incesto
Giulia: L'aiuto dello zio


01.06.2025 |
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"Marco, in piedi accanto alla scrivania, il respiro pesante e il cazzo ancora pulsante nei pantaloni, era travolto da un turbine di emozioni..."
Giulia aveva vent’anni, una cascata di capelli castani che le ricadevano in onde morbide sulle spalle e un corpo che attirava sguardi ovunque andasse. La sua quarta di seno, messa in risalto da magliette aderenti e scolli generosi, era solo una parte del suo fascino espansivo. I suoi occhi verdi brillavano di una vivacità che catturava, ma nascondevano una vulnerabilità che pochi coglievano. Frequentava l’università, un corso di comunicazione a Milano, ma i suoi voti erano altalenanti, più per distrazione che per mancanza di intelligenza. Giulia viveva per l’istante, per l’adrenalina di una serata fuori o di un flirt che le facesse battere il cuore. Non era fatta per i libri, anche se ci provava, a sprazzi, spinta da un senso di colpa che svaniva non appena qualcuno la invitava a una festa.Il suo carattere era un misto di ingenuità e audacia. Giulia si buttava nelle esperienze senza pensarci troppo, guidata da un bisogno di sentirsi viva, desiderata, al centro dell’attenzione. Era come se cercasse di colmare un vuoto che non riusciva a definire, un’insicurezza radicata in anni di confronto con una madre perfezionista e un padre assente. Questo la portava a scelte impulsive, spesso ambigue, a volte pericolose. Si innamorava di ragazzi sbagliati – come Luca, il suo attuale problema, un tipo carismatico ma inaffidabile, con un giro di amici che odorava di guai. Quando si trovava in difficoltà, Giulia non chiedeva aiuto ai genitori: troppo distanti, troppo critici. Si rivolgeva sempre a Marco, suo zio, l’unico che sembrava capirla senza giudicarla.
Marco, cinquant’anni, era un ingegnere civile, un uomo rispettato nel suo campo. Dirigeva progetti complessi, ponti e infrastrutture, con una precisione che rifletteva il suo carattere: serio, metodico, affidabile. Non era mai stato un tipo che si lasciava andare a emozioni sfrenate; dopo la morte della moglie, cinque anni prima, si era chiuso ancora di più, trovando rifugio nel lavoro e nella sua passione per il ciclismo. Pedalava per ore sulle colline lombarde, il suo fisico asciutto e muscoloso testimoniava una disciplina che lo teneva in forma. I capelli brizzolati, ancora folti, e gli occhi castano scuro gli davano un’aria distinta, ma non priva di calore. C’era qualcosa di rassicurante in lui, una solidità che contrastava con la vita caotica di Giulia.
Era un venerdì sera di inizio primavera, e Milano si stava risvegliando con i primi aperitivi all’aperto. Giulia era nei guai, di nuovo. Luca, il suo ragazzo da qualche mese, l’aveva trascinata in una situazione scomoda: un debito di poche centinaia di euro con un tizio che non sembrava il tipo da accettare ritardi. Non era la prima volta che Luca la metteva in difficoltà, ma Giulia, con il suo mix di ingenuità e desiderio di apparire forte, non aveva saputo dire di no. Ora, spaventata, si era rifugiata nell’unico posto dove si sentiva al sicuro: l’appartamento di Marco, in un palazzo elegante vicino al Duomo.
Marco aprì la porta, il volto segnato da una stanchezza che non derivava solo dal lavoro. “Giulia, che succede stavolta?” chiese, la voce calma ma con un pizzico di preoccupazione. Indossava una camicia azzurra, le maniche arrotolate che lasciavano intravedere i muscoli definiti delle braccia, frutto di anni di ciclismo. Giulia, con un top nero aderente che evidenziava le sue curve e un paio di jeans stretti, si lasciò cadere sul divano, i capelli che le scivolavano sul viso.
“È Luca,” disse, mordendosi il labbro inferiore, un gesto che faceva quando era nervosa. “Ha combinato un casino, e ora… beh, devo sistemare una cosa, o sono guai.” Non entrò nei dettagli, non subito. Sapeva che Marco avrebbe ascoltato, avrebbe cercato di capire, anche se a volte la guardava con un misto di affetto e frustrazione.
Dentro di sé, Giulia era un groviglio di emozioni. Si sentiva viva solo quando era al centro dell’attenzione, ma questo la portava a scelte che la lasciavano vulnerabile. La sua espansività era una maschera per nascondere un’insicurezza profonda: temeva di non essere abbastanza, di non essere amata per ciò che era davvero. Questo la spingeva verso persone come Luca, che le davano un’illusione di intensità, ma la lasciavano sempre a raccogliere i pezzi. Con Marco, però, era diverso. Lui la vedeva, la ascoltava, e anche se non approvava le sue scelte, non la faceva mai sentire sbagliata. Questo la attirava, in un modo che non riusciva a spiegarsi del tutto. Era un’attrazione ambigua, un misto di bisogno di protezione e di qualcosa di più profondo, che la spaventava e la intrigava allo stesso tempo.
Seduti sul divano, con un bicchiere acqua che Marco le aveva offerto per calmarla, Giulia iniziò a raccontare. La sua voce tremava, ma il suo corpo parlava un linguaggio diverso: si sporgeva verso di lui, i suoi gesti erano fluidi, quasi provocanti. “Non so come faccio a cacciarmi sempre in questi casini,” disse, ridendo nervosamente, mentre si passava una mano tra i capelli, lasciando che il top si sollevasse leggermente, mostrando un accenno di pelle. Marco la guardava, il volto impassibile, ma i suoi occhi tradivano un conflitto. Sapeva che avrebbe dovuto mantenere le distanze, ma c’era qualcosa nel modo in cui Giulia si muoveva, nel modo in cui cercava il suo sguardo, che lo metteva a disagio.
“Ti tirerò fuori da questa situazione, come sempre,” disse lo zio, alzandosi per prendere il telefono, forse per chiamare un contatto che potesse aiutarla. Ma Giulia gli posò una mano sul braccio, fermandolo. “Aspetta,” sussurrò, il tono più morbido, quasi intimo. “Non voglio solo il tuo aiuto, Marco. Voglio… voglio che tu capisca.” Le sue parole erano ambigue, cariche di un’intenzione che non osava esprimere apertamente. Marco si irrigidì, ma non si scostò. La stanza sembrava improvvisamente più piccola, l’aria più densa.
Questa era solo l’inizio. La tensione tra loro stava crescendo, alimentata dal bisogno di Giulia di sentirsi protetta e dal desiderio, ancora inespresso, che iniziava a insinuarsi. Marco, con la sua solidità e il suo passato di uomo che aveva sempre controllato le proprie emozioni, ascolta ed osserva.
Giulia posò il bicchiere sul tavolino, il cuore che le martellava nel petto. I suoi occhi verdi brillavano di un misto di sfida e desiderio, il top nero che aderiva alla sua quarta di seno, mettendo in risalto ogni curva. “Zio Marco,” sussurrò, la voce carica di un’intenzione che non lasciava spazio a dubbi. Si alzò, i fianchi che ondeggiavano mentre si avvicinava, il profumo di vaniglia che avvolgeva l’aria. Marco, seduto, la guardava, il volto teso, il suo autocontrollo già fragile. “Giulia, non dovremmo…” iniziò, ma lei lo interruppe, posandogli una mano sui pantaloni, le dita che sfioravano il suo cazzo duro attraverso il tessuto. “Non dire niente, Zio Marco,” mormorò, stringendo leggermente, il contatto che lo fece rabbrividire. Il desiderio di Giulia era un fuoco: voleva sentirsi potente, desiderata, e il tabù la eccitava oltre ogni limite. Con un movimento deciso, aprì la zip, tirando fuori il suo piacere, caldo e pulsante nella sua mano. Si inginocchiò, guardandolo negli occhi. “Dillo che tua nipote è una vera porca,” disse, la voce rotta dal desiderio, prima di prenderlo in bocca, la lingua che lo accarezzava con audacia. Marco gemette, il controllo che si sgretolava. “Siii,” ansimò, le mani che afferravano i capelli di Giulia, spingendo la sua testa sul suo cazzo duro. Lei succhiava con passione, il cuore che batteva forte, sentendosi viva, vulnerabile, ma in controllo. Ogni movimento era un gioco di potere, un modo per reclamare Zio Marco, per spezzare ogni barriera. Lui, perso nel piacere, la guardava, gli occhi pieni di un desiderio che lo terrorizzava. “Sei una porca,” mormorò, la voce spezzata, mentre spingeva più forte, il loro legame proibito che li consumava. Giulia, con il cazzo dello zio in bocca, si sentiva al centro del mondo, il tabù che amplificava ogni sensazione, il desiderio che li trascinava entrambi verso l’abisso.
Giulia si alzò, il corpo fremente, il sapore di Zio Marco ancora sulle labbra. “Zio Marco, prendimi,” sussurrò, tirandolo verso il divano. Lo spogliò con urgenza, la camicia di lui che cadeva, rivelando il torso muscoloso. Marco, ormai senza difese, la afferrò, le loro bocche che si scontravano in un bacio selvaggio, lingue che si cercavano con fame. Giulia si tolse il top, i seni pieni che si offrivano a lui, mentre i jeans scivolavano via, lasciando la sua fica bagnata esposta. Lo guidò, prendendogli il cazzo con una mano e posizionandolo contro di sé. Quando lo zio entrò nella sua fica, fu come un’esplosione: calda, accogliente, quasi familiare, come se quel luogo fosse fatto per lui. Marco gemette, sentendo il calore umido che lo avvolgeva, la sensazione così intima che lo fece tremare. “Dio, Giulia,” ansimò, ogni spinta un’immersione in un piacere che lo consumava. La fica di Giulia era stretta, pulsante, e ogni movimento era un dialogo di corpi, un’unione proibita che li legava. Giulia inarcò la schiena, le unghie conficcate nelle sue spalle, gridando: “Zio Marco, più forte!” Il piacere la travolgeva, il suo corpo che rispondeva con una fame insaziabile. Marco, perso in quel calore familiare, sentiva il cuore battere all’impazzata, il desiderio che lo rendeva schiavo di quella connessione. Ogni affondo era un atto di resa, la sua nipote che lo trascinava in un vortice di passione. Quando l’orgasmo colpì Giulia, fu un’esplosione: gridò, il corpo scosso da spasmi, la fica che si contraeva attorno al cazzo di Marco, stringendolo in un abbraccio che lo fece quasi crollare. “Zio Marco!” urlò, il nome un grido di estasi. Lui continuò, travolto, il calore della sua fica che lo avvolgeva come un rifugio, il loro legame che sfidava ogni regola, un fuoco che li consumava in un’estasi proibita.
Giulia, ancora tremante, si girò, il corpo vibrante di desiderio. “Zio Marco, sei un vero porco,” disse, un sorriso malizioso sulle labbra mentre si appoggiava al divano, offrendo il culo. “Prendimi, porco,” sussurrò, gli occhi verdi che lo sfidavano. Marco, il cazzo ancora duro, sentì il desiderio pulsare, il senso di colpa ormai sepolto sotto la passione. Preparò il suo culo con cura, le dita che la lubrificavano mentre lei gemeva, il suono che lo faceva impazzire. “Fallo, porco,” lo incitò Giulia, e Marco, con un gemito, la penetrò lentamente, il cazzo che scivolava nel suo culo stretto, la sensazione intensa che lo travolse. “Dio, Giulia,” ansimò, mentre iniziava a muoversi, ogni spinta un’esplosione di piacere. Giulia si aggrappava al divano, i seni che ondeggiavano, il corpo che si abbandonava. “Sì, porco, così,” gemette, spingendosi contro di lui, il tabù che amplificava ogni sensazione. Il piacere era un fuoco, il suo corpo che rispondeva con una fame selvaggia. Marco, perduto, vedeva in lei una forza che lo consumava, il cazzo che si muoveva con un ritmo sempre più intenso. Giulia si sentiva viva, il dolore e il piacere che si mescolavano, il suo culo che accoglieva il cazzo di Zio Marco come un atto di ribellione. Quando il secondo orgasmo la colpì, fu devastante: gridò, il corpo scosso da tremori, il culo che si stringeva attorno al cazzo di Marco, il piacere che la spezzava. “Porco!” urlò, il nome un grido di trionfo. Marco spingeva come in estasi. Ogni movimento era un’ammissione di colpa e desiderio.
Giulia, il corpo ancora scosso dai suoi orgasmi, si alzò, il sorriso carico di trionfo e si posizionò davanti al divano nuda. “Non è finita, Zio Marco,” disse, guidandolo verso la scrivania di legno nello studio. Si sedette sul bordo, i seni esposti, le gambe aperte in un invito audace e fece sedere lo zio sulla sedia. “Voglio farti venire, porco,” sussurrò, sollevando un piede e posandolo sul cazzo di Marco, ancora duro. Le sue dita lo sfiorarono, stringendo e segandolo. Il cazzo di Marco, pulsante, era caldo sotto il suo tocco. Giulia iniziò a massaggiarlo con i piedi, il tallone che premeva sui testicoli, le dita che si chiudevano attorno, movimenti lenti ma decisi. Marco gemette, le mani che afferravano la scrivania, il cuore che batteva forte. “Giulia…” ansimò, gli occhi fissi su di lei, sul suo corpo che lo tentava. Giulia intensificò il ritmo, i piedi che lavoravano il cazzo con una maestria che lo faceva impazzire. “Dillo che sono una porca,” lo sfidò, il tono carico di desiderio. Marco, perduto, la guardava, il controllo ormai un ricordo. “Sei una porca,” gemette, mentre lei continuava, il cazzo che rispondeva a ogni movimento. Giulia si sentiva potente, il potere della seduzione che la faceva brillare, ma anche vulnerabile, come se stesse dando tutto di sé. “Vieni per me zio” sussurrò, e quelle parole lo spezzarono. Con un ultimo movimento rapido dei piedi, Marco raggiunse l’orgasmo, un’esplosione che lo fece tremare, il suo seme che si spargeva ed imbrattava i piedi della nipote mentre un grido rauco gli sfuggiva. Giulia sorrise, il cuore che batteva forte, il trionfo mescolato a un’ombra di paura per ciò che avevano fatto. Marco, ansimante, la guardava, il cazzo ancora pulsante, sospeso in un limbo.
Giulia, ancora seduta sulla scrivania, il corpo nudo e il respiro corto, sentì un’ondata di emozioni travolgerla. Il piacere che aveva appena vissuto, il cazzo di Zio Marco che l’aveva posseduta, era stato un fuoco che l’aveva consumata, ma ora il peso di ciò che avevano fatto si abbatteva su di lei. Si sentiva potente, come se avesse conquistato qualcosa di proibito, ma anche vulnerabile, esposta. Il suo cuore batteva forte, non solo per l’orgasmo, ma per la consapevolezza di aver attraversato un confine che non poteva essere cancellato. “Zio Marco,” mormorò, la voce tremula, mentre si rivestiva lentamente, il top che copriva i seni ancora sensibili. Dentro di sé, Giulia era un groviglio di emozioni: il desiderio di sentirsi desiderata si mescolava alla paura di essere giudicata, di aver tradito la sua famiglia. La sua impulsività l’aveva spinta a sedurre Marco, a chiamarlo “porco” mentre lo trascinava nel suo gioco, ma ora si chiedeva se fosse stata davvero lei a volerlo o se fosse stata solo la sua fame di attenzione. Ogni volta che si trovava in situazioni ambigue, come con Luca, era per colmare un vuoto, per sentirsi viva. Ma con Zio Marco era diverso: c’era una connessione, un’intimità che la spaventava. Si sentiva in colpa, ma anche attratta da lui in un modo che non riusciva a spiegare. Guardandolo, con il suo desiderio ancora visibile nei pantaloni slacciati, si chiese se avesse fatto un errore o se fosse stato l’unico momento in cui si era sentita davvero se stessa. La sua mente tornava a un ricordo, un segreto che aveva scoperto mesi prima, e che ora le pesava come un macigno. Non poteva dirglielo, non ancora, ma quel segreto la spingeva a volerlo, a voler superare ogni limite, anche se significava rischiare tutto.
Marco, in piedi accanto alla scrivania, il respiro pesante e il cazzo ancora pulsante nei pantaloni, era travolto da un turbine di emozioni. La passione con cui aveva preso Giulia, il modo in cui il suo cazzo era entrato nella sua fica calda e accogliente, e poi nel suo culo stretto mentre lei lo chiamava “porco”, lo aveva fatto crollare. Il suo autocontrollo, costruito in anni di disciplina come ingegnere e ciclista, era svanito di fronte alla nipote. Ora, però, il senso di colpa lo schiacciava. “Giulia, cosa abbiamo fatto?” mormorò, passandosi una mano tra i capelli brizzolati, gli occhi castano scuro pieni di tormento. Era stato lui a cedere, a spingere la sua testa sul suo cazzo, a perdersi in lei, ma era stata Giulia a iniziare, a toccarlo, a succhiarlo, a chiamarlo con quel tono che lo aveva spezzato. Si sentiva un mostro, ma anche un uomo vivo per la prima volta dopo anni di solitudine. La perdita della moglie lo aveva reso un guscio vuoto, ma Giulia, con la sua energia, i suoi seni pieni, la sua voce che lo chiamava “Zio Marco,” aveva risvegliato qualcosa di profondo. Eppure, il tabù lo tormentava: era lo zio, il suo protettore, e aveva tradito quella fiducia. La paura che la famiglia lo scoprisse lo paralizzava, ma il desiderio di toccarla ancora, di sentire il suo cazzo avvolto da lei, lo consumava. Era intrappolato, diviso tra l’uomo che era stato e quello che Giulia aveva risvegliato.
Il silenzio nell’appartamento era opprimente, rotto solo dal rumore del respiro di entrambi. Giulia, ora vestita, si alzò dalla scrivania, i capelli scompigliati, gli occhi verdi che cercavano quelli di Marco. “Zio Marco,” disse, la voce incerta ma decisa, “devo dirti una cosa.” Marco, ancora scosso, la guardò, il cuore che batteva forte. “Cosa, Giulia?” chiese, temendo altre complicazioni. Lei esitò, poi si avvicinò, il tono che si abbassava in un sussurro. “L’ho sempre voluto… da quando ho scoperto di te e mamma.” Marco si irrigidì, il sangue che gli si gelava nelle vene. “Cosa stai dicendo?” balbettò, ma Giulia continuò, gli occhi lucidi. “Ho trovato un profilo Instagram, uno segreto. La mamma lo usava per postare foto… foto di voi due. In intimità. Vi ho visti, Zio Marco. Tu e lei, amanti.” Marco sentì il mondo crollare. Le immagini di lui e sua sorella, anni prima, un segreto che credeva sepolto, gli tornarono in mente come un pugno. “Non è possibile,” mormorò, ma Giulia lo interruppe. “È per questo che ti volevo. Sapevo che potevi desiderarmi… come desideravi lei.” La confessione lo colpì come un fulmine. La passione, che aveva appena posseduto Giulia, ora sembrava un simbolo di un passato che lo perseguitava. Giulia lo guardava, vulnerabile ma audace, come se quella rivelazione la liberasse. “Non ti odio per questo, Zio Marco. Ti voglio.” Marco, travolto, non sapeva se cedere di nuovo o fuggire. Il loro legame, già proibito, ora era intrecciato a un segreto ancora più oscuro. La stanza sembrava chiudersi su di loro, il futuro incerto, il loro desiderio un fuoco che non poteva essere spento, ma che rischiava di distruggerli. Giulia si avvicinò, posandogli una mano sul petto, e Marco, per la prima volta, non seppe cosa fare.
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