bdsm
Michela una vita da sottomessa Atto 1


06.06.2025 |
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"“A-ahhh!” urlo, il dolore che si mescola al piacere..."
Mi sveglio con un gemito strozzato, il corpo dolorante come se fosse stato travolto da un’onda selvaggia. Ogni muscolo protesta, ma il mio culo è una sinfonia di dolore, largo, pulsante, ancora segnato dalla serata al club. Barcollo verso il bagno, ogni passo un’agonia che mi ricorda chi sono ora: una schiava, la proprietà di Daniela. Sul lavandino, il plug mi fissa, lucido, enorme, la base che brilla sotto la luce fredda del neon. Lo prendo in mano, tremando. La mia mente vola a ieri sera, al club, a quelle ore di umiliazione e piacere che mi hanno spezzata e rimodellata. Le parole di Sabrina, mia sorella maggiore, mi ronzano in testa, insieme al messaggio WhatsApp che mi ha mandato: “Lunedì ti aspetto al lavoro, troia. E ti voglio vestita come si deve.” Gli ordini di Daniela erano chiari: minigonna, calze a rete, niente intimo, camicia trasparente, e il plug, sempre. Lubrico il plug, piegandomi leggermente. “A-ahhh…” gemo mentre la base larga mi dilata, riempiendomi con una pressione che mi fa bruciare. Lo sento premere dentro, un promemoria costante della mia sottomissione. Ansimando, apro l’armadio. Vuoto di abiti adatti. Solo vestiti sobri, inutili per la nuova me. “Devo fare compere,” penso, il frustrazione che si mescolano a un desiderio oscuro. Frugo nei cassetti: trovo la guepière della sera prima, calze nere di seta, un reggicalze. Li indosso, il tessuto che mi stringe la vita, esaltando le mie curve. Nell’auto, una giacca nera, appena lunga abbastanza da coprirmi le natiche. Mi guardo allo specchio. La giacca lascia intravedere il reggicalze, le calze a rete, e se mi muovo, il mio sesso rasato è esposto. L’odore della mia fica, già umida, mi avvolge, un muschio caldo e invitante che mi tradisce. “Sono una troia,” penso, ma un sorriso mi sfiora le labbra. “E sono felice di appartenere a qualcuno.”
Scendo in strada, diretta alla macchina. Ogni passo è un’agonia: il plug mi riempie, i tacchi alti mi fanno ondeggiare, e la giacca si solleva, esponendomi. L’odore della mia eccitazione si diffonde, e sento il liquido caldo colarmi lungo le cosce. I passanti mi fissano, alcuni con disprezzo, altri con desiderio. Una donna scuote la testa, un uomo mi fischia dietro. Io cammino a testa alta, il cuore che batte forte, eccitata dall’essere così sfacciata. Mi sento viva, desiderata, anche se in modo sporco. Parcheggio al solito posto in ufficio, e scendendo dall’auto, la giacca si alza. Clara, una dipendente timida del reparto contabilità, mi vede. I suoi occhi si spalancano, fissando la mia intimità esposta. Arrossisco, ma non mi copro. “Buongiorno, Clara,” dico con un sorriso, e lei balbetta, distogliendo lo sguardo.
L’ufficio è un open space moderno, con due lunghe file di scrivanie di legno chiaro, separate da un corridoio centrale. Le postazioni sono ordinate, monitor accesi, carte sparse, il ronzio delle stampanti in sottofondo. Le grandi finestre lasciano entrare la luce del mattino, illuminando i volti dei miei dipendenti, che alzano lo sguardo mentre passo. L’odore della mia fica mi segue, un profumo muschiato che si mescola all’aria condizionata. Sento il liquido scivolarmi sulle cosce, ogni passo un’umiliazione che mi fa pulsare di desiderio. Il plug vibra improvvisamente, un comando remoto di Daniela. “Oh…” gemo piano, soffocando il suono. Il ronzio è basso ma distinto, e tutti si guardano intorno, confusi. I loro occhi si posano su di me, e io sorrido, strafottente. “La giornata è appena iniziata,” penso, le gambe che tremano.
Cammino lentamente, ancheggiando, il plug che stimola ogni nervo. Gli sguardi mi trafiggono: alcuni ridacchiano, altri sussurrano. Il mio seno, libero sotto la giacca, ondeggia, i capezzoli turgidi visibili attraverso il tessuto. L’odore della mia eccitazione è ormai innegabile, e il desiderio mi brucia dentro. Voglio essere toccata, umiliata, posseduta. Arrivo al mio ufficio, una stanza con pareti di vetro satinato che lasciano intravedere ombre indistinte. Chiunque passi può intuire cosa succede dentro, senza vedere i dettagli. Entro, e Luciana è lì, rasoio in mano. “Buongiorno, dottoressa,” dice con un sorriso malizioso. Mi siedo sulla poltrona, allargo le gambe come Daniela mi ha ordinato, esponendo il mio sesso. L’odore della mia fica riempie la stanza, e Luciana lo nota. “Oh, guarda che meraviglia,” mormora, fissando il plug luminoso e vibrante. “E questa figa… così aperta, così dilatata. Cosa ti è successo, Michela?” Gemo piano, il plug che mi tormenta. “N-niente… solo… la mia Padrona…” balbetto.
Luciana passa il rasoio sulle mie grandi labbra, ogni tocco un’esplosione. Sono fradicia, e lei lo vede. “Sei proprio una troia,” dice, infilando quattro dita dentro di me. “A-ahhh!” urlo, il dolore che si mescola al piacere. La mia figa, dilatata dal club, le accoglie, ma quando spinge tutta la mano, il bruciore è intenso. “Cazzo, Luciana… fa male…” gemo, ma il mio corpo si inarca verso di lei. “Non ci credo, ti entra tutta,” sussurra, sbalordita, spingendo. Il suo pugno mi riempie, un’invasione che mi fa urlare: “Ohhh, sììì… sto godendo!” Il piacere è travolgente, il dolore un amplificatore. Ansimo, il mio sesso pulsa, e Luciana ride, soddisfatta.
La porta si apre, e l’aria cambia. Daniela entra, e la tensione si taglia con un coltello. Il suo profumo, speziato e autoritario, invade la stanza. I suoi tacchi risuonano sul pavimento, ogni passo un avvertimento. Mi fissa, i suoi occhi scuri che mi spogliano di ogni difesa. “Brava, Michela,” dice, la voce bassa, carica di promesse oscure. Sento il cuore accelerare, il desiderio mi stringe la gola. Voglio compiacerla, essere sua, anche se significa distruggermi. Luciana si ritrae, il suo pugno esce con un suono umido. Daniela mi prende per un braccio, la sua stretta ferma. “Andiamo da tua sorella,” ordina. Il mio stomaco si contorce. Sabrina. La seguo, il plug che vibra, il mio culo dolorante, l’odore della mia eccitazione che mi segue come una scia.
Il bagno di Sabrina è un cubicolo di piastrelle bianche, l’odore acre di urina che mi colpisce come uno schiaffo. Il wc è sporco, segno che Daniela e Sabrina l’hanno usato. Sabrina è lì, nuda, con uno strap-on mostruoso: largo 8 cm, lungo 30 cm, nero e lucido. “In ginocchio, troia,” ringhia. Obbedisco, il pavimento freddo contro le mie ginocchia. Mi afferra per i capelli, spingendo la mia faccia nel wc con un colpo secco mi strappa il plug dal culo. L’odore è nauseante, il liquido giallo mi sfiora le labbra. “Lecca,” ordina. Esito, ma Daniela mi sculaccia, ed io mi sento umiliata. “A-ah… va bene…” balbetto, tirando fuori la lingua. Il sapore è amaro, disgustoso, ma la mia sottomissione mi eccita. Sabrina ride, tirandomi indietro.
“Ora ti sfondo, sorellina,” dice, posizionandosi dietro di me. La punta del fallo preme contro il mio ano, ancora dolorante. “No, Sabry, ti prego… è troppo grande…” supplico, ma spinge, senza pietà. “Aaaaahhh!” urlo, il dolore è lancinante, come se mi squarciasse. Il mio culo si dilata oltre ogni limite, accogliendo quell’intruso. Ogni centimetro è un’agonia, un fuoco che mi consuma. Sabrina affonda con forza, il ritmo brutale. “Cazzo, Michela, sei una cagna da monta,” ringhia, ogni colpo che mi sbatte contro il wc. La mia faccia sfiora il liquido puzzolente, l’odore che mi soffoca. “Ohhh… mi stai… uccidendo…” gemo, ma il dolore si trasforma. Il fallo mi riempie, e il piacere mi travolge. “S-sì… cazzo, Sabry… sto godendo!” urlo, la voce spezzata. Mi sculaccia, i suoi insulti si mescolano ai miei gemiti: “Troia, sei la mia puttana!” Ogni affondo è un’esplosione, il mio ano brucia, ma il piacere è animalesco. L’orgasmo mi colpisce come un’onda, un urlo strozzato: “Ohhh… cazzooo! Sto venendo… come una cagna!” Il mio sesso gocciola, il mio culo pulsa, e crollo, ansimando.
Daniela mi tira su. “Brava, schiava.” Mi inginocchio, esausta, e lei si mette dietro di me. Sento un calore liquido invadermi l’ano: mi sta pisciando dentro. L’odore è forte, il calore mi fa rabbrividire. “Oh… Padrona…” gemo, umiliata ma eccitata. Poi, mi infila il plug, sigillando il suo fluido. “Questo ti terrà piena,” dice, ridendo. Il plug riprende a vibrare, e io gemo, il mio corpo un tradimento costante. “Ora vai a lavorare, troia,” ordina. Esco, il dolore che mi accompagna, ma anche un senso di appartenenza. Sono la loro schiava, e non voglio essere altro.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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