tradimenti
La moglie tentatrice il seguiito


22.04.2025 |
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"Lei annuì docilmente, incapace di opporre resistenza a quella richiesta carica di sottintesi..."
Tentazione – Parte IILa luce soffusa delle vetrine del centro commerciale illuminava i pavimenti lucidi di marmo, riflettendo le figure di chi ancora si attardava a fare acquisti. Una musica lenta, diffusa dagli altoparlanti nascosti nel soffitto, si mescolava al brusio distante degli ultimi visitatori. Era quasi ora di chiusura: molte serrande stavano abbassandosi e i corridoi si andavano svuotando, creando angoli di penombra invitante tra un negozio e l’altro.
Una donna camminava a passo misurato accanto a suo marito. I tacchi alti dei suoi stivaletti neri risuonavano ad ogni passo, un suono deciso che riecheggiava nel silenzio crescente. Indossava un vestito aderente color crema che abbracciava le curve dei fianchi e metteva in risalto la linea delle gambe velate da calze scure autoreggenti. Un leggero soprabito aperto lasciava intravedere la scollatura generosa e il collo slanciato. L’uomo al suo fianco la teneva per il braccio con aria apparentemente protettiva, ma la tensione nella sua stretta rivelava un sentimento più complesso: un misto di gelosia e possesso che aleggiava tra loro fin da quando erano entrati in quel luogo.
Entrambi ripensavano a ciò che era accaduto l’ultima volta. Pochi giorni prima, proprio lì, la tentazione aveva fatto vacillare il loro equilibrio. Bastò uno sguardo di troppo, un sorriso malizioso da parte di uno sconosciuto, e le crepe nel loro rapporto avevano lasciato filtrare un gioco pericoloso. La donna sentiva ancora sulla pelle il ricordo di quegli occhi giovani e ardenti posati su di lei, e di come quel semplice fatto avesse incendiato i sensi di tutti e tre. Suo marito, ignaro inizialmente, aveva poi percepito l’elettricità nell’aria e la sua reazione era stata esplosiva: gelosia e desiderio si erano fusi in una sola fiamma quella notte, quando, una volta tornati a casa, l’aveva reclamata con un’intensità feroce. Adesso lui aveva insistito per tornare in quel centro commerciale insieme, forse per sfidare quei fantasmi o per dimostrarle – e dimostrarsi – che nulla gli sarebbe sfuggito di nuovo.
La galleria scintillava di luci calde mentre loro avanzavano. Le vetrine ai lati mostravano manichini elegantemente vestiti. In una di queste, un manichino indossava un abito rosso di seta e pizzo: il tessuto sembrava bruciare sotto i faretti, evocando tentazioni cariche di sensualità. La donna abbassò leggermente lo sguardo, cercando di non pensarci, ma i suoi occhi furono attirati dal gioco di riflessi sul vetro. Per un attimo le parve di scorgere alle loro spalle la sagoma di un giovane – un viso intravisto di sfuggita, familiare nella sua bellezza sfrontata. Il cuore le perse un colpo e istintivamente rallentò il passo. Era lui? Si chiese con un misto di agitazione e eccitazione. Possibile che quel ragazzo fosse ancora lì, a girare tra i negozi, magari nella speranza di incontrarla di nuovo? Oppure era soltanto la sua mente a giocarle brutti scherzi, alimentata dal senso di colpa e dal desiderio inconfessabile?
La stretta del marito sul suo braccio si fece più decisa, richiamandola bruscamente alla realtà. Lui si chinò appena verso di lei, sussurrandole con voce tesa: “Tutto bene?” I suoi occhi scuri cercavano quelli di lei, indagatori. La donna deglutì, sentendosi colta in fallo per un pensiero che in teoria non aveva fatto nulla di male. “S-sì, certo…” rispose in fretta, cercando di mostrarsi tranquilla. Distolse lo sguardo dalla vetrina e forzò un piccolo sorriso, ma sentiva il calore salirle alle guance. Il marito seguì la direzione appena lasciata dagli occhi di lei e scrutò l’oscurità oltre il vetro riflettente. Non vide nulla di particolare, solo qualche passante più indietro. Tuttavia, conosceva troppo bene sua moglie: il modo in cui aveva trattenuto il fiato, anche se per un secondo, gli suggeriva che qualcosa l’aveva turbata. Una scintilla di sospetto gli attraversò lo sguardo.
Deciso a non farsi cogliere impreparato, l’uomo serrò la mascella e senza aggiungere altro la guidò con sé accelerando il passo. “Andiamo di là,” mormorò a un tratto, con un tono che non ammetteva repliche. La donna si ritrovò sospinta verso l’angolo della galleria dove alcune insegne luminose indicavano una boutique di lingerie di lusso. Il cartello al neon rosso sopra l’entrata emanava una luce invitante che colorava di riflessi rosati il pavimento e le colonne vicine. Lei spalancò gli occhi un istante, sorpresa: non si aspettava quella deviazione. Perché proprio lì? Un presentimento le fece battere il cuore più forte. Forse suo marito voleva metterla alla prova, o forse voleva semplicemente marcare il territorio in quel gioco sottile di provocazione e controllo che era nato tra di loro.
Varcarono l’ingresso della boutique. All’interno, l’atmosfera era intima e ovattata. Le luci erano più soffuse, concentrate sui capi esposti: reggiseni, culotte e negligé in seta e merletti delicati erano disposti con cura su espositori illuminati da faretti caldi. Un leggero aroma di vaniglia e muschio aleggiava nell’aria, mescolato al profumo di tessuti nuovi. A quell’ora c’erano pochissime persone: una commessa dall’aria assonnata dietro il bancone stava sistemando delle scatole, e sul fondo si intravedeva solo un’altra cliente che curiosava tra vestaglie di raso. La porta automatica si chiuse silenziosamente alle loro spalle, isolando i rumori esterni e creando l’illusione di trovarsi in un mondo a parte, fatto di stoffe preziose e sussurri.
Il marito lasciò andare il braccio di lei e si guardò intorno lentamente. I suoi occhi scuri passavano in rassegna i vari articoli con apparente disinvoltura, ma lei capiva che dietro quella calma studiata c’era un intento preciso. L’uomo si avvicinò a un espositore centrale dove risaltava un body in pizzo color avorio, di fattura raffinata e audace trasparenza. Lo prese tra le mani, saggiandone la morbidezza con le dita, poi lo mostrò alla moglie con un sorriso sottile sulle labbra. “Provalo,” le disse a bassa voce. Non era tanto un invito quanto un ordine mascherato da gentilezza. Gli occhi di lui la sfidavano, promettendo implicitamente sia una ricompensa sia una punizione a seconda di come lei avesse reagito.
La donna sentì un brivido attraversarla. Quel body era splendido e rivelatore: un intrico di pizzo che avrebbe lasciato poco all’immaginazione, con delicati ricami a fior di pelle e laccetti di seta. Le mani le tremarono leggermente quando lo prese. “Ora? Qui?” bisbigliò, lanciando un’occhiata alla commessa in lontananza. Il negozio era quasi vuoto, certo, ma provare un capo del genere con il marito presente la metteva in agitazione. Lui non rispose direttamente; inclinò appena il capo, accarezzandole con il pollice il dorso della mano in cui lei stringeva il body. “Certo, amore. Voglio vederlo indossato,” mormorò con un tono basso e caldo, in contrasto con la tensione che gli serrava le spalle. Quel “amore” pronunciato così, in apparenza affettuoso, aveva un retrogusto ironico che la fece arrossire ancor di più.
Lei annuì docilmente, incapace di opporre resistenza a quella richiesta carica di sottintesi. Con il capo chino per nascondere l’emozione sul volto, si avviò verso i camerini sul retro del negozio. Superò una spessa tenda di velluto cremisi che separava l’area prove dalla sala principale. Il camerino in cui entrò era spazioso e ben illuminato: tre pareti erano rivestite di specchi a figura intera, e un elegante sgabello imbottito stazionava in un angolo accanto a un attaccapanni d’ottone. Appena dietro di lei, la tenda si scostò di nuovo: suo marito l’aveva seguita all’interno, senza chiedere permesso. La stoffa pesante ricadde subito, chiudendoli in una privacy solo apparente. Il cuore di lei accelerò; sapeva che stava per giocare col fuoco, lì dove chiunque avrebbe potuto sentirli se avessero fatto troppo rumore.
Lo spazio ristretto pareva saturarsi della presenza di lui. La donna sentì la propria schiena sfiorare il freddo dello specchio mentre si voltava a fronteggiarlo. Il marito la osservava intensamente, il body di pizzo ancora tra le mani di lei a separare i loro corpi. Per un istante rimasero in silenzio, occhi negli occhi, respirando l’uno l’aria calda dell’altra. L’eccitazione non consumata li avvolgeva come un profumo inebriante. “Fammi vedere come ti sta,” sussurrò lui infine, posandole con delicatezza decisa le mani sulle spalle, aiutandola a sfilarsi il soprabito.
La donna si morse il labbro inferiore e iniziò ad eseguire. Appese il soprabito all’attaccapanni, poi lentamente abbassò la zip laterale del vestito aderente. Si sentiva gli occhi di lui addosso, famelici, ad ogni gesto. Il vestito scivolò giù, rivelando la sua lingerie nera: un reggiseno di pizzo fine che esaltava la pienezza dei seni e un tanga sottile coordinato. Le calze autoreggenti abbracciavano le cosce lasciando scoperta una striscia di pelle morbida prima dell’orlo del tanga. Mentre il vestito le cadeva ai piedi, il marito emise un leggerissimo sospiro, quasi un ringhio di approvazione. Dio, come la guardava. Quegli occhi che bruciavano di desiderio su di lei la facevano sentire nuda e bagnata ancor prima che lui la toccasse.
Non resistette alla tentazione di provocarlo un po’. Voltò leggermente il viso verso lo specchio a lato, inarcando la schiena in modo che i suoi glutei rotondi sfiorassero il bacino di lui dietro di sé. Lo senti cosa ti perdi? sembrava dire quel gesto silenzioso. L’uomo reagì immediatamente: un ringhio sommesso, poi il calore del suo corpo premette contro la schiena di lei mentre le sue mani scendevano lungo i fianchi femminili. Sfiorò con le dita la fascia di pizzo che reggeva le calze e la lasciò scorrere su quella pelle liscia, fino al bordo inferiore del tanga. La donna dovette reprimere un gemito. Una vampata di calore le salì dallo stomaco, costringendola a socchiudere gli occhi.
“Shh…” La zittì lui piano, con un sussurro divertito. Le sue mani risalirono sul davanti, scorrendo sul ventre piatto fino a coprire i seni attraverso il reggiseno. Prese a massaggiarli leggermente, sentendo i capezzoli indurirsi al suo tocco persino attraverso il tessuto. “Sei magnifica…” le mormorò all’orecchio con voce roca, mentre le sue dita pizzicavano delicatamente un capezzolo. Lei reclinò la testa contro la spalla di lui, arrendendosi a quella lode sussurrata e al piacere che ne derivava.
Dopo interminabili istanti di quella tortura dolcissima, il marito allentò la presa giusto quel tanto che bastava perché lei potesse infilare il body. Con mani tremanti per l’eccitazione, la donna sollevò l’indumento di pizzo e iniziò a indossarlo. Il tessuto leggero scivolò sulla sua pelle come un alito, carezzando ogni curva mentre risaliva lungo i fianchi. Il marito la aiutò, sistemandole una spallina ribelle sulla spalla e tirando lievemente verso il basso l’orlo del body così da far aderire la stoffa alle sue natiche. In quell’atto apparentemente premuroso, colse l’occasione per sfiorarle di nuovo l’interno coscia. La donna inspirò forte; sentiva che l’autocontrollo di lui stava vacillando, e insieme al suo anche il proprio.
Quando finalmente il body fu al suo posto, lei si guardò allo specchio. Quasi non si riconosceva. L’immagine riflessa era quella di una creatura profondamente sensuale: il pizzo avorio metteva in risalto la carnagione calda del suo corpo, celando e rivelando insieme i punti più intimi. I capezzoli scuri si intravedevano appena attraverso i ricami floreali, i fianchi erano abbracciati dalla seta come mani d’amante. Deglutì, emozionata e confusa dal proprio aspetto. Il marito stava un passo dietro di lei, e i suoi occhi nel riflesso erano fissi sul corpo della moglie con un’intensità predatoria. Il contrasto fra l’eleganza candida di quel body e lo sguardo torvo e affamato di lui la fece tremare di desiderio.
L’uomo posò le mani sui suoi fianchi, sopra la seta. “Guardati…” le sussurrò, facendo aderire il suo petto alla schiena di lei. “Ti rendi conto di quanto sei bella?” La sua mano destra, calda e grande, scivolò dal fianco lentamente verso il ventre piatto di lei, poi più giù, fino a raggiungere il margine basso del body, proprio tra le sue cosce. La donna si aggrappò ai bordi dello specchio ai lati, preda di un fremito incontrollabile. Con un gesto deciso, il marito infilò la punta del pollice sotto il tessuto sottile e lo spostò appena, scostando il cavallo del body di lato. Un piccolo sbuffo di fiato caldo le colpì il collo quando lui scoprì la sua femminilità nuda e già umida. “Non hai idea di cosa mi fai…” confessò con voce spezzata.
Le dita di lui trovarono subito le pieghe bagnate tra le sue gambe e iniziarono ad accarezzarla. La donna spalancò le labbra in un gemito muto, premendo la fronte contro lo specchio freddo. Un contrasto violento fra la superficie gelida sul viso e il fuoco che la mano di suo marito aveva acceso nel suo sesso la fece quasi delirare. Il dito medio scivolò lungo tutta la sua lunghezza, spargendo i succhi del suo desiderio fino al piccolo nodo sensibile nascosto in alto. Lui tracciò dei cerchi lenti su quel punto, facendola fremere convulsamente. “Ti piace, eh…” sussurrò con un mezzo sorriso che lei poteva vedere riflesso. La stava provocando, ma in fondo conosceva già la risposta dal modo in cui il suo corpo reagiva: i fianchi di lei si muovevano appena, cercando più attrito, e dalle labbra dischiuse sfuggivano sospiri tremanti.
La moglie annuì debolmente, incapace di formulare parole. Le ginocchia le cedevano a ogni nuova ondata di piacere. Per sostenersi si arcuò all’indietro, poggiando la nuca contro la spalla di lui. Il marito colse quell’invito silenzioso e si approfittò di quella posizione: fece scivolare un dito dentro di lei, penetrandola con una lentezza esasperante. Lo sfilò quasi subito, poi lo spinse di nuovo più a fondo, impostando un ritmo languido e torturante. La donna serrò le labbra per non gemere troppo forte, ma un “mmh…” le sfuggì ugualmente, riecheggiando smorzato nel camerino. Tra loro due e il mondo c’era solo una tenda; oltre, a pochi passi, la normalità continuava ignara. Proprio quella consapevolezza rendeva tutto ancora più incandescente.
Con la coda dell’occhio, nello specchio, lei colse un movimento strano dietro di loro. La tenda non era perfettamente chiusa sul fondo e lasciava una fessura di pochi centimetri. Lì, vicino al pavimento, le sembrò di vedere un’ombra… no, un paio di scarpe ferme oltre il velluto. Qualcuno era lì fuori! Il cuore della donna mancò un battito, poi riprese a correre all’impazzata. Provò un misto di panico ed eccitazione feroce. Era fuori discussione che potesse trattarsi della commessa — avrebbe chiamato, parlato, non sarebbe rimasta lì zitta a spiare. Doveva essere qualcun altro. Forse… forse proprio lui. Il ragazzo seduttore poteva averli seguiti nel negozio, e ora stava sbirciando la scena proibita attraverso la fessura della tenda. L’idea era follia pura, ma bastò a far contrarre i muscoli della vagina di lei attorno al dito di suo marito in un riflesso incontrollato.
L’uomo percepì quel sussulto intimo e sorrise, fraintendendo le ragioni. Pensò solo di star toccando i tasti giusti. “Già così vicino?” la prese in giro sottovoce, aggiungendo un secondo dito per intensificare lo stimolo. Ora la penetrava con due dita, spingendole dentro di lei con maggiore decisione, fino a farle sentire il palmo premuto contro la sua vulva ad ogni affondo. La mano sinistra intanto le si era insinuata sotto il body, colmando di nuovo la morbida coppa del seno nudo. Il pollice massaggiava il capezzolo duro, mentre le labbra di lui cercavano la pelle del collo della moglie, succhiando e mordicchiando quel tanto da farle lasciare un segno rossastro.
La donna sentiva le luci del mondo farsi più intense e sfuocate allo stesso tempo. Una spirale di piacere saliva sempre più, facendole perdere il senso di dove finisse il suo corpo e dove iniziasse quello di lui. E a rendere il tutto ancora più assurdo e delizioso c’era quell’occhio invisibile che forse li osservava dalla fessura: sapeva che non doveva trovarlo eccitante… eppure lo era. Si immaginò per un istante ciò che chi stava spiando poteva vedere: le sue gambe divaricate e tremanti, le dita del marito che sparivano dentro di lei, il suo seno scomposto che oscillava ad ogni spinta. Uno spettacolo indecente e sublime al tempo stesso. Con un gemito soffocato, la donna poggiò una mano sullo specchio, ansimando. Sentiva l’orgasmo avvicinarsi a tradimento, impetuoso, inarrestabile.
Proprio allora un rumore secco la riscosse. Knock, knock. Qualcuno dall’esterno tamburellò con le nocche sul pannello di legno accanto alla tenda. “Va tutto bene lì dentro?” chiamò la voce della commessa, gentile ma con una sfumatura di sospetto. La realtà irrompeva nel loro piccolo mondo segreto. Il marito si immobilizzò all’istante; lei dovette mordersi la mano per non gemere frustrata per l’interruzione proprio sul più bello. In un attimo, con agilità silenziosa, l’uomo ritrasse le dita da dentro di lei e tirò su il cavallo del body per ricoprirla. La donna si sentì improvvisamente vuota e fredda, priva di quel contatto che un attimo prima la riempiva di calore e sensazioni. Le pulsava il sesso, voleva gridare di continuare, ma si impose di riprendere il controllo.
“Sì, tutto bene, grazie,” rispose il marito con tono calmo e naturale, come se nulla fosse. Aveva ancora il fiato corto, ma riuscì a mascherarlo bene. “Stavo solo aiutando mia moglie con i gancetti, se non le dispiace,” aggiunse con una piccola risata affabile, mentendo con disinvoltura.
La commessa sembrò accontentarsi di quella spiegazione: si udirono i suoi passi allontanarsi. La donna, intanto, cercava di ricomporsi alla meglio, ma lui non gliene diede subito l’opportunità. Invece, approfittando di quell’ultimo attimo di intimità non scoperta, le portò le dita che erano state dentro di lei fino alle labbra. Erano ancora umide, lucide dei suoi succhi. “Assaggia,” le comandò sottovoce con un tono osceno e seducente insieme. La moglie ebbe un’esitazione – quel gesto le sembrava così sporco – ma un lampo nei suoi occhi e il bisogno di compiacerlo vinsero. Socchiuse le labbra carnose e lasciò che lui le spingesse delicatamente le dita in bocca. Le succhiò, gustando il sapore muschiato di sé stessa sulla pelle di lui, mantenendo lo sguardo incatenato a quello del marito. L’uomo gemette piano vedendo la propria moglie obbedire in modo così arrendevole e provocante: l’avrebbe scopata in quel camerino all’istante se non fosse stato per la commessa appena fuori.
Il marito ritirò le dita dalla bocca di lei e si chinò a baciarla. Assaporò la sua lingua calda che sapeva di desiderio, in un bacio lento e profondo, colmo di promesse rimandate. Poi si staccò, guardandola con occhi scuri di lussuria. Lei tremava tutta, con il corpo in subbuglio e la mente annebbiata. “Dopo continuiamo,” le sussurrò all’orecchio, sistemando con dolcezza provocatoria la spallina del body sul suo braccio. C’era un sorrisetto allusivo sulle sue labbra quando sollevò la tenda ed uscì dal camerino.
Rimasta sola, la donna impiegò qualche secondo per riprendere fiato. Si sentiva il viso in fiamme. Nello specchio, vide la propria immagine: capelli spettinati, labbra arrossate dai baci, il body spostato in modo indecente – un seno quasi completamente scoperto, il pizzo intriso della sua umidità tra le gambe. Una visione da amante peccaminosa più che da moglie irreprensibile. Con mani ancora tremanti, si affrettò a svestirsi. Si tolse il body avorio con delicatezza e si rimise il proprio intimo nero e il vestito. Si sforzò di aggiustare i capelli e ripulire il rossetto sbavato. I segni della passione clandestina erano ovunque, ma dovevano tornare presentabili.
Prima di uscire, sbirciò cautamente fuori dalla tenda. La commessa pareva di nuovo immersa nel suo lavoro, senza prestar loro attenzione. Tuttavia, in fondo al negozio, vicino alla porta, colse una figura maschile che in quell’istante svicolava all’esterno. Indossava jeans e una giacca scura. Il cuore di lei saltò in gola. Era lui? Non riuscì a vederne il volto, ma qualcosa – l’istinto, il modo in cui camminava in fretta – le suggerì che non si sbagliava. Il giovane li aveva seguiti fin lì e li aveva effettivamente spiati. E ora sgattaiolava via, probabilmente soddisfatto e sconvolto quanto lei. Un misto di vergogna e rinnovata eccitazione la travolse al pensiero.
Raggiunse il marito alla cassa proprio mentre lui firmava lo scontrino. L’impiegata stava confezionando il body in una carta velina profumata prima di riporlo in una busta elegante. L’uomo posò una mano lieve sulla schiena della moglie appena la sentì accanto a sé, accarezzandola in modo rassicurante. Vista da fuori, erano la coppia serena che acquista un regalo intimo per ravvivare la serata. Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che era accaduto pochi attimi prima dietro la tenda del camerino. “Grazie e buona serata,” disse la commessa porgendo loro la busta con un sorriso di circostanza. “Anche a lei,” rispose cortesemente il marito.
Uscirono dalla boutique tornando nell’ampio corridoio centrale. L’aria fuori sembrò più fresca sulle guance accaldate di lei. Intorno, molte luci erano state spente e alcune zone erano ormai immerse in ombre bluastre. Solo i pannelli pubblicitari e qualche vetrina ancora illuminata gettavano bagliori colorati sul loro passaggio. Il centro commerciale stava ormai chiudendo; si udivano in lontananza le ultime comunicazioni all’altoparlante e i rumori delle serrande abbassate.
L’uomo procedeva con passo tranquillo, come soddisfatto. Fissava dritto davanti a sé, con una mano salda a tenere la busta dell’acquisto e l’altra posata dietro sulla vita della moglie. Lei gli stava accanto in silenzio, cercando di regolare il respiro. Dentro di sé, però, era tutt’altro che calma: sentiva un bisogno quasi doloroso di completare quello che avevano iniziato. Ogni fibra del suo corpo urlava per l’eccitazione lasciata a metà. E poi c’era quell’altra sensazione pungente… la certezza che il giovane li stesse seguendo ancora con lo sguardo, da qualche parte nell’ombra. Non avrebbe saputo dire perché ne fosse così sicura, ma lo sentiva addosso come un brivido costante.
Improvvisamente, il telefono del marito vibrò. Lui si fermò e lo estrasse dalla tasca interna della giacca con un gesto seccato. Fece scorrere il dito sullo schermo, aggrottando le sopracciglia alla vista di un messaggio. “Devo rispondere a questo, un attimo,” borbottò. La sua voce tradiva fastidio – era evidentemente un imprevisto di lavoro. L’uomo guardò attorno e indicò una colonna di marmo vicino ad una panchina, poco distante dall’ascensore panoramico. “Aspettami qui. Non muoverti,” aggiunse, con un’intonazione più dura di quanto la semplice frase richiedesse. Era un comando mascherato da richiesta: le sue insicurezze tornavano a galla nel doverla lasciare da sola anche solo per pochi minuti.
La donna annuì docile, stringendosi nel soprabito. In verità aveva un disperato bisogno di quei pochi istanti per rimettere ordine nei propri pensieri. Andò a sedersi sulla panchina di metallo freddo, poggiando un braccio contro la colonna dietro di sé. Suo marito si allontanò di qualche metro, portando il telefono all’orecchio. Parlava già con voce sommessa ma tesa, gettando occhiate impazienti al grande orologio al centro dell’atrio: probabilmente stava cercando di sbrigarsi.
La galleria era quasi deserta a quel punto. La donna inspirò profondamente, chiudendo per un attimo gli occhi. Una piccola parte di lei ancora non credeva a quanto successo nel camerino. Le sue gambe tremavano leggermente al ricordo. Sentiva il tessuto del tanga sfregare contro la sua intimità ancora bagnata ed ipersensibile, ricordandole in ogni istante l’ardore sospeso di quel piacere non concluso. Dio, che follia…
In quel momento percepì un movimento appena dietro di lei. Un profumo diverso – agrumato e fresco, mescolato a un deodorante giovane – le solleticò le narici. Sgranò gli occhi, voltando appena il capo, e lo vide: il ragazzo. Era sbucato dal nulla, o forse era rimasto nascosto fino ad allora nell’ombra, in attesa dell’occasione giusta. Ora era lì, a meno di un metro da lei, parzialmente celato alla vista del marito dalla larga colonna di marmo. Sul suo viso c’era un sorriso indecifrabile, un misto di audacia e brama.
“Credevi di esserti liberata di me?” sussurrò il giovane con un tono divertito. La sua voce le arrivò come una carezza insolente. La donna sentì il sangue affluirle al viso e al petto. Il cuore le batteva all’impazzata, ogni fibra di prudenza le diceva di respingerlo immediatamente. Eppure rimase immobile, come ipnotizzata da quella comparsa improvvisa.
“Non dovresti essere qui…” riuscì a mormorare, con un filo di voce che suonò poco convincente perfino a sé stessa. Era più un avvertimento stanco che un rimprovero. Si girò un poco di lato sulla panchina, in modo da poterlo guardare meglio ma anche di offrire la schiena al marito distante, così che questi non potesse cogliere l’espressione sconvolta sul suo volto. “Mio marito è proprio lì,” aggiunse in fretta, gesticolando appena con la mano tremante. A pochi passi, oltre la colonna, l’uomo era ancora immerso nella sua telefonata e dava loro le spalle, ignaro della presenza del rivale.
Il ragazzo fece un passo avanti, entrando anch’egli nella zona d’ombra accanto a lei. “Ero già qui…” sussurrò, “ti seguo con lo sguardo da quando sei arrivata.” La confessione la colse di sorpresa. Lui continuò a voce bassissima, chinandosi quel tanto da portare il viso vicino al suo orecchio. “Non riuscivo a resistere… Sei troppo bella stasera. Quell’abitino ti sta da morire.” Mentre pronunciava quelle parole, osò sfiorarle con la punta delle dita una ciocca di capelli castani sfuggita all’acconciatura, sistemandola dietro l’orecchio. Le sue nocche sfiorarono il collo di lei, che rabbrividì a quel contatto delicato ma carico di elettricità.
È pazzo… pensò la donna, sconvolta dall’audacia del giovane. Ma il pensiero le si disperse immediatamente quando lui continuò a toccarla: lentamente fece scorrere la mano dal collo alla curva della spalla, poi giù lungo il braccio nudo. Lei inspirò forte. Doveva fermarlo, qualunque costo. Poteva bastare un’occhiata di suo marito nella direzione sbagliata e li avrebbe visti. E allora sarebbe stata la fine di tutto. “Potrebbe vederci…” sibilò lei nervosamente, cercando con gli occhi il marito oltre la colonna. Ma la protesta le morì sulle labbra quando il ragazzo le prese con dolce fermezza il mento, costringendola a guardare solo lui.
Nei suoi occhi brillava una determinazione famelica. “Non lo farà,” disse semplicemente, prima di chinarsi su di lei e baciarla. Lo fece in un lampo, cogliendola completamente di sorpresa. Le labbra del giovane trovarono le sue in un bacio ardente, impetuoso. Non c’era più esitazione o timidezza adesso: era come se avesse accumulato desiderio e coraggio per tutto il tempo in cui li aveva osservati, e ora quel desiderio esplodeva. La bocca di lui sapeva di menta e incoscienza; la cercava con una bramosia quasi adorante, la lingua che premeva per incontrare la sua.
La donna dapprima sgranò gli occhi, il corpo irrigidito dallo shock. Le mani gli si posarono sul petto per respingerlo, ma non fecero alcuna forza. La verità, dura e semplice, era che quel contatto proibito la stava incendiando. Tutto il piacere negato di prima, tutta la tensione accumulata, trovarono uno sbocco in quell’attimo di follia. Lei si ritrovò a schiudere le labbra, lasciando che il bacio profondo di lui la conquistasse. Un gemito basso le nacque in gola quando la lingua del ragazzo incontrò la sua, accarezzandola in una danza umida e sensuale.
Si alzò in piedi senza nemmeno rendersene conto, spinta dalla passione del momento. Lui ne approfittò subito: la cinse in vita e la fece voltare, premendola con la schiena contro la colonna di marmo. Nascosti dall’ombra e dalla struttura, erano in un angoletto relativamente riparato dagli sguardi. Relativamente, perché bastava sporgersi di pochi passi per vederli – un rischio reale che li rendeva entrambi febbricitanti.
Il bacio continuò, più profondo. La donna ormai ricambiava con uguale foga: succhiava il labbro inferiore del giovane, assaporandone il sapore fresco, le mani risalirono tremanti a cingergli il collo. Le loro bocche si muovevano l’una sull’altra divorandosi, come se il tempo fosse sul punto di scadere (ed effettivamente lo era). Il ragazzo gemette contro le sue labbra, incapace di trattenere la gioia e l’eccitazione di averla finalmente così. “Dio, quanto ti ho voluta…” sussurrò in un sospiro, infilando le dita tra i capelli di lei mentre la baciava ancora.
Le mani di lui esplorarono con urgenza. Scivolarono lungo i fianchi, sentirono la curva rotonda del sedere attraverso la stoffa attillata. Con un gesto audace, il ragazzo sollevò di qualche centimetro l’orlo del vestito, abbastanza da poter infilare una mano sotto. La donna trasalì sentendo quelle mani giovani e inesperte intraprendere un percorso tanto ardito. Cercò di trattenere un sussulto. No, non posso permetterglielo… lampeggiò un pensiero di allarme nella sua mente. Ma era come se il suo corpo non volesse obbedire alla ragione: le sue gambe, anziché chiudersi, si rilassarono leggermente, concedendo l’accesso a quelle dita curiose.
Lui trovò subito la pelle morbida della coscia e risalì, incontrando il bordo superiore della calza e poi la pelle nuda più su, fin dove le cosce si univano al bacino. La donna cercò di trattenere il respiro. Le labbra erano ancora unite in un bacio rovente quando le dita di lui sentirono il sottile tessuto del tanga. Un fremito li attraversò entrambi nello stesso istante. La stoffa era umida – la prova tangibile di quanto lei fosse eccitata da tutto quel gioco proibito. Il ragazzo si staccò un attimo dal bacio, guardandola con occhi lucidi di desiderio e sorpresa. “Sei così bagnata…” le mormorò con un sorrisetto incredulo e adorante, accarezzandole l’orecchio con il naso.
Lei arrossì furiosamente a quelle parole. Avrebbe voluto trovare un qualche diniego, ma la realtà pulsava contro le sue dita: il giovane premette leggermente sul triangolino di pizzo fradicio, strappandole un gemito soffocato di imbarazzo e piacere. “Basta…” provò a dire lei debolmente, scuotendo la testa, ma la sua voce era priva di convinzione mentre il ragazzo baciava la sua guancia, la linea del suo zigomo, scendendo poi al collo con labbra fameliche.
In quell’istante, l’indice di lui si insinuò sotto il tessuto, spostandolo di lato. Un filo d’aria fresca colpì l’intimità nuda di lei, subito sostituito da una carezza ardente: il dito esplorò la fessura calda e scivolosa, aprendosi la strada tra le labbra gonfie. La donna spalancò la bocca, aggrappandosi alla giacca di lui per reggersi. Era sul punto di perdere completamente il controllo. Il polpastrello di lui trovò il suo punto sensibile e iniziò a massaggiarlo in piccoli cerchi, mentre un altro dito si raccoglieva della sua umidità e la penetrava piano. Oh, cielo… Un’ondata di piacere la travolse. Era diverso dal tocco esperto del marito: c’era una tenerezza impaziente, una riverenza quasi, nel modo in cui il ragazzo la sfiorava, che la fece tremare ancor di più.
Le bastò un attimo per rendersi conto di essere sull’orlo di venire. Non ci poteva credere: con suo marito, poco prima, era arrivata vicinissima al climax; ora, in pochi minuti, quel ragazzo la stava portando di nuovo a quel limite pericoloso. Sentiva i muscoli interni contrarsi involontariamente attorno al dito sottile di lui, in preda a spasmi di anticipazione. Un gemito le sfuggì dalle labbra mentre lui la baciava ancora, ingoiandole il suono con la bocca. Il mondo girava, le luci del centro commerciale divennero scie indistinte oltre le sue palpebre socchiuse.
All’improvviso, una voce familiare ruppe l’incantesimo. ”…sì, certo. Arrivo subito,” stava dicendo suo marito a qualcuno al telefono, con tono deciso. La donna percepì quelle parole come acqua gelida gettata sul fuoco. La coscienza tornò a galla di colpo. Mio Dio, che sto facendo?! Suo marito avrebbe potuto girarsi in qualunque momento. Magari aveva già finito la chiamata. Magari stava già cercando con lo sguardo proprio lei.
Con uno sforzo disperato, la donna afferrò il polso del ragazzo, fermando quel movimento incalzante tra le sue cosce. Sporse la testa di lato, guardando oltre la colonna: suo marito le dava ancora le spalle, ma stava chiaramente per concludere la conversazione. “Basta…” ansimò lei, staccando finalmente le labbra dalle sue e spingendo lievemente il petto del giovane. Tremava tutta, per l’orgasmo negato e per la paura. “Non posso…”} aggiunse in un sussurro spezzato, fissandolo con occhi lucidi. Aveva le labbra gonfie e arrossate, il respiro affannato – l’immagine stessa della tentazione incarnata.
Il ragazzo esitò, il petto che si alzava e abbassava velocemente. Nei suoi occhi ardeva ancora il desiderio, ma vide il terrore sincero sul volto di lei e capì. Lentamente, sfilò la mano da sotto il vestito della donna, strusciandole volutamente il palmo sull’interno coscia in un ultimo, languido tocco che mandò un brivido finale lungo la schiena di lei. Le sistemò il vestito giù con delicatezza, cercando di far sparire ogni traccia visibile di ciò che avevano fatto. Con la punta del pollice le sfiorò le labbra tumide un’ultima volta, quasi in una carezza di arrivederci.
“Non è finita…” le sussurrò con un sorriso accennato, la voce roca. Suonava come una promessa incrollabile. Lei deglutì, incapace di replicare, e guardò il giovane che prontamente indietreggiava di qualche passo nell’ombra. Alzò il bavero della giacca, e con un’ultima occhiata ardente in direzione di lei, si dileguò veloce lungo un passaggio laterale buio proprio mentre il marito riagganciava la chiamata e si voltava.
“Andiamo,” disse secco l’uomo, riprendendo la moglie per mano. La sua voce tradiva impazienza. Non sembrava aver notato nulla di strano… oppure sì? La stava guardando con un’intensità tale che lei ebbe la certezza di non essere affatto salva. Cercò di respirare normalmente e di camminare a fianco a lui come se nulla fosse, ma sapeva che il suo aspetto raccontava un’altra storia: i suoi capelli erano ancora un po’ arruffati, le sue labbra impossibili da sgonfiare in pochi secondi. E quei graffi sul collo? Il ragazzo nel baciarglielo poteva aver lasciato qualche segno rosso.
Sentì il marito irrigidirsi. L’aveva di certo notata. “Cos’hai fatto?” le domandò in un sussurro tagliente, senza fermarsi. Nella sua voce c’era una pericolosa calma glaciale. Lei abbassò lo sguardo, il cuore impazzito. “Io… nulla, stavamo solo parlando…” biascicò debolmente. Appena pronunciata, anche a lei quella frase suonò ridicola: solo parlando. Aveva il sapore di una scusa meschina, e inoltre il suo odore lo contraddiceva – sì, il suo corpo tradiva il fatto che fosse stata tutt’altro che innocente. Nell’aria attorno a lei aleggiava ancora il profumo del giovane e il sentore caldo del sesso che il suo corpo emanava.
L’uomo non replicò. Stringeva le labbra in una linea sottile, e il suo sguardo lampeggiava di furia trattenuta. Aveva già capito tutto senza bisogno di parole. I suoi occhi guizzarono per un attimo lungo il corridoio deserto davanti a loro, poi alle scale mobili poco distanti. Fu allora che lo vide: il ragazzo, o meglio la sua figura, stava scendendo velocemente la scala mobile verso il piano inferiore, probabilmente per guadagnare l’uscita. Anche se era di spalle, l’uomo riconobbe l’andatura e la sagoma. Un’ondata di gelo e poi di fuoco gli invase il petto: gelo per il sospetto confermato del tradimento consumato sotto il suo naso, fuoco per la rabbia e una gelosia furibonda.
In un primo impulso, avrebbe voluto lanciarsi all’inseguimento di quel ragazzino insolente e spegnere per sempre quel sorrisetto arrogante dal suo volto. Ma la sua mano rimase serrata attorno a quella della moglie. No, non avrebbe fatto scenate lì in pubblico. La questione si risolveva tra loro due. Il ragazzo era stato solo un catalizzatore, poco più di un giocattolo nelle mani del destino. La vera colpa – e la vera fonte di ossessione – era qui accanto a lui: la sua donna, la sua sposa, colei che apparentemente aveva osato cedere a un altro. Sentì un tumulto di emozioni contrastanti sommergerlo: tradimento, possesso ferito, ma anche un desiderio accecante di riaverla per sé, di marchiarla nuovamente come propria.
Con passo deciso, quasi brutale, trascinò la moglie verso l’ascensore panoramico al centro dell’atrio. Lei dovette affrettarsi per non inciampare, i tacchi che risuonavano veloci sul pavimento. Provò un fremito di paura mista ad eccitazione – conosceva quello sguardo in lui. Il predatore in silenzio aveva catturato la preda e la stava portando nella tana.
Le porte d’acciaio e vetro dell’ascensore si aprirono con un ping. All’interno non c’era nessuno. La cabina era ampia, con tre pareti di vetro trasparente che offrivano la vista sulla galleria e uno specchio lucido sul pannello posteriore. Entrarono. Non appena furono dentro, suo marito premette il pulsante del piano del parcheggio e subito dopo il tasto rosso di stop di emergenza. Allarme: un cicalino si attivò per un paio di secondi, poi tacque mentre l’ascensore si bloccava bruscamente tra il piano terra e il primo piano. Le luci all’interno rimasero accese, ma un silenzio innaturale cadde su di loro.
La donna non fece in tempo a chiedere cosa stesse facendo, perché l’uomo fu già su di lei. La spinse contro la parete di specchio con un’urgenza che le tolse il fiato. Un lampo di timore attraversò lo sguardo di lei – mai l’aveva visto così travolto dalla collera e dal desiderio insieme. Prima che potesse parlare, la bocca di lui si schiantò sulla sua in un bacio feroce. Non c’era gentilezza né esitazione: lui la baciava con la lingua e i denti, quasi a punirla, quasi a volerla divorare. La donna dapprima gemette per la sorpresa, cercando di girare il viso tanto era l’impeto, ma ben presto quel bacio la incendiò di rimando. Era ruvido, disperato, pieno dell’amore malato e bruciante che lui provava in quell’istante. E le piacque da morire.
Le mani del marito erano ovunque. Con una afferrò i polsi di lei e glieli portò sopra la testa, schiacciandoli contro lo specchio, immobilizzandola. Con l’altra, scese famelica sul suo corpo: le sollevò di colpo la gonna fin sopra i fianchi, aggrovigliandola in vita. Il contatto dell’aria fresca sulla sua pelle umida fece sussultare la donna. Lui strappò con impeto il sottile tanga nero che a malapena le copriva il sesso – lo strappo netto della stoffa risuonò nell’ascensore chiuso.
“È questo che vuoi, eh?” le sibilò contro l’orecchio, mordendole il lobo mentre allentava la presa sui polsi. Finalmente poteva toccarla liberamente con entrambe le mani. Una di queste le afferrò un seno, tirandone fuori la rotondità piena dalla scollatura. “Comportarti da piccola sgualdrina in pubblico?” La voce di lui era bassa, vibrante di rabbia e lussuria. Il termine offensivo la fece sussultare: sgualdrina. La stava insultando, sì, ma nel tono c’era più bramosia che disprezzo.
“No… io…” tentò di articolare lei, ma subito un gemito la interruppe. Il marito aveva chinato il capo sul suo petto esposto e aveva preso tra le labbra il capezzolo turgido, mordendolo e succhiandolo con avidità. Un’ondata di piacere acuto mischiata a lieve dolore si propagò dal seno al ventre di lei, lasciandola senza forza. Le sue mani scivolarono lungo la parete liscia nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa. “Dio, sei fradicia…” ringhiò lui risalendo a morderle il collo, mentre le sue dita affondavano nel nettare tra le cosce di lei, confermando quanto fosse bagnata.
Il respiro della donna era un susseguirsi di ansiti e gemiti. Il cervello le gridava di fermarlo, di calmarsi, di scegliere un luogo sicuro… ma il suo corpo, traditore incallito, urlava il contrario. Lo voleva. Lo voleva adesso, forte, brutale, ovunque lui decidesse.
Il marito non si fece pregare. La rabbia e la gelosia lo divoravano, e l’unico modo che conosceva per esprimerle era il sesso. L’afferrò con decisione sotto le cosce e la sollevò. “Aggrappati,” le intimò con voce roca. Lei incrociò le gambe attorno ai suoi fianchi istintivamente e si strinse a lui, sentendo la stoffa ruvida della giacca contro i seni nudi e la camicia contro il clitoride scoperto. Lui indietreggiò di mezzo passo per avere più spazio e si sbilanciò appena, poggiandola contro la parete di vetro dell’ascensore.
Con una mano la sostenne da sotto, palpandole il sedere, con l’altra armeggiò febbrilmente alla cintura e alla patta dei pantaloni. La donna, ipnotizzata, guardò tra di loro. Vide il marito estrarre il proprio membro duro e teso dall’intimo: era gonfio, la punta lucida di desiderio. Le sfiorò la pelle interna della coscia mentre lui lo guidava verso la sua destinazione. “Guardami,” ordinò l’uomo a denti stretti. Lei sollevò lo sguardo, perdendosi nei suoi occhi fiammeggianti proprio nell’istante in cui lui spinse avanti i fianchi e la penetrò.
Un unico, profondo affondo: il sesso di lui la invase con forza, aprendosi strada dentro di lei senza alcuna resistenza, tanto era bagnata e pronta. La donna spalancò la bocca in un grido muto, aggrappandosi alle sue spalle. Una mano colpì forte lo specchio alle sue spalle tanto era l’impeto; un lieve scricchiolio tradì la protesta del vetro, ma nessuno dei due se ne curò. Lui era dentro di lei, finalmente, e questo era tutto ciò che contava.
Il marito gemette a sua volta, chiudendo gli occhi un istante per la sensazione paradisiaca di quella stretta familiare che lo accoglieva. Era calda, stretta, avvolgente – casa. Era sua moglie, la sua donna, la sola che potesse farlo sentire così. E ora la sentiva tremare attorno a sé, sospesa tra le sue braccia, completamente in suo potere.
“Mia,” ringhiò a fior di labbra, iniziando a muoversi. Allentò appena la presa sotto di lei per permettere quella danza carnale. La gravità lo aiutava a tenerla impalata sul suo membro. Ritirò i fianchi fino a quasi uscire, poi spinse di nuovo, più forte. Lei lasciò sfuggire un lungo gemito senza riuscire a trattenerlo. Ogni spinta era violenta e decisa, colmava quel vuoto che la divorava dentro, e la puniva dolcemente per ogni sguardo rivolto a un altro uomo.
I suoni sguaiati dei corpi uniti echeggiavano nell’ascensore come musica oscena: lo schiocco umido delle loro intime unioni, il tintinnio appena percettibile della fibbia dei pantaloni di lui non del tutto sfilati, i colpi sordi della schiena di lei contro il vetro ad ogni affondo. E i gemiti… i loro gemiti intrecciati, sussurrati, trattenuti a stento. Lei affondò il viso contro il collo di lui per mordere la stoffa della giacca e soffocare i propri, mentre lui serrava la mascella e respirava forte dal naso nel tentativo di controllarsi.
Fuori, la vita del centro commerciale proseguiva ignara. Attraverso il vetro dietro di lei, la donna intravedeva scorci di luci: i piani inferiori deserti, qualche lampada ancora accesa che gettava cerchi pallidi sul pavimento. La cabina era ferma tra due livelli, ma attraverso il lato in vetro si scorgeva comunque parte dell’atrio sottostante. Ad un certo punto, lei socchiuse gli occhi e credette di vedere un’ombra in movimento laggiù: una figura che sembrava essersi arrestata proprio di fronte all’ascensore. Forse era solo la sua immaginazione, ma nella semi oscurità le parve di intuire quei lineamenti giovani a lei così noti. Il ragazzo doveva essersi accorto dell’ascensore bloccato… magari aveva intuito, magari sperava. Stava guardando? La possibilità la mandò in estasi. Un gemito più alto le sfuggì involontariamente pensando a quell’audience invisibile. Il marito, percependo che rischiava di perdere il controllo, le coprì la bocca con la propria mano libera, senza smettere di spingerle dentro selvaggiamente. “Zitta…” ansimò, anche se poi subito rimosse la mano per sostituirla di nuovo al fianco di lei e impugnarlo con forza, tenendola ferma per meglio assalirla.
La donna sentiva il mondo oscillare. Un vortice di emozioni e sensazioni la travolgeva: vergogna, appagamento, trasgressione, amore folle per quell’uomo che la possedeva con tanta veemenza. Le spinte di lui divennero sempre più veloci e profonde. Ogni colpo la mandava a sbattere contro la parete; sentiva la superficie fredda del vetro sulle scapole, in contrasto con il calore che emanavano i suoi seni premuti contro il torace di lui. Le dita di lei affondavano nei muscoli delle spalle del marito attraverso la camicia, aggrappandosi per non scivolare. Il piacere saliva, saliva incessante, e questa volta nessuna interruzione avrebbe potuto fermarlo.
“Sto… oh Dio…” provò a sussurrare lei, avvertendolo con la voce rotta. Non riuscì a completare la frase. Il marito la capì comunque. “Sì… vieni per me,” ringhiò a sua volta, con il fiato corto, continuando a martellare dentro di lei senza pietà. “Adesso… fallo vedere a me chi è che ti fa godere così…” aggiunse tra sé in un sussurro furibondo, più per se stesso che per lei.
Quelle parole la portarono esattamente dove lui voleva. La donna sentì l’orgasmo travolgerla come un’onda immensa. Il suo corpo si tese tutto, la testa si piegò all’indietro sbattendo contro lo specchio. Una scarica di pura estasi le esplose nel ventre e si diffuse nelle membra. Le parve di cadere nel vuoto e volare al tempo stesso. Si aggrappò con tutta la sua forza al collo di lui, cercando di non urlare. Un mugolio lungo e soffocato le vibrò nel petto mentre i muscoli interni si contraevano freneticamente attorno al sesso di suo marito, strizzandolo in una morsa pulsante.
Fu la fine anche per l’uomo. Sentì il proprio controllo sgretolarsi sotto quelle contrazioni voluttuose. Con un ultimo affondo profondo, si spinse dentro di lei il più possibile e si lasciò andare. Seppellì il viso nell’incavo del collo di sua moglie, mordendo la pelle per non gridare mentre l’orgasmo lo scuoteva. Gettò tutto il proprio seme in lei, con spasmi potenti che lo fecero tremare dalle fondamenta. Le tenne i fianchi bloccati contro di sé, premendola senza fiato contro il vetro, riempiendola fino all’ultima goccia.
Rimasero così, uniti, inerti ma ansanti, per tempo indefinito. Nell’ascensore aleggiava forte l’odore acre e dolce del sesso consumato: sudore, desiderio e peccato. Le pareti di vetro erano appannate qua e là dai loro corpi accaldati. Il silenzio era rotto soltanto dai loro respiri affannosi e dal ronzio lontano delle luci al neon.
Il marito fu il primo a muoversi, con un lieve gemito di fatica. Allentò la presa sotto di lei e la fece scivolare giù lentamente, aiutandola a rimettere i piedi a terra. Le gambe della donna erano molli, quasi incapaci di sorreggerla; dovette appoggiarsi con la schiena al pannello dietro di sé per non cadere. Lui, ancora dentro di lei, assaporò quell’ultimo contatto prima di separarsi. Quando si sfilò, entrambi sobbalzarono leggermente sentendo la sensibilità acuta dei loro corpi post-orgasmo.
La gonna di lei ricadde, coprendo a malapena l’essenziale ora che il tanga non c’era più. L’interno delle cosce le bruciava e sentiva il calore viscido del seme di lui colarle piano lungo la gamba. Era uno scandalo di cui non le importava nulla: anzi, quel sentore di appartenenza la faceva fremere di nascosto di un piacere quasi orgoglioso.
Il marito la guardò allora, forse veramente guardandola per la prima volta dopo quell’assalto furioso. Vide il viso di sua moglie stravolto dall’orgasmo, i segni rossi dei morsi sul collo e sul petto, i capelli scompigliati, gli occhi lucidi e persi. Era stupenda, pensò, la donna più bella e desiderabile che avesse mai visto. E sua. Ancora sua. Un’emozione più tenera attraversò il suo sguardo. Le sollevò il mento con due dita e la baciò piano, dolcemente stavolta, sulle labbra arse. Lei ricambiò quel bacio in punta di labbra, sentendo una lacrima spuntarle dagli occhi per la troppa intensità del momento.
“Tu sei mia,” mormorò lui contro la sua bocca, in un sussurro ferreo ma carico d’amore. La donna annuì debolmente, appoggiando la fronte contro il petto di lui. Aveva bisogno di sentire il battito del suo cuore per ancorarsi alla realtà: era frenetico quasi quanto il suo. Le braccia del marito la circondarono in un abbraccio protettivo. Rimasero così qualche secondo, cullati soltanto dal suono dei loro respiri che pian piano rallentavano all’unisono.
All’improvviso, il silenzio fu rotto da una voce metallica e gracchiante. “Tutto ok lì dentro?” chiese il sistema di interfono dell’ascensore – la sicurezza doveva essersi accorta che la cabina era ferma da troppo tempo. I due sussultarono, destandosi. L’uomo rispose subito, premendo il pulsante e cercando di rendere la voce più salda possibile: “Sì, sì… tutto bene. Ho dovuto azionare per sbaglio il freno, ma ora ripartiamo, grazie.” Mentre diceva questa bugia rassicurante, lanciò un’occhiata complice alla moglie, che non poté evitare un sorriso divertito tra l’incredulo e il soddisfatto.
L’uomo schiacciò di nuovo il pulsante di emergenza e l’ascensore riprese il suo corso verso il parcheggio. Approfittarono di quei pochi istanti per ricomporsi. Lei cercò di lisciare alla meglio il vestito stropicciato e di ravviarsi i capelli. Recuperò da terra il soprabito caduto e se lo strinse addosso, così da coprire le tracce più evidenti: il seno le pulsava dove lui l’aveva morso e succhiato, e sapeva che avrebbe avuto qualche segno visibile. Lui infilò alla meno peggio la camicia nei pantaloni rimasti semi-aperti, poi riallacciò la cintura. Ritrasse un poco le spalle per stiracchiarsi e si passò una mano tra i capelli scuri. Si guardarono allo specchio: disordinati, provati, ma complici. Negli occhi di entrambi brillava una luce nuova, qualcosa tra la sfrontatezza e la contentezza. Come due amanti colpevoli e felici di averla fatta franca.
Arrivati al piano desiderato, le porte si aprirono con un lieve scatto. L’aria fresca della notte entrò a purificare l’atmosfera surriscaldata. Erano nel parcheggio coperto semi-deserto. Solo poche auto rimaste, immerse in penombra sotto i neon freddi. La donna avanzò per prima, le gambe ancora molli ma capaci di sorreggerla. L’uomo le fu accanto in un attimo, cingendole la vita con un braccio in un gesto protettivo. Camminarono verso l’uscita laterale, là dove li attendeva la loro automobile.
Prima di varcare la soglia, lei non poté evitare di voltare lo sguardo un’ultima volta verso l’interno del centro commerciale silenzioso. Da quella prospettiva, vedeva parte dell’atrio e la vetrata dell’ascensore. Per un istante le sembrò di scorgere una figura ferma nell’ombra, al piano inferiore: qualcuno che li stava osservando da lontano. Il cuore ebbe un piccolo sussulto. Non riuscì a distinguere i lineamenti, ma in cuor suo sapeva chi poteva essere. Lui. Il giovane seduttore doveva averli seguiti con lo sguardo fino alla fine, incatenato dalla curiosità o dal desiderio. Chissà se aveva intuito cosa era successo in quell’ascensore sospeso. Forse sì, forse no. Ma quell’ombra rimase immobile per un paio di secondi, poi si mosse lentamente sparendo nel buio mentre le porte esterne si chiudevano alle spalle della coppia.
Fuori, l’aria notturna era fresca e calma. Il cielo di Milano brillava di luci urbane in lontananza. La donna inspirò a pieni polmoni quell’aria frizzante, nel tentativo di placare i bollori che ancora la percorrevano. Sentiva un indolenzimento dolce in ogni muscolo, come se avesse corso a perdifiato. Il marito le posò un bacio leggero sui capelli, sorprendendola. Lei sollevò il viso verso di lui; si scambiarono un sorriso stanco, ma vero. In quel sorriso c’erano tante cose: amore, possesso, pentimento, complicità.
Salirono in auto, vicini, confusi e appagati allo stesso tempo. Mentre si allontanavano dal parcheggio, la donna ripensò a tutto ciò che era accaduto in quell’ora scarsa. La normalità di poche ore prima era stata spazzata via da un turbine di emozioni proibite dentro un centro commerciale deserto. Quella serata avrebbe potuto distruggerli, invece li aveva visti bruciare insieme e rinascere dalle ceneri, come un’araba fenice della passione.
Stringendo la mano del marito sul cambio, la donna chiuse un attimo gli occhi. Si sentiva viva. Ogni fibra di lei vibra ancora di eccitazione. Dentro di sé sapeva che un confine era stato varcato, e che non sarebbe stato facile tornare indietro. La tentazione li aveva messi alla prova un’altra volta, e in quel gioco pericoloso loro avevano trovato un nuovo modo di appartenersi. Tra gelosia e desiderio, tra controllo e abbandono, avevano scoperto un terreno di gioco segreto tutto loro. Forse sbagliato, forse folle, ma dannatamente, irresistibilmente sensuale.
La notte avvolse l’auto mentre si immetteva nel viale principale. Il centro commerciale ormai chiuso alle loro spalle custodiva i segreti di quella sera. Forse non sarebbe rimasto l’ultimo teatro delle loro audaci trasgressioni. Forse la tentazione avrebbe bussato di nuovo – e quando lo avesse fatto, loro sarebbero stati pronti a giocare, ancora una volta, col fuoco.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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