei più saputo tirarmi indietro?»
Giò si volta. Lo guarda.
«Che sei ancora mio, diciamolo.»
Mauro lo bacia. Di nuovo. Lento, stanco, vero. Non è sesso adesso, è carne che chiede di essere tenuta insieme, anche solo per un altro giorno.
«Ma fuori c’è il mondo,» dice Mauro, «e io ho due figli. Hanno occhi, hanno cuori. E io non sono pronto a romperli.»
Giò lo guarda serio. «E quindi? Vuoi tornare a fingere? A vivere a metà?»
«No. Non voglio. Ma non posso nemmeno venire a vivere qui domani.»
«Non te l’ho chiesto.»
Un momento. Mauro si passa una mano nei capelli. La voce gli trema.
«Potremmo… vederci. Di tanto in tanto. Quando posso. Quando riesco.»
Giò scuote la testa. «Non sono il tuo rifugio. O ci sei o non ci sei.»
Mauro resta in silenzio. Si sente nudo, e non solo nel corpo.
Poi si avvicina. Gli prende il viso tra le mani, di nuovo.
«Dammi un po’ di tempo. Non per scappare. Ma per capire come farti spazio. Perché voglio farlo. Davvero.»
Giò lo guarda. «Un mese. Non un giorno di più.»
«Un mese.»
Si baciano. Poi si vestono. Mauro si ferma sulla soglia. Giò non lo accompagna fuori. Resta dentro, con lo sguardo fermo. È Mauro a voltarsi un’ultima volta.
«Ci vediamo presto.»
«Vedremo,» dice Giò.
La porta si chiude. E il giorno inizia.

Era passato un mese.
Trenta giorni in cui Mauro si era fatto vivo solo con messaggi fugaci. “Non posso adesso.” “Mi manchi.” “Ci penso, ma ho paura.”
Giò aveva smesso di aspettare, o almeno così diceva a se stesso. Dormiva male. Lavorava tanto. Ogni tanto si perdeva guardando le vecchie foto sul telefono, e poi le cancellava, e poi le cercava nel backup.
Poi, una sera di pioggia fina e nervosa, Mauro ricomparve.
Non mandò messaggi. Bussò come non aveva mai fatto prima.
Si guardarono. Lunghi secondi.
Poi Mauro disse solo:
– Non voglio andarmene stanotte.
E lo fece senza supplicare, senza scuse.
Si baciarono con fame. Ma non fu fretta.
Fu carne viva. Mauro si inginocchiò davanti a Giò nel corridoio. Gli slacciò i pantaloni piano. Gli accarezzò l’inguine sopra i boxer, come se stesse toccando un altare.
Lo prese in bocca con devozione e disperazione. Giò si abbandonò contro il muro, stringendo i capelli bagnati di lui.
Poi si spostarono sul letto.
Nudi, umidi, feriti.
Fecero l’amore come chi vuole ricordare ogni dettaglio, ogni respiro. Mauro baciò il petto di Giò, il ventre, le cosce. Gli leccò l’interno del ginocchio. Lo penetrò lentamente, guardandolo negli occhi, con la fronte contro la sua.
Vennero insieme. E poi ancora, dopo mezz’ora, ancora una volta, con tenerezza e parole sottovoce. Mauro disse “scusa”, Giò disse “non dire niente”.
Dormirono abbracciati.
Si erano amati per ore.
In silenzio e con parole nude.
Come chi sa che forse non ci sarà un domani.
Mauro gli aveva baciato la schiena, lo aveva preso piano, poi con forza, poi ancora con dolcezza. Aveva tremato dentro di lui, e aveva pianto senza rumore contro il suo collo.
Dormirono stretti.

Quando Giò si svegliò, il sole tagliava la stanza in due.
Il lato accanto era vuoto.
Ma sul comodino, accanto al telefono, c’era una rosa rossa perfetta in un bicchiere d’acqua con attaccato un bigliettino bianco senza firma. Solo un QR code stampato al centro, come quelli dei ristoranti.
Giò lo fissò per lunghi minuti, poi lo inquadrò con il telefono.
Il link si aprì subito: un video.
La stanza era buia, solo il volto di Mauro in primo piano. Occhi lucidi. Un respiro trattenuto.
“Non sapevo come dirtelo.
Le parole mi muoiono in bocca quando ti guardo.
Stanotte è stata l’unica cosa vera della mia vita da anni.
Ma fuori da qui io non sono abbastanza.
Non riesco ad affrontare quello che ho costruito.
Ti amo.
Ma non so come si fa a cambiare tutto, a quarant'anni.
Perdonami.
Non chiedermi altro.
Ricorda solo la pelle.
La rosa è per te.
Addio.”
Lo schermo si spense.
Giò restò immobile, con il telefono in mano.
Poi accarezzò la rosa, l’annusò lentamente. Non era un gesto da Mauro, e proprio per questo lo colpì più di ogni altra cosa.
Non pianse subito.
Fece il letto.
Si preparò un caffè.
Scrisse sul suo taccuino:
“Ci sono amori che non riescono a vivere fuori da una stanza.
Ma cambiano tutto lo stesso.”

Uscì nel pomeriggio, come se fosse primavera anche se pioveva.
Seduto al solito bar, con il taccuino aperto, sentì una presenza.
Alzò gli occhi.
Un ragazzo lo stava osservando.
Sguardo gentile, sorriso incerto.
Aveva una rosa tatuata sul braccio.

Giò sorrise.
La "vita", forse, stava già cercando una nuova forma?
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