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Giulia: il ricatto bastardo


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
04.06.2025    |    2.852    |    2 9.4
"Marco, in piedi accanto a lei, il volto una maschera di controllo, si irrigidì..."
La pioggia scivolava sulle strade di Milano, riflettendo le luci al neon dei cartelloni pubblicitari in un mosaico sfocato. Giulia camminava a passo rapido, il cuore che le martellava nel petto, i tacchi che ticchettavano sul marciapiede bagnato. Indossava un vestito nero aderente, cortissimo, che si incollava alle sue curve come una seconda pelle, mettendo in risalto la sua quarta di seno e i fianchi che ondeggiavano a ogni passo. Non portava intimo, come Luca le aveva ordinato, e la sensazione del tessuto ruvido contro la sua pelle nuda la faceva sentire vulnerabile, esposta, ma anche stranamente viva. Accanto a lei, Marco camminava in silenzio, il volto teso, gli occhi castano scuro nascosti dietro un paio di occhiali dalla montatura scura. Quegli occhiali, un gadget da ingegnere con una microcamera integrata, erano la sua arma segreta, ma Giulia non lo sapeva ancora. “Sei sicura di volerlo fare, Giulia?” chiese, la voce bassa, un misto di preoccupazione e frustrazione. Lei lo guardò, i suoi occhi verdi che brillavano sotto la luce dei lampioni, carichi di paura ma anche di quella scintilla di audacia che la rendeva così imprevedibile. “Non ho scelta, Zio Marco,” mormorò, mordendosi il labbro inferiore, un gesto che faceva quando era nervosa. “Ma tu… tu sei qui con me, vero?” Marco annuì, il cuore pesante, il senso di colpa che già lo divorava per ciò che era successo tra loro e per ciò che stava per accadere.
Tutto era iniziato due settimane prima, in una notte che Giulia pensava fosse solo un altro dei suoi momenti di debolezza. Dopo una serata di eccessi in un locale del Naviglio, si era rifugiata da Marco, come sempre, cercando protezione e conforto. Luca, il suo ragazzo, non era solo carismatico e inaffidabile: era ossessivo, geloso, e aveva un lato oscuro che Giulia aveva sottovalutato. Quella sera, aveva condiviso la sua posizione con lui tramite un’app, un’abitudine che le sembrava innocua, un modo per tenerlo tranquillo. Ma Luca non si fidava. Quando Giulia era sparita nel nulla, diretta all’appartamento di Marco vicino al Duomo, lui l’aveva seguita, guidato dal puntino lampeggiante sul suo telefono. Parcheggiato nel piazzale di fronte al palazzo, un’area buia e poco frequentata, Luca aveva alzato lo sguardo verso le finestre illuminate dell’appartamento di Marco. Non c’erano tende, una scelta di design che Marco aveva fatto per lasciare entrare la luce del giorno, ma che quella notte si era rivelata fatale. Attraverso il vetro, Luca aveva visto tutto: Giulia, nuda, i capelli castani che le ricadevano sulle spalle, il corpo illuminato dalla luce calda di una lampada mentre si avvicinava a Marco. Aveva visto i loro corpi intrecciarsi, i gesti frenetici, i gemiti che non poteva sentire ma che immaginava. Con il telefono in mano, aveva scattato foto, una dopo l’altra, catturando ogni momento: Giulia in ginocchio, la bocca sul cazzo di Marco, il volto di lui contratto dal piacere, il modo in cui la nipote lo aveva cavalcato con una passione selvaggia. Le immagini erano sfocate, scattate da lontano, ma inequivocabili. Luca aveva trovato il suo biglietto d’oro, un’arma per controllare Giulia e soddisfare i suoi desideri più oscuri.
Quella mattina, il messaggio era arrivato come un fulmine. Giulia era in aula, distratta come sempre, quando il suo telefono aveva vibrato. Lo schermo si era illuminato con un’anteprima che le aveva gelato il sangue: una foto di lei, nuda, con Marco. Sotto, un messaggio lungo, scritto con una freddezza che la fece tremare.
“Giulia, pensavi di potermi prendere in giro? So tutto. Ho le foto di te e tuo zio, la tua piccola perversione. Se non vuoi che le mandi a tua madre, a tuo padre, a tutta la tua fottuta famiglia, stasera ti presenti al loft in via Ripamonti, alle 23. Voglio vederti vestita da puttana, niente intimo, tanto non ti serve. Ho invitato degli amici, e tu sarai il nostro divertimento. Voglio la tua fica, il tuo culo, la tua bocca, e loro vorranno lo stesso. Porta anche tuo zio, se hai il coraggio. Se non vieni, domani queste foto saranno ovunque. Non provare a fare la furba.”
Giulia aveva letto e riletto il messaggio, il cuore che le scoppiava nel petto, le mani che tremavano. Luca non stava bluffando: le foto erano chiare, anche se scattate da lontano. Mostravano il suo corpo, i suoi seni pieni, il modo in cui si era abbandonata a Marco. Non poteva permettere che quelle immagini finissero nelle mani sbagliate, non poteva affrontare il giudizio della sua famiglia, già così distante e critica. Aveva chiamato Marco, la voce rotta, spiegandogli tutto. Lui aveva ascoltato in silenzio, il volto che si induriva, ma non l’aveva giudicata. “Ci penso io,” aveva detto, e quelle parole, così semplici, l’avevano fatta sentire al sicuro, anche solo per un momento.
Ora, mentre si avvicinavano al loft, Giulia sentiva il peso di quella decisione. Il vestito le aderiva alla pelle, i capezzoli visibili sotto il tessuto sottile, la mancanza di intimo che la faceva sentire nuda, come se ogni passo fosse un’esposizione. Luca l’aveva voluta così, umiliata, ridotta a un oggetto per i suoi amici, e lei, con il suo mix di ingenuità e bisogno di sentirsi desiderata, non aveva saputo dire di no. Marco, al suo fianco, era una roccia, ma i suoi occhi tradivano un conflitto: voleva proteggerla, ma il ricordo del loro ultimo incontro, del suo cazzo nella bocca di Giulia, del suo culo stretto che lo accoglieva, lo tormentava. Gli occhiali che indossava non erano solo un accessorio: erano dotati di una microcamera che registrava in alta definizione, collegata a un software di riconoscimento facciale che usava per lavoro. Non aveva detto nulla a Giulia, ma aveva un piano. Avrebbe lasciato che Luca pensasse di avere il controllo, ma ogni volto, ogni gesto, sarebbe stato registrato.
Arrivarono al loft, un edificio abbandonato con pareti di cemento screpolate e un odore di muffa che si mescolava al fumo delle sigarette. La musica techno rimbombava, le luci al neon pulsavano in un ritmo ipnotico, illuminando a tratti una folla di sconosciuti: uomini con sguardi famelici, donne che si muovevano sinuose, un’atmosfera di decadenza e pericolo. Luca li aspettava all’ingresso, un sorriso arrogante sul volto, i capelli disordinati e un’aria da padrone. Indossava una camicia aperta sul petto, un bicchiere di whisky in mano. “Benvenuti,” disse, squadrando Giulia dalla testa ai piedi, il suo sguardo che si soffermava sui suoi seni, sulla curva dei fianchi. “Proprio come ti volevo, piccola porca.” Poi si voltò verso Marco, un sopracciglio alzato. “E tu, zio, sei qui per guardare o per giocare?” La parola “zio” era carica di scherno, un coltello che affondava nella ferita di Marco. Lui strinse i pugni, ma mantenne il controllo, gli occhiali che catturavano ogni dettaglio del volto di Luca. “Fai strada,” disse, la voce calma ma tagliente.
Luca rise, posando una mano possessiva sulla spalla di Giulia, facendola rabbrividire. La guidò attraverso la folla, verso una stanza sul retro, un privé con tende pesanti e divani di pelle logora. Una decina di uomini li aspettava, i volti illuminati da sorrisi lascivi, gli occhi che divoravano il corpo di Giulia. “Lo spettacolo inizia,” disse Luca, spingendola al centro della stanza. Giulia si morse il labbro, il cuore che le batteva forte, il suo corpo che tradiva un’eccitazione che la spaventava. Marco, dietro di lei, la guardava, il volto impassibile, ma dentro di sé era un groviglio di rabbia, desiderio e paura. Gli occhiali continuavano a registrare, e lui sapeva che quella notte avrebbe cambiato tutto.
L’aria nel loft era densa, impregnata di fumo, sudore e un sottofondo di profumo scadente che si mescolava al ritmo pulsante della musica techno. Le luci al neon, intermittenti, gettavano ombre irregolari sulle pareti screpolate, creando un’atmosfera che oscillava tra il surreale e il pericoloso. Giulia, al centro della stanza sul retro, un privé con tende pesanti e divani di pelle logora, sentiva gli sguardi di una decina di uomini come una carezza invadente. Il suo vestito nero, aderente e corto, era già a terra, lasciandola nuda, vulnerabile, ma con quel fuoco negli occhi verdi che tradiva un’eccitazione che non riusciva a nascondere. La paura che Luca rivelasse il loro segreto l’aveva spinta a presentarsi, ma in fondo, dentro di sé, c’era una parte di lei che anelava a questa trasgressione, un desiderio oscuro che la faceva sentire viva, potente, anche se a caro prezzo. Luca, appoggiato a una parete, un sorriso arrogante sul volto, tamburellava una mazza da baseball contro il pavimento con un ritmo lento, minaccioso. “Allora, Giulia, sei pronta a saldare il tuo debito?” disse, la voce carica di scherno. “O devo aprirti io, con questa?” Indicò la mazza, e un brivido corse lungo la schiena di Giulia, un misto di terrore e di un’eccitazione perversa che la spaventava e la attirava allo stesso tempo.
Marco, in piedi accanto a lei, il volto una maschera di controllo, si irrigidì. Gli occhiali smart che indossava, con la microcamera integrata, stavano registrando ogni dettaglio: i volti degli uomini, i loro sorrisi lascivi, il modo in cui Luca brandiva la mazza come un trofeo. Il software di riconoscimento facciale, collegato al suo telefono, lavorava in silenzio, schedando ogni partecipante. “Lasciala stare, Luca,” disse Marco, la voce bassa ma tagliente, un avvertimento che nascondeva una tempesta interiore. Luca rise, un suono gutturale, e si avvicinò a Giulia, posandole una mano sul mento e costringendola a guardarlo. “Oh, zio, non fare il santo. So cosa fate voi due. E stasera, tu inizi per primo. O vuoi che lo faccia io con questa?” Sollevò la mazza, il gesto carico di minaccia. Gli uomini intorno ridacchiarono, i loro occhi fissi su Giulia, sul suo corpo nudo, i seni pieni che si alzavano e abbassavano al ritmo del suo respiro accelerato.
Marco guardò Giulia, i loro occhi che si incontravano per un istante. Nei suoi, vide paura, ma anche quel lampo di desiderio che lo aveva sempre spiazzato. “Fidati di me,” le sussurrò, così piano che solo lei poteva sentire. Giulia annuì, quasi impercettibilmente, e si lasciò condurre verso un vecchio tavolo di legno al centro della stanza, il piano graffiato e macchiato da anni di abbandono. Gli uomini la circondarono, formando un cerchio di ombre sotto le luci al neon. Marco si avvicinò, il cuore che gli martellava nel petto, il senso di colpa che si scontrava con un desiderio che non poteva ignorare. “Zio Marco…” mormorò Giulia, la voce tremula ma carica di un’intenzione che lo fece rabbrividire. Si distese sul tavolo, le gambe aperte, il corpo offerto come un sacrificio, ma i suoi occhi verdi lo incitavano, lo sfidavano. Marco si slacciò i pantaloni, il cazzo già duro, e si posizionò dietro di lei. Con una dolcezza che contrastava con l’atmosfera del loft, le accarezzò i fianchi, le dita che scivolavano sulla sua pelle calda. “Non voglio farti male,” sussurrò, ma la sua voce si incrinò quando le sue mani scesero sul suo culo, preparandola con cura, lubrificandola con un gel che aveva trovato su un tavolo vicino.
Luca osservava, il sorriso sempre più ampio, mentre gli altri uomini mormoravano, eccitati. “Forza, zio, falla godere, la tua puttanella,” disse Luca, la parola che colpì Giulia come uno schiaffo, ma che, in un angolo oscuro della sua mente, accese una scintilla. Marco, spinto dalla minaccia della mazza e dal desiderio che lo consumava, entrò in lei lentamente, il suo cazzo che scivolava nel suo culo stretto con una dolcezza che cercava di proteggerla. Giulia gemette, un suono che era un misto di dolore e piacere, le mani che si aggrappavano al bordo del tavolo. Marco iniziò a muoversi, gli affondi lenti, profondi, ogni spinta un dialogo silenzioso tra loro. “Sei così stretta,” mormorò, la voce rauca, mentre il ritmo aumentava, la passione che prendeva il sopravvento. Giulia inarcò la schiena, i seni che ondeggiavano, il suo corpo che rispondeva con una fame selvaggia. “Zio Marco… più forte,” lo incitò, la voce spezzata, e lui obbedì, spingendo con forza, il suo cazzo che la riempiva completamente. Ogni affondo era un’esplosione, il calore del suo culo che lo avvolgeva, il suono dei loro corpi che si scontravano che riempiva la stanza. Giulia gridò, il piacere che la travolgeva, il suo orgasmo che esplodeva come un’onda, il corpo scosso da spasmi mentre chiamava il suo nome, “Zio Marco!” Marco, travolto, venne dentro di lei, il calore che la riempiva, un gemito rauco che gli sfuggiva mentre si aggrappava ai suoi fianchi.
Ma non era finita. Marco si ritrasse, il respiro pesante, conscio di ciò che Luca e gli altri avevano in mente. Con un gesto rapido, infilò due dita nel culo della nipote, ancora pulsante, poi quattro, allargandola con delicatezza ma con decisione. “Devo prepararti,” sussurrò, mentre lei, ancora tremante, gemeva, il piacere che tornava a montare. “Sì… sono una troia,” mormorò Giulia, la voce carica di desiderio, mentre lo zio spingeva piano la mano, aprendola con cura. Luca, impaziente, si avvicinò, la mazza in mano. “Basta con le smancerie,” ringhiò, e con un gesto crudele infilò l’estremità della mazza da baseball nel culo di Giulia. Lei urlò, il dolore acuto ma attutito dalla preparazione di Marco, il suo corpo che si tendeva sotto la pressione. Gli uomini intorno, cinque ragazzi invitati da Luca, si avvicinarono, i cazzi in tiro, eccitati dalla scena surreale. “Succhiali, bocchinara,” ordinò Luca, spingendo la mazza più a fondo, costringendo Giulia ad aprire la bocca. Uno a uno, i ragazzi si fecero avanti, i loro cazzi che le riempivano la bocca, mentre Luca muoveva la mazza, facendola gemere e ingoiare fino alla gola. La scena era cruda, eccitante, un mix di umiliazione e piacere che alimentava il fuoco di Giulia.
Luca tolse la mazza, soddisfatto, e fu il primo a prenderla, penetrandola nel culo con forza, portandola quasi a un altro orgasmo. “Sei una puttana,” sibilò, mentre spingeva, il suo cazzo che la riempiva senza pietà. Poi si sdraiò su un vecchio materasso a terra, sporco e logoro, e gli altri fecero sedere Giulia sul suo cazzo, dandogli le spalle. Le aprirono la fica, e uno a uno iniziarono a prenderla, una doppia penetrazione che la fece urlare. Il primo aveva un cazzo medio, che scivolava facilmente nella sua fica bagnata, venendo rapidamente con un grugnito. Il secondo era più grosso, ogni spinta un mix di piacere e dolore, riempiendola di sperma caldo. Il terzo, con un cazzo enorme, la fece sentire lacerata, il suo corpo che si tendeva al limite, il dolore che si mescolava a un piacere devastante. “Troia, prendilo tutto,” ringhiò, mentre veniva, il suo sperma che si mescolava agli altri. Il quarto e il quinto continuarono, ognuno aggiungendo al mare di sperma che le colava dalla fica. Giulia continuava ad avere orgasmi in continuazione e tremava tutta completamente frastornata dal piacere. Luca, ancora nel suo culo, spingeva con forza, e quando venne, la riempì, il calore che la travolgeva. Giulia, esausta, un dolore pulsante sotto, faticava a rialzarsi, il corpo scosso da orgasmi e umiliazione.
Uno a uno, gli uomini se ne andarono, soddisfatti, lasciando solo Luca, Marco e Giulia nel loft. Marco, gli occhiali ancora attivi, aveva registrato tutto, il cuore pesante ma determinato a proteggere la nipote. Giulia, tremante, si appoggiò al tavolo, il corpo un groviglio di piacere e dolore, mentre Luca accendeva una sigaretta, compiaciuto.
Il loft era immerso in un silenzio opprimente, rotto solo dal ronzio intermittente della luce al neon che tremolava sopra il tavolo di legno.
Giulia, ancora tremante, si era rivestita in fretta, il vestito nero sgualcito che aderiva al suo corpo sudato, i capelli castani scompigliati che le cadevano sul viso. Il dolore pulsante tra le gambe e il calore umido che le colava dalla fica e dal culo la facevano sentire fragile, esposta, ma anche, in un modo che la spaventava, viva. Si appoggiò al tavolo, le gambe che cedevano leggermente, mentre cercava di ritrovare il respiro. Luca, appoggiato a una parete, accese una sigaretta, il fumo che si intrecciava con la luce fioca, il volto illuminato da un sorriso compiaciuto. “Non male, Giulia,” disse, la voce carica di un’arrogante soddisfazione. “Sei stata proprio la puttanella che volevo. E tu, zio,” aggiunse, voltandosi verso Marco con un ghigno, “hai fatto la tua parte. Uno spettacolo niente male.”
Marco, in piedi accanto a Giulia, il volto rigido come pietra, strinse i pugni. Gli occhiali smart, ancora attivi, avevano registrato ogni dettaglio: i volti, i gesti, le voci. Il software di riconoscimento facciale aveva già identificato ogni partecipante, nomi e dati salvati in due copie sicure nel cloud. Ma dentro di lui, la rabbia e il senso di colpa bruciavano come un fuoco. Aveva lasciato che accadesse, aveva partecipato, travolto dal desiderio e dalla gelosia, e ora il peso di quella notte lo schiacciava. Eppure, guardando Giulia, i suoi occhi verdi lucidi di lacrime ma anche di una forza che lo colpiva, sentì un’ondata di protezione, un bisogno disperato di salvarla. “Luca,” disse, la voce bassa, tremante di una furia trattenuta, “hai finito il tuo gioco. Ora ascolta bene.” Si avvicinò, il tono che si faceva più duro, ogni parola carica di emozione. “Ho registrato tutto. Ogni faccia, ogni nome. Il mio software ha schedato tutti i presenti. Ho due copie di quel video, al sicuro nel cloud. Se tocchi ancora Giulia, se provi a minacciarla di nuovo, la denuncia parte domani. E non sarà solo per te, ma per ogni singolo bastardo che era qui stasera.”
Luca sbiancò, la sigaretta che gli tremava tra le dita. “Stai bluffando,” balbettò, ma la sua voce mancava di convinzione. Marco tirò fuori il telefono, mostrando una schermata con i volti degli uomini, i loro nomi accanto, un elenco che sembrava una sentenza. “Prova a sfidarmi,” disse, gli occhi castano scuro che brillavano di una determinazione feroce. “Giulia non è il tuo giocattolo. Non lo sarà mai più.” La sua voce si incrinò, un misto di rabbia e dolore. “L’hai umiliata, l’hai usata, ma ora è finita. Sparisci dalla sua vita, o ti distruggo.”
Luca, furioso ma intrappolato, gettò la sigaretta a terra, schiacciandola con un gesto rabbioso. Si avvicinò a Giulia, puntandole un dito contro. “Non credere che sia finita, troia,” sibilò, ma le sue parole erano vuote, un ultimo tentativo di mantenere il controllo. Poi, con un’occhiata di disprezzo verso Marco, sbatté la porta del loft, il rumore che echeggiava come un punto finale.
Giulia, ancora appoggiata al tavolo, alzò lo sguardo su Marco. I suoi occhi verdi erano lucidi, ma non solo di lacrime: c’era gratitudine, un amore profondo che le stringeva il cuore. “Zio Marco…” sussurrò, la voce rotta, carica di emozione. “Mi hai salvata… di nuovo.” Si avvicinò, le gambe ancora deboli, e posò una mano sul suo petto, sentendo il battito accelerato del suo cuore. “Non so come fai… a vedermi, a capirmi, anche dopo tutto questo.” Le sue parole erano un soffio, un misto di vulnerabilità e desiderio. “Ti amo, Marco. Non come uno zio… ti amo come non ho mai amato nessuno.”
Marco la guardò, il volto segnato da un conflitto che lo dilaniava. “Giulia, non dovremmo…” iniziò, ma la voce gli si spezzò, gli occhi che tradivano un amore che lo spaventava. “Non voglio farti più male.” Ma Giulia scosse la testa, stringendosi a lui, il suo corpo caldo contro il suo. “Non mi fai male,” mormorò, le labbra vicine alle sue. “Mi fai sentire… me stessa. Anche quando sono spezzata.” La sua confessione era un grido silenzioso, un bisogno di essere amata per ciò che era, non per ciò che gli altri volevano da lei. Marco, travolto, la avvolse con le braccia, il senso di colpa che si mescolava a un amore che non poteva negare. In quel momento, nel loft vuoto, erano solo loro due, uniti da un legame proibito ma innegabile, un fuoco che bruciava più forte di qualsiasi vergogna.
Il loft, ormai vuoto, sembrava un guscio abbandonato, il silenzio rotto solo dal ronzio della luce al neon che tremolava sopra il tavolo di legno. Giulia, ancora appoggiata al bordo del tavolo, il vestito nero sgualcito che le aderiva al corpo sudato, alzò lo sguardo su Marco. I suoi occhi verdi, lucidi di lacrime e di un amore che le stringeva il cuore, cercavano i suoi, trovando in essi una solidità che la faceva sentire, per la prima volta quella sera, al sicuro. Marco, il volto segnato dalla stanchezza e dal tormento, si tolse gli occhiali smart, posandoli sul tavolo con un gesto lento, come se volesse liberarsi del peso di ciò che avevano registrato. “Andiamo via, Giulia,” disse, la voce bassa, carica di un’emozione che non riusciva a nascondere. “Non voglio che restiamo qui un secondo di più.” Le porse una mano, e lei la prese, le dita che si intrecciavano con le sue, un gesto semplice ma carico di intimità.
Uscirono dal loft, l’aria fresca della notte milanese che li accolse come un sollievo. Le strade erano silenziose, bagnate dalla pioggia che aveva smesso di cadere, lasciando un riflesso lucido sull’asfalto. Marco guidava la sua auto, una berlina nera che odorava di pelle e del suo profumo discreto, mentre Giulia, seduta accanto a lui, guardava fuori dal finestrino, il cuore ancora in tumulto. “Zio Marco,” sussurrò, rompendo il silenzio, “non so come ringraziarti. Mi hai tirata fuori da quel casino… di nuovo.” La sua voce tremava, ma non era solo gratitudine: c’era un amore profondo, un desiderio di appartenergli che la spaventava e la esaltava. Marco la guardò di sfuggita, gli occhi castano scuro che tradivano un conflitto interiore. “Non dovresti essere qui, con me,” mormorò, le mani strette sul volante. “Non dopo quello che è successo.” Ma Giulia scosse la testa, posandogli una mano sulla coscia, un gesto che era allo stesso tempo tenero e audace. “Non dire così. Sei l’unico che mi vede davvero. L’unico che… mi ama per quello che sono.” Le sue parole erano un soffio, un’ammissione che le scaldava il petto.
Arrivarono all’appartamento di Marco, un’oasi di ordine e calore nel caos di quella notte. Il palazzo elegante vicino al Duomo era silenzioso, le luci soffuse dell’ingresso che accoglievano i loro passi stanchi. Una volta dentro, Giulia si lasciò cadere sul divano, i capelli che le scivolavano sul viso, il corpo ancora scosso dalle emozioni. Marco le porse un bicchiere d’acqua, sedendosi accanto a lei, la distanza tra loro ridotta a pochi centimetri. “Devi riposarti,” disse, la voce morbida ma venata di preoccupazione. In quel momento, il telefono di Giulia vibrò, illuminandosi sul tavolino. Era sua madre. Giulia esitò, il cuore che le balzava in gola, ma rispose, portando il telefono all’orecchio. “Mamma?” disse, la voce incerta.
“Giulia, dove sei? È tardi, sono preoccupata,” rispose la voce di sua madre, tesa ma affettuosa. Giulia guardò Marco, trovando nei suoi occhi la forza di rispondere. “Sono… a casa di Zio Marco,” disse, un lieve tremore nella voce. “È stata una serata… forte. Resto a dormire qui, va bene?” Ci fu un momento di silenzio dall’altro capo, poi la madre parlò, il tono più caldo, rassicurato. “Va bene, tesoro. So che con tuo zio sei in buone mani. Marco si prende sempre cura di te.” Quelle parole, cariche di un’innocenza che nascondeva un segreto più oscuro, colpirono Giulia come un pugno. Sapeva del passato tra Marco e sua madre, quel profilo Instagram segreto che aveva scoperto, e ora quelle parole assumevano un significato ambiguo, quasi provocante. “Sì, mamma,” mormorò, un sorriso appena accennato sulle labbra. “Zio Marco è… speciale.”
“Fammi parlare con lui,” disse la madre, il tono improvvisamente più serio. Giulia passò il telefono a Marco, le loro dita che si sfioravano, un contatto che fece scorrere un brivido lungo la schiena di entrambi. “Sorella,” disse Marco, la voce calma ma con un’ombra di tensione. “Giulia sta bene, è solo stata una serata complicata. Non voglio annoiarti ora, ma… perché non vieni qui domani mattina? Parliamo, ti spiego tutto.” Il suo tono era controllato, ma c’era un pizzico di malizia, un invito che sembrava andare oltre le parole. “Abbiamo bisogno di vederti,” aggiunse, gli occhi fissi su Giulia, che lo guardava con un misto di desiderio e complicità.
Giulia riprese il telefono, la voce più sicura, quasi provocante. “Sì, mamma, vieni domani. Abbiamo… tanto da dirti.” Le sue parole erano cariche di un’intenzione che non osava esprimere apertamente, un gioco pericoloso che la eccitava. Sua madre, ignara, rispose con un semplice “Va bene, ci vediamo domani,” e riattaccò. Giulia posò il telefono, il cuore che le batteva forte, e si voltò verso Marco. “Non so cosa succederà domani,” sussurrò, avvicinandosi a lui, il suo corpo che cercava il suo calore. “Ma stasera… voglio solo te.” Lo baciò, un bacio lento, profondo, le lingue che si cercavano con una fame che parlava di amore, paura e desiderio. Marco la avvolse con le braccia, il suo tocco gentile ma possessivo, come se volesse proteggerla da tutto, anche da loro stessi.
Si alzarono, le mani ancora intrecciate, e si diressero verso la camera da letto. Non ci furono parole, solo il linguaggio dei loro corpi, un dialogo di carezze e sguardi. Giulia si spogliò lentamente, il vestito che cadeva a terra, rivelando il suo corpo ancora segnato dalla notte, ma ora offerto con una vulnerabilità che era solo per Marco. Lui la guardò, il desiderio che si mescolava al senso di colpa, ma non si tirò indietro. “Giulia…” iniziò, ma lei lo interruppe, posandogli un dito sulle labbra. “Non dire niente. Solo… amami.” Si sdraiarono sul letto, i loro corpi che si intrecciavano, un’unione che era proibita ma che, in quel momento, sembrava l’unica cosa reale. Marco la strinse, il suo calore che la avvolgeva come un rifugio, e Giulia, per la prima volta, si sentì non solo desiderata, ma amata.
Il loro legame, un fuoco che bruciava tra passione e tabù, si consolidava in quel silenzio. L’appartamento di Marco era un santuario, un luogo dove potevano essere loro stessi, anche solo per una notte. Ma l’ombra di ciò che li aspettava il giorno dopo, l’arrivo della madre di Giulia, incombeva come una promessa di confronto, di segreti che forse sarebbero venuti alla luce. Giulia, stretta a Marco, il suo respiro caldo contro il suo petto, si sentiva al sicuro, ma anche pronta a sfidare il mondo per lui. “Domani…” sussurrò, la voce carica di un misto di paura e determinazione, “facciamo vedere chi siamo davvero.” Marco non rispose, ma la strinse più forte, il cuore che batteva all’unisono con il suo, sospesi in un limbo di amore e trasgressione.

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