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Gay & Bisex

Un’estate al mare negli anni ’90


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
04.06.2025    |    4.591    |    12 9.2
"Non c’era dolore, solo una sensazione di pienezza che mi faceva gemere come un pazzo..."
Era l’estate del 1997, avevo solo 16 anni all'epoca e stavo passando le vacanze nella casa al mare dei miei, una villetta bianca affacciata sulla costa ligure, con il profumo di salsedine che entrava dalle finestre aperte. Con me c’era Andrea, 42 anni, un amico di famiglia da sempre, appena separato dalla moglie. Era un uomo alto, capelli brizzolati, spalle larghe e un’aria da maschio alpha che mi faceva tremare le gambe. La sua separazione lo aveva lasciato un po’ a pezzi, e i miei genitori, che lo conoscevano da anni, lo avevano invitato a stare con noi per tirarlo su di morale. Dormiva in camera con me, un letto matrimoniale che ci costringeva a una vicinanza pericolosa, e io non facevo nulla per rendere le cose più semplici.
Da settimane lo provocavo senza sosta. Giravo per la camera senza slip, lasciando che il mio cazzo penzolasse libero sotto i pantaloncini leggeri. Mi chinavo davanti a lui, facendo finta di raccogliere qualcosa, il culo in bella mostra, sapendo che i suoi occhi erano incollati su di me. In spiaggia, quando facevamo il bagno, mi strusciavo contro di lui nell’acqua, sentendo il suo cazzo indurirsi sotto il costume. Con le mani lo sfioravo, a volte facendo finta di giocare, altre volte indugiando quel tanto che bastava per fargli capire che non era un caso. Lui cercava di mantenere il controllo, ma i suoi sguardi tradivano un desiderio che cercava di nascondere, soprattutto davanti ai miei genitori. Io avevo un fisico esile taglia 42 ed un sedere che sembravo una donna.
Mamma e papà erano sempre intorno, ignari di tutto. Papà chiacchierava con Andrea di calcio e lavoro, mentre mamma gli preparava piatti di pesce per “tirarlo su”. Io e Andrea facevamo attenzione a non farci beccare: un’occhiata troppo lunga, un tocco accidentale sotto il tavolo, e subito ci ritraevamo, come se nulla fosse. Ma la tensione cresceva, e io ero sempre più eccitato all’idea di spingermi oltre. Sapevo che lui mi voleva, e io volevo essere la sua troia.
Quella sera, dopo cena, i miei si erano ritirati presto. Eravamo in camera, le finestre aperte lasciavano entrare il rumore delle onde. Io ero particolarmente carico, il cazzo già mezzo duro solo a pensare a lui. Mi chinai davanti al letto, fingendo di cercare qualcosa sotto la sedia, il culo in aria, i pantaloncini che scivolavano appena. Sentii il suo sguardo bruciarmi la pelle. Poi, senza preavviso, le sue mani furono su di me. Mi afferrò il culo, stringendolo forte, le dita che scivolavano tra le natiche, sfiorando le palle. Non mi mossi, lasciai che facesse quello che voleva.
“Luca, cazzo, lo sai che mi stai facendo impazzire,” mormorò, la voce roca. Non risposi, ma mi girai appena, quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. Lui si alzò, tirò fuori il suo cazzo enorme, già duro, la cappella gonfia e lucida. “Succhialo,” disse, e io non me lo feci ripetere. Mi inginocchiai, il cuore che mi batteva all’impazzata. Era il primo cazzo che prendevo in bocca, e non avevo idea di cosa fare, ma non volevo fare brutta figura. Lo afferrai con una mano, pesante e caldo, e iniziai a leccarlo, dalla base alla punta, cercando di imitare quello che avevo visto nei porno. Lo succhiai con foga, la bocca piena, la saliva che mi colava sul mento. Andrea gemeva, spingendo il cazzo più a fondo, scopandomi la bocca con spinte decise.
“Brava, troia,” disse, e quella parola mi fece quasi venire nei pantaloni. Poi mi fece alzare, mi spinse verso la sedia e mi fece piegare a novanta, il culo esposto. Sentii il freddo della crema Nivea mentre se la spalmava sulle dita. Prima un dito, che entrò lentamente, facendomi stringere i denti. Poi due, poi tre, allargandomi il buco vergine. Il dolore era acuto, ma l’eccitazione era più forte. Quando sentii la sua cappella premere contro il mio culo, mi morsi le labbra per non urlare. Entrò piano, ma il bruciore era insopportabile. Un rivolo di sangue mi colò lungo la coscia, ma non dissi nulla, non volevo che pensasse che non reggevo.
Andrea iniziò a pompare, lento all’inizio, poi sempre più forte. Il dolore era lancinante, ogni spinta mi faceva vedere le stelle, ma strinsi i denti e mi aggrappai alla sedia. Lui era convinto che fossi esperto, visto che non mi lamentavo, e continuava a incularmi come un animale, grugnendo di piacere. “Cazzo, che culo stretto,” diceva, e io mi sentivo la sua troia, anche se ogni affondo mi spezzava. Poi uscì, mi fece sdraiare sul letto, mi alzò le gambe al cielo e mi penetrò di nuovo, guardandomi negli occhi. Quella posizione era devastante: il suo cazzo si conficcava fino in fondo, e non riuscii a trattenere qualche mugolio di dolore. Le smorfie mi scappavano, ma lui sembrava eccitato ancora di più dai miei versi. Pompava senza sosta, il letto che scricchiolava, e finalmente, con un ruggito, mi sborrò dentro. Sentii il calore della sua sborra riempirmi il culo, un misto di bruciore e piacere che mi fece quasi svenire.
Quando uscì, il suo cazzo barzotto era ancora lucido. Me lo porse, e io lo presi in bocca, pulendolo con la lingua, assaporando il gusto della sua sborra e del mio culo. Il mio buco era in fiamme, le tracce di sangue evidenti sulle lenzuola. Andrea, con un gesto sorprendentemente gentile, prese altra Nivea e me la spalmò sul culo, massaggiandolo piano. “Sei stato bravo,” disse, e mi baciò, un bacio profondo, pieno di desiderio. “Grazie per avermi preso e sverginato,” sussurrai, e ci abbracciammo, stremati.
Il giorno dopo, il mio culo era un disastro. Ogni passo era una fitta, il bruciore persistente, ma non volevo darlo a vedere. Andammo al mare come se nulla fosse, con i miei genitori che chiacchieravano ignari, mentre io e Andrea ci scambiavamo sguardi che dicevano tutto.
Il giorno dopo quella prima notte con Andrea, il mio culo era un disastro. Ogni passo che facevo mi ricordava il suo cazzo enorme che mi aveva sverginato, il bruciore che mi tormentava come un fuoco lento. Le tracce di sangue della sera prima erano ancora fresche nella mia mente, e anche se la crema Nivea che Andrea mi aveva spalmato aveva aiutato un po’, sentivo il buco pulsare a ogni movimento. Eppure, non riuscivo a smettere di pensare a lui, al modo in cui mi aveva scopato, a come mi aveva fatto sentire la sua troia. Quel dolore, per quanto intenso, aveva acceso qualcosa in me, un desiderio che non volevo spegnere.
Quella mattina, scendemmo in spiaggia come se nulla fosse. I miei genitori erano lì, sdraiati sotto l’ombrellone, papà con il suo giornale e mamma che chiacchierava con una vicina. Io e Andrea facevamo finta di essere solo due amici, ma ogni volta che i nostri occhi si incrociavano, sentivo una scarica elettrica. Il mio costume, un paio di boxer da mare larghi, nascondeva a malapena l’erezione che mi veniva ogni volta che pensavo a lui. Il sole picchiava forte, e il mare scintillava, invitandoci a tuffarci.
“Dai, andiamo a fare un bagno,” disse Andrea, con quel tono casuale che usava per non insospettire i miei. Io annuii, cercando di camminare normalmente nonostante il bruciore al culo che mi faceva stringere i denti. Entrammo in acqua, la freschezza del mare che mi avvolgeva, ma quando l’acqua salata sfiorò il mio buco, fu come se qualcuno mi avesse versato dell’alcol su una ferita aperta. Bruciava da morire, un dolore acuto che mi fece quasi urlare. Mi morsi il labbro, cercando di non far vedere nulla, ma Andrea lo notò. “Tutto ok?” chiese, con un mezzo sorriso che diceva che sapeva esattamente cosa stavo provando.
“Sì, tutto bene,” mentii, anche se il mio culo gridava il contrario. Ma non volevo fermarmi. Il desiderio di sentirlo di nuovo, di essere suo, era più forte di qualsiasi dolore. Nuotammo lontano dalla costa, verso una zona dove l’acqua era più profonda e gli altri bagnanti erano solo puntini lontani. Lì, nascosti dalla superficie, ci lasciammo andare. Infilai una mano nel suo costume, trovando il suo cazzo già duro, caldo nonostante l’acqua fredda. Lo strinsi, massaggiandolo piano, sentendo ogni vena pulsare sotto le mie dita. “Cazzo, Luca, sei proprio una troia,” sussurrò, e quelle parole mi fecero quasi venire sul posto.
Mi girai, abbassando il costume quel tanto che bastava per esporre il culo. L’acqua salata mi colpì di nuovo il buco, e il bruciore fu così intenso che per un attimo pensai di non farcela. Ma poi sentii la sua cappella premere contro di me, e il desiderio prese il sopravvento. “Fallo,” gli dissi, la voce tremante ma decisa. Andrea non esitò. Mi afferrò per i fianchi e mi penetrò lentamente, il suo cazzo che scivolava dentro di me, aiutato dall’acqua ma comunque doloroso. Ogni centimetro che entrava riapriva la ferita della sera prima, e il sale del mare rendeva tutto ancora più insopportabile. Mi sembrava di avere il culo in fiamme, ogni spinta un mix di dolore lancinante e un piacere strano, profondo, che non riuscivo a spiegare.
Strinsi i denti, cercando di concentrarmi sul piacere. Con una mano mi aggrappai al suo braccio, con l’altra iniziai a toccarmi il cazzo, menandomelo piano. Ogni affondo di Andrea era una pugnalata, ma più mi toccavo, più sentivo quel dolore trasformarsi in qualcosa di diverso. Il bruciore dell’acqua salata, il peso del suo cazzo che mi sfondava, il calore della sua pelle contro la mia: tutto si mescolava, creando una sensazione che mi faceva tremare. “Cazzo, quanto sei stretto,” grugnì Andrea, pompando più forte. Il dolore era ancora lì, ma ora lo volevo, lo cercavo. Ogni spinta mi faceva gemere, non solo di sofferenza ma di un piacere che stava crescendo dentro di me.
L’acqua ci nascondeva, ma il movimento delle sue spinte creava piccole onde intorno a noi. Mi toccavo più veloce, il cazzo duro come pietra, mentre il mio culo si abituava piano piano al suo ritmo. Il bruciore dell’acqua salata era ancora lì, ma ora lo sentivo come parte del gioco, un fuoco che alimentava la mia eccitazione. “Ti piace, eh, troia?” disse Andrea, e io annuii, incapace di parlare, perso tra il dolore e il piacere. Quando sentii il suo cazzo pulsare dentro di me, capii che stava per venire. Con un ultimo affondo, mi sborrò dentro, il calore della sua sborra che si mescolava al bruciore del mio culo, creando una sensazione che mi fece quasi svenire.
In quello stesso momento, mi toccai con più forza, e il mio cazzo esplose nell’acqua, schizzi che si persero nel mare mentre il mio corpo tremava per l’orgasmo. Il dolore era ancora lì, ma ora era parte del piacere, come se il mio culo avesse imparato a trasformare ogni fitta in godimento. Rimanemmo fermi per un attimo, ansimando, l’acqua che ci accarezzava. Andrea uscì da me, e il bruciore tornò, amplificato dal sale, ma non mi importava. Mi girai verso di lui, sorridendo. “Cazzo, sei incredibile,” dissi, e lui rise, dandomi una pacca sul culo che mi fece sussultare.
Tornati a riva, facevamo finta di nulla, ma il gioco non si fermò. Durante tutta la vacanza, ogni occasione era buona per scopare. Lo facevamo in mare, dietro le dune, nella doccia della casa al mare mentre i miei dormivano. Ogni volta, il mio culo protestava, ancora sensibile, ma io lo volevo. Ogni spinta di Andrea, ogni schizzo della sua sborra, mi faceva sentire più suo, più troia. Il dolore non sparì mai del tutto, ma imparai a cavalcarlo, a trasformarlo in piacere, a desiderare ogni momento in cui il suo cazzo mi sfondava. Era come se il mio corpo si stesse modellando su di lui, e io non volevo che finisse mai. Ero giovane ma desideroso tanto di quel cazzo.
Tornati in città, la nostra storia non si fermò, anzi, prese una piega ancora più intensa. Ogni pomeriggio, appena finiva la scuola, correvo a casa di Andrea. Viveva da solo in un appartamento disordinato, con poster di band anni ’90 appesi alle pareti e un odore di sigarette che impregnava tutto. Era il nostro rifugio, il posto dove potevo essere completamente suo. Lì, il gioco che era iniziato al mare si trasformò in qualcosa di più profondo, più ossessivo. Andrea aveva risvegliato in me un desiderio che non sapevo di avere, e io mi sentivo la sua troia, pronta a dargli tutto ciò che voleva.
Non passava giorno senza che mi inculasse. Il mio culo, che all’inizio era stato un campo di battaglia, dolorante e sanguinante, si era ormai abituato al suo cazzo enorme. Ogni volta che mi penetrava, non sentivo più quel dolore lancinante della prima volta, ma un piacere caldo, profondo, che mi faceva tremare. Andrea aveva un modo di scoparmi che era selvaggio ma controllato, come se sapesse esattamente fino a dove spingersi. Mi inculava ovunque: sul divano, contro il muro, sul tavolo della cucina. Ogni superficie della sua casa diventava un altare per il nostro desiderio.
Una delle cose che adoravo era il modo in cui mi preparava. Non era più solo il suo cazzo a sfondarmi. Andrea aveva iniziato a giocare con il mio culo in modi nuovi, spingendo i limiti del mio corpo. Dopo avermi inculato, spesso infilava le dita, prima una, poi due, poi tre, lubrificate con la crema che teneva sul comodino. Il mio culo, ormai aperto e capace, le accoglieva senza resistenza. Una sera, mentre ero a carponi sul letto, mi guardò con quel suo sorrisetto da porco e disse: “Vediamo quanto puoi prendere, la mia bambina.” Iniziò a spingere, e io sentii la sua mano scivolare dentro, lenta ma decisa. Non c’era dolore, solo una sensazione di pienezza che mi faceva gemere come un pazzo. Quasi tutta la sua mano era dentro di me, e il piacere era così intenso che il mio cazzo gocciolava senza nemmeno toccarlo. “Cazzo, cucciola, sei un buco perfetto,” disse, e io mi sentivo esplodere di orgoglio e desiderio.
Andrea aveva iniziato a vestirmi da donna, e questo mi faceva sentire ancora più suo. Mi faceva indossare gonne corte, mutandine di pizzo che abbassava appena per scoparmi, e tacchi alti che mi facevano incespicare all’inizio ma che poi imparai a portare con una certa grazia. “Sei la mia bambina,” diceva, mentre mi inculava con la gonna alzata, le mutandine tirate di lato, il suo cazzo che scivolava dentro e fuori dal mio culo ormai dilatato. Mi chiamava Jenny, e quel nome mi eccitava da morire. Mi truccava, mi metteva il rossetto rosso, e io mi guardavo allo specchio, vedendo una versione di me che non riconoscevo ma che amavo. Quando mi inculava così, con i tacchi che ticchettavano sul pavimento, mi sentivo la sua troia, la sua creazione.
Ogni volta che mi sborrava dentro, era come un sigillo sul nostro legame. La sua sborra calda mi riempiva, colava lungo le cosce, e io la adoravo. A volte, dopo avermi inculato, mi baciava dolcemente e la sua lingua mi penetrava infondo alla gola. Io ricambiavo e poi mi chinavo e succhiavo con devozione il suo cazzo lucido, assaporando ogni goccia di sborra residua, mentre lui mi accarezzava i capelli e mi chiamava “brava bambina.” Il mio culo, ormai abituato, non protestava più: era aperto, pronto, desideroso di essere riempito, fosse dal suo cazzo o dalla sua mano.
Quei pomeriggi a casa sua erano un’ossessione. Non importava quanto fossi stanco, quanto lunga fosse stata la giornata: volevo solo essere lì, con lui, a farmi inculare, a farmi dilatare, a sentire il suo piacere mescolarsi al mio. Ero Jenny, la sua bambina troia, e ogni spinta, ogni schizzo, ogni gemito mi faceva sentire più vivo che mai.
Jenny nacque in quelle sere, tra i tacchi alti e il rossetto, tra le spinte di Andrea e i miei gemiti. Non ero più solo Luca, il ragazzo che provocava il suo amico di famiglia. Ero Jenny, la sua bambina, la giovane troia che viveva per il suo cazzo, per la sua sborra, per il piacere di essere inculata ovunque. Ogni volta che indossavo quei vestiti, sentivo una libertà nuova, come se stessi diventando qualcos’altro, qualcuno che non aveva paura di desiderare.
Andrea mi guardava con orgoglio, come se avesse creato lui quella creatura. “Sei la mia Jenny,” diceva, mentre mi scopava con le gambe al cielo, il rossetto sbavato, le mutandine strappate. E io gli rispondevo, tra un gemito e l’altro, “Sì, sono la tua bambina.” La storia di Jenny era appena iniziata, e sapevamo entrambi che non sarebbe finita lì.
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