incesto
Isa: Sguardi Rubati Atto. 1


14.05.2025 |
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"La gonna era ancora arrotolata sui fianchi, e senza mutandine, la sua fica era pronta..."
Bari, estate 2003. La città era un’esplosione di colori e rumori: il lungomare brillava sotto le luci al neon dei bar, dove le radio sparavano “Crazy in Love” di Beyoncé e i ragazzi sfrecciavano sui motorini con le marmitte truccate. Avevo vent’anni, un Nokia 3310 che vibrava per i messaggi degli amici e una vita che sembrava sospesa, come se stessi aspettando qualcosa senza sapere cosa. Vivevo con mia madre, Isa, in un appartamento al secondo piano di un palazzo in Madonnella, con balconi che guardavano il mare e tende che odoravano di ammorbidente. Mio padre se n’era andato due anni prima, lasciandoci dopo una separazione che non avevo mai capito del tutto. Da allora, casa nostra era un mondo a parte, fatto di silenzi, CD sparsi sul tavolo e il profumo di Chanel N°5 che Isa si spruzzava ogni mattina.Isa non era una madre come le altre. A 55 anni, era alta un metro e settanta, snella, con un seno che sembrava sfidare il tempo: una quinta misura, tonda e soda, che riempiva ogni camicia come se fosse fatta apposta. I suoi capelli mossi, tinti di un castano caldo, le cadevano sulle spalle, e il suo modo di muoversi – con gonne aderenti, top scollati e tacchi che ticchettavano sul pavimento – aveva qualcosa di magnetico. Mi ricordava le donne dei film porno che trovavo nei negozi di VHS, come Kay Parker, con quel mix di eleganza e peccato che mi mandava fuori di testa. Non so quando avevo iniziato a guardarla in modo diverso, ma dopo la separazione era diventata un’ossessione. Era sola, e forse per questo sembrava più viva, più pericolosa. Gli uomini la notavano ovunque: al mercato, al bar, persino il portiere del palazzo le faceva complimenti che mi facevano ribollire il sangue. Ma non era solo gelosia. C’era qualcos’altro, un desiderio che non volevo ammettere.
Non aiutava il fatto che i miei amici parlassero di lei. Una volta, al bar sotto casa, uno di loro aveva detto: “Tua madre è una milf, Andre’.” Avevo riso, ma dentro di me si era acceso un fuoco. E poi c’era stato quel giorno, un pomeriggio afoso di luglio, che aveva cambiato tutto. Ero in camera mia con Marco, un amico del quartiere. Aveva i capelli a spazzola, un piercing al sopracciglio e un ghigno che piaceva alle ragazze. Eravamo stravaccati sul letto, con una birra tiepida e una rivista porno rubata da un’edicola. Non era la prima volta che ci facevamo una sega insieme – roba da ventenni con troppo testosterone e poco cervello. Ma quella volta, mentre ci davamo dentro, Marco, con il fiato corto, aveva ansimato: “Cazzo, immagina Isa che fa ’sta roba.” Il mio cuore si era fermato. Lo guardai, perplesso, ma il mio cazzo era più duro di prima. Non dissi nulla, continuai, e quando venni, l’immagine di lei – la sua bocca, il suo seno – mi esplose in testa. Non ero arrabbiato. Ero eccitato. E questo mi spaventava.
Da quel momento, non riuscivo a togliermela dalla testa. Ogni volta che Isa passava per casa, con una camicia semiaperta che lasciava intravedere il reggiseno o jeans che le stringevano il culo, mi chiedevo cosa nascondesse. La sua solitudine, dopo la separazione, la rendeva diversa: più fragile, ma anche più audace. La vedevo uscire la sera, con tacchi e rossetto, e mi chiedevo dove andasse. Poi, un giorno, mentre lei era al lavoro, frugai in camera sua. Non so cosa cercassi, forse un pezzo di lei che non conoscevo. Nel suo cassetto trovai un corpetto hard, con un reggiseno di pizzo nero che si allacciava davanti, come quelli delle donne nei film. Accanto, un corsetto con lacci sexy, di raso rosso, che sembrava urlare peccato. E poi, in una scatola sotto il letto, delle cassette VHS. Film porno. Uno aveva il nome di Kay Parker in copertina, una donna che somigliava a lei, con quello stesso sguardo che diceva tutto senza dire niente. C’erano anche un paio di DVD, segno che Isa aveva aggiornato la sua collezione. Mi sedetti sul letto, il cuore che mi martellava. Chi usava quel corpetto? Con chi? Mio padre non c’era più. E allora chi?
Da quel giorno, la mia testa divenne un cinema a luci rosse. Immaginavo Isa con Marco, che la sbatteva sul divano mentre lei gli gridava di scoparla più forte. O con gli amici di mio padre, che la prendevano durante una partita a carte, le mani che le slacciavano quel corsetto. O come una segretaria sexy, piegata sulla scrivania del suo capo, con il reggiseno aperto e il seno che ondeggiava a ogni colpo. Ma più di tutto, volevo vederla. Volevo guardarla mentre cavalcava qualcuno, mentre si faceva scopare, i suoi gemiti che riempivano la stanza. Era un desiderio che mi consumava, e non sapevo come farlo diventare realtà.
Le settimane passarono, e il pensiero di Isa non mi dava tregua. Marco, ignaro di aver acceso quella scintilla, continuava a venire a casa. Era il tipo che piaceva a tutti: sicuro di sé, con una battuta sempre pronta e un modo di guardare le donne che le faceva arrossire. Lo notai anche con Isa. Quando passava per un caffè o per prendere in prestito un CD, le faceva complimenti – “Signora Isa, sempre un figurino” – e lei rideva, buttando indietro i capelli. Io li osservavo, il sangue che mi pulsava nelle tempie, chiedendomi se Marco ci provasse davvero o se fosse solo il mio cervello malato. Ma una parte di me voleva che accadesse. Volevo che lui la seducesse, che la portasse oltre il confine, e che io fossi lì a guardare.
L’occasione arrivò a fine agosto, durante una di quelle giornate calde in cui Bari sembrava sciogliersi. Isa era a casa, con una camicia leggera che le aderiva al seno e un paio di shorts che mostravano le gambe. Aveva passato la mattina a pulire, ma anche così sembrava pronta per un servizio fotografico. Marco si presentò nel pomeriggio, dicendo che aveva bisogno di un libro per l’università. Sapevo che era una scusa – non apriva un libro da anni – ma lo feci entrare. Isa era in cucina, a preparare un caffè, e quando lo vide sorrise. “Marco, che sorpresa,” disse, con quel tono che mi faceva venire i brividi. “Vuoi qualcosa da bere?” Lui si sedette al tavolo, il piercing che brillava sotto la luce, e rispose: “Solo se me lo fai tu, Isa.” Lei rise, e io sentii una fitta al petto. Era l’inizio di qualcosa, lo sapevo.
Mi inventai una scusa per lasciarli soli. “Vado a prendere le sigarette,” dissi, anche se non fumavo. Uscii, ma non andai lontano. Sapevo che la finestra della cucina dava sul cortile interno, un angolo nascosto dove nessuno passava. Mi posizionai lì, dietro un muretto, il cuore che mi scoppiava. La finestra era socchiusa, e vedevo tutto. Isa era ancora al tavolo, con Marco che le parlava, più vicino di quanto dovesse. “Sei sempre sola, Isa,” disse lui, la voce bassa. “Una donna come te non dovrebbe stare senza compagnia.” Lei rise, ma era un riso nervoso. “E tu che ne sai, Marco?” rispose, ma non si allontanò.
Non so come accadde, ma in pochi minuti le cose cambiarono. Marco le si avvicinò, le sfiorò la mano, e lei non si ritrasse. “Sei bellissima,” le sussurrò, e prima che lei potesse rispondere, le prese il viso e la baciò. Io, nascosto, sentii il sangue salirmi alla testa. Isa esitò, ma poi ricambiò, le sue mani che gli stringevano la maglietta. “Non dovremmo,” mormorò, ma la sua voce era debole. Marco non le diede il tempo di pensare. Le slacciò la camicia, lasciando uscire quel seno perfetto, ancora più grande di quanto immaginassi. “Cazzo, Isa,” disse, e le succhiò un capezzolo, facendola gemere.
Non potevo credere a quello che vedevo. Marco la fece alzare, le abbassò gli shorts e le mutandine, lasciandola nuda dalla vita in giù. La fece sedere sul tavolo, le gambe aperte, e si inginocchiò davanti a lei. “Che fica,” mormorò, prima di leccarla. Isa si inarcò, le mani nei suoi capelli, gemendo: “Sì, cazzo, continua.” Io, dietro il muretto, mi slacciai i jeans, il cazzo già duro come pietra. Non riuscivo a staccare gli occhi. Dopo un po’, Marco si alzò, si sbottonò i pantaloni e tirò fuori il cazzo, grosso e pronto. “Lo vuoi?” le chiese, e lei, con gli occhi socchiusi, annuì. “Scopami,” disse, e lui non se lo fece ripetere. La penetrò con un colpo secco, facendola urlare. “Cazzo, sei stretta,” grugnì, mentre la sbatteva, il tavolo che scricchiolava.
Isa lo cavalcò, prima sul tavolo, poi in piedi, con lui che la teneva per i fianchi. “Fammi sborrare,” gli disse, e quelle parole mi fecero quasi venire lì, contro il muretto. Io mi toccavo, seguendo il ritmo dei loro movimenti, i loro gemiti che mi arrivavano attraverso la finestra. “Sto sborrando,” urlò Marco, e si ritirò, schizzando sulla schiena di Isa. Lei, ansimante, si appoggiò al tavolo, il seno che tremava. Io venni nello stesso momento, il respiro corto, il cuore che mi esplodeva.
Quando tornai a casa, fingendo di essere stato al negozio, loro erano seduti in salotto, come se niente fosse. Isa aveva la camicia abbottonata male, e Marco sorrideva, soddisfatto. “Tutto bene, Andre’?” mi chiese, e io annuii, incapace di guardarlo negli occhi. Ma dentro di me sapevo che questo era solo l’inizio. Isa, sola e affamata, non si sarebbe fermata. E io volevo vedere tutto, ogni cazzo che la scopava, ogni gemito che le usciva dalla bocca. Era un gioco pericoloso, ma non potevo smettere.
Decisi che dovevo fare qualcosa. Non potevo più limitarmi a fantasticare su Isa, a immaginare il suo corpo nudo sotto quel corsetto rosso, o a rivivere il momento in cui Marco aveva pronunciato il suo nome mentre ci facevamo una sega. Il desiderio mi stava consumando, e la solitudine di Isa, dopo la separazione, era un’opportunità che non potevo ignorare. Sapevo che Marco era la chiave: il suo ghigno sfacciato, il modo in cui guardava Isa, i complimenti che le faceva quando passava per casa. Lui la voleva, e io volevo che accadesse. Ma dovevo essere lì, nascosto, a guardare ogni cazzo che la scopava, ogni gemito che le usciva dalla bocca.
Era una sera di fine agosto, con Bari che pulsava di calore e musica. Dalla finestra aperta entrava l’odore di salsedine e il rombo dei motorini che sfrecciavano verso il lungomare. Isa era in cucina, con una camicia di seta che le scivolava sul seno, i capezzoli che si intravvedevano sotto il tessuto. I suoi capelli mossi, tinti di castano, le cadevano sulle spalle, e il rossetto rosso che si era messa dopo cena le dava un’aria da femme fatale, come Kay Parker nei film porno che avevo trovato sotto il suo letto. Mi guardava con quel sorriso che mi faceva tremare, come se sapesse qualcosa di me che io stesso non capivo.
Invitai Marco con una scusa banale. “Porta una bottiglia,” gli dissi al telefono, fingendo che fosse una serata qualunque. “Magari guardiamo un film.” Lui rise, con quel tono che diceva che aveva capito tutto. “Ci sto, Andre’. Dì a Isa che porto il vino buono.” Riattaccai, il cuore che mi martellava. Sapevo che non sarebbe stata una serata normale. Isa, quando le dissi che Marco veniva, alzò un sopracciglio ma non protestò. “Va bene,” disse, e sparì in camera sua. Quando uscì, aveva cambiato la camicia con una più scollata, che lasciava intravedere il pizzo nero del reggiseno, e una gonna attillata che le stringeva i fianchi. I tacchi ticchettavano sul pavimento, e io dovetti distogliere lo sguardo per non tradirmi.
Marco arrivò alle nove, con una bottiglia di Primitivo e il suo solito piercing al sopracciglio che brillava sotto la luce. “Isa, sempre un figurino,” disse, posando il vino sul tavolo. Lei rise, buttando indietro i capelli, e io sentii una fitta al petto. Cenammo in salotto, con la TV che passava un vecchio episodio di Friends. Isa beveva più del solito, le guance arrossate, e Marco le faceva battute che la facevano ridere. Io li osservavo, il sangue che mi pulsava nelle tempie, sapendo che dovevo creare l’occasione. Dopo cena, mi inventai una scusa. “Devo fare una chiamata,” dissi, alzandomi. “Torno tra un po’.” Isa mi guardò, un’ombra di curiosità negli occhi, ma non disse nulla. Marco, con un ghigno, annuì.
Non andai lontano. Sapevo che la porta del salotto, se lasciata socchiusa, mi avrebbe permesso di vedere tutto dal corridoio, nascosto nell’ombra. Mi posizionai lì, il cuore che mi scoppiava, il cazzo già duro nei jeans. Isa era ancora sul divano, con Marco che le parlava, seduto più vicino di quanto dovesse. “Sei troppo bella per stare sola,” le disse, la voce bassa, quasi un sussurro. Lei rise, ma era un riso nervoso. “E tu sei troppo sfacciato, Marco,” rispose, ma non si spostò. Lui le sfiorò la coscia, e io trattenni il fiato. “Una donna come te merita di più,” continuò, e prima che lei potesse rispondere, le prese il viso e la baciò.
Isa esitò, le mani ferme per un istante, ma poi ricambiò, un gemito soffocato che mi fece tremare. “Non dovremmo,” mormorò, ma la sua voce era debole, come se la solitudine l’avesse resa affamata. Marco non le diede il tempo di pensare. Le slacciò la camicia, lasciando uscire quel seno perfetto, tondo e sodo, i capezzoli duri come pietre. “Cazzo, Isa,” disse, e le succhiò un capezzolo, facendola inarcare. Io, nascosto, mi slacciai i jeans, il cazzo che pulsava. Non riuscivo a staccare gli occhi.
Marco le tolse la camicia, lasciando il reggiseno di pizzo nero in mostra. “Voglio sentirti,” le disse, e le sue mani scivolarono sotto la gonna, trovando le mutandine. Isa gemette, spalancando le gambe. “Toccami,” sussurrò, e lui obbedì, sfregandole la fica attraverso il tessuto. “Sei già bagnata,” grugnì, e lei, con un sorriso peccaminoso, rispose: “Colpa tua.” Io mi toccavo, lento, cercando di non venire troppo in fretta. Marco le tolse le mutandine, lasciando la sua fica nuda, lucida di desiderio. “Che fica,” mormorò, prima di inginocchiarsi e leccarla. Isa si inarcò, le mani nei suoi capelli, gemendo: “Cazzo, sì, continua.” La sua voce era rauca, piena di bisogno.
Leccò a lungo, la lingua che scivolava dentro di lei, succhiandole il clitoride finché Isa non iniziò a tremare. “Sto venendo,” urlò, il corpo scosso da convulsioni. Il primo orgasmo la fece gridare, le cosce che stringevano la testa di Marco, il seno che ondeggiava a ogni spasmo. Io mi morsi il labbro, il cazzo che mi doleva per quanto era duro. Marco si alzò, il ghigno soddisfatto, e si sbottonò i pantaloni. “Non abbiamo finito,” disse, tirando fuori il cazzo, grosso e turgido. Isa lo guardò, gli occhi socchiusi, e disse: “Dammelo.”
Ma prima, voleva giocarci. Si inginocchiò davanti a lui, il seno ancora stretto nel reggiseno. “Voglio sentirlo qui,” disse, slacciando il pizzo e lasciando uscire le tette. Le strinse intorno al cazzo di Marco, muovendole su e giù, una spagnola che lo fece gemere. “Cazzo, Isa, sei una troia,” grugnì, spingendo tra le sue tette. Lei rise, la lingua che ogni tanto leccava la punta del cazzo. “Ti piace, eh?” disse, accelerando. Io, nascosto, mi segavo, immaginando il mio cazzo al posto del suo, tra quel seno perfetto. Marco le afferrò i capelli, guidandola, il respiro corto. “Sto per sborrare,” disse, ma lei lo fermò. “Non ancora,” sussurrò. “Voglio sentirti dentro.”
Si alzò, lo fece sedere sul divano e gli salì sopra. La gonna era ancora arrotolata sui fianchi, e senza mutandine, la sua fica era pronta. Si abbassò lentamente, prendendogli il cazzo, centimetro dopo centimetro, finché non lo ebbe tutto dentro. “Cazzo, sei grosso,” gemette, iniziando a cavalcarlo. Marco le afferrò i fianchi, spingendo verso l’alto, ogni colpo accompagnato da un suono bagnato. “Scopami la fica,” urlò Isa, e lui obbedì, sbattendola con una foga che faceva tremare il divano. Io mi toccavo, seguendo il loro ritmo, i gemiti di Isa che mi mandavano fuori di testa.
Dopo un po’, lei rallentò, il respiro corto. “Sto venendo di nuovo,” ansimò, e il secondo orgasmo la colpì, più intenso del primo. Il suo corpo tremò, la testa buttata indietro, il seno che ballava mentre gridava: “Cazzo, sì, sto sborrando!” Marco non si fermò, continuando a scoparla finché lei non collassò su di lui, ansimante. Ma non era finita. “Voglio di più,” disse, con un sorriso peccaminoso. Si alzò, si girò, e si mise a pecorina sul divano, il culo in alto. “Prendimi il culo,” disse, e io trattenni il fiato.
Marco esitò, ma solo per un istante. Sputò sulla mano, lubrificando il cazzo, e poi le sfregò l’ano, preparando il terreno. “Sei sicura?” chiese, e lei, con un gemito, rispose: “Fottimi il culo, Marco.” Lui spinse, lento, entrando piano. Isa gemette, un misto di dolore e piacere, ma non lo fermò. “Cazzo, è stretto,” grugnì Marco, muovendosi con cautela. Lei si rilassò, spingendo indietro, e presto lui la stava scopando, ogni colpo più profondo. “Sì, rompimi il culo,” urlò Isa, e io, nascosto, venni per la prima volta, sborrando contro il muro, ma continuai a toccarmi, incapace di smettere.
La scopò a lungo, alternando colpi lenti e profondi. Isa si toccava la fica mentre lui la prendeva, e presto il suo corpo iniziò a tremare di nuovo. “Sto venendo,” gridò, il terzo orgasmo che la fece collassare sul divano, il culo ancora pieno del cazzo di Marco. Il suo grido era animalesco, il corpo scosso da spasmi, la faccia affondata nei cuscini. Marco, ormai al limite, cambiò buco. “Voglio sborrarti nella fica,” disse, e la girò, spalancandole le gambe. La penetrò di nuovo, sbattendola con furia. “Riempimi,” urlò Isa, e lui, con un ruggito, venne, sborrando dentro di lei, fiotti caldi che la fecero gemere. “Cazzo, sì,” sussurrò, mentre lui collassava su di lei, il cazzo ancora dentro.
Io, nascosto, venni di nuovo, il respiro corto, il corpo che tremava. Mi ritirai in camera, fingendo di aver finito la chiamata. Quando tornai in salotto, Isa aveva la camicia abbottonata male, il rossetto sbavato, e Marco sorrideva, soddisfatto. “Tutto bene, Andre’?” mi chiese, e io annuii, incapace di guardarlo negli occhi. Ma dentro di me bruciavo. Avevo visto tutto: il cazzo di Marco tra le tette di Isa, nella sua fica, nel suo culo, la sborra che le riempiva. E volevo di più. Sapevo che Isa, con quella fame negli occhi, non si sarebbe fermata. E io sarei stato lì, a guardare ogni uomo che la scopava, ogni orgasmo che le strappava.
[Racconto di fantasia da un racconto di un utente di A69]
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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