tradimenti
Lorena – Il peccato perfetto


13.05.2025 |
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"«Fammi tua, Caio… fammi tua finché non resto senza fiato…», sussurrava con le gambe alzate, mentre lui la penetrava profondo..."
Lorena non sapeva più cosa volesse dire sentirsi viva. Ogni mattina si alzava alla stessa ora, preparava la colazione, sistemava la bambina, salutava il marito e restava sola in quella casa perfetta, vuota come una cornice appesa senza un quadro. Aveva trentacinque anni, una pelle ancora luminosa, fianchi pieni, labbra che sapevano di tentazione anche se ormai nessuno le baciava più. Nemmeno lui, Mateus, il marito. Buono, fedele, corretto. Eppure spento. Come se avesse dimenticato che Lorena non era solo madre, moglie, cuoca. Ma donna. Fatta di carne, umori e desideri.Fu allora che arrivò Caio. Lo aveva incrociato per caso, due case più in là, mentre usciva col cane. Un uomo sulla quarantina, tatuaggi sbiaditi sulle braccia, capelli rasati, sguardo diretto. Lorena lo guardò appena, ma lui no. Lui la guardò come nessuno la guardava da anni. La guardò con fame. Con peccato.
La prima volta che parlarono fu al mercato. Poche parole. Uno sguardo in più. La seconda, davanti alla panetteria. Lui le fece un complimento sussurrato, troppo sfrontato per essere frainteso. Lorena sorrise. E fu lì che tutto iniziò.
La casa di Caio era un rifugio di legno, appartato tra le piante, lontano dagli occhi. Un pomeriggio, Lorena ci entrò. Non per sbaglio. Non per debolezza. Ma per bisogno. E non uscì più la stessa.
Appena varcò la soglia, Caio la spinse al muro. Le mani le salirono sotto la gonna. Nessuna esitazione. Le trovò l’intimo già umido. Lei ansimava. Non parlava. Gli afferrò il viso, lo baciò. La lingua cercava, le mani cercavano. Quando lui la sollevò di peso e la prese contro il muro, Lorena esplose. Non era solo sesso. Era liberazione. Era un urlo. Un ritorno.
Da quel giorno fu una droga. Ogni volta che il marito usciva, Lorena correva da lui. I vestiti si facevano sempre più leggeri, le mutandine sempre più inutili. Ogni giorno un nuovo modo di scoparla, ogni giorno una parte in più di sé da offrire. Sul tavolo, sul pavimento, inginocchiata nel corridoio, sopra di lui cavalcandolo come una furia, a bocca piena, le cosce spalancate, i capelli scompigliati, il sesso sempre più affamato.
Lorena non era più la donna per bene del quartiere. Era puttana per lui. Puttana e felice.
Non dicevano “ti amo”. Dicevano “vieni ancora”. Non facevano l’amore. Facevano guerra.
Caio la prendeva senza chiedere. Le entrava dentro con violenza, con foga, con necessità. Le stringeva il collo, le mordeva i seni, le baciava il ventre mentre le dita la aprivano ovunque. Lorena lo voleva tutto. Dentro. Dietro. In bocca. Nell’anima.
«Fammi tua, Caio… fammi tua finché non resto senza fiato…», sussurrava con le gambe alzate, mentre lui la penetrava profondo.
«Non sei più di nessun altro», rispondeva lui. «Ora sei solo mia.»
E lei, mentre veniva tremando, lo sapeva. Era vero.
Ogni orgasmo era un confine superato. Ogni spinta, una certezza in più. Ogni colpo, un addio alla vecchia Lorena.
Poi ci fu quell’ultima volta.
Non si erano scritti. Non si erano chiamati. Ma lei si presentò lo stesso. Vestita di rosso. Rosso vivo, rosso sangue. Entrò senza parlare. Si inginocchiò. Lo spogliò. Prese il cazzo tra le mani e lo inghiottì fino in fondo. Glielo succhiò come se fosse il suo ultimo pasto. Lo guardava con occhi sporchi, profondi, affamati. Lui l’afferrò per i capelli e glielo diede ancora più dentro. Lei gemeva. Si bagnava.
Poi si voltò, alzò il vestito. Nuda sotto.
«Stuprami col consenso. Prendimi come non mi hai mai presa», disse.
E Caio lo fece. La fece urlare. La fece tremare. La prese in piedi, contro la finestra, sopra il tavolo, le gambe sollevate, il culo nudo, la bocca aperta. Le scopò ogni centimetro del corpo. Le venne dentro più volte. Le sborrò in gola, nel sesso, nel cuore.
Lorena sudava, piangeva, rideva. Aveva ricevuto tutto. E lo aveva voluto.
Dopo, stesa sul letto, ancora aperta, gli baciò il petto e disse:
«Adesso basta. Ora ho avuto tutto.»
E se ne andò. Senza guardarsi indietro.
Ma il giorno dopo tornò. Bussò. Nessun trucco. Solo occhi veri. Una valigia.
«Vim morar com você.»
E così fu.
Cambiarono città. Nessuno da cui nascondersi. Nessun marito. Nessuna bugia.
Lorena non era più madre, né moglie. Era donna. Era mia.
E ogni giorno, ogni notte, mi dava ancora tutto.
Tutto il suo corpo.
Tutta la sua bocca.
Tutto il suo amore maledetto.
E io, finalmente, avevo smesso di cercare.
Perché l’avevo trovata.
Lorena.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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