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Gay & Bisex

Capodanno 2008


di SERSEX
31.05.2025    |    2.608    |    5 9.2
"Mauro cominciò a baciarglieli, uno a uno, mentre gli accarezzava la schiena..."
La notte fuori era umida e gelida, la città addormentata sotto un cielo nero e senza stelle. Bologna sembrava sospesa, come se il tempo si fosse fermato in attesa del nuovo anno. Ma al Dj Club, il tempo si dilatava, si scioglieva in sudore, fumo e desideri.
Giò era entrato da solo, il cuore gonfio e la bocca asciutta. Voleva dimenticare qualcosa — o qualcuno. Forse solo se stesso. L'aveva fatto altre volte: spogliarsi nell’anima prima ancora che nei vestiti. Cercare negli occhi degli sconosciuti un modo per sentirsi reale.
Il locale era pieno ma non soffocante. La musica elettronica rimbalzava sulle pareti e sulle ossa, liquida come l’alcol nel sangue. Luci rosse e blu disegnavano volti a metà, corpi mezzi nudi, sguardi lenti e intenzionati. Giò prese un gin tonic e si mise in un angolo, a osservare. Il bicchiere freddo tra le dita, il respiro corto.
Lo vide quasi subito. Un uomo sui trentacinque, forse quaranta. Camicia scura sbottonata, barba di un giorno, occhi che sembravano guardarlo da sempre. Non era uno da Dj Club, si vedeva. Era fuori posto. Eppure stava lì, seduto accanto alla parete, con lo sguardo puntato dritto su di lui.
Giò sentì un brivido. Non di paura, ma di qualcosa di più profondo: il riconoscersi in uno sguardo.
L’uomo si alzò e si avvicinò. Non disse nulla. Si mise accanto a lui, e dopo un attimo sfiorò con le dita il bordo del bicchiere. Le mani si toccarono appena, ma bastò: Giò si sentì attraversato da una scarica lenta, calda.
— Ti va di parlare un attimo? — chiese l’uomo, con una voce bassa, leggermente roca.
Giò annuì. Lo seguì lungo un corridoio dove la musica si faceva più ovattata, più intima. Si fermarono vicino ai divanetti in pelle, lontani dalla pista. L’uomo si chiamava Mauro, e veniva da Ferrara. Era in città per lavoro. Divorziato da poco. Non frequentava locali gay, ma stanotte… voleva dimenticare.
Parlarono per venti minuti. Poi smise tutto. Mauro lo guardò come si guarda qualcuno che si vuole. Ma non per possedere. Per toccare senza distruggere.
— Posso baciarti?
Giò non rispose. Gli si avvicinò e posò la bocca sulla sua, con una dolcezza che gli fece tremare le gambe. Si baciarono piano, poi con più fame. Mauro aveva le mani forti, sicure, ma non invadenti. Lo teneva stretto come se temesse che potesse sparire.
— Non voglio fotterti come fanno tutti qui dentro — sussurrò Mauro all’orecchio. — Voglio farti venire con calma, voglio che mi guardi negli occhi mentre succede.
Giò si sentì sciogliere. Si lasciò portare nella stanza sul retro, quella semi buia con i divanetti e le tende pesanti. Mauro si sedette e lo tirò sopra di sé, senza fretta. Giò si sedette a cavalcioni, sfilandosi la maglietta, mostrando il petto liscio, teso, i capezzoli duri.
Mauro cominciò a baciarglieli, uno a uno, mentre gli accarezzava la schiena. Le dita si insinuarono sotto i pantaloni, trovando il culo nudo, pronto, profumato.
— Hai messo il profumo proprio lì? — chiese ridendo.
— Solo per chi se lo merita.
Giò si slacciò i jeans. Il suo cazzo era già duro, curvo verso l’alto, lucido in punta. Mauro lo prese in bocca con devozione, come se fosse un atto sacro. Ogni leccata era lenta, precisa, con la lingua che girava sul glande come a volerlo imparare a memoria.
Giò gemeva, ma piano, con gli occhi chiusi. Viveva ogni istante. Ogni leccata era un sì.
Poi si invertirono. Giò lo spogliò lentamente. Mauro era più grosso di quanto sembrava, il corpo pieno, virile, con un cazzo largo, nervoso, che palpitava contro il ventre.
Lo baciò prima di prenderlo dentro. Si sedette su di lui lentamente, sentendolo entrare un centimetro alla volta, mordendosi le labbra. Si fermava, respirava, poi continuava.
Quando fu dentro tutto, si guardarono. Solo così, fermi. Mauro lo teneva per la vita, Giò lo stringeva per il collo.
E si amarono così: lenti, profondi, sporchi e romantici.
Quando vennero, lo fecero insieme. Giò si lasciò andare sul suo petto, baciandogli la clavicola, mentre il seme caldo gli colava giù per le cosce.
Poi restarono lì, senza parole. Il countdown era finito da ore. Il mondo aveva già ricominciato a correre.
Ma loro no.
Loro erano ancora lì.

La porta del locale si richiuse alle loro spalle con un tonfo sordo. L’aria gelida li colpì in faccia come uno schiaffo. Giò infilò il giubbotto in fretta, ma il freddo non riusciva a spegnere il calore che ancora sentiva sulla pelle, tra le gambe, nell’anima.
Camminavano piano, fianco a fianco, senza sapere bene dove andare. Mauro gli sfiorava la mano ogni tanto, come per controllare che fosse ancora lì. Ogni tanto si fermavano a guardarsi, ma senza parlare. I vetri appannati delle vetrine, le strade deserte, l’odore di vomito e champagne che saliva da qualche tombino: era il capodanno degli altri, ma loro erano in un mondo a parte.
— Posso offrirti un caffè? — chiese Mauro, all’improvviso.
Giò sorrise. — Solo se è amaro.
— Come questa notte?
— Come me, quando amo troppo.
Trovarono un bar aperto in via Marconi. Dentro c’era solo un tizio mezzo addormentato al bancone. Mauro ordinò due espressi. Si sedettero stretti su uno sgabello. I bicchierini bollenti tra le dita, il vapore che saliva tra i loro volti.
— È strano — disse Mauro, dopo un lungo silenzio. — Non ti conosco. Ma mi sembra di averti cercato per anni.
Giò lo guardò, senza sorridere. Solo con gli occhi.
— Succede, quando non stai cercando nessuno. Ti arriva qualcuno addosso e ti rimescola tutto.
Mauro annuì. Poi si sporse, lo baciò piano sulle labbra screpolate. Un bacio stanco, ma vero.
Pagò, e uscirono. Fuori, la città si stava svegliando, piano. Le serrande che si alzavano, i primi autobus vuoti, la luce bianca dell’inverno che sbucava tra i palazzi.
— Ti accompagno a casa? — chiese Mauro.
— No, — disse Giò, fermandosi davanti a un vecchio portone chiuso — ho una stanza qui sopra. È una casa d’artisti, ci vengo a dormire ogni tanto. Nessuno mi aspetta.
Mauro lo guardò. Era ancora eccitato. Lo vedeva dai jeans gonfi, dal modo in cui respirava.
— Vuoi salire?
Non ci fu bisogno di altro.

Ore 6:11 – La stanza di Giò
Il materasso era per terra. Le coperte stropicciate, una lampada rossa accesa su un tavolino basso. Sul muro, vecchie foto, ritagli di riviste porno degli anni '70, poesie scritte a mano. Odore di incenso, di fumo, di sesso e solitudine.
Appena la porta si richiuse, si baciarono con una fame diversa.
Niente lentezza stavolta. Mauro lo spinse contro il muro, lo sollevò di peso, gli abbassò i pantaloni e gli annusò il culo.
— Non sai quanto ti ho pensato in bagno, prima di venire dentro di te. Avrei voluto restarci ore.
— E allora rifallo. Ma stavolta fammelo sentire tutto.
Giò si piegò in avanti sul letto, spalancandosi, le mani che afferravano le lenzuola. Mauro lo aprì con la lingua, con due dita, con la voglia. Si inginocchiò e gli leccò il buco con lentezza feroce, bagnandolo tutto, gemendo.
— Dio, sei dolce qui, Giò… sembra miele sporco.
Lo preparò a lungo, finché Giò non si voltò con un'espressione che era solo desiderio nudo.
— Vienimi dentro, adesso. Ma resta lì. Non muoverti subito. Fammi sentire tutto il tuo peso.
E così fece. Mauro lo prese con una sola spinta, e Giò ansimò forte, il viso premuto sul cuscino.
Rimasero fermi. Poi cominciò il ritmo, lento ma profondo. Ogni colpo era come un battito. Ogni respiro, un gemito. Il letto cigolava, la città si svegliava, ma lì dentro il tempo era ancora notte.
Quando venne, Mauro lo strinse da dietro, mordendogli la spalla, eiaculando dentro di lui senza staccare lo sguardo dallo specchio vicino al letto, dove vedeva il corpo di Giò tremare.
Giò venne subito dopo, senza toccarsi, solo con l’attrito, con la fame, con tutto.
Si sdraiarono così, attaccati, pieni, stanchi. Giò si voltò, gli baciò il petto.
— Resta con me almeno fino alle dieci. Poi puoi sparire.
Mauro rise. — Alle dieci ti porto la colazione a letto. E poi… se vuoi, ci rivediamo.
— Vedremo. Stanotte… è bastata.

Ore 9:46 – La stanza di Giò, con Mauro ancora lì
Il sole filtrava appena dalle tende pesanti. Giò era sveglio, gli occhi aperti da un po’. Sentiva il respiro di Mauro dietro di sé, regolare, caldo. Un braccio gli cingeva la vita, pesante ma dolce. E dentro quel peso, c’era una pace che non aveva messo in conto.
Mauro si mosse piano, lo baciò sulla nuca.
— Sei sveglio?
— Da un po’.
— Perché non hai detto niente?
— Perché non volevo che finisse.
Ci fu silenzio. Poi Mauro gli morse piano il collo.
— Non è finita. Non se tu non vuoi.
Giò si girò e lo guardò. Gli occhi ancora stanchi, ma vivi, come se quella scopata notturna avesse risvegliato qualcosa di più profondo.
— Sei uno che scopa così con tutti? — chiese con un mezzo sorriso.
— Solo quando sento qualcosa.
— E adesso senti?
— Adesso sento il bisogno di leccarti di nuovo.
Giò rise, gli prese la faccia tra le mani.
— Sei un porco romantico.
— E tu sei poesia col cazzo duro.
E si baciarono. Ma non come prima. Adesso era dolcezza, ma anche fame, come se il sesso fosse diventato un modo per conoscersi più a fondo. Si toccavano piano, si leccavano le dita, le ascelle, l’interno coscia. Giò gli succhiava il cazzo con lentezza, tenendolo per i fianchi, come si tiene qualcosa di importante.
Poi si stese di nuovo, a pancia in su, spalancato, nudo.
— Voglio vederti mentre mi vieni dentro. Voglio il sole che entra nella stanza e tu che mi riempi tutto.
Mauro si mise sopra, lo scopò piano, mentre il giorno cresceva intorno a loro. Gli occhi fissi, le bocche aperte, i respiri spezzati. Vennero insieme, guardandosi. Nessun urlo, solo un gemito lungo, e una carezza che restò anche dopo.

Ore 11:02 – Colazione in via San Felice
Camminavano mano nella mano, i capelli spettinati, il viso stanco ma felice. Trovarono un bar e presero cappuccini e cornetti alla crema.
Sedettero fuori, nonostante il freddo. Bologna era luminosa, come solo nei giorni in cui hai amato bene.
— Sei sempre così? — chiese Mauro, rompendo un cornetto in due.
— Così come?
— Così sporco. Così tenero.
Giò ci pensò.
— No. A volte solo uno dei due. Con te, mi è venuto tutto insieme.
Mauro lo fissò. Poi gli prese la mano sotto il tavolino, accarezzandogli le dita.
— Posso rivederti?
— Forse. Ma la prossima volta non al Red.
— Dove, allora?
— In un posto dove si può essere sporchi anche con la luce accesa.

Ore 11:47 – Vicolo cieco, dietro via San Felice
Avevano finito di fare colazione, ma nessuno dei due aveva fretta di separarsi. Camminarono piano, senza una meta precisa, finché non si ritrovarono in un vicolo silenzioso, con i muri umidi e un odore di muschio e città vecchia.
Si baciarono ancora, senza motivo, senza parole.
Mauro lo tenne stretto, Giò gli affondò la faccia nel collo. Nessuno parlava del domani.
— Se non ci sentiamo? — chiese Mauro, piano.
— Vorrà dire che era una notte perfetta. E le notti perfette vanno lasciate intere.
— E se invece ci cerchiamo?
Giò non rispose. Si limitò a sorridere, e poi a baciarlo di nuovo, più forte, più pieno, come se volesse rubargli qualcosa da portare via.
Quando si separarono, fu senza scena. Solo uno sguardo lungo, uno di quelli che fanno male dopo, quando ci pensi da solo, in un letto che sa di niente.
Mauro si allontanò per primo.
Giò lo guardò sparire tra i portici, mentre il sole di gennaio si faceva più deciso sulle facciate dei palazzi.
Rimase fermo, immobile, con ancora addosso il sapore di lui, il calore della notte, l’odore del Red.
Un anno nuovo era appena iniziato.
E nessuno sapeva ancora cosa avrebbe portato.
Ma qualcosa, lì dentro, era cambiato.

Per sempre!

O solo per una notte?
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